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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNO 1915 (3)

GRANDE GUERRA - LA VIGILIA - LE ESALTAZIONE - I PIENI POTERI

LE DIMOSTRAZIONI INTERVENTISTE DOPO LE DIMISSIONI DEL GABINETTO SALANDRA - VIOLENTO DISCORSO DI G. D'ANNUNZIO A ROMA - IL 13 MAGGIO A MILANO - L'ON. GIOLITTI ACCUSATO DI ALTO TRADIMENTO - IL MINISTERO SALANDRA RICONFERMATO IN CARICA - LE MANIFESTAZIONI DI GIUBILO - UN DISCORSO DI G. D'ANNUNZIO E UN ARTICOLO DI BENITO MUSSOLINI - G. D'ANNUNZIO PARLA DAL CAMPIDOGLIO AI ROMANI - LE ULTIME SPERANZE AUSTRO-GERMANICHE - IL "LIBRO VERDE" - LA STORICA SEDUTA DEL 20 MAGGIO ALLA CAMERA: IL DISCORSO DELL'ON. SALANDRA; IL DISEGNO DI LEGGE SUI PIENI POTERI AL GOVERNO.
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Capitolo: "La Guerra Europea" dal "Memoriale" di Giovanni Giolitti

LE DIMOSTRAZIONI INTERVENTISTE

A Roma le manifestazioni interventiste contro GIOLITTI, fin dal giorno del suo arrivo (era rientrato nella capitale dopo tre mesi di assenza, proponendo di liberare l'Italia dagli impegni con l'intesa, e chiesto al Parlamento di votare la ripresa delle trattative con l'Austria, che aveva promesso nuove proposte) erano dimostrazioni piuttosto violente; questi atti indignarono molti deputati e senatori; la stessa sera, 320 onorevoli e circa 100 senatori, vollero pubblicamente sottolineare la loro adesione alla linea giolittiana neutralista, lasciando a casa di Giolitti il proprio biglietto da visita per rimarcare pubblicamente la loro partecipazione, che era poi quella neutralista.

Sull'onda di questa manifestazione dei propri colleghi, SALANDRA non tardò a capire il significato e interpretò quelle espressioni dirette all'uomo di Dronero, come un'indicazione degli umori della maggioranza. Quindi deciso a farsi da parte e cedere il comando.
Il giorno dopo, il 13 maggio, un comunicato ufficiale della Stefani annunciava le dimissioni di Salandra, e gettavano nella costernazione gli interventisti e facevano gioire i sostenitori della neutralità.

La costernazione prodotta fra gli interventisti dall'annuncio delle dimissioni del Gabinetto SALANDRA durò però pochissimo, perché fuori del Parlamento (ma anche in molte città italiane) ci fu una durissima reazione degli interventisti, con i tumulti che montavano e preoccupavano il sovrano. Molti avevano ormai capito che quella maggioranza -che era quasi tutta giolittiana, avrebbe richiamato al governo lo "sdrammatizzatore", il "neutralista", non proprio filo-austriaco, ma comunque filo-germanico.
Infatti, quasi tutti i deputati si associarono all'onesto Salandra che si faceva da parte, e nell'indicare Giolitti come l'uomo adatto a risolvere la brutta crisi. Senonché, GIOLITTI rifiutò e suggerì di farlo formare da MARCORA o CARCANO.
Le sue ragioni furono queste: se la successione di Salandra l'avesse presa lui, il passaggio da un interventista dichiarato ad un neutralista non meno dichiarato, avrebbe indotto gli Imperi Centrali ad irrigidirsi, e le trattative (che erano in corso, per una concertata soluzione, almeno così sembravano) si sarebbero concluse in un totale fallimento. Carcano o Marcora, pur essendo pure loro giolittiani, avrebbero condotto le trattative con maggiore duttilità e realismo, perché pure loro capaci -affermava Giolitti- di dichiarare guerra, se questo fosse stato necessario.

La giustificazione e quindi la soluzione di Giolitti per molti, e al Re stesso, non era però molto chiara, inoltre alcuni pensarono che Giolitti faceva il consueto gioco; passare ad altri la "patata bollente", poi finita la bufera, in un modo o in un altro risorgere.
Ma questa volta ad essere più realista e abile non fu Giolitti, ma il suo compare di sempre, il Re; che ebbe una visione più vasta del suo -fino allora- prediletto uomo politico. Vittorio Emanuele non guardava solo all'interno (lotta tra interventisti e neutralisti) perché la crisi questa volta era esterna ed era internazionale. Lo scontro era tra le nazioni dell'Intesa e l'Impero Centrale. Due mezze Europa, ognuna decisa a farne una sola. Dopo le speranze che sarebbe stata una "guerra breve", questa ormai dopo pochi mesi appariva già una "guerra di logoramento", una guerra ad "oltranza".

In questo scontro c'erano per l'Italia (e quindi per il Re) due grosse trappole. La prima: se la neutralità dell'Italia avesse abbreviato il conflitto a vantaggio della Germania e dell'Austria, quale sarebbe stata poi la sorte definitiva dell'Italia? La loro vittoria sarebbe stata il trionfo di quelle forze conservatrici contro le quali l'Italia si era formata. Non c'era da illudersi sulla sorte dell'Italia se in Europa si fosse stabilita l'egemonia della forza germanica. Perché era chiaro che dopo la vittoria (quindi anche Francesco Giuseppe s'illudeva) l'impero germanico avrebbe ereditato e potenziato (e sicuramente spazzato via) l'imperialismo asburgico. E chi avrebbe poi fermato i tedeschi nel Trentino o sull'Isonzo?

Nel grande programma di Nauman (lui a dare quella definizione rimasta classica "Mitteleuropa") nella sua concezione "democratica", si sarebbe dovuto metter fine alla separazione dell'Austria dalla Germania, tutta l'Austria e Ungheria sarebbe entrata a far parte dello Stato nazionale tedesco; la supremazia economica e culturale tedesca si sarebbe estesa fino a Costantinopoli e forse anche oltre con l'impero zarista smembrato; forse esteso fino al Caucaso ed al Golfo Persico.

 

Insomma il rischio più grande era quello di una vittoria degli Imperi Centrali. Quindi l'Italia "doveva" "combattere" per impedire la vittoria degli Imperi Centrali.
Seconda trappola: da scartare totalmente l'idea di schierarsi con gli Imperi Centrali; nonostante la Triplice Alleanza (che andava bene solo in tempo di pace e di quiete - e che V.E. III, dopo averla ereditata, aveva sempre guardato con diffidenza) una guerra italiana a fianco degli Austriaci sarebbe partita impopolare, avrebbe smentito tutta la tradizione del Risorgimento, stracciato tutta la memorialistica garibaldina, cancellato la retorica divulgativa scolastica, spento i giovanili entusiasmi. E teniamo presente che erano proprio queste immagini avventurose ed eroiche delle guerre ottocentesche, che alimentavano i giovani irredentisti, gli interventisti, ed infine gli intellettuali che su quelle immagini risorgimentali si gettarono con slancio per ritemprare le energie spirituali delle nuove generazioni (Come, in abbondanza -abbiamo letto e leggeremo qui ancora- stava facendo Gabriele D'Annunzio).

Oltre il Re, c'era un altro - e con molto anticipo- ad aver capito cosa questa volta c'era in gioco. Lo aveva capito fin dal primo annuncio dell'attentato a Sarajevo e del Memortandum austriaco. Era Benito Mussolini, che in vacanza a Cattolica rientrò precipitosamente al giornale. In una intervista a Michele Campana alla domanda se anche i socialisti tedeschi si sarebbero affiancati all'imperatore : "Non ne ho il minimo dubbio. L'Internazionale socialista verrà rotta... Non creiamoci illusioni. Gli Imperi centrali mirano attraverso la Serbia a colpire l'Inghilterra e la Francia. La guerra europea è inevitabile, e la Francia ne sarà la prima vittima, se i popoli più civili non si metteranno insieme per salvarla. La sconfitta della Francia sarebbe un colpo mortale per la libertà in Europa". (P.Monelli, Mussolini Piccolo borghese, Vallardi, 1983)

VIOLENTO DISCORSO DI G. ANNUNZIO A ROMA
IL 13 MAGGIO A MILANO - L'ON. GIOLITTI ACCUSATO DI ALTO TRADIMENTO

Lo stesso 13 maggio, a Roma, i dimostranti dopo avere invano tentato di portarsi a Villa Malta, residenza di BULOW, andarono ad acclamare Gabriele d'Annunzio, che tenne loro un discorso violentissimo:
contro il "mestatore di Dronero"; eccone il testo integrale:

"Compagni, non è più tempo di parlare ma di fare; non è più tempo di concioni ma di azioni, e di azioni romane. Se considerato è come crimine l'incitare alla violenza i cittadini, io mi vanterò di questo crimine, io lo prenderò sopra me solo. Se invece di allarmi io potessi armi gettare ai risoluti, non esiterei: né mi parrebbe di averne rimordimento (rimorso - Ndr). Ogni eccesso della forza è lecito, se vale ad impedire che la Patria si perda. Voi dovete impedire che un pugno di ruffiani e di frodatori riesca ad imbrattare e a perdere l'Italia. Tutte le azioni necessarie assolve le legge di Roma.
Ascoltatemi: Intendetemi. Il tradimento è oggi manifesto. Non ne respiriamo soltanto l'orribile odore, ma ne sentiamo già tutto il peso obbrobrioso. Il tradimento si compie in Roma, nella città dell'anima, nella città di vita ! Nella Roma vostra si tenta di strangolare la Patria con un capestro prussiano maneggiato da quel vecchio boia labbrone le cui calcagna di fuggiasco sanno la via di Berlino. In Roma si compie l'assassinio. E se io sono il primo a gridarlo, e se io sono il solo, di questo coraggio voi mi terrete conto domani ....
Udite! Noi siamo sul punto d'esser venduti come una greggia infetta. Su la nostra dignità umana, su la dignità di ognuno, su la fronte di ognuno, su la mia, su la vostra, su quella dei vostri figli, su quella dei non nati, sta la minaccia d'un marchio servile.

"Chiamarsi italiano sarà nome di rossore, nome da nascondere, nome da averne bruciate le labbra ....
"Questo vuol far di noi il mestatore di Dronero, intruglio osceno, contro il quale un gentiluomo di chiarissimo sangue romano, Onorato Caetani, or è molt'anni, scoccò un epigramma crudele .... Questo vuol fare di noi quell'altro ansimante leccatore di sudici piedi prussiani, che abita qui presso; contro il quale la lapidazione e l'arsione, subito deliberate e attuate, sarebbero assai lieve castigo.
Questo di noi vuol fare la loro seguace canaglia. Questo non faranno. Voi me ne state mallevadori, Romani. Giuriamo, giurate che non preverranno.

"Il vostro sangue grida. La vostra ribellione rugge. Finalmente voi vi ricordate della vostra origine. La storia vostra si fece forse nelle botteghe dei rigattieri e dei cenciaiuoli? Le bilance della vostra giustizia crollavano forse dalla banda ov'era posto un tozzo da maciullare, un osso da rodere? Il vostro Campidoglio era forse un banco di barattatori e di truffardi La gloria? vi s'affaccendava e ciangottava da rivendugliola?
Non ossi, non tozzi, non cenci, non baratti; non truffe. Basta! Rovesciate i banchi! Spezzate le false bilance! Stanotte su noi pesa il fato romano; stanotte su noi pesa la legge romana. Accettiamo il fato, accettiamo la legge.

"Imponiamo il fato, imponiamo la legge!
Le nostre sorti non si misurano con la spanna del merciaio, ma con la spada lunga. Però con bastone e col ceffone, con la pedata e col pugno si misurano i manutengoli e i mezzani, i leccapiatti e i leccazampe dell'ex-cancelliere tedesco che sopra un colle quirite fa il grosso Giove trasformandosi a volta a volta in bue tenero e in pioggia d'oro. Codesto servidorame di bassa mano teme i colpi, ha paura delle busse, ha spavento del castigo corporale. Io ve li raccomando. Vorrei poter dire: io ve li consegno. I più maneschi di voi saranno della città e della salute pubblica benemeritissimi.
Formatevi in drappelli, formatevi in pattuglie civiche; e fate la ronda, ponetevi alla posta per catturarli. Non una folla urlante, ma siate una milizia vigilante. Questo vi chiedo. Questo è necessario. È necessario che non sia consumato in Roma l'assassinio della Patria. Voi me ne state mallevadori, o Romani. Viva Roma Vendicatrice !".

A Milano, quel giorno stesso, la folla dei dimostranti, arringata da RICCARDO LUZZATTO acclamava questo ordine del giorno:

"Il popolo di Milano .... ricorda al Governo investito della fiducia del Paese che una debolezza di fronte alle inframmettenze incostituzionali dei nemici della Patria lo renderebbe partecipe del tradimento; e chiede che la guerra nazionale venga senza indugio dichiarata dal Capo dello Stato interprete della volontà del popolo".

Le dimostrazioni a Milano continuarono tutto il giorno e terminarono la sera del 13 con un tragico bilancio un morto, l'operaio Gadda, e una ventina di feriti.
La giornata del 13 si chiudeva a Roma con la riunione dei rappresentanti di tutti i partiti interventisti e l'acclamazione di questo ordine del giorno:

"L'assemblea unanime conferma il proposito di manifestare contro, qualunque sia per essere, il nuovo Ministero, e indipendentemente dal fatto costituzionale della crisi, la volontà nazionale della guerra contro gli Imperi centrali e di non permettere a nessun costo che rappresentino e governino l'Italia uomini venduti allo straniero e traditori della Patria".

Continuarono nei giorni successivi a fioccare gli ordini del giorno favorevoli all'intervento e al Ministero e continuarono le dimostrazioni in tutte le città d'Italia. A Genova un messaggio di'Annunzio infiammava gli animi e a Roma la sera del 14 lo spettacolo teatrale al Costanzi si mutava in comizio, dove il Poeta aveva parole roventi contro GIOLITTI, che accusava di...
"�essere in commercio con lo straniero, in servizio dello straniero, per avvilire, per asservire, per disonorare l'Italia a vantaggio dello straniero", che chiamava capo dei malfattori, la cui anima non era "se non non una gelida menzogna articolata di pieghevoli astuzie", traditore del Re e della Patria", �
"Sarà- terminava d'Annunzio - il Parlamento d'Italia riaperto il 20 di maggio?
Il 20 di maggio è l'anniversario della portentosa marcia garibaldina sul Parco. Celebriamolo sbarrando l'ingresso agli sguatteri di Villa Malta e ricacciandoli verso il loro dolciastro padrone. Nel Parlamento italiano gli uomini liberi, senza laide mescolanze, proclameranno la libertà e l'integrazione della Patria".

Questo discorso veniva ad accrescere, se pur ve n'era bisogno, l'eccitazione degli animi alla fine di una giornata di dimostrazioni di tumulti e di tafferugli, fra cui degni di nota quelli svoltisi in piazza Montecitorio, contro il palazzo della Camera, che fu assalito e invaso da un forte gruppo di dimostranti.
Il 15 altre dimostrazioni e la pubblicazione di un manifesto dei "Fasci interventisti" che accusavano l'on. Giolitti di alto tradimento, lo indicavano al disprezzo e alla vendetta pubblica e inneggiavano all'Italia e alla Guerra.

IL MINISTERO SALANDRA RICONFERMATO IN CARICA
LE MANIFESTAZIONI DI GIUBILO - UN DISCORSO DI G. D'ANNUNZIO E UN ARTICOLO DI BENITO MUSSOLINI

E intanto si diffondeva la voce che il Re volesse ridare l'incarico a SALANDRA di formare il ministero. Lo affermava alla folla, la sera del 15 maggio a Milano FILIPPO CORRIDONI:

"Cittadini, par proprio che il Re si sia rivolto ancora a Salandra per ricostituire il Ministero che ci porterà alla Guerra. Però non bisogna disarmare. È bene ricordare la responsabilità di coloro che volevano tradire la nostra nobile Nazione, la quale, se si salva, lo deve al popolo. SONNINO e SALANDRA, due conservatori, avevano condotto con mano maestra la barca della Nazione e ci avevano portato verso il momento supremo. Ricordate che Sonnino aveva già denunciato il patto della "Triplice Alleanza" e stretto quello di fraternità con la "Triplice Intesa". Scalzando Sonnino e Salandra non solo si mettevano alla porta due uomini onesti, non solo si tradiva la Nazione, ma si tradivano anche le nazioni alleate. Per fortuna l'insurrezione è stata immediata. Uomini di tutte le fedi si sono dichiarati pronti a ribellarsi. Ed il monito è stato compreso. Adesso speriamo, ma vigiliamo".

La notizia data dal CORRIDONI era vera. Il Re aveva pregato Giolitti prima e dietro suo suggerimento Marcora, Carcano e Boselli poi, di accettare l'incarico di formare il ministero, ma tutti si erano rifiutati. Il giorno 16 Vittorio Emanuele III, riconfermava in carica il Gabinetto SALANDRA.

Indescrivibili furono le dimostrazioni di giubilo da parte degli interventisti. La sera stessa del 16 maggio all'Associazione Artistica Internazionale, tennero discorsi applauditissimi JEAN CARRÈRE e GABRIELE D'ANNUNZIO, che concluse il suo dire così:
"Prima di domani la notte occupi i fori e gli archi, splendendo ancora sul Quirinale i due cavalier gemelli, i due giovani combattenti di Regillo, auguriamo che cessino gl'indugi estenuanti auguriamo che la parola della risoluzione estrema sia detta, auguriamo il più lungo volo alla vittoria latina".

La mattina del 17 il Popolo d'Italia pubblicava questo articolo di Benito Mussolini, intitolato "Vittoria", che riportiamo integralmente:

"La terribile settimana di passione dell'Italia, si è chiusa con la vittoria del Popolo. I nostri cuori che erano irrigiditi nello spasimo della delusione e dell'esasperazione, riprendono il loro ritmo gagliardo; le nuvole basse della mefitica palude parlamentare sono dileguate dinanzi al ciclone che prorompeva dalle piazze. Non si hanno più notizie del cav. Giolitti. E' forse fuggito ancora una volta a Berlino? Anche il giolittismo versa in condizioni disperate. È latitante. I suoi partigiani scivolano via e tacciono. Per quanto cinici la lezione ha giovato loro. Hanno capito. Ipnotizzati dal Parlamento, questi fedeli del Senusso di Cavour racchiudevano il mondo e l'Italia nei confini di Montecitorio.

"L'irruzione dei cittadini romani nei sacri recinti della Camera è un segno dei tempi. Si deve al puro caso se oggi Montecitorio non è un mucchio di macerie nere. Ma si deve al popolo italiano se oggi l'Italia non è al livello della Grecia e della Turchia. Forse, senza la grandiosa, magnifica insurrezione delle moltitudini, sarebbe giunta in porto la giolittiana navicella del "parecchio" pilotata da Bulow, con le ciurme dei socialisti sudekumizzati; ma il Popolo l'ha silurata e la navicella carica di tutte le immondizie italiche è precipitata in fondo al mare delle assurdità. Ora si respira. L'orizzonte è sgombro e sulla cima estrema vi fiammeggia la volontà dell'Italia. Volontà di guerra. L'ha dichiarata il popolo al disopra della mandria parlamentare. Il Re ha inteso. La guerra c' è.

"La dichiarazione ufficiale di guerra consacrerà uno stato di fatto. Il popolo italiano si sente già in guerra contro gli austro-tedeschi. È compreso della solennità del momento. In questa settimana si è purificato. Molte scorie sono cadute. Sul corpo della Nazione si erano annidati parassiti di specie diverse: giolittiani, clericali, socialisti. Ma la Nazione - con una scossa, - si è liberata del suo carico molesto e insidioso. Sotto la maschera neutrale è balzata innanzi l'anima guerriera.
"Le masse operaie hanno anch'esse capito che l'intervento è ormai una necessità e più che una necessità un dovere ! Restano soli a macerarsi nella loro clamorosa e documentata impotenza i socialisti ufficiali.
"Eppure la denuncia della Triplice Alleanza è un avvenimento che dovrebbe scuoterli e rallegrarli. Ma ormai essi sono legati mani e piedi in un vincolo di solidarietà abominevole con gli assassini di Germania e d'Austria: sono quindi stranieri all'Italia e al proletariato italiano.

"Dopo 33 anni l'Italia conquista la sua autonomia. Un'alleanza che non fu mai e non poteva esser popolare è stata denunciata. L'Italia si volge ad occidente ed entra nella Triplice Intesa. Ci siamo liberati dalla pesante tutela tedesca, dalla ripugnante compagnia degli austriaci. Torniamo noi stessi. Anche qui la sana e diritta diplomazia del popolo ha vinto! Combatteremo a fianco dei francesi, dei belgi, dei serbi, degli inglesi, dei russi: salderemo col nostro intervento il cerchio di ferro e di fuoco intorno agli imperi responsabili della conflagrazione europea; abbrevieremo la durata della guerra, vinceremo.

"Vinceremo perché il popolo vuol vincere questa sua guerra. L'entusiasmo di questi giorni è un ottimo auspicio, è una garanzia di vittoria. L'Italia si ritrova oggi nella sua calma e fiduciosa e vigilante. Pronta all'evento grandioso di domani. Ci siamo riscattati all'interno, ci riscatteremo fra poco oltre i confini!
Abbiamo sgominato i nemici di dentro sbaraglieremo quelli di fuori. Baionette Italiane: al vostro acciaio è affidato col destino d'Italia quello dei popoli d'Europa!".

G. D'ANNUNZIO PARLA DAL CAMPIDOGLIO AI ROMANI

La sera di quello stesso giorno 17 maggio, mentre GIOLITTI in compagnia dell'on. CHIARAVIGLIO, suo genero, lasciava la capitale, il popolo romano si recava al Campidoglio, dove il sindaco PROSPERO COLONNA baciava la bandiera e fra l'entusiasmo della folla riceveva dalle mani di GUIDO PODRECCA la spada di NINO BIXIO. E ancora una volta GABRIELE D'ANNUNZIO fece sentire la sua voce:

"Romani, voi offriste ieri al mondo uno spettacolo sublime. Il vostro immenso ordinato corteo dava immagine delle antiche pompe che qui si formavano nel tempio del Dio Massimo e accompagnavano pel clivo capitolino le statue insigni collocate su i carri. Ogni via, dove tanta forza e tanta dignità passavano, era una Via Sacra. E voi accompagnavate, eretta sul carro invisibile, la statua ideale della nostra Gran Madre.
Benedette le madri romane ch' io vidi ieri, nella processione dell'offerta solenne, portare su le braccia i loro figli ! Benedette quelle che già mostravano su le loro fronti il coraggio devoto, la luce del sacrificio silenzioso, il segno della dedizione ad un amore più vasto che l'amore materno !
"Fu, veramente, un sublime spettacolo. Però la nostra vigilia non è finita. Non cessiamo di vegliare. Non ci lasciamo né illudere né sorprendere. Io vi dico che l'infesta banda non disarma.
"Ma non v' è più bisogno di parole incitatrici, giacché anche le pietre, giacché il popolo di Roma per le lapidazioni necessarie era pronto a strappare le selci dai suoi selciati ove scalpitano i cavalli che, invece di esser già all'avanguardia su le vie romane dell'Istria, sono umiliati nell'onta di difendere i covi delle bestie malefiche, le case dei traditori il cui tanto male accumulato adipe trasuda la paura, la paura bestiale.
"Come dovevano essere afflitti i nostri giovani soldati ! E di qual disciplina, di
quale abnegazione davano essi prova, proteggendo contro la giusta ira popolare coloro che li denigrano, che li calunniano, che tentano di avvilirli davanti ai fratelli e davanti ai nemici ! Gridiamo: "Viva l'Esercito!". È il bel grido dell'ora !

"Fra le tante vigliaccherie commesse dalla canaglia giolittesca, questa è la più laida: la denigrazione implacabile delle nostre armi, della difesa nazionale. Fino ad ieri, costoro hanno potuto impunemente seminare la sfiducia, il sospetto, il disprezzo contro i nostri soldati, contro i belli, i buoni, i forti, i generosi, gli impetuosi nostri soldati, contro il fiore del popolo, contro i sicuri eroi di domani.
"Con che cuore inastavano essi le baionette a respingere il popoli, che non voleva se non vendicarli ! Per fraterna pietà della loro tristezza, per carità della loro umiliazione immeritata, non li costringiamo a troppo dure prove. Rinunziamo oggi ad ogni violenza. Attendiamo. Facciamo ancora una vigilia.

"L'altro ieri, mentre uscivo dall'aver visitato il Presidente del Consiglio tuttavia in carica (rimasto in carica per la fortuna nostra, per la salute pubblica, a scorno dei lurchi e dei bonturi) quanta speranza, qual limpido ardire io lessi negli occhi dei giovani soldati a guardia !
Un ufficiale imberbe, gentile e ardito come doveva esser GOFFREDO MAMELI, si avanzò e in silenzio mi offerse due fiori e una foglia: una foglia verde, un fiore bianco, un fiore rosso. Mai gesto ebbe più di grazia, più di semplice grandezza. Il cuore mi balzò di gioia e di gratitudine. Io serberò quei fiori, come il più prezioso dei pegni. Li serberò per me e per voi, per la poesia e per il popolo d'Italia. Verde, bianca e rosso! Triplice splendore della primavera nostra! Date tutte le bandiere al vento, agitatele e gridate: Viva l'Esercito! Viva l'Esercito della più grande Italia! Viva l'Esercito della liberazione!

"In quest'ora, cinquantacinque anni fa, i Mille partivano da Calatafimi espugnata ed eternata nei tempi dei tempi col loro sangue che oggi ribolle come quel dei Protomartiri; si partivano, ebri di bella morte, verso Palermo.
Diceva l'ordine del giorno, letto alle compagnie garibaldine prima della marcia "Soldati della libertà italiana, con compagni come voi io posso tentare ogni cosa"
O miei compagni ammirabili, ogni buon cittadino è oggi un soldato della libertà italiana. E per voi e con voi abbiamo vinto. Con voi e per voi abbiamo sgominato i traditori.
"Udite, udite. Il delitto di tradimento fu dichiarato, dimostrato, denunciato. I nomi infami sono conosciuti. La punizione è necessaria.

"Non vi lasciate illudere, non vi lasciate ingannare, non vi lasciate impietosire. Tal mandra non ha rimorsi, non ha pentimenti, non ha pudori. Chi potrà mai distogliere dal gusto e dall'abitudine del brago e del truogolo l'animale che vi si rivoltola e vi si sazia
"Il 20 maggio, nell'assemblea solenne della .nostra unità, non dev'essere tollerata la presenza impudente di coloro che per mesi e mesi hanno trattato col nemico il baratto d'Italia. Non bisogna permettere che, camuffati della casacca tricolore, vengano essi a vociare il santo nome con le loro strozze immonde.
Fate la vostra lista di proscrizione, senza pietà. Voi ne avete il diritto, voi ne avete anzi il dovere civico. Chi ha salvato l'Italia, in questi giorni d'oscuramento, se non voi, se non il popolo schietto, se non il popolo profondo.
Ricordatevene. Costoro non possono sottrarsi al castigo se non con la fuga. Ebbene, sì, lasciamoli fuggire. Questa è la sola indulgenza che ci sia lecita.

"Anche stamani taluno non era forse intento a rammendar le trame che il grosso ragno alemanno aveva osato intessere tra i freschi roseti pinciani d'una villa ormai destinata alla confisca?
Noi non abbiamo creduto, neppure per un attimo, che un ministero formato dal signor Bulow potesse avere l'approvazione, anzi la complicità del Re. Sarebbero piombati su la patria giorni assai più foschi di quelli che seguirono l'armistizio di Salasco.
"Il Re d' Italia ha riudito nel suo gran cuore l'ammonimento di Camillo Cavour
"L'ora suprema per la monarchia sabauda, è suonata". Sì, è suonata, nell'altissimo cielo, nel cielo che pende, o Romani, sul vostro Pantheon, che sta, o Romani, su questo eterno Campidoglio.

Apri alle nostre virtù le porte
dei domini futuri,

... gli cantò un poeta italiano quando Egli, assunto dalla Morte, fu Re nel Mare. Questo gli grida oggi non il poeta solitario ma l'intero popolo, consapevole e pronto.
"Romani, Italiani, spieghiamo tutte le nostre bandiere, vegliamo in fede, attendiamo in fermezza. Qui, dove la plebe tenne i suoi concili nell'area, dove ogni ampliamento dell'Impero ebbe la sua consacrazione officiale, dove i consoli procedevano alla leva e al giuramento militare; qui, d'onde i magistrati partirono a capitanare gli eserciti a dominare le province; qui, dove Germanico elevò presso il tempio della Fede i trofei delle sue vittorie su i Germani, dove Ottaviano trionfante confermò la sommissione di tutto il bacino mediterraneo a Roma, da questa mèta d'ogni trionfo, offriamo noi stessi alla Patria, celebriamo il sacrificio volontario, prendiamo il presagio e l'augurio, gridiamo: Viva la nostra guerra ! Viva Roma ! Viva l'Italia ! Viva l'Esercito ! Viva l'Armata Navale ! Viva il Re ! Gloria e vittoria!" .

"Un' immensa acclamazione coronò le parole del poeta, acclamazione che diventò delirante quando egli, presa la spada di Nino Bixio, la mostrò snudata al popolo, dicendo:
"Questa spada di Nino Bixio, "secondo dei Mille", primo fra tutti i combattenti sempre, questa bella spada che un donatore erede di prodi offre al Campidoglio, o Romani, è un pegno terribile. Vedetelo a cavallo, fuori Porta San Pancrazio, il ferreo legionario dell'Assedio, che tiene abbrancato alla strozza il capitano nemico e lo trascina come preda in mezzo al suo battaglione, a gran voce intimando la resa, e solo, egli solo, fa prigionieri trecento uomini ! Branca aquilina, anima battuta al conio de' vostri Orazi temerità di corsaro ligure uso all'abbordaggio e all'arrembaggio, nato eroe come si nasce principe: esemplare italiano agli Italiani che s'armano.
"Io m'ardisco di baciare per voi, su questa lama, i nomi incisi delle vittorie. Suonate la campana a stormo ! Oggi il Campidoglio è vostro come quando il popolo se ne fece padrone, or è otto secoli, e v' istituì il suo parlamento. O Romani, è questo il vero Parlamento. Qui da voi oggi si delibera e si bandisce la guerra. Sonate la Campana !".

Dopo d'Annunzio parlò CESARE BATTISTI che, inneggiato alla guerra e all'esercito, lanciò il suo grido: "Alla frontiera ! Tutti alla frontiera, con la spada e col cuore!".
Poi sul tumulto della folla, che urlava: Guerra! si diffusero gravi e solenni i rintocchi della campana della Torre di Roma. Dal Campidoglio sonava, quella sera, l'ora fatale della Patria.

LE ULTIME SPERANZE AUSTRO-GERMANICHE

A paragone delle dimostrazioni interventiste, esplose con entusiasmo in ogni città d'Italia, dopo la riconferma del Gabinetto Salandra, ben povera cosa furono quelle neutraliste di Palermo e di Torino. A Palermo gl'interventisti vennero a conflitto con i neutralisti, la forza pubblica sparò e si ebbe un morto; a Torino la Camera del Lavoro proclamò lo sciopero generale, vi furono tumulti, barricate e conflitti con un morto e parecchi feriti.

Erano questi gli ultimi sforzi dei neutralisti; oramai nel paese avevano il sopravvento gl'interventisti; i tiepidi, i guardinghi, i dubbiosi passavano il Rubicone e si schieravano decisamente con quelli che volevano la guerra. Così, ad esempio, faceva l'associazione liberale, che, in un ordine del giorno, acclamava al Re, plaudiva al programma schiettamente nazionale dell'on. Salandra, mandava auguri all'Esercito e all'Armata ed auspicava alla concordia nazionale.
Il 18 maggio a Vienna, e a Budapest si sperava ancora in un accordo con Roma. Il presidente del Consiglio ungherese, conte TISZA, rispondendo al conte ANDRASSY così diceva:

"Sono convinto che, se noi riusciremo ad eliminare ora i punti d'irritazione, il sentimento di simpatia fra le nazioni ungherese ed italiana si risveglierà in tutto il suo antico vigore".
Anche a Berlino si nutrivano speranze come risulta da una dichiarazione del cancelliere BETHMANN-HOLLWEG al Parlamento: "Io non posso abbandonare completamente la speranza che l'eventualità della pace abbia maggior peso di quella della guerra. Ma, qualunque sia la decisione dell'Italia, abbiamo fatto, d'accordo con l'Austria-Ungheria, tutto ciò che era nel campo del possibile per mantenere l'alleanza che aveva preso forti radici nel popolo tedesco e che aveva portato ai tre Stati cose utili e buone".

IL LIBRO VERDE
LA STORICA SEDUTA DEL 20 MAGGIO ALLA CAMERA
IL DISCORSO DELL'ON. SALANDRA
IL DISEGNO DI LEGGE SUI PIENI POTERI

A Roma però il BULOW e MACCHIO non nutrivano più speranze. Eppure quest'ultimo volle il 18 maggio, fare l'ultimo tentativo inviando a SONNINO e, il giorno dopo, a SALANDRA un disegno di accordo, in cui erano elencate e migliorate le proposte del 10 e del 13. Nello stesso tempo fece sapere ai suoi amici di essere pronto, occorrendo e fino ai limiti del possibile, a fare altre concessioni.
Ma oramai era tardi; il paese sapeva delle trattative svoltesi con l'Austria, intorno alle quali fu informato dal "Libro Verde", e non prestava più ascolto alle voci che venivano da Berlino e da Vienna, ma aspettava con ansia quelle che si sarebbero udite a Montecitorio, il giorno 20, alla riapertura del Parlamento.
Quella del 20 maggio fu una seduta veramente storica. Accolto da scroscianti applausi dall'aula e dalle gremitissime tribune, l'on. SALANDRA, pronunciò un discorso che fu ascoltato con la massima attenzione e fu sovente interrotto da significanti approvazioni.

"Onorevoli colleghi, - egli disse - sin da quando risorse a unità di Stato, l'Italia si affermò nel mondo delle Nazioni quale fattore di moderazione, di concordia e di pace; e fieramente essa può proclamare di avere adempiuto tale missione con una fermezza che non si è mai piegata neppure dinnanzi ai più penosi sacrifici. Nell'ultimo periodo più che trentennale essa ha mantenuto un sistema di alleanze e di amicizie, dominata precipuamente dall'intento di meglio assicurare per tal modo l'equilibrio europeo, e con esso la pace. Per la nobiltà di quel fine, l'Italia, non soltanto ha tollerato l'insicurezza delle sue frontiere, non soltanto ha subordinato ad esso le sue più sacre aspirazioni nazionali, ma ha dovuto assistere con represso dolore, ai tentativi metodicamente condotti di sopprimere quei caratteri di italianità che la natura e la storia avevano impresso indelebili su generose regioni.

"L'ultimatum che, nel luglio del 1914, l'impero austro-ungarico dirigeva alla Serbia, annullava di un colpo gli effetti del lungo sforzo, violando il patto che a quello stato ci legava. Lo violava per il modo, avendo omesso, nonché il preventivo accordo con noi, persino un semplice avvertimento; lo violava per la sostanza, mirando a turbare, in danno nostro, il delicato sistema di possessi territoriali e di sfere d'influenza che si era costituito nella penisola balcanica. Ma più ancora che questo o quel punto particolare, era tutto lo spirito animatore del trattato che veniva offeso anzi soppresso; giacché scatenando, per il mondo la più terribile guerra, in diretto contrasto con i nostri
interessi e col nostro sentimento, si distruggeva l'equilibrio che l'alleanza doveva servire ad assicurare; e virtualmente, ma irresistibilmente, risorgeva il problema della integrazione nazionale d'Italia.

"Pur nondimeno per lunghi mesi il Governo si è pazientemente adoperato nel cercare un componimento, il quale restituisse all'accordo la ragione di essere che aveva perduto; quelle trattative però dovevano avere limiti, non solo di tempo, ma di dignità, al di là dei quali si sarebbero compromessi insieme gli interessi e il decoro del nostro Paese. Per la tutela, dunque, di tali supreme ragioni, il Governo del Re si vide costretto a notificare al Governo imperiale e reale dell'Austria-Ungheria, il giorno 4 di questo mese, il ritiro di ogni sua proposta di accordo, la denuncia del trattato d'alleanza e la dichiarazione della propria libertà d'azione. Né, d'altra parte, era più possibile lasciar l'Italia in un isolamento senza sicurtà e senza prestigio proprio nel momento in cui la storia del mondo sta attraversando una fase decisiva.

"In questo stato di cose, considerata la gravità della situazione internazionale, il Governo deve essere anche politicamente preparato ad affrontare ogni maggiore cimento e, col disegno di legge che vi ho presentato, vi chiede i poteri straordinari che gli occorrono. Tale provvedimento è non solo in sé tutto giustificato da precedenti nostri e di altri Stati, quale che sia la forma del Governo onde sono retti; ma rappresenta una migliore coordinazione, se non pure un'attenuazione di quelle facoltà che lo stesso nostro diritto vigente conferisce d'altronde al Governo, allorché preme quella suprema legge che è la salute dello Stato.

"Onorevoli colleghi! Senza jattanza di parole, né orgoglio di spirito, ma gravemente compresi della responsabilità che incombe in quest'ora, noi abbiamo coscienza d'aver provveduto a quanto richiedevano le più nobili aspirazioni e gli interessi più vitali della Patria. Ora, nel nome di essa e per la devozione ad essa, noi fervidamente rivolgiamo il più commosso appello al Parlamento, e anche al di là del Parlamento, al Paese: che tutti i dissensi si compongano, e che su di essi, da tutte le parti, sinceramente, discenda l'oblio.
I contrasti di partiti e di classi, le opinioni individuali, in tempi ordinari rispettabili, le ragioni stesse insomma, che danno vita al quotidiano, fecondo contrasto di tendenze e di principi, devono sparire di fronte ad una necessità che supera ogni altra necessità; di fronte ad una idealità che infiamma più di ogni altra idealità: la fortuna e la grandezza d'Italia.
Ogni altra cosa dobbiamo da oggi dimenticare, e questa sola ricordare: di essere tutti italiani, di amare tutti l'Italia con la medesima fede e col medesimo fervore. Le forze di tutti si integrino in una forza sola, i cuori di tutti si rinsaldino in un solo cuore. Una sola, unanime volontà quindi verso la mèta invocata; e forza e cuore trovino la loro espressione unica viva ed eroica nell'esercito e nell'armata d'Italia e nel Capo augusto che li conduce verso i destini della nuova storia. Viva il Re ! Viva l'Italia!".

Il disegno di legge, presentato dal Governo e di cui si fa cenno nel discorso del1'on. SALANDRA, era composto del seguente articolo unico:

"Il Governo del Re ha, facoltà in caso di guerra e durante la guerra medesima di emanare disposizioni aventi valore di legge per quanto sia richiesto dalla difesa dello Stato, dalla tutela dell'ordine pubblico e da urgenti e straordinari bisogni dell'economia nazionale. Restano ferme le disposizioni di cui agli articoli 245 e 251 del Codice penale per l'esercito. Il Governo del Re ha facoltà di ordinare le spese necessarie e di provvedere con mezzi straordinari ai bisogni del Tesoro. Il Governo del Re è autorizzato ad esercitare provvisoriamente, in quanto non siano approvati per legge e non oltre il 31 dicembre 1915, i bilanci per le amministrazioni dello Stato dell'esercizio 1915-16, secondo gli stati di previsione dell'entrata e della spesa, e i relativi disegni di legge con le susseguite modificazioni già proposte alla Camera dei deputati, nonché a provvedere i mezzi straordinari per fronteggiare le eventuali deficienze di bilancio derivanti da aumenti di spese e da diminuzioni di entrate. La presente legge andrà in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione".

Subito dopo fu nominata la Commissione per la "fatidica ora"...

... maggio 1915 - Verso la dichiarazione di guerra > > >

Fonti, citazioni, testi, bibliografia
Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
A.TAMARO - Il trattato di Londra e le rivendicazioni italiane, Treves, 1918
TREVES - La guerra d'Italia nel 1915-1918 - Treves. Milano 1932
A. TOSTI - La guerra Italo-Austriaca, sommario storico, Alpes 1925
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De Agostini

CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi

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