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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNI 1911-1912

LA GUERRA TURCA (di LIBIA) - LA PRIMA FASE (1911)

IL CORPO DI SPEDIZIONE - LA FLOTTA - LE OPERAZIONI NAVALI: DA PREVESA A S. GIOVANNI DI MEDUA - BOMBARDAMENTI DI TRIPOLI, TOBRUCK E DERNA - SBARCO DEI MARINAI A TRIPOLI - II PROCLAMA ALLA POPOLAZIONE - BUELIANA. - SOSPENSIONE DELLE OPERAZIONI NELL'ADRIATICO E NELLO IONIO - PROCLAMA DEL GENERALE CANEVA - OCCUPAZIONE DI DERNA E DI HOMS - LA BATTAGLIA DELLA GIULIANA E LA PRESA DI BENGASI - LA SANGUINOSA GIORNATA DI SCIARASCIAT - II TRADIMENTO DEGLI ARABI - L'EROISMO DELL' 11° BERSAGLIERI - LA RIBELLIONE DOMATA - COMBATTIMENTI AD HOMS - LA BATTAGLIA DEL 26 OTTOBRE - ACCORCIAMENTO DELLA LINEA INTORNO A TRIPOLI - MENZOGNE E CALUNNIE DELLA STAMPA ESTERA - LE OPERAZIONI A DERNA, AD HOMS E A TOBRUCK - L'AVIAZIONE - IL DECRETO D'ANNESSIONE - LA PROTESTA DELLA SUBLIME PORTA - L'AVANZATA ITALIANA NELLA ZONA DI TRIPOLI - LA FEROEIA DEGLI ARABOTURCHI - IL FERIMENTO DI JEAN CARRÈRE - LA CONQUISTA DI AIN-ZARA - OCCUPAZIONE DI TAGIURA - RICOGNIZIONE A ZANZUR - BIR TOBRAS - ATTIVITÀ BELLICA AD ROMS, DERNA TOBRUCK - FINE DELLA PRIMA FASE DELLA GUERRA
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(la cartina delle operazioni nella terza parte)


IL CORPO DI SPEDIZIONE - LA FLOTTA
LE OPERAZIONI NAVALI: DA PREVESA A S. GIOVANNI DI MEDUA
BOMBARDAMENTO DI TRIPOLI
BOMBARDAMENTO DI TOBRUCK E DERNA

LO SBARCO DEI MARINAI A TRIPOLI
IL PROCLAMA ALLA POPOLAZIONE
I PRIMI ATTACCHI NEMICI - BU-MELIANA
LE OPERAZIONI NELL'ADRIATICO E NELLO JONIO SOSPESE


Oltre la flotta che era già sul posto, si era intanto rapidamente preparato un corpo di spedizione, che all'inizio fu di circa 36 mila uomini poi salito a 80 mila. Comandante supremo fu il generale friulano CARLO CANEVA; capo di Stato Maggiore il maggior generale GASTALDELLO; le due divisioni che costituivano il corpo furono messe una sotto il comandò del tenente generale conte GUGLIELMO PECORI-GIRALDI, che ebbe sotto di sé i generali RAYNALDI e D'AMICO, l'altra sotto il comando del tenente generale OTTAVIO BRICCOLA che ebbe come comandante delle brigate i maggiori generali AMEGLIO e GIARDINA. A disposizione del corpo di spedizione furono messi una squadriglia di 11 aeroplani (per la prima volta impiegati dall'Italia a scopi bellici) comandata, dal capitano PIAZZA, e uno stormo di 12 dirigibili.

Mentre il corpo era allestito, svolgeva una discreta attività la flotta, di cui la quadra dell'ammiraglio AUBRY vigilava nell'Egeo e davanti la costa siriaca, mentre una divisione della seconda squadra bloccava Tripoli, e la squadriglia delle siluranti (29 cacciatorpediniere, 28 torpediniere d'alto mare, 8 torpediniere di prima classe, una trentina di torpediniere minori e 9 sommergibili), al comando del DUCA degli ABRUZZI Luigi di Savoia, vegliava alla sicurezza dell'Adriatico e dello Jonio.
Fu quest'ultima squadra ad aprire le ostilità. Nel pomeriggio del 29 settembre, poco dopo il termine stabilito per l'apertura delle ostilità, un cacciatorpediniere e una torpediniera della flotta turca, la Tocat e l'Antalia, uscendo dal porto di Prevesa, venivano in modo deciso attaccate dal cacciatorpediniere italiano l'"Artigliere, comandato dal capitano BISCARETTI. La prima, colpita gravemente, tentava di rientrare nel porto, dove vi era una cannoniera ottomana; le seconda, circondata da quattro siluranti italiane (la torpediniera l'"Alpino e i caccia Corazziere, Zeiro e Spiga) attirate sul posto dalle cannonate, ammainata la bandiera, si gettava sulla spiaggia permettendo all'equipaggio di sbarcare. L'Alpino, avvicinata la nave incagliata la disarmava e ne asportava la bandiera; il caccia turco e la cannoniera, ripetutamente colpiti erano poi messi fuori uso.
Il mattino del 30, l'Artigliere e il Corazziere, avvicinatisi al porto di Gumenitza ne videro uscire due torpediniere turche, che attaccarono le navi italiane, dalle quali però furono ben presto costrette a rientrare piuttosto malconce nel porto. Gli equipaggi turchi, abbandonate le loro navi sconquassate, aprirono dalla spiaggia, insieme con la popolazione, un nutrito fuoco di fucileria contro i due caccia italiani, ma che poi penetrati nel porto li dispersero e catturarono il Teties, bellissimo yacht dell'ex-sultano ABDUL RAMID.

L'Alpino, presso il porto, s'impadronì di un bastimento turco, il Neua, carico di truppe e munizioni. Un altro piroscafo turco, il S'abah, fu catturato il l° ottobre a San Giovanni di Medua dalla Marco Polo e mandato con le altre prede a Taranto. Il 3, la regia nave Aretusa mandava a picco nel Mar Rosso una torpediniera turca e il 5 l'Artigliere, molestato dai cannoni turchi della costa Albanese, bombardava San Giovanni di Medua.
Tripoli intanto era bloccata dalle navi della seconda squadra: Garibaldi, Varese, Perruccio e Coa-tit. Il 1° ottobre giunsero la Carlo Alberto, la Sicilia, l'Umberto e la Benedetto Brin su cui stava l'ammiraglio FARAVELLI che quel giorno stesso intimò allo stazionario turco SEDULBAR e al Derna di uscire dal porto. Nel pomeriggio le navi italiane furono rinforzate dall'arrivo della Filiberto e del Bronte.

Il 2 ottobre, per ordine del vice ammiraglio FARAVELLI, il contrammiraglio THAON De REVEL, comandante la seconda divisione della seconda squadra, andò ad intimare la resa della piazza di Tripoli. Al "deftardar" Betir bey, che domandava tempo per ricevere istruzioni da Costantinopoli, furono accordate ventiquattro ore di tempo.
Tripoli era difesa da due fortezze, la Sultanieh ed Hamidiè, muniti di un centinaio di bocche da fuoco, da alcuni fortini, da un bastione e dalle batterie del Faro e del Molo; la guarnigione era costituita da 2000 soldati di fanteria in tre reggimenti di tre battaglioni ciascuno, da un battaglione di cacciatori, da quattro squadroni di cavalleria, da dieci batterie da campagna, da cinque da montagna, da una da fortezza e da numerose truppe irregolari indigene.
Scaduto il termine accordato ad avendo le autorità turche rifiutato di arrendersi, alle 15.30 del 3 ottobre la Benedetto Brin aprì il fuoco contro i forti del Faro e del Molo, la Garibaldi e la Ferruccio contro il forte Hamidiè, la Sicilia, la Sardegna e la Re Umberto contro i forti di Gargaresch.

Il bombardamento proseguì fino al tramonto e fu ripreso la mattina del giorno dopo contro il forte Hamidiè e i forti di Gargaresch. Dopo pochi colpi nessuna delle batterie rispondeva più e nel pomeriggio il tiro delle navi italiane, che era stato rovinoso per i due forti, ma non aveva recato nessun danno alla città, cessava.
La mattina stessa del giorno 3, le navi della prima squadra Agordat, Vittorio Emanuele, Pisa, Amalfi,, Napoli e Roma si presentavano dinanzi a Tobruck e, mentre due altre navi italiane si accostavano a Derna, la cui stazione radiotelegrafica doveva nel pomeriggio esser distrutta, intimavano la resa e il giorno dopo aprivano il fuoco contro la fortezza e una trincea difesa da Turchi ed Arabi; quindi venivano sbarcati alla punta esterna della rada 400 marinai al comando del capitano di fregata ANGELO FRANCK, i quali, assaliti alle spalle il villaggio e la fortezza e vinta la debole resistenza del nemico, si impadronivano alle 11 del forte e vi innalzavano il tricolore.

All'alba del 5 ottobre, le navi della seconda squadra si avvicinarono a Tripoli e sbarcarono i primi marinai che trovarono i forti semi diroccati e deserti, innalzarono la bandiera sul forte Sultanieh, demolirono il forte Hamidiè e presidiarono gli altri piantandovi a difesa le mitragliatrici.
Nel pomeriggio il capitano VERRI, alla testa di un drappello di marinai, da lui chiamati "Garibaldini del mare", fece un'ardita ricognizione in città e poté constatare che i soldati turchi avevano abbandonata Tripoli, portandosi dietro i morti e i feriti mentre la cittadinanza aspettava calma e fiduciosa lo svolgersi degli eventi.
Intanto alcuni capi arabi si recavano a bordo della Brin a fare atto di sottomissione e il console tedesco TILGER, in nome di tutto il corpo consolare, pregava l'ammiraglio FARAVELLI di occupare la città e di tutelarvi l'ordine.
Consigliatosi con il suo Stato Maggiore, Faravelli decise di occupare la città con le compagnie marinai da sbarco delle navi, in tutto 1.700 uomini, divisi in due reggimenti posti al comando dei capitani di fregata GRASSI e BONELLI. Comandante del presidio nominò il capitano di Vascello UMBERTO CAGNI e governatore provvisorio di Tripoli il contrammiraglio RICCI-BOREA D'OLMO.
Alle ore 15 la bandiera italiana sventolava sul "konak; un'ora dopo, protetti dalla "Coatit e da due cacciatorpediniere, sbarcavano i marinai, i quali con continue e sapienti evoluzioni diedero in modo perfetto agli indigeni l'illusione che le truppe sbarcate erano molto più numerose di quelle che in effetti erano. Ad ossequiare le autorità militari, insieme con dodici capi arabi si recò HASSUNA pascià, capo del Municipio, discendente da antica famiglia tripolina e amico sincero dell'Italia, il quale implorò il rispetto ai beni, alle persone, ai costumi ed alla religione.
Primo atto del nuovo governo fu di intimare il disarmo; e poiché vi era stato un principio di saccheggio da parte della plebaglia fu incaricato il capitano GRAVERI di provvedere al servizio di polizia; chiamò intorno a sé alcuni carabinieri, arruolò gli zaptiè turchi rimasti, e in brevissimo tempo rimise l'ordine, che fu mantenuto da pattuglioni armati, che perlustravano senza interruzione le vie della città.

Il 6 ottobre, il governatore RICCI-BOREA prese possesso del palazzo del Governo, e FARAVELLI lanciò agli abitanti di Tripoli un proclama in cui, fra l'altro, era detto:
"A nome di S. M. il Re d' Italia vi assicuriamo non solo il rispetto alla più completa libertà vostra, alla vostra religione, ma anche il rispetto di tutti i vostri beni, delle vostre donne, dei vostri costumi. Vi annunciamo che sarà abolita la coscrizione, vi saranno elargiti i possibili miglioramenti economici e che vi consideriamo fin d'ora strettamente legati all'Italia"
Il giorno 7 ottobre il governatore ricevette nel konak il corpo consolare ed HASSUNA pascià, che gli presentò cento notabili arabi della città e dei dintorni, ricevette il capo degli ulena, quindi le delegazioni degli Ebrei e dei Greci. Intanto si faceva buona guardia agli avamposti, dove giorno e notte avvenivano scambi di fucilate tra i marinai italiani e i turchi imboscati nell'oasi e qualche attacco, rapido e senza conseguenze fu sferrato da un buluc di cavalleria ottomana contro un posto italiano avanzato sulla via di Gharian.

Un attacco in forze fu invece sferrato nella notte del 10 ottobre. Due buluc di fanteria e uno di cavalleria, muniti di un cannone, attaccarono energicamente una trincea italiana che difendeva i pozzi di Bu-Meliana. I marinai italiani erano circa duecento, ma resistettero saldamente alle forze del nemico, che alla fine ritiratosi lascio sul posto armi, munizioni e il cannone.

I corrispondenti dei giornali austriaci, tedeschi e inglesi vollero attenuare l'importanza del fatto, scrivendo che si era trattato dell'attacco di una pattuglia di venti uomini. Solo allora il pubblico italiano si accorse come le potenze europee, anche da quelle alleate all'Italia, l'impresa di Tripoli non era vista di buon occhio. E così era infatti. L'azione delle siluranti italiane nel basso Adriatico (quasi Egeo) aveva suscitato le proteste dell'Austria nonostante la dichiarazione del Governo italiano che lo status quo orientale non sarebbe stato toccato. Dato l'atteggiamento austriaco, l'on. Giolitti si vide costretto ad ordinare, in nome del re, al Duca degli Abruzzi di non intraprendere nell'Adriatico e nello Jonio altre operazioni offensive.

Si completava intanto il corpo di spedizione, composto di due divisioni di fanteria, due reggimenti di bersaglieri (8° e 11°), alcuni squadroni di cavalleria, batterie da costa, da fortezza e da campagna, compagnie del genio, ambulanze e assistenze. Le quattro brigate di fanteria erano formate dell'82° (colonnello BORGHI) e 84° (colonnello SPINELLI), del 6° (colonnello BELLUZZI) e del 40° (colonnello PASTORELLI), del 22° (colonnello ZUPPELLI) e del 42° (colonnello MOCALI) e del 4° (colonnello MOCCAGATTA) e del 63° (colonnello AIRENTI). Intendente generale era il maggior generale GAZZOLA, comandante dell'artiglieria il maggior generale GIGLI, del genio il colonnello MAROCCO, della sanità, il colonnello MINICI, del Commissariato il colonnello BAROCELLI.

IL PROCLAMA DEL GENERALE CANEVA-
L'ARRIVO IN LIBIA DEL CAPO DI SPEDIZIONE
OCCUPAZIONE DI DERNA E DI HOMS
LA PRESA DI BENGASI

In data 9 ottobre 1911, il generale CANEVA, comandante del corpo di spedizione, lanciò alle truppe il seguente proclama:
"Per decreto di Sua Maestà il -Re, assumo il comando del corpo italiano di spedizione in Tripolitania. Noi salpiamo dai lidi della patria, accompagnati dall'unanime consenso e dai fervidi voti di tutto il popolo nostro, il quale fermamente vuole che anche sulle sponde opposte del Mare Mediterraneo sia rispettato il nome italiano e con esso la dignità nazionale e i vitali interessi della nostra gente. Sono questi, diritti sacrosanti, e per sostenerli, noi portiamo in Tripolitania le armi d'Italia contro il turco, che esercitandovi malo dominio, li ha disconosciuti: contro il turco che i nostri liberi commerci inceppa e la vita dei nostri connazionali non assicura, che le giuste rimostranze della Nazione nostra pone in non cale, che ai danni del nome italiano aizza il fanatismo musulmano e lancia per le stampe pubblico vilipendio. Noi, portando in Tripolitania le armi italiane, non muoviamo al danno della terra e delle popolazioni tripolitane: queste e quella devono invece per opera italiana e con comune beneficio essere redente a nuova civiltà e a nuova ricchezza. Ora voi sentite appieno le alte finalità dell'impresa che la patria ci affida. Alla tutela dei diritti nazionali provvederà la virtù delle vostre armi.
Le vie del mare, il nostro sbarco sulle coste tripolitane, i nostri vincoli con la patria sono a noi assicurati dalla potenza e dal valore della regia marina che già così brillanti operazioni ha compiute e che è con noi, fraternamente, nella nobile impresa. La diligenza delle preparazione, la larghezza dei mezzi, la superiorità del numero e della militare istruzione, la nostra disciplina e il vostro valore, sono virtù sicure di prospero successo nelle operazioni di terra. Alla redenzione civile delle nuove genti provvedano l'umanità, la moderazione e la giustizia, che sono retaggi antichi e mai offuscati della nostra stirpe. Il rispetto assoluto dei sentimenti e delle pratiche dell'altrui religione, il rispetto deferente della donna e della famiglia, il rispetto tutelare della prosperità, l'amore e il culto della giustizia, siano guida costante a ciascuno nelle relazioni pubbliche e private con la popolazione indigena; e noi vedremo fiorirci intorno il rispetto e la devozione. In quelle terre dove portiamo ora il vessillo e la civiltà della nuova Italia, in quelle terre che sono ora scadute per lunga barbarie e per incivili reggimenti, in quelle terre fu un tempo Roma con le sue aquile vittoriose e con la sua civiltà redentrice.
Ricordiamo, e il ricordo sia fiamma alle anime nostre. Volgiamo riverenti e devoti un pensiero d'amore al vostro Re, alla vostra Italia, al popolo nostro e salpiamo sereni, e sicuri nella luce dell'armi con la visione e la fede della nostra altissima missione".

Nel pomeriggio dello stesso giorno 9 ottobre giunse a Napoli Vittorio Emanuele III, il quale insieme con il ministro della Guerra, assistette alla partenza del grosso del corpo di spedizione, avvenuta la sera fra l'entusiasmo indescrivibile della "folla napoletana" che esprimeva - secondo le parole di un manifesto del sindaco Del Carretto - "�nella pienezza del suo animo esultante l'augurio di luminosi ed eccelsi trionfi".
L'11 ottobre sbarcarono le prime truppe a Tripoli; altri contingenti il 12 e il 13. Man mano che sbarcavano, i soldati sostituivano i marinai, i quali ritornavano alle loro navi. Il 14 ottobre RICCI-BOREA cedette i poteri al generale Caneva: dall'alto del castello fu abbassata la bandiera azzurra con stella bianca, insegna della Marina, e fu innalzata la bandiera con due stelle rosse, insegna dell'Esercito.
Il Ricci-Borea rivolse un ordine del giorno ai marinai lodandoli per lo slancio, la disciplina e il valore dimostrati. Caneva, a sua volta, indirizzò un proclama in lingua araba alle popolazioni della Tripolitania, in cui, fra l'altro, diceva: "Da ora in avanti .... voi sarete governati dai capi vostri sotto l'alto patronato di S. M. il Re d'Italia, che Dio abbia nella sua guardia, incaricati di guidarvi secondo giustizia, ma con clemenza e dolcezza. Le leggi tutte religiose e civili, saranno rispettate; rispettate saranno le persone e le proprietà, rispettate le donne e rispettati i diritti e i privilegi annessi alle opere pie e religiose. L'azione dei capi dovrà avere per unico scopo il vostro benessere e la vostra quiete e ispirarsi perciò alla "Legge e alla Sunna". La giustizia vi sarà resa secondo la "Scoria" da giudici che nella medesima siano versati e abbiano condotta morale lodevole. Nessuna angheria di capi, nessuna prevaricazione di giudici sarà tollerata. Solo il Libro e la Legge e la Sunna avranno impero. Nessun tributo sarà levato per essere speso fuori del paese e quelli ora in vigore saranno riveduti e diminuiti e anche soppressi secondo giustizia.
Nessuno sarà chiamato a prestare servizio sotto le armi contro la sua volontà; si accetteranno solo coloro che vorranno volentieri mettersi all'ombra della bandiera italiana per la protezione delle persone e delle proprietà e per garantire al paese la pace e la prosperità. Gli altri rimarranno alle loro case intenti ai lavori dei campi, alla pastura delle mandrie, allo scambio delle merci, a tutte le arti necessarie al vivere civile. Così ognuno potrà pregare nella sua moschea per la grandezza del popolo italiano e per la gloria del suo Re, che Iddio lo salvi, i quali hanno preso voi, o popoli di queste contrade, sotto la loro tutela e protezione e intendono che il loro nome sia temuto dai vostri nemici, ma da voi solo amato e benedetto".

Il 15 ottobre, la seconda divisione della prima squadra composta delle navi Napoli, Pisa, Amalfi, San Marco e Agordat, intimò la resa a Derna, ma i parlamentari non solo ottennero un rifiuto, ma furono anche presi a fucilate. Il giorno dopo i notabili arabi di Derna dichiararono al comandante delle navi di volersi arrendere, ma la guarnigione turca riconfermò i propositi di resistenza. Allora la Pisa aprì il fuoco, che nel pomeriggio divenne generale, cui risposero con ostinazione i Turchi. Un tentativo di sbarco fallì per le pessime condizioni del mare; ma il 18 ottobre con il mare un po' più calmo, le compagnie da sbarco riuscirono ad approdare e a prender possesso della città. Il contrammiraglio PRESBITERO ricevette la sottomissione dei capi arabi. Lo sbarco delle truppe iniziato il 19 durò fino a tutto il 21 ottobre.

Quasi contemporaneamente avveniva l'occupazione di Homs. Il giorno 17 l'incrociatore Varese intimò la resa alle autorità turche e concesse loro sei ore di tempo. Allo scadere del termine fu aperto il fuoco che in breve sconvolse le trincee turche e la casa dello stesso governatore. Il bombardamento continuò ad intervalli tutto il 18; poi il 19 una deputazione di notabili arabi, recatasi a bordo della Varese, scongiurò che venisse subito effettuato lo sbarco per far cessare il saccheggio che turchi e predoni avevano cominciato; il 20 mattina; dopo brevissima resistenza del nemico, sbarcò a Homs il corpo di spedizione, costituito dall'8° bersaglieri al comando del colonnello MAGGIOTTO.

L'OCCUPAZIONE DI BENGASI

Più difficile che non quella delle altre località sulla costa fu l'occupazione di Bengasi, dove la colonia italiana visse alcune settimane di angoscia. Dinanzi a Bengasi si presentò il 18 ottobre un convoglio di nove piroscafi carico di truppe e scortato dalle corazzate Vittorio Emanuele, Regina Elena, Roma e Napoli, dall'incrociatore corazzato Amalfi, dagli incrociatori protetti Piemonte, Liguria, Etruria e Lombardia e da una squadriglia di cacciatorpediniere e torpediniere. Le forze navali erano agli ordini del viceammiraglio AUBRY, quella di terra sotto il comando del tenente generale OTTAVIO BRICCOLA.
Intimata la resa al mutasserif e avutone il rifiuto, l'Aubry, anche in considerazione del mare agitatissimo, diede tempo ai turchi fino al mattino seguente, ma neppure all'alba del 19 la risposta fu affermativa. Allora sulla nave ammiraglia Vittorio Emanuele fa issata la bandiera di combattimento e immediatamente subito dopo fu aperto il fuoco contro la spiaggia della Giuliana, dove doveva effettuarsi lo sbarco, contro la caserma della Berka e contro il castello, su cui sventolava la bandiera turca, che ai primi colpi fu abbattuta.

Alle 8.50, protette dal tiro delle navi e guidate dal capitano FRANK, sotto una pioggia insistente e con il mare agitato, presero terra le compagnie da sbarco con alcuni pezzi da 76 e si schierarono sul ciglio delle dune, appostando alla sinistra le artiglierie e permettendo agli zappatori del genio di costruire alcuni pontili su cui cominciarono a passare le truppe.
Il generale GIOVANNI AMEGLIO, siciliano, ricevuto il comando dell'avanguardia (4° Fanteria e una batteria da montagna) e l'ordine di riordinare le truppe e muovere, per il terreno a sud del lago Salato, sulla Berka, fece avanzare le compagnie di marina oltre la prima linea delle dune per allargare la zona di sbarco; ma furono subito bloccate da un nutritissimo fuoco di fucileria da parte del nemico appostato nelle varie pieghe del terreno fra il Sibbah e il lago Salato.
A sostegno dei marinai Ameglio mandò una compagnia e mezza del 63° e alcuni plotoni del 4° che sostennero magnificamente il fuoco dei numerosi nemici. Ma purtroppo le perdite italiane furono sensibili e fra queste si registrò quella del guardiamarina MARIO BIANCO, caduto mentre alla testa dei suoi marinai si lanciava all'assalto.
Per proteggere lo sbarco, che a causa del mare mosso si svolgeva lentissimamente, fu occupata l'altura della Giuliana con due compagnie del 63°, furono inviati 400 fanti presso la punta Buscaiba a sostenere il piccolo reparto di marinai che vi resisteva; poi una batteria da montagna, sbarcata alle 11, fu messa sulle dune tra la spiaggia il lago Salato e un'altra, sbarcata qualche ora dopo, fu portata presso il primo pontile.
Gli obbiettivi del generale Ameglio, approvati dal generale Briccola, erano i seguenti
1° occupazione della caserma della Berka e delle località adiacenti;
2° occupazione delle alture a nord di Sidi Daud, con posti di osservazione verso Sidi Hussein e l'abitato di Bengasi;
3° occupazione di quella località tra il lago Salato e la spiaggia, indicata dal terreno, per proteggere il fianco destro delle truppe che sbarcavano.

"Alle 15.30 - è scritto nella relazione del generale Briccola - il 4° Fanteria diede inizio alla manovra, muovendo in due schiere distanziate convenientemente con formazioni poco vulnerabili e in perfetto ordine. Quell'avanzata su terreno scoperto in dolce salita e sotto il fuoco nemico apparve dalla spiaggia e dalle navi un esempio veramente mirabile di applicazione dei più sani criteri tattici e poté essere eseguita con crescente interessamento in tutto il suo sviluppo. Alle truppe già affaticate dai disagi del mattino, il comandante della brigata aveva comandato di deporre gli zaini. In perfetta corrispondenza di tempo, il generale Ameglio guidò di persona l'attacco frontale dei marinai e di un battaglione misto del 4° e 63° fanteria. Arduo fu invece far sloggiare gli Arabi dalle trincee; i due ufficiali superiori presenti capitano di fregata FRANK e tenente colonnello GANGITANO, caddero entrambi feriti piuttosto gravemente; così pure due comandanti di compagnia ed altri ufficiali.

Il generale Ameglio si portò allora in prima linea e condusse le truppe a ripetuti attacchi alla baionetta che assicurarono in breve tempo il possesso delle trincee. Il sole calava intanto rapidamente e il seguito delle operazioni si svolse in una semi-oscurità. Nondimeno gli ultimi suoi raggi illuminarono la vecchia bandiera del 4° fanteria issata sulla caserma della Berka al posto del vessillo turco abbattuto poco prima da una cannonata delle navi.
L'emblema nazionale fu avvistato a bordo e l'ammiraglio lo salutò subito con una salve di 21 colpi di cannone al suono della Marcia reale, fra gli urrà degli equipaggi.
Le batterie da montagna con tiri precisi e calmi avevano accompagnato le truppe per tutta la marcia di avvicinamento, sospendendo il fuoco solo quando furono a contatto.
Dopo Berla furono occupati Sidi Daud e Sidi Hussein a poche centinaia di metri dalle prime case di Bengasi. In relazione ad ordini dati in precedenza dal generale Briccola, le truppe si arrestarono bivaccando e prendendo le necessarie misure di sicurezza. Durante tutta la notte ci furono fucilate lungo la linea degli avamposti, provocate dalla presenza di gruppi di arabi. Alle ore 17 circa, continuando tenace la resistenza del nemico ed essendo informato che anche da Bengasi gruppi di armati dirigevano il fuoco sulle nostre truppe, il generale Briccola mandò a pregare l'ammiraglio di riprendere dal mare il bombardamento della città.

Mentre continuava il crepitio delle fucilate, l'ammiraglio riprese il bombardamento al luce dei riflettori: spettacolo imponente e terrificante, il quale portò al pronto innalzamento della bandiera bianca della resa sul castello. In quest'ultima fase - fatta quasi al buio- rimasero danneggiati il regio consolato d'Italia, quello d'Inghilterra una moschea, oltre al castello ed altri edifici. Così ebbe termine la giornata del 19 ottobre, che nella storia militare del nostro paese sarà ricordata per il fatto -quasi senza precedenti- di uno sbarco a viva forza, con mare agitato e in spiaggia aperta, di cinque battaglioni e due batterie compiuto in poche ore e per la mirabile prova di resistenza, di valore e di disciplina data dai nostri soldati e marinai. E specialmente questa giornata dovrà essere ricordata come memorando esempio e manifestazione meravigliosa di concorso di intenti e di fraterno cameratismo di armi che nel più puro amor di patria insieme unisce e rinsalda le forze di mare e di terra italiane".

Ma non mancarono le molestie nemiche durante l'intera notte; poi la mattina del 20 ricominciò il bombardamento questa volta più mirato e i turchi e gli arabi incalzati dal tiro dei cannoni e dalle truppe già sbarcatesi ritirarono nei quartieri settentrionali della città, ma poi sloggiarono nello stesso giorno.
Il nemico impegnato nella battaglia era forte di 4000 uomini e si batté con accanimento, subendo numerose perdite; gli italiani subirono perdite più lievi: un ufficiale morto e nove feriti, ventiquattro soldati e marinai morti e sessantasette feriti.
Il 21 ottobre il generale Briccola, insediatosi nel consolato italiano, ordinò il disarmo della popolazione che fu eseguito con grande rapidità. Nella notte giunsero da Tripoli rinforzi e il 24 ottobre giunse il secondo corpo d'occupazione della Cirenaica scortato da una divisione navale comandata dal Duca degli Abruzzi che si trovava a bordo della Vettor Pisani.

PREPARATIVI DI RIVOLTA A TRIPOLI
LA SANGUINOSA GIORNATA DI SCIARA-SCIAT
IL TRADIMENTO DEGLI ARABI
L'EROISMO DELL'11° BERSAGLIERI
LA RIBELLIONE DOMATA - COMBATTIMENTI AD HOMS
LA BATTAGLIA DEL 26 OTTOBRE
LA MORTE DEL CAPITANO VERRI
L'ORDINE DEL GIORNO DEL GENERALE CANEVA -
L'ELOGIO DEL RE ALLE TRUPPE

Con la conquista di Tripoli, Homs, Bengasi, Derna e Tobruk, i principali punti della costa libica venivano a trovarsi in mano italiana; ma subito fuori da questi centri abitati vi era il nemico, numeroso ed agguerrito, il quale, con la resistenza, agli sbarchi italiani, aveva mostrato chiaramente il proposito di ostacolare tenacemente ogni progressiva occupazione.
L'Italia non credeva alla possibilità di una seria e lunga resistenza da parte dei Turchi, sapendo che in Tripolitania e in Cirenaica, prima della dichiarazione di guerra, i soldati turchi non assommavano che a quattromila. Inoltre l'Italia confidavano nella neutralità della Francia e dell'Inghilterra, le quali non avrebbero permesso il passaggio di truppe ottomane attraverso le frontiere, la prima dalla Tunisia la seconda dall'Egitto.

Purtroppo l'Italia s'ingannava. Armi e uomini armati dall'uno e dall'altro confine riuscirono a penetrare in Libia con relativa facilità. Penetrarono specialmente gli ufficiali, fra cui il comandante in capo delle forze ottomane in Tripolitania e Cirenaica, il famoso ENVER bey, che tanta carriera doveva percorrere e tanto danno arrecare all'Italia organizzando lui la resistenza degli Arabi.
Credeva inoltre l'Italia che gl'indigeni libici (gli antichi Berberi) nemici dei Turchi e insofferenti del dominio ottomano, dovessero favorire o almeno non ostacolare la nostra conquista; ma anche su questo l'Italia s'ingannava. Aveva l'Italia, è vero, fra gli Arabi amici sinceri e fedeli; ma il loro numero era esiguo e la loro autorità non giungeva molto lontano dalla costa piuttosto cosmopolita e interessata ai commerci. La grande maggioranza della popolazione, specie quella dell'interno, era contraria all'Italia perché considerata infedele e al dominio italiano preferiva quello turco; inoltre l'Italia aveva contro la potente organizzazione dei Senussi, che vedevano negli italiani non soltanto i nemici dell'islamismo, ma coloro che avrebbero posto fine a quello speciale stato di cose cui era legata la vita della Senussia (Una confraternita musulmana fondata da Alì as Sunusi all'inizio dell'800, dando vita a uno Stato con capitale Giarabub).

Nell'illusione di esser benvoluti dagli indigeni e di esser considerati come liberatori l'Italia non esercitava grande vigilanza su Tripoli e non si accorgeva che qualche cosa si tramava ai suoi danni. Eppure i segni della trama non mancavano: un soldato italiano era stato pugnalato nell'oasi da alcuni arabi; fra la città e la campagna era un andare e venire di gente che avrebbe dovuto con il suo contegno destare legittimi sospetti; il 19 ottobre era stata scoperta una beduina che recava cartucce mauser avvolte in una pezzuola e ad un beduino dell'interno era stato sequestrato un biglietto diretto a Gharian, al maggiore dei cacciatori Ali bey; il 22 ottobre un giornalista scopriva nella soffitta di un ospedale circa venti soldati armati, i quali, interrogati, dichiaravano che appena scoppiata la rivolta, dovevano mostrarsi nelle vie per far credere ai cittadini che le truppe turche fossero già entrate; e lo stesso giorno 22 un ufficiale turco, travestito da donna, fu fermato agli avamposti.

Mentre gli italiani erano nella più completa fiducia, i Turchi, d'accordo con gli indigeni di Tripoli, preparavano un piano per ributtarli in mare. Il piano era semplice e terribile: il 23 ottobre gli Arabi dell'interno e i Turchi dall'esterno, avrebbero assalite le trincee, gli arabi della città e dell'oasi in pratica avrebbero preso gli Italiani alle spalle.
La mattina del 23, una schiera di circa 500 arabo-turchi attaccò dimostrativamente le linee italiane tra Bu-Meliana e Gargaresch, ma fu facilmente respinta a fucilate e a cannonate. Ma contemporaneamente, ad est, dalla parte di Sciara-Sciat, numerosi reparti di fanteria turca e di arabi, protetti dai palmizi e dai muretti dei giardini, assalivano la sinistra dello schieramento italiano formato da qualche compagnia dell'82° e dall'11° bersaglieri agli ordini del colonnello FARA.
Gli Italiani risposero prontamente al fuoco e pareva che il nemico volesse battere in ritirata davanti a questa decisa difesa quando improvvisamente dall'oasi fu aperto un terribile fuoco di fucileria alle spalle degli Italiani, che così furono avviluppati da Sciara-Sciat a Henni. Sparavano dalle cime dei palmizi, dalle case, dalle feritoie praticate nei muri; l'oasi alle spalle degli italiani era diventato un inferno. Sebbene assaliti da ogni parte, si difesero coraggiosamente e più di una volta passarono al contrattacco seminando la strage fra il nemico. Anche i turchi, che assalivano di fronte, furono respinti dagli eroici bersaglieri, sostenuti dalla 5a e dalla 7a compagnia dell'82° Fanteria.

Scrive il generale Caneva nel suo rapporto ufficiale: "Non ritenendo prudente sguarnire le fronti sud e sud-ovest contro le quali pareva probabile che si rinnovassero gli attacchi del mattino, il comandante della divisione, generale PECORI-GIRALDI inviò a sostegno, dell'11° bersaglieri, un battaglione dell'82° reggimento fanteria dai sobborghi di Tripoli ed un gruppo d'artiglieria da fortezza dalla Caserma di cavalleria. Del battaglione dell'82° reggimento, però ostacolato nel suo avanzare dai ribelli, una compagnia soltanto riuscì a giungere in giornata ad Henni. Della 4a e 5a compagnia dell'71° bersaglieri una parte fu raccolta dal battaglione dell'82° ed una parte ripiegò su Henni.
Il combattimento, accanito e sanguinoso durò circa otto ore, fintanto che gli arabi furono passo passo snidati dai loro rifugi e le nostre truppe, liberatesi da ogni attacco proditorio sul tergo, con un'azione quanto mai energica e tenace, poterono alla fine rioccupare le primitive posizioni di combattimento. Questa giornata fu veramente onorevole per le nostre truppe e specie per l'11° bersaglieri che seppe difendersi dall'attacco accerchiante con mirabile resistenza e con invitto spirito aggressivo".

Ma le perdite italiane furono considerevoli. I soli bersaglieri ebbero 400 morti e 200 feriti. Le perdite del nemico furono valutate ad un migliaio di morti e altrettanti arabi fatti prigionieri dagli italiani.
Mentre nell'oasi si combatteva, a Tripoli città si delineava la rivolta. Ci fu prima un fermento inesplicabile il mattino, poi all'improvviso si videro chiudere case e botteghe; nel pomeriggio s'iniziò a sparare dalle finestre e dai tetti delle case contro soldati italiani in gruppi o isolati; a quel punto furono impiegate le truppe in assetto di guerra per disperdere la folla riottosa ripristinare l'ordine pubblico e verso sera un bando del Governatore ordinò la consegna delle armi, il coprifuoco, lo stato d'assedio.

Purtroppo nello zelo italiano ci fu anche un'irrazionale feroce rappresaglia. Numerose pattuglie sguinzagliate nelle vie a perquisire le case, eseguirono moltissimi arresti; e non pochi ribelli, il giorno dopo, furono fucilati. Una vendicativa rappresaglia che colpirà anche la popolazione civile e che susciterà l'indignazione nella stampa internazionale; non solo ma provocherà un'intensificazione della guerriglia araba che ostacolerà e ritarderà moltissimo i progressi dell'occupazione italiana in Libia.


Rappresaglia che oscurò un po' il valore dell'11° bersaglieri che fu consacrato in un ordine del giorno del generale Caneva:
"Nel giorno 23 del corrente mese, l'11° reggimento bersaglieri, impegnato nelle trincee dell'oasi orientale di Tripoli, è stato proditoriamente assalito a tergo da abitanti indigeni che apparivano e dovevano ritenersi sottomessi al nostro Governo. Nella contingenza difficilissima, per l'imprevedibile attacco, per l'insidiosità del terreno, per il frazionamento inevitabile dell'azione, seppero gli ufficiali ed i bersaglieri dell'110 reggimento affrontare vigorosamente gli eventi. E nonostante le notevoli perdite che a loro vennero dal tradimento, seppero con lunga lotta abbattere e giustiziare sul posto od arrestare i traditori spazzandoli dal loro tergo e ricuperando la loro linea di difesa.
Io segnalo al plauso dell'intero corpo d'operazione la brillante condotta degli ufficiali e dei bersagliari dell'11° reggimento, la loro bravura, la loro invitta virtù militare. Onore ai caduti per la causa italiana, onore agli ufficiali ed ai militari tutti dell'11° reggimento bersaglieri, onore al colonnello che tante virtù ha saputo infondere nel suo reggimento".

Nei giorni 22 e 23 ottobre accaniti combattimenti ebbero luogo pure ad Homs. Più accanito quello del 22, che durò tredici ore, dalle sei del mattino alle sette della sera, e nel quale fornirono prova di grande valore indistintamente tutte le truppe agli ordini del colonnello MAGGIOTTO e un manipolo di marinai, fra cui l'eroico cannoniere MICHELE MELONI, ricordato da D'Annunzio nella "Canzone dei Trofei".

All'alba del 26 ottobre, già annunciate dai capitani PIAZZA e MOIZO, che nei giorni precedenti avevano con i loro monoplani eseguito ardite ricognizioni aeree, diverse migliaia d'arabi e turchi assalirono con impeto le linee italiane tra Sidi Messri e Bu-Meliana. Respinti in un primo attacco, ritornarono con impeto maggiore all'assalto e, dalla parte ove sorgeva la villa di NEGIAD-bey, favoriti dalla natura del terreno, riuscirono a sfondare le difese italiane e prendere alle spalle i fanti dell'84° reggimento.

Ma lo sfondamento non ebbe fatali conseguenze. Un plotone dei cavalleggeri Lodi appiedato sopraggiunto tempestivamente, combattendo con bravura, riuscì a saldare la linea e, mentre una batteria del 21° artiglieria si appostava alla sinistra di Bu-Meliana fulminando la cavalleria araba, l'84° contrattaccava audacemente alla baionetta e riconquistava la trincea perduta.

Alla battaglia, che in alcuni punti ebbe la durata di tre ore, parteciparono valorosamente l'11° bersaglieri, il 40° e l'82° fanteria, alcune compagnie da sbarco e, con i loro tiri, le corazzate Sicilia e Carlo Alberto.
Aeroplani volarono sul campo durante questa azione. In quella battaglia, dopo aspra mischia, l'8a compagnia dell'84° conquistò la bandiera verde del Profeta e una bandiera turca. L'eroe della giornata fu il capitano PIETRO VERRI, che però trovò la morte mentre alla testa di una compagnia di marinai caricava con impeto il nemico gridando: "Avanti, Garibaldini del mare !"

Le perdite italiane non furono lievi: 13 ufficiali e 361 uomini di truppa morti e 16 ufficiali e 142 uomini di truppa feriti; ma gravissime furono quelle del nemico che contò nelle sue file più di 2000 morti e circa 4000 feriti.
Il giorno dopo, il generale Caneva elogiò le truppe con il seguente ordine del giorno:
"Ieri il nemico ha portato un violento attacco contro tutta la nostra linea di difesa che fu anche assalita a tergo da attacchi a tradimento degli abitanti dell'oasi. Ma voi avete saputo ad un tempo spazzare dalle vostre spalle i traditori e respingere davanti a voi un forte nemico infliggendogli gravissime perdite. Avete dato prova di esemplare fermezza e di mirabile valore. Ed io cito qui, a titolo d'onore, voi tutti e la compagnia da sbarco della Regia Marina, che con voi ha strenuamente combattuto".
Anche i ministri della Guerra e della Marina fecero giungere ai difensori di Tripoli l'alto elogio del sovrano telegrafando: "Sua Maestà il Re alle forze di terra e di mare, che combatterono in Tripolitania e Cirenaica, invia l'espressione del suo compiacimento e dell'alta sua ammirazione per il coraggio e per il sangue freddo di cui diedero ripetute prove. La Marina e l'Esercito, vieppiù stretti da così saldi vincoli, ancora una volta hanno ben meritato del Re e della Patria".

ACCORCIAMENTO DELLA LINEA INTORNO A TRIPOLI
MENZOGNE E CALUNNIE DELLA STAMPA STRANIERA
LE OPERAZIONI GUERRESCHE A DERNA, AD HOMS E A TOBRUCK

L'OPERA DEGLI AVIATORI
LA DIVISIONE DE CHAURAND A TRIPOLI -
IL DECRETO D'ANNESSIONE DELLA TRIPOLITANIA E DELLA CIRENAICA ALL'ITALIA
LA COMUNICAZIONE ITALIANA ALLE POTENZE
LA PROTESTA DELLA SUBLIME PORTA
L'AVANZATA DELLE TRUPPE ITALIANE NELLA ZONA DI TRIPOLI

LA FEROCIA DEGLI ARABOTURCHI NELLE RELAZIONI DEI GIORNALISTI STRANIERI

Nonostante la vittoria delle armi italiane, la linea di difesa intorno a Tripoli, troppo vasta per le truppe di cui allora disponeva il comando, fu, dopo il 26 ottobre, accorciata, portandosi indietro d'un chilometro dal lato orientale, di modo che, la nuova linea, invece che da Sciara-Sciat ad Henni, andò dalle tombe dei Caramanli a Messri e alla caserma di cavalleria. Quell'accorciamento della linea fu anche imposto dalle condizioni sanitarie di Sciara-Sciat ed Henni, pericolose per il grandissimo numero di cadaveri lasciati dal nemico.
L'arretramento delle linee italiane diede occasione ai giornalisti stranieri di inventare fandonie sul conto degli italiani, di parlare di sconfitta e di affermare che la situazione dell'Italia era insostenibile. Né si limitarono a questo i corrispondenti dei giornali esteri, specie quelli inglesi tra cui si distingueva GEORGE MACAULAY TREVELYAN; fu da loro anche scritto che i soldati italiani, dopo il combattimento del 23 ottobre, avevano fatto un vero macello degli arabi, uccidendo donne, vecchi e fanciulli senza curarsi d'indagare se fossero colpevoli o no. A questa feroce campagna di diffamazione opposero fiere smentite il Governo e il generale Caneva, cui si aggiunse un onesto giornalista francese JEAN CARRÈRE, che dimostrò essere gli Italiani troppo magnanimi verso la popolazione araba e agli Inglesi ricordò i loro eccessi nel Transwal, nella Rodhesia e nel Sudan.

Continuavano intanto le operazioni di guerra. A Derna, il 27 ottobre, gli italiani infliggevano al nemico una grave sconfitta catturando inoltre 500 prigionieri; a Homs, il 28 ottobre, bersaglieri e marinai, sostenuti dalla "Marco Polo respingevano sanguinosamente migliaia e migliaia di arabi, che per tutto il giorno si erano accaniti invano contro quelle linee; quel giorno stesso altri attacchi nemici furono respinti a Tobruck; il 1° novembre il tenente GAVOTTI volava con il suo aeroplano su Ain-Zara e bombardava con buon esito un accampamento arabo (da un aereo ed è uno dei primi bombardamenti della storia).

Il 3 novembre, il 3° battaglione del 63° Fanteria respingeva l'attacco di un reparto arabo presso il fortino di Messri, e il 4, nella stessa posizione, un altro attacco nemico sostenuto dall'artiglieria turca falliva e i capitani aviatori Piazza e Moizo bombardavano altri accampamenti arabi.
In quei giorni giunse a Tripoli una 3a divisione, comandata dal tenente generale DE CHAURAND, che aveva sotto di sé i maggiori generali di brigata DEL MASTRO e NASALLI ROCCA. Facevano parte della nuova divisione i reggimenti 18° (colonnello BALDINI), il 33° (colonnello PINNA), il 23° (colonnello MONDAINI) e il 52° (colonnello AMARI).
Creandosi così a Tripoli un così grande corpo di esercito, vi si mandò a comandarlo il tenente generale FRUGONI.
Nello stesso giorno in cui giungeva Frugoni (5 novembre), il Re firmava il seguente decreto:
"Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del ministro degli Esteri; sentito il Consiglio dei Ministri; visto l'articolo 5 dello Statuto fondamentale del Regno abbiamo decretato e decretiamo: La Tripolitania e la Cirenaica sono poste sotto la sovranità piena ed intera del Regno d'Italia. Una legge determinerà le norme definitive per l'amministrazione di quelle regioni. Affinché tale legge non sarà promulgata si provvederà con decreti reali. Il presente decreto sarà presentato al Parlamento per essere convertito in legge".

Una decisione questa che a molti parve intempestiva. Il Re proclamava la sovranit� assoluta dell'Italia sulla Tripolitania e sulla Cirenaica ancor prima di aver concluso la guerra.

Contemporaneamente Di SAN GIULIANO dirigeva ai regi ambasciatori all'Estero il seguente telegramma:

"L'occupazione delle principali città della Tripolitania e Cirenaica, i costanti successi delle nostre armi, le forze preponderanti che abbiamo colà riunite e le altre che ci apprestiamo a inviarvi hanno reso inefficace e vana ogni ulteriore resistenza della Turchia. D'altra parte, per porre fine ad un inutile spargimento di sangue, urge togliere dall'animo di quelle popolazioni ogni pericolosa incertezza. Perciò, con odierno decreto reale, la Tripolitania e la Cirenaica sono state sottoposte definitivamente e irrevocabilmente alla sovranità piena ed intera del regno d'Italia. Qualunque altra soluzione meno radicale che avesse lasciato anche un'ombra di sovranità nominale del Sultano su quelle province sarebbe stata una causa permanente di futuri conflitti tra l'Italia e la Turchia, che potrebbero più tardi scoppiare fatalmente anche contro la volontà dei governanti, in un momento ben altrimenti pericoloso per la pace europea. La soluzione da noi adottata è l'unica che tuteli definitivamente gl'interessi dell'Italia, dell'Europa o della Turchia stessa. La pace firmata su queste basi eliminerà ogni causa di dissenso profondo e la Turchia e noi potremo più facilmente ispirare tutta la nostra politica al grande interesse che abbiamo al mantenimento dello status quo territoriale della penisola Balcanica di cui è condizione essenziale il consolidamento dell'impero ottomano.

"Desideriamo perciò vivamente, qualora la condotta della Turchia non lo renda impossibile, che le condizioni di pace riescano quanto più si può confacenti ai suoi legittimi interessi ed al suo prestigio. La Tripolitania e la Cirenaica hanno cessato di far parte dell'impero ottomano, ma noi siamo oggi disposti ad esaminare con largo spirito di conciliazione i mezzi per regolare nel modo più conveniente ed onorevole per la Turchia le conseguenze dei fatti irrevocabilmente compiuti. Certo, noi non potremmo mantenere tali propositi concilianti se essa si ostinasse a prolungare inutilmente la guerra.

" Confidiamo però che l'opera concorde delle grandi Potenze indurrà la Turchia a prendere senza indugio sagge e risolutive decisioni che rispondano ai suoi veri interessi ed a quelli di tutto il mondo civile. L'Italia in ogni modo coopererà a questo risultato con il mostrarsi altrettanto disposta ad eque condizioni di pace quanto decisa ai mezzi più efficaci per imporla nel più breve termine possibile".
'
Questo telegramma suscitò una nota della Sublime Porta indirizzata alle Potenze, nella quale vi era detto:
"Il Governo imperiale ottomano apprende che il Governo italiano ha di motu proprio promulgato un decreto proclamando l'annessione delle province ottomane di Tripoli e di Bengasi e ha comunicato il decreto alle Potenze. La sublime Porta protesta nel modo più energico contro tale proclama, che considera privo di valore così in linea di diritto come in linea di fatto. Un simile atto è privo di efficacia, perché è contrario ai più elementari principi delle leggi internazionali ed anche perché la Turchia e l'Italia sono ancora in stato di guerra e perché il Governo turco è deciso a preservare e difendere con le armi i suoi diritti sulle due province in questione, che sono imprescrittibili ed inalienabili. D'altra parte il proclama e la sua comunicazione violano gli impegni contratti solennemente in base a trattati, specialmente a quello di Parigi e di Berlino, tanto dall'Italia verso le grandi Potenze quanto dalle Potenze verso il Governo ottomano per quanto riguarda l'integrità territoriale dell'impero ottomano. In tali condizioni l'annessione proclamata dall'Italia rimane nulla in linea di diritto, come è inesistente in linea di fatto".

Il giorno dopo del decreto di annessione, la brigata Del Mastro rioccupò il forte Hamidiè e respinse il nemico tornato alla riscossa; il 7 novembre una compagnia del 93° fanteria, spinta in ricognizione verso Sciara-Sciat, fu attaccata dal nemico, ma, sostenuta dalle altre compagnie del battaglione, da una batteria a tiro rapido e dai cannoni delle navi, dopo un'ora di sanguinoso combattimento mise in fuga il nemico; nei giorni successivi seguirono scontri, duelli di artiglierie, ricognizioni di alpini, granatieri, bersaglieri e cavalleggeri verso Ain-Zara, Gargaresch e Sidi-Messri, con scambi di fucilate; a Gargareseh furono presi dieci cannoni turchi; gli alpini occuparono il fortino di Sidi Messri, l'incrociatore Liguria bombardò Zuara al confine tunisino.

ll 12 novembre, mentre il ghibli imperversava con grande violenza, un migliaio di turchi assalì le trincee di Bu-Meliana, ma furono respinti con gravi perdite dalle batterie del 21° Artiglieria. Il 13 novembre, continuamente molestato dal nemico il fortino di Sidi Messri, alcune campagne dell'84° operarono una vigorosa sortita e ricacciarono gli Araboturchi, togliendo loro un cannone.

Il 13, il 14, il 15 e il 16 caddero abbondantissime piogge e il 17 il fiume Megenim straripò allagando alcune vie della città e alcune trincee. Dal 18 al 31 ebbero luogo esplorazioni, scaramucce, duelli d'artiglieria, ricognizioni di aeroplani. Il 23, presenti i generali DE CHAURAND, LEQUIO e NASALLI ROCCA e le rappresentanze di tutti i reggimenti, con una messa al campo e un discorso del colonnello FARA furono commemorati i caduti dell'11° bersaglieri.
Il 26 novembre, sotto la direzione del generale CANEVA e al comando del generale De Chaurand, la 3a divisione, l'11° bersaglieri, due squadroni di cavalleria e parecchia artiglieria si spinsero avanti per rioccupare le posizioni che in seguito alla battaglia di un mese prima erano state abbandonate. Tutti gli obbiettivi furono raggiunti nonostante la tenace resistenza del nemico, che lasciò nelle mani italiane dieci cannoni e 400 feriti prigionieri e sul campo numerosi morti. Si calcola che i turchi e gli arabi abbiano avuto circa 3000 uomini fuori combattimento; gli Italiani 16 morti e 109 feriti.

Nella moschea e nel villaggio di Henni e nel cimitero di Chui, gli italiani poterono constatare l'inaudita ferocia del nemico e i corrispondenti esteri, guardando i soldati barbaramente mutilati nelle giornate del 23 e 26 ottobre, denunziarono al mondo civile le barbarie degli arabi e dei turchi della cui sorte esso si era fino allora preoccupato e lagnato.

Uno di questi corrispondenti, quello del Journal", così scriveva: "Ho visto, in una sola moschea, diciassette italiani crocifissi, con i corpi ridotti allo stato di cenci sanguinolenti ed informi; ma i cui volti serbano ancora le tracce di un'infernale agonia. Si è passati per il collo di questi disgraziati una lunga canna e le braccia riposano su questa canna. Sono stati poi inchiodati al muro, e morirono a piccolo fuoco, fra sofferenze inenarrabili. Dipingervi il quadro orrendo di queste carni decomposte, che pendono pietosamente sulla muraglia insanguinata è impossibile. In un angolo un altro corpo è crocifisso, ma siccome era quello di un ufficiale, si sono raffinate le sue sofferenze. Gli si cucirono gli occhi. Tutti i cadaveri, ben inteso, erano mutilati, evirati, in modo indescrivibile ed i corpi apparivano, gonfi come informi carogne. Ma non è tutto! Nel cimitero di Chui, che serviva di rifugio ai turchi e donde tiravano, da lontano potemmo vedere un altro spettacolo. Sotto la porta stessa di fronte alle trincee italiane, cinque soldati erano stati sepolti fino alle spalle; le teste emergevano dalla sabbia, nera del loro sangue: teste orribili a vedersi; vi si leggevano tutte le torture della fame e della sete. Debbo ancora parlarvi di tutti gli altri orrori, debbo descrivere tutti quegli altri corpi che sono stati trovati sparsi nei palmeti fra i cadaveri degli indigeni? Lo spettacolo è indescrivibile. È un calvario spaventoso, del quale ho seguito le fasi con le lagrime agli occhi, pieno d'immensa pietà, pensando alle madri di quei disgraziati figliuoli".

E GASTONE LEROUG, corrispondente del Matin:
"I piccoli bersaglieri, caduti il 23 ottobre, non morirono solamente da eroi, ma anche da martiri. Non trovo parole adatte per esprimere l'orrore provato oggi, quando in un cimitero abbandonato abbiamo scoperto questi miseri avanzi. Nel villaggio di Henni e nel cimitero arabo era stato operato un vero macello: degli ottanta infelici fatti prigionieri, i cui cadaveri si trovavano lì, è certo che almeno la metà, erano caduti vivi nelle mani degli arabi e che tutti sono stati portati in questo luogo cintato da mura, dove gli arabi erano al riparo dal piombo italiano. Allora è avvenuta la più terribile e ignobile carneficina che si possa immaginare. Si sono loro tagliati i piedi, strappate le mani, evirati; poi sono stati crocifissi. Un bersagliere ha la bocca squarciata fino alle orecchie, un altro ha il naso segato in piccoli tratti, un terzo ha infine le palpebre cucite con spago da sacco. Quando si pensi che due ore prima di cadere questi eroi avevano diviso amichevolmente il rancio con gli arabi che dovevano torturarli, non si può non provare un indicibile senso di stupore e di orrore".

IL FERIMENTO DI JEAN CARRERE
LA MEDAGLIA DORO ALL'11° BERSAGLIERI E ALL' 84° FANTERIA
LA CONQUISTA DI AIN ZARA
OCCUPAZIONE DI TAGIURA RICOGNIZIONE A ZANZUR - BIR-TOBRAS - LE OPERAZIONI AD HOMS, A DERMA, A BENGASI E A TOBRUCK
FINE DELLA PRIMA FASE DELLA GUERRA

La notte dal 30 novembre al 1° dicembre del 1911, il giornalista francese amico dell'Italia JEAN CARRÈRE fu aggredito e ferito da uno sconosciuto a Tripoli, che senza dubbio ubbidiva ad ordini segreti del comitato giovane turco Unione e Progresso. Il giorno dopo, l'ala destra del fronte italiano orientale, composta del 52° fanteria, del battaglione alpini Fenestrelle, dei battaglioni bersaglieri 15° e 33° e della 2a compagnia zappatori del genio, dopo un'intensa attività dell'artiglieria, eseguì un balzo in avanti per migliorare le posizioni.
Il 3 dicembre le bandiere dell'11° bersaglieri e dell'84° fanteria, con commovente cerimonia, furono fregiate della medaglia d'oro per le gloriose giornate del 23 e 26 ottobre. Le truppe intanto si preparavano ad un'azione che doveva aver luogo il giorno dopo e doveva condurre alla conquista di Ain-Zara.
Ain-Zara, a pochi chilometri da Tripoli, era località importante perché era un centro di raduno e di resistenza delle truppe regolari turche, perché era fornita di acqua sorgiva e infine perché era una base del nemico, non lontana dal mare e dai luoghi di rifornimento.
L'azione di Ain-Zara, preparata dal generale PECORI-GIRALDI, fu, il 4 dicembre, eseguita dalle brigate "Raynaldi della 1a divisione e Giardina della 2a le quali, sostenute dalle batterie di montagna e dai tiri della Carlo Alberto, nonostante la molestia del vento e della pioggia, raggiunsero brillantemente gli obbiettivi, conquistando otto cannoni e costringendo 8000 arabi e turchi a fuggire verso il deserto. Numerose furono le perdite del nemico; gli italiani ebbero un centinaio di uomini fuori combattimento, fra cui, mortalmente ferito, il valoroso colonnello PASTORELLI del 40° fanteria.

La mattina del 6 dicembre, il 52° fanteria attaccò e sloggiò dalla moschea di Ben-Said i nemici che la difendevano, quindi l'artiglieria rase al suolo la moschea e sconvolse le trincee vicine. Il 13 fu occupata Tagiura e assicurato il completo dominio dell'oasi di Tripoli, dopo un'avanzata, che si effettuò senza ostacoli, di due colonne, davanti la cui marcia gli arabi sventolavano bandiere bianche e i turchi si ritiravano abbandonando le loro artiglierie.
Il 16 dicembre una colonna italiana si spinse senza difficoltà fino a Zanzur, a 15 chilometri circa a ovest. di Tripoli, e ne distrusse il telegrafo.
Tre giorni dopo, per accertare la posizione del nemico, mosse da Ain-Zara una colonna comandata dal colonnello FARA e composta di due battaglioni dell'11° bersaglieri, uno di granatieri, una sezione di artiglieria da montagna e uno squadrone di cavalleggeri Lodi. La colonna, partita durante la notte, doveva all'alba giungere a Bir Tobras, un'oasi a quindici chilometri circa a sud-est di Ain-Zara, ma, smarritasi nell'oscurità, non poté giungere in vista della mèta che alle 10.30 del mattino del giorno 19.

Attaccata, a qualche chilometro di distanza dall'oasi da numerose forze nemiche, la colonna si difese splendidamente. Dopo due ore di combattimento, l'attacco poteva dirsi respinto e poiché la sabbia aveva inutilizzate le mitragliatrici e la ricognizione era stata portata a termine, il colonnello Fara ordinò il rientro a Ain-Zara
Il nemico, accortosi del ripiegamento italiano, e ricevuti nel frattempo notevoli rinforzi, ritornò all'attacco, costringendoli nuovamente alla difesa. Tuttavia la colonna continuò la marcia del rientro, respingendo cinque assalti consecutivi; ma verso le 15.30 il colonnello Fara vista la necessità di fermarsi, avviò i feriti con buona scorta ad Ain-Zara, quindi dispose le truppe in quadrato trincerato sopra un gruppo di dune.
Così disposti resistettero magnificamente per tutto il resto della giornata. Alle ore 20 il nemico, che era stato di un'aggressività straordinaria, parve stanco; a mezzanotte un tentativo d'attacco fu prontamente respinto; alle 3.30 del 20 dicembre la colonna disposta in quadrato con l'artiglieria e i feriti al centro e i granatieri del maggiore GRAZIOLI all'avanguardia, riprese la marcia verso Ain-Zara, dove giunse alle 7 del mattino dopo avere incontrato lungo la via i rinforzi (un battaglione di granatieri, un battaglione di bersaglieri e due batterie da montagna) guidati dal generale LEQUIO.

Questa mal riuscita ricognizione diede buon giuoco alla Massoneria per far richiamare dalla Libia il generale PECORI-GIRALDI, cattolico osservante e accusato di sentimenti clericali.
Non taceva intanto la guerra negli altri punti della costa. Ad Homs, il cui presidio era stato notevolmente rinforzato e messo sotto il comando del generale REISOLI, il 1° dicembre alcune compagnie di bersaglieri sostennero un vittorioso combattimento col nemico, durante il quale fu distrutta la linea telegrafica turca tra Msellata e Sliten, e il 15, dopo aspra mischia, un battaglione di bersaglieri e due compagnie di alpini sconfissero numerose forze araboturche sul vicino Mergheb.
A Derna gli italiani, comandati dal tenente generale VITTORIO TROMBI, ai cui ordini stavano i maggiori generali DEL BONO e CAPELLO, avevano di fronte imponenti forze nemiche comandate da ENVER bey, dal colonnello NURÌ bey, dal maggiore MUSTALÀ KEMAL bey e dal colonnello AZIZ EL MESSRI.
Scontri di una certa entità ci furono intorno a Derna il 13 e il 16 novembre; il 22 una ricognizione italiana, cui parteciparono due battaglioni di fanteria, uno di alpini, tre sezioni di mitragliatrici, una di artiglieria da campagna e una compagnia di marinai della Napoli, inflisse perdite gravissime al nemico; il 24 una colonna sbaragliò sull'altipiano, uccidendo 300 nemici e ferendone 500, una schiera di arabo-turchi personalmente comandati da Enver bey, il quale il 28 ebbe il coraggio d'intimare la resa al presidio di Derna, ma fu messo in fuga a cannonate lui e i suoi uomini.
Sanguinoso fu lo scontro del 1° dicembre e più ancora quello del 16, durante il quale la bandiera del 26° fanteria, corse il pericolo di cadere nelle mani degli arabi e fu salvata dall'impetuoso attacco alla baionetta della 6a compagnia. Brillante fu l'azione del 26 dicembre sostenuta all'"uadi" Derna da quattro battaglioni e mezzo di fanteria con sei pezzi da campagna e quattro sezioni di mitragliatrici al comando del generale DEL BONO e non meno brillante il combattimento avvenuto nella stessa località il giorno dopo e finito col completo successo degli italiani.

Sul fronte di Bengasi gli scontri di maggiore importanza ci furono dalla metà del novembre in poi. Il 18 di quel mese le linee arabe furono assalite da una colonna italiana che rientrò dopo avere inflitto al nemico notevoli perdite; il 27 un attacco in forze dei turco-arabi comandati da ETHEM pascià fu nettamente respinto e respinti furono due altri attacchi che il nemico, ricevuti rinforzi, sferrò nella notte dal 30 novembre al 1° dicembre e nella notte dal 3 al 4, dal 10 all'11, dal 20 al 21 e dal 21 al 22 dicembre.
Un attacco più vigoroso degli altri fu sferrato il giorno di Natale ma anche questa volta il nemico fu respinto lasciando sul terreno 150 morti, 500 feriti e 3 cannoni.
Attacchi numerosi, quasi quotidiani, ci furono a Tobruck. Notevoli quelli del 28 novembre, della notte dal 21 al 22 dicembre e del 28 dello stesso mese.
A Tripoli il 24 dicembre fu eseguita una ricognizione verso Bu Selim; ma il giorno di Natale fu trascorso nella calma più assoluta. Quel giorno sbarcò una rappresentanza degli studenti universitari italiani recante una pergamena con 20.000 firme da offrire all'esercito combattente e una colonna romana, donata dal sindaco di Roma, da collocare a Messri. Essa portava la seguente epigrafe: "Gli studenti delle Università Italiane agli eroi caduti per la gloria d'Italia".

Il 26 dicembre giunse notizia che il Sovrano, su proposta dei ministri della Guerra e della Marina, aveva firmato i decreti di promozione per merito di guerra del capitano di vascello UMBERTO CAGNI a contrammiraglio e del colonnello GUSTAVO FARA a maggior generale. Il 28 fu inaugurata la colonna romana a Messri e il 29 gli studenti furono ricevuti dal generale FRUGONI e dal governatore CANEVA.

Così, con la promozione dei valorosi, con l'omaggio all'esercito della gioventù italiana studiosa e con le tante altre cerimonie che ricordavano l'eroismo dei soldati italiani, finiva a Tripoli l'anno 1911 e si chiudeva la prima fase della guerra.

Si chiudeva però l'anno in un clima di crescenti tensioni tra le nazioni europee per la crisi balcanica; all'Italia (che combatteva in Libia, quindi combatteva contro la Turchia) fu resa vita difficile per avere libertà d'azione nella conduzione della guerra nel Mar Egeo e nel Mediterraneo orientale, dove le navi turche invece si muovevano fornendo così armi e armati in Cirenaica.

Non certo inferiori -all'inizio del nuovo anno- erano pure le tensioni interne sociali che nei successivi mesi causeranno molti scioperi; provocando più forti i vecchi contrasti dentro i socialisti e dentro il sindacalismo italiano; né mancarono le tensioni alimentate dalle differenti posizioni assunte riguardo alla guerra in Libia�

�che come leggeremo nel prossimo capitolo, terminerà poi a Ottobre con la Pace di Losanna, anche se lasciò disseminate un po' dappertutto lunghi spezzoni di micce, in attesa di essere accese da qualche Stato balcanico con il desiderio indipendentista (e il colpo inferto alla Turchia aveva esaltato i nazionalismi balcanici!); o micce già accese dalla stessa Austria, convinta com'era, che dopo la guerra in Libia, essa si poteva permettere indisturbata di passeggiare sui Balcani fino in Grecia.

� siamo dunque al periodo anno 1912 > > >

 

Fonti, citazioni, e testi

Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
ALBERTO CONSIGLIO - V.E. III, il Re silenzioso. (8 puntate su Oggi, 1950)
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano
MACK SMITH, Storia del Mondo Moderno - Storia Cambridge X vol.
MONDADORI . Le grandi famiglie d'Europa - I Savoia. 1972
O' CLERY - The making of Italy - Kegan&Trubner, Londra 1892
STORIA MONDIALE CAMBRIDGE - (i 33 vol.) Garzanti 
CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet 
STORIA UNIVERSALE (i 20 vol.) Vallardi
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De Agostini
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