20 SETTEMBRE 1870
LA PRESA di ROMA |
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La conclusione disonorevole della terza guerra d'indipendenza non pass� senza conseguenze sulla situazione politica interna. Da una parte i mazziniani, dall'altra i cattolici, lanciavano violente bordate contro l'amministrazione moderata. A ci� si aggiunse la crisi del governo Ricasoli, formalmente determinata da un voto di sfiducia sul divieto di tenere comizi sulla legge ecclesiastica, e la sua sostituzione con un gabinetto presieduto da Rattazzi (10 aprile 1867).
Fu in questo clima politico, avvelenato dalle polemiche e segnato dalla crescente impopolarit� del governo, che matur� l'ultima impresa del Partito d'azione, intenzionato a far marciare su Roma un piccolo esercito di volontari comandato da Garibaldi e a giocare la carta dell'insurrezione popolare nella capitale. Ancora una volta Rattazzi assunse un atteggiamento ambiguo, prima approvando tacitamente l'impresa, poi (richiamato da Napoleone III agli impegni assunti dal governo italiano), facendo arrestare Garibaldi a Sinalunga, in provincia di Siena (24 settembre) e costringendolo al soggiorno obbligato a Caprera.
Ci� tuttavia non riusc� a fermare l'azione. Pochi giorni pi� tardi, infatti, eludendo il blocco navale intorno all'isola, Garibaldi riusc� a raggiungere la Toscana e a prendere il comando di oltre 9.000 volontari. Contemporaneamente Napoleone III, ritenendo violati gli accordi, ordin� la partenza da Tolone di un corpo di spedizione di 20.000 uomini diretti a Roma per garantire la protezione al Papa.
Un primo tentativo di insurrezione fall� tra il 22 e il 23 ottobre: un gruppo di volontari, penetrati nella citt� alla guida dei fratelli Enrico e Giovanni Cairoli con l'obbiettivo di portare armi agli insorti, si scontr� con le guardie pontificie a Villa Glori. I morti furono 76, compresi i due comandanti. Tre giorni pi� tardi Garibaldi, raggiunto Monterotondo, a pochi chilometri da Roma, costrinse il presidio pontificio alla resa; ma il 3 novembre a Mentana - l'ultimo avamposto sulla strada della capitale - sub� una dura sconfitta ad opera della guarnigione francese sbarcata nel frattempo a Civitavecchia, superiore di numero e soprattutto armata dei nuovissimi fucili a retrocarica Chassepots. Costretto a ripiegare in territorio italiano, Garibaldi fu arrestato dalle truppe regie e rinviato a Caprera.
L'ondata di indignazione dell'opinione pubblica contro il governo presieduto dal generale Luigi Menabrea (succeduto a Rattazzi il 27 ottobre 1867, nel pieno della crisi romana) e contro la Francia fu fortissima. Essa si sald� alla crisi sociale aperta dalla legge sul macinato. Il 14 dicembre 1869 il governo Menabrea fu costretto a dimettersi sostituito da un ministro presieduto dal piemontese Giovanni Lanza, che si avvalse, come ministro delle finanze, dell'opera particolarmente efficace di Quintino Sella. Si trattava di una svolta rispetto ai precedenti governi, retti da uomini di fiducia del re (il "partito della corte"), spesso senza grande esperienza politica ed economica. Esso si dedic� in primo luogo al risanamento finanziario e al pareggio di bilancio, assumendo provvedimenti assai severi (tra cui inasprimenti delle imposte dirette e indirette, tagli alla spesa militare, riduzione degli uffici centrali e periferici).
Il governo Lanza godette anche di una situazione internazionale particolarmente favorevole e ne approfitt� per risolvere definitivamente la questione romana. Il conflitto scoppiato il 19 luglio 1870 tra Francia e Prussia cre� le condizioni per un facile intervento militare italiano.
Gi� all'inizio di agosto Napoleone III fu costretto a ritirare il piccolo corpo di spedizione di stanza nel Lazio, mentre in tutta l'Italia cresceva la richiesta popolare affinch� il governo accelerasse una soluzione di forza. Il primo settembre l'imperatore francese cadde prigioniero dei Prussiani e il 4 fu proclamata a Parigi la repubblica; il 5 il governo italiano decise all'unanimit� di occupare Roma.
Il conte Gustavo Ponza di S. Martino fu inviato nella capitale con l'incarico di tentare di concordare una soluzione pacifica con Pio IX: il re Vittorio Emanuele II offriva al Papa "tutte le garanzie necessarie all'indipendenza spirituale della santa Sede". Ma il pontefice respinse recisamente ogni trattativa e l'esercito italiano, comandato dal generale Cadorna, invase lo Stato Pontificio senza incontrare resistenza. Solo per penetrare nella citt� fu necessario usare la forza:
il 20 settembre 1870
l'artiglieria italiana apr� una breccia nelle mura presso Porta Pia e la citt� fu conquistata. Caddero 49 soldati italiani e 19 soldati pontifici. Il 2 ottobre un plebiscito sanzion� l'annessione di Roma e del Lazio all'Italia: su 135.188 votanti 133.681 furono favorevoli, 1.507 contrari.
Un mese pi� tardi Pio IX eman� l'enciclica "Respicientes" con cui dichiar� "ingiusta, violenta, nulla e invalida" l'occupazione italiana, denunci� la condizione di cattivit� del pontefice e scomunic� il re d'Italia. Per parte sua il senato italiano vot�, il 27 gennaio 1871, il trasferimento della capitale da Firenze a Roma con 94 voti favorevoli e 39 contrari.
Finiva cos� l'ultimo brandello del potere temporale della Chiesa e al movimento democratico venivano sottratti un obbiettivo e un argomento di agitazione politica che ne avevano qualificato l'azione. Da allora la sinistra muter� la propria identit� assumendo connotati profondamente diversi. I cattolici, invece, non modificarono la loro posizione di rigida contrapposizione nei confronti del nuovo stato italiano, nonostante che il parlamento avesse garantito per legge (�legge delle guarentigie�, del 21 marzo 1871) alla Chiesa l'assoluta libert� di culto e la sovranit� sui palazzi vaticani, del Laterano e della villa di Castel Gandolfo considerati fuori del territorio (extraterritorialit�), assegnandole una congrua donazione annua pari a quella che l'erario pontificio versava per il mantenimento della corte papale. Occorreranno alcuni decenni perch� venga rimosso l'esplicito e tassativo divieto di Pio IX di partecipare anche solo con il voto alla vita politica (il non expedit).