La politica estera della Destra: 1861-1875


Nel decennio 1861-1870 obiettivi della politica estera dei governi furono:

  1. il compimento dell'unit�;
  2. il consolidamento del nuovo organismo statale, impedendo che le forze, interne ed esterne, contrarie all'unit� e all'indipendenza, battute diplomaticamente e militarmente nel biennio 1859-60, trovassero in una o pi� potenze europee appoggi sufficienti per muovere guerra al nuovo stato.

Il primo obiettivo fu raggiunto nel 1866 e nel 1870.
Le annessioni del Veneto e del Lazio diedero all'Italia un duplice vantaggio:

  1. fu quasi completata l'unificazione territoriale
  2. crebbe la sicurezza militare essendo stati cacciati gli austriaci dal Quadrilatero e i francesi da Roma.

Restavano ancora aperta la questione di Trento e Trieste e soprattutto la Questione Romana, che la presa di Roma e la successiva Legge delle Guarantigie non avevano risolto ma era indubbiamente un grosso passo avanti.

Per realizzare l'obiettivo del consolidamento, occorreva innanzitutto inserire il nuovo stato nel sistema europeo. I governanti della Destra, consapevoli che i riconoscimenti formali del Regno d'Italia (le maggiori potenze europee lo riconobbero tra il 1861 e il 1862, con la sola eccezione dell'Austria che lo far� solamente nel 1866) fossero s� importanti ma non decisivi, si sforzarono di presentare al mondo il nuovo stato come un elemento di conservazione e di stabilit� a fronte dell'istanza "rivoluzionaria" delle forze democratiche favorevoli all'iniziativa popolare.

Emilio Visconti-Venosta che nei quindici anni del governo della Destra Storica fu a pi� riprese ministro degli esteri (complessivamente per otto anni e mezzo) nel 1863, il 26 marzo, intervenendo alla Camera, dichiarava che l'Italia cercava il suo posto tra Inghilterra e Francia, cio� "fra le due potenze il cui accordo � necessario al progresso e alla libert� d'Europa. Se io dovessi tovare una divisa a questa politica, direi: indipendenti sempre, isolati mai".

In verit� una tale politica, che mirava ad evitare che l'alleanza con la Francia si trasformasse in protettorato, non fu possibile, a causa del disinteresse del governo inglese, in quegli anni, per la politica continentale. Effettivamente, il nuovo regno si ritrov� in una condizione di semivassallaggio all'impero di Napoleone III; una dipendenza che si estese anche all'economia in un rapporto di sostanziale subordinazione.

In questa direzione i governi operarono davvero bene: 24 trattati commerciali con quasi tutti gli stati europei e dell'America latina, con alcuni paesi asiatici (Persia, Cina, Giappone, Siam); convenzioni postali e telegrafiche; accordi consolari; relazioni diplomatiche con quasi tutti gli stati del mondo.

Tra il 1867 e il 1870 cominci� a manifestarsi un interesse crescente per un'espansione coloniale nella vicina Africa. Non � certo, ma non � azzardato considerare anche questo fenomeno una conseguenza della guerra del 1866: gli italiani si erano convinti, nonostante le sconfitte in terra e in mare, di essere ormai una grande potenza e incominciarono a pretendere una politica estera pi� combattiva. Uomini politici tra i pi� influenti cominciarono a recriminare pubblicamente che all'Italia non fossero riconosciuti il rispetto e i "diritti" dovuti. La pazienza e la lungimiranza di Cavour furono sostituiti dall'avventatezza e dall'impazienza. Vittorio Emanuele, seguito a ruota dall'erede al trono Umberto e dalla di lui moglie Margherita, afferm� solennemente che l'Italia non doveva soltanto essere rispettata ma doveva farsi temere.

Nel 1900 il 21% delle spese dello stato italiano era destinato alle forze armate, contro il 17% in Germania; il 33% del bilancio era assorbito dal debito pubblico, contro il 20% della Germania; il reddito nazionale era appena un terzo di quello della Francia. Eppure a nulla valse che uomini politici pi� accorti e lo stesso Garibaldi invitassero a ridurre le spese per gli armamenti (Garibaldi sosteneva anche che l'esercito rubava troppe braccia ai campi e per ci� stesso indeboliva l'Italia, facendola dipendere dall'estero per il fabbisogno alimentare); il generale Cialdini giunse a dimettersi in segno di protesta contro le economie effettuate nelle spese militari (per lui si trattava di un monumento d'incompetenza politica).

Gli avvenimenti del 1870-1871 modificarono le linee generali della politica estera della Destra: la caduta di Napoleone rese possibile l'annessione di Roma e liber� l'Italia dal semivasallaggio alla Francia.

La presa di Roma non fu avversata ma nemmeno fu approvata. Le grandi potenze non decisero alcuna sanzione internazionale ma l'Italia rischiava di essere isolata, tanto pi� che nell'Assemblea Nazionale francese prevalsero dal 1871 al 1875 monarchici e clericali, i quali intendevano "far pagare" all'Italia la neutralit� del 1870. Cos� scriveva il Visconti-Venosta nel 1871:

... la caduta dell'Impero, i rifiuti alle domande di alleanza fatteci ripetutamente dalla Francia, hanno mutata l'antica e conosciuta base delle nostre alleanze; la neutralit� ha risparmiato all'Italia le pi� grandi sciagure ma, come sempre avviene, alla neutralit� succede uno stato di isolamento; di pi�, al ritorno dell'Europa nelle condizioni normali, noi ci troviamo impegnati in una gravissima quistione, nella quistione romana che tocca a tanti interessi ed a tanti sentimenti, che solleva tanti nemici all'Italia e che � ormai diventata per noi una quistione di esistenza nazionale e nella quale non possiamo a qualunque costo indietreggiare... L'Italia � un paese la cui pi� grande aspirazione � la sicurezza e la pace; essa ne ha bisogno, dopo le sue lunghe agitazioni, per costituire le sue forze politiche, sociali ed economiche, e nei pochi anni che decorsero, dopo la liberazione del Veneto, fu grandissima l'operosit� che cominci� a manifestarsi e lo svolgimento della ricchezza pubblica e del progresso sociale. Roma unita all'Italia � l'ultima tappa del nostro faticoso viaggio. L'Italia che ha dovuto affrontare la quistione romana, sente che nello stato attuale delle cose, questa quistione � un elemento d'incertezza nel suo avvenire. Essa � inquieta per l'avvenire dei rapporti con la Francia offesa dalla nostra neutralit� e dove gli avvenimenti portano al potere i partiti che ci furono sempre avversi nella quistione di Roma. Uscire da questa incertezza, assicurare la situazione dell'Italia contro i possibili pericoli esterni che ci possono venire dalla quistione romana, ecco l'intento comune del nostro paese, il programma di qualunque governo ed il criterio supremo della nostra politica estera.

Al governo italiano rimaneva una sola via aperta, quella dell'avvicinamento all'Austria e alla Germania, e quella via segu� seppure con prudenza. Temendo una reazione ostile della Francia, soprattutto Visconti-Venosta si oppose ad una vera e propria alleanza con la Germania, come chiedeva Bismarck, vedendo l'amicizia italio-tedesca piuttosto come un "avvertimento" e un freno per la Francia. La politica di Visconti-Venosta ebbe successo, tanto che il governo transalpino attenu� la sua ostilit� a proposito della questione romana.

Non piacque invece a Bismarck, il quale vedeva nell'Italia una pedina da impiegare in una guerra, pi� minacciata che combattuta, contro una Francia che si stava rapidamente riprendendo dalla sconfitta del 1870.

Quando l'Inghilterra e la Russia premettero su Bismarck perch� frenasse le sue velleit� bellicose, anche l'Italia si schier� a favore della pace. Cos� spiegava le "ragioni italiane" il Visconti-Venosta, ministro degli esteri:

Io sono convinto che, se scoppiasse una nuova guerra tra la Germania e la Francia, l'esito di questa guerra, qualunque esso fosse, riuscirebbe sempre dannoso e pericoloso per l'Italia. Se la Francia, il che non � punto probabile, vincesse, l'Italia si troverebbe subito posta in una situazione delle pi� pericolose ed incerte. Se, come � invece quasi certo, la Germania schiaccia di nuovo la Francia, le bisognerebbe far qualcosa, per cui si credesse di averla per sempre finita, smembrarla, creare qualcuna delle combinazioni eccessive, non naturali e quindi anche effimere, che ricorderebbero quelle con cui Napoleone I faceva e disfaceva le sue paci. Ne verrebbe fuori probabilmente un'Europa di cui l'Occidente apparterrebbe alla Germania e l'Oriente alla Russia. Ora io credo che l'Italia � uno di quei paesi che non possono farsi il loro posto e svolgere il proprio avvenire che in un'Europa dove esista un certo equilibrio.

L'obiettivo primo della politica estera della Destra negli ultimi cinque anni del suo governo fu di assicurare all'Italia un periodo di tranquillit� abbastanza lungo per occuparsi delle questioni interne. Una politica prudente, ispirata all'idea tradizionale dell'equilibrio delle potenze come condizione necessaria per il mantenimento della pace e alla convinzione che l'Italia avesse pi� da perdere che da guadagnare da una guerra tra le maggiori potenze. Inoltre una politica di basso profilo consentiva di ridurre le spese militari con vantaggio dello sviluppo economico di un paese che rimaneva pur sempre arretrato e povero.

La politica estera del Visconti-Venosta, niente affatto avventurosa e poco affascinante, ebbe numerosi avversari. Le accuse principali furono che essa implicava la rinuncia alle aspirazioni su Trento e Trieste e non offriva prospettive di sviluppo alla aspirazioni colonialistiche.

Ma l'opposizione si fece sentire particolarmente quando, nell'estate del 1875, il governo ritenne di non essere sufficientemente forte per approfittare della rivolta dell'Erzegovina e della successiva riapertura della questione d'Oriente: si doveva, invece, per l'opposizione, dar corso all'idea, che era stata esposta da Balbo trent'anni prima, di favorire l'espansione austriaca nei Balcani in cambio della rinuncia ai territori italiani.


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