DA
20 MILIARDI ALL' 1 A.C. |
1
D.C. AL 2000 ANNO x ANNO |
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STORICI E TEMATICI |
PERSONAGGI E PAESI |
ANNO 1859
11 LUGLIO - La
mattina dopo, a Monzanbano, Cavour non era affatto cambiato......
.... scongiur� il Re di non firmare, di respingere quelle inique proposte, che erano un tradimento verso le popolazioni che avevano avuto fiducia in lui. Vittorio Emanuele con tanto sangue freddo riascolt� lo sfogo del Conte, poi quando ebbe finito gli disse "Io pure la penso cos�, ma non � colpa mia se Napoleone non vuole continuare la guerra...la cosa migliore � di piegarsi nobilmente alla forza degli eventi, anzich� abbandonarsi ad atti inconsulti". Cavour non si dette per vinto, ritorn� con pi� vigore sugli argomenti gi� addotti, e concluse che se il Re voleva accettare, era libero di farlo, ma che egli non intendeva assolutamente rendersene solidale ed offriva le sue dimissioni.
Sempre calmo, il Re gli rispose "le dimissioni sono accettate fin da questo momento". In cuor suo Vittorio Emanuele fu persino lieto che Cavour volontariamente si ritirasse, senza dover subire apertamente l'imposizione imbarazzante dei due Imperatori (che forse proprio questo volevano)
Francesco Giuseppe, Cavour non voleva nemmeno sentirlo nominare, inoltre non intendeva neppure avere rapporti diretti con Vittorio Emanuele (che aveva sposato nel 1842 Maria Adelaide (ramo Asburgo-Lorena) figlia di Giuseppe d'Asburgo (figlio dell'arciduca d'Austria, Leopoldo, granduca di Toscana) vicer� proprio del Lombardo-Veneto. - La relazione con la "bella Rosina" a Vienna non l'avevano dimenticata e ovviamente sempre deprecata. E sembra che a Monzambano il re, la Bella Rosina, se l'era anche portata dietro.
Ma anche lo stesso Napoleone, durante tutta la campagna aveva cercato di mettere in cattiva luce Cavour, s� che il Re si liberasse dall'influsso del ministro.
Il Re forse parl� di questi veti al Cavour? E da sospettare. Certo il Re comunic� a Napoleone III le dimissioni del Cavour, e l'Imperatore francese inform� Francesco Giuseppe gi� il giorno dopo, il 12, apprendendo con soddisfazione la notizia (Francesco Cognasso, Vittorio Emanuele II, Utet, To 1942, pag. 160)
L'Armistizio fu poi firmato con tanta esitazione dal Re quando un ufficiale dell'imperatore austriaco giunto da Verona gli sottopose la copia. Premuto da Napoleone III presente, il Re firm� con la riserva famosa: "Ratifico per ci� che mi concerne la presente convenzione".
Molti mesi dopo Cavour con una certa cattiveria si confid� col Massari, accusando grossolanamente che il Re aveva voluto l'armistizio solo per cacciarlo.
Vittorio Emanuele rientrato a Torino ebbe poi il compito di sostituire Cavour e non fu facile con i quattro incarichi che il Conte aveva concentrato su di s�. Alla fine dopo vari tentativi con altri (Revel ecc.) il....
19 LUGLIO - ....prevalse la scelta su La Marmora come presidente del Consiglio e Ministro della Guerra, e su Rattazzi per gli Interni e gli Esteri. Il primo costituisce cos� il nuovo governo.
19 LUGLIO - Cavour che aveva dato consigli a destra e a manca, assicurando appoggio "in tutto e per tutto", fece riserve che svalutavano le sue affermazioni, perfino contraddittorie, che mascheravano la decisa sua ostilit� verso tutti: "come ministro Rattazzi mi avr� tra i suoi seguaci; come uomo riservo la mia piena libert� d'azione".
Ricordiamoci che il Rattazzi aveva - in aprile- assunto la difesa dell'amante del Re, dichiarando che l'attacco di Cavour al sovrano era un'azione immorale. I rapporti quindi di Cavur erano ancora molto tesi sia con il Rattazzi che con il Re ancora su queste cose, fino al punto che andava affermando che non era dovuto il suo allontanamento per questioni di vedute politiche ma per questioni personali.
Comunque Cavour nei primi giorni rimase oppresso dal dolore nel vedere crollare tutto il suo intero edificio messo s�, mattone per mattone in dieci anni. Ma a distanza di quindici giorni dal dramma, rientrato nella calma, gi� si era pentito di aver perso il dominio di s� e di aver scavato un abisso tra di s�, il Re e l'Imperatore francese. Si era precluso il potere, e ora non poteva dominare n� imprimere agli avvenimenti l'impronta della sua volont�. Si era ritirato a Pallanza sul lago Maggiore, ma presto incominci� a rendere dura e difficile la vita ai due suoi sostituti. Inizi� aspre critiche private e pubbliche, creando intorno malcontento, come a voler costringere i due a cedergli il posto, o per mettere il Re nella necessit� di richiamarlo.
Eppure La Marmora era un uomo di Cavour, l'aveva spinto proprio lui ad accettare l'incarico per servirsene al momento opportuno contro il Re. Il Rattazzi invece, anche se intenzionato a non cedere alle sue intimidazioni, era comunque a disagio in un ministero prevalentemente formato da elementi cavouriani, e che non ascoltavano lui ma il "loro capo" che... era fuori.
N� dobbiamo dimenticare che tutti i capi dei governi provvisori dell'Italia centrale (delusi come Cavour, che ora in base all'accordo di Villafranca dovevano sciogliersi) erano anch'essi uomini di Cavour, e si rivolgevano sempre e solo a lui e non agli uomini di governo. Anzi a quest'ultimi lanciavano le accuse di essere stati deboli, di aver abbandonato la lotta per l'unit�, di averli traditi e con loro insieme a tutti gli italiani. Paradossalmente dentro i cavouriani ricompariva l'influsso mazziniano, sfruttandolo a proprio favore. La guerra era finita com'era finita con l'Austria, ma il risorgimento politico e morale delle popolazioni non era finito, n� era stata nemmeno risolta con un indirizzo pi� democratico (pi� liberale) la politica interna. Bisognava riprendere la lotta per l'unit� d'Italia, e per praticarla invocavano il ritorno al potere del loro capo: Cavour, unico uomo a esserne capace.
E Cavour sapendo di avere tanti alleati, inizi� ad attaccare, cercando di far mutare rotta al governo, che stava andando con i rattazziani a Sinistra, accusando perfino lo stesso La Marmora di intrigare con loro.
II Re non stava meglio, oltre a dover buttare acqua sul fuoco delle polemiche e maldicenze, aveva il complesso compito di mettere in atto le condizioni dell'armistizio su quei Ducati e quelle Legazioni i cui "ribelli" avevano aderito al Piemonte con tante speranze, ma che ora dovevano in base all'Armistizio -lo stabiliva esplicitamente- sciogliersi e far ritornare i sovrani al loro posto. Le delegazioni dei vari governi provvisori volevano tutti scendere a Torino per esprimere il loro voto, ma Parigi insisteva per far ritornare i Principi cacciati.
Dare ragione ai primi era pericoloso, i francesi avevano le truppe ancora a Milano; il Re non poteva accettare e lo disse anche: "I Toscani (con Leopoldo esule proprio a Vienna) rendino pure palese il voto al mondo, ma io non posso accettare di fatto la loro decisione di annettersi al Piemonte". (insomma dava un colpo al cerchio e uno alla botte)
Ma dare ragione solo a Parigi (e a Vienna), c'era il rischio di far ritornare le insurrezioni, di favorire le organizzazioni autonome, Mazzini non aspettava che questo. Un bel pasticcio! - "La cosa sta nell'avvenire" concluse il Re molto guardingo davanti alle delegazioni; ma non bastava! N� bastava il suo vago "assicuro il mio sostegno presso le potenze europee".
Vienna inizi� a protestare, convinta che dietro tanta ambiguit� c'era l'appoggio di Napoleone III, che dovette subito affrettarsi a smentire quelle frasi piuttosto ambigue del Re. Ma anche lo stesso Vittorio Emanuele dovette affrettarsi a chiarire il suo pensiero con i rappresentanti dei principi di Modena e Parma, con Pio IX e con l'Austria riguardo a Leopoldo, che nel frattempo ha abdicato a favore del figlio Ferdinando e ha tutte le intenzioni di rimetterlo sul trono della Toscana, con la Francia subito a rassicurare i toscani che il nuovo sovrano avrebbe concesso una costituzione e il tricolore.
7 AGOSTO - All'Assemblea Toscana, quello che si temeva accadde. Si svolgono le elezioni. Vi partecipano 35.240 elettori. Sono eletti 170 deputati e la maggioranza � composta da elementi della Societ� Nazionale Italiana (sabaudi moderati, democratici, dissidenti mazziniani - iniziativa nata nel '56, costituita nel '57; a reggerne le file Cavour (alcuni storici affermano secondo le direttive inglesi), guidata da La Farina, in accordo con il veneto Manin).
Imbarazzante per il Re visto che il giorno dopo a Zurigo si apriva la definitiva conferenza di pace dopo Villafranca. ( Il 20 agosto l'assemblea toscana costituitasi, ignorando platealmente i trattati ratificati, dichiarer� decaduta la dinastia di Leopoldo, approver� l'unione al Piemonte e chieder� protezione a Napoleone III, all'uomo proprio sbagliato; e all'Inghilterra che invece era molto interessata a fare dell'Italia una nazione unita. - Lo leggeremo pi� avanti.
8 AGOSTO - A Zurigo, si apre la conferenza. L'Austria aveva posto il veto alla partecipazione del Regno di Sardegna, ma Napoleone III riesce a far ammettere anche i plenipotenziari del regno sabaudo. Che sono pesci fuori acqua. Non possono decidere nulla, e nulla ribattere. Sul tavolo restava ben in evidenza quello che aveva firmato Vittorio Emanuele a Villafranca.
Nello stesso giorno, conosciuti i risultati in Toscana, clandestinamente rientra in Italia GIUSEPPE MAZZINI, e scende a Firenze per ristabilire collegamenti con i suoi seguaci per organizzare un'azione insurrezionale in Italia centrale e meridionale. Il Re questo temeva e questo si verifica.
14 AGOSTO - Quanto accaduto in Toscana si ripete a Modena poi Parma. A organizzare un plebiscito � sempre il governo provvisorio piemontese (ufficialmente decaduto). Il risultato � schiacciante 63.167 voti a favore dell'annessione al Piemonte, contro 504. Si forma un'assemblea di cittadini. Con una mozione dichiarano decaduta la dinastia borbonica e l'annessione al Regno di Sardegna e portano il 3 settembre la lieta novella a Torino. Vittorio Emanuele da una parte � felice, ma dall'altra � molto preoccupato: se accetta, le reazioni di Parigi e di Vienna non si faranno attendere
Ma non � finita! Dopo tre giorni....il...
6 SETTEMBRE - Anche Bologna si forma un'assemblea, dichiara decaduto il dominio dello Stato Pontificio, e parlando a nome del popolo l'assemblea esprime il desiderio di annettere la citt� al Regno sabaudo piemontese. Tutte le altre citt� della Romagna ma anche delle Marche guardano con ansia gli sviluppi per poi decidere similmente.
9 SETTEMBRE - Dopo questi eventi, votazioni, mozioni, desideri a catena di annettersi al Piemonte, Napoleone III � costretto a farsi sentire (altro che protezione alla Toscana "ribelle"!). Insiste sulla restaurazione dei sovrani cacciati. A Villafranca si era stati chiari; "reintegrarli senza dover ricorrere all'appoggio militare". Ma se i Savoia accettano questi voti, e queste annessioni l'Austria non si sente pi� vincolata agli impegni stipulati a Villafranca e user� la forza. Insomma Napoleone non minaccia ma paventa una minaccia austriaca.
Del resto anche lo stesso Napoleone III � in difficolt� in Francia, perch� non ha ancora ottenuto l'annessione di Nizza e della Savoia prevista dagli accordi e quindi non pu� ancora giustificare di fronte all'opinione pubblica francese la partecipazione al conflitto in Italia, non avendo la Francia ottenuto finora alcun vantaggio; mentre i Savoia stanno facendo man bassa di consensi e di territori. Non era questo pericoloso per la stessa Francia? si chiesero molti francesi.
In effetti Rattazzi e il Re, indugiavano a rispettare i patti con una teoria singolare; a Plombieres si era s� parlato di Nizza e Savoia, ma se si arrivava vittoriosi fino a Venezia e non a Peschiera. Quindi Nizza e la Savoia valevano il Veneto perso. (Ma sembra che a suggerire tutto questo fu Londra; Hudson, sulla stessa lunghezza d'onda cavouriana)
20 SETTEMBRE - La permanenza di Mazzini a Firenze � ormai segnalata; non pu� certo partecipare alla intensa vita pubblica; corre il rischio di essere arrestato. Abbandona quindi la citt� per rifugiarsi in Svizzera, a Lugano. Qui prepara una lettera per Vittorio Emanuele. Il 3 la fa pubblicare su il Diritto del 3 ottobre
( di cui riportiamo i brani nel link a inizio anno).
Un Mazzini che accetta la monarchia sabauda, imbastendo un panegirico al Re. Sconcerta tutti i repubblicani, mazziniani e no.
24 SETTEMBRE - Quanto accaduto a Bologna, accade anche nelle altre citt� della Romagna. Anche queste con una delegazione vogliono presentare al Re i voti della popolazione per l'annessione al Piemonte palesando il rifiuto dei governi dello Stato Pontificio. Per evitare incidenti diplomatici a Torino, Vittorio Emanuele informato della missione delle delegazioni preferisce riceverli nella Villa reale di Monza, per non dare un tono di ufficialit� all'incontro. Ma non cambia l'atteggiamento prudente assunto con i Toscani -che � poi quello della incertezza- e ricorda loro che le potenze europee pur cercando delle soluzioni gli rammentano continuamente che ci sono delle formali obbligazioni che lui ha contratto a Villafranca, e ratificate a Zurigo con Austria e Francia e che si devono rispettare.
4 OTTOBRE - Tra le obbligazioni stipulate a Zurigo ce ne sono alcune segrete, fatte tra Francia e Austria; e tra queste l'unione matrimoniale della figlia del duca di Modena con l'erede del ducato di Parma; Parma stessa andrebbe cos� al Piemonte se i Sabaudi respingono le regioni che hanno chiesto l'annessione; poi il ritorno dei Lorena in Toscana; infine il Veneto inserirlo nella nuova confederazione italiana con una istituzione rappresentativa ma sempre austriaca.
10 OTTOBRE - Si conclude la conferenza di pace a Zurigo. Per quanto riguarda l'Italia la Lombardia � annessa (giuridicamente, finanziariamente, e amministrativamente) al Piemonte. I Sabaudi si impegnano a creare una confederazione degli Stati Italiani e a non intralciare il ritorno dei sovrani spodestati. Mentre per le citt� "ribelli" dello Stato Pontificio si sollecita un ritorno alla restaurazione e si invita il Papa a concedere alle stesse alcune riforme. Viene ribadito insomma punto per punto il contenuto di Villafranca.
Il giorno prima riunitisi autonomamente le assemblee dei governi provvisori (di Parma, Modena, Bologna, Toscana) hanno deliberato in concerto di offrire le quattro regioni temporaneamente alla reggenza (per non mettere in imbarazzo il Re) del Principe Eugenio di Carignano (che da Carlo Alberto in poi � la nuova dinastia dei Savoia). A Napoleone III non � per nulla gradita questa trovata, ed invita il Re sabaudo di evitare questa mossa che sembra uno stratagemma (ignora che � invece caldeggiata dagli inglesi). Rispunta l'abilit� di Cavour che fa fare una dichiarazione a Eugenio, in cui dichiara che non pu� accettare questo onore per motivi di politica estera, e fa ottenere al conte Carlo BONCOMPAGNI la nomina provvisoria di governatore di queste province che andranno - come vuole Vienna- a formare la futura confederazione italiana. Insomma si temporeggia in attesa di qualche avvenimento o di provocarne alcuni.
Infatti i quattro neo-stati italiani hanno formato una lega militare chiamando al comando il generale FANTI, messo a disposizione dal governo di Torino. E Fanti cosa ha fatto? ha nominato suo comandante in seconda il generale Giuseppe Garibaldi, ora in rapporti cordialissimi con il Re dopo la guerra in Lombardia. A Milano, durante il trionfo, gli fece perfino una proposta di una spedizione nell'Italia centrale, che il Re non respinse anche se us� parole di dilazione "pi� tardi, quando possibile". Progettava il Re una invasione nelle Marche pontificie?
In Toscana (ora c'era Garibaldi incapace di stare fermo) e in Romagna i filo-sabaudi dovettero intuire queste mosse; si lamentarono che una eventuale invasione delle Marche guastava i loro piani. Messo alle strette, la mossa del Re fu molto abile: chiese al Fanti di dare le dimissioni e rientrare a Torino, e di "suggerire" a Garibaldi di fare la stessa cosa; e se non accettava di lasciargli ogni responsabilit�. Cos� Vittorio Emanuele si copriva togliendo ufficialmente "un" generale dall'esercito regolare sabaudo, e nello stesso tempo creava "un" capo rivoluzionario e gli permetteva di agire a suo rischio e pericolo senza avere lui nessuna responsabilit� se andava male, di coglierne i frutti se invece andava bene (sembra l'8 settembre 1943 di suo nipote - La non difesa di Roma. Il piede in due scarpe)
Tutto questo a Vienna e a Parigi non passa inosservato. Non solo, ma il Re con tanti sotterfugi manda suoi amici, ex amici di Cavour, a trovare il Conte che in esilio a Leri sembra guidare un governo ombra; si d� molto da fare, fa arrivare consigli e suggerimenti ai ministri per mostrare ch'essi non potevano fare senza di lui. Ora non gli dispiace l'atteggiamento risoluto (anche se ambiguo) del Re, e il Re ora lo sa, e sa anche che vorrebbe essere Cavour al potere per usare tutti gli artifici del suo fine ingegno e della sua conoscenza degli uomini e delle cose.
Inoltre chiede consiglio a Londra (invia Solaroli). Il ministro inglese Hudson, non solo gli manda a dire di "osare"; di non aver paura di Napoleone III; di rompere i legami con la Francia; di non aver timore di Pio IX ("Il regno d'Italia vale una scomunica" ricordarsi di Enrico IV "un royame vaut bien une messe"; le insistenze per richiamare Cavour al governo (era una garanzia il suo odio-rancore per Napoleone III), ed infine chiaro e tondo dissero al Re che l'Inghilterra non avrebbe accettato l'uso della forza di Francia e Austria per rimettere nei quattro stati i Principi spodestati, gli inglesi avrebbero difeso i diritti delle popolazioni che si erano espressi con un voto.
Quindi sollecitazioni perch� il Re osasse. Londra entra prepotentemente nella questione italiana. Volevano che sorgesse in Italia uno Stato capace di controbilanciare la Francia e l'Austria. Ma aveva anche un altro progetto l�Inghilterra: voleva unire l�Italia ma separare il Regno, per appropriarsi della Sicilia. L�isola, infatti, dopo l�occupazione francese dell�Algeria e la costituzione di una base navale ad Algeri, era diventata per gli Inglesi interessante per controbilanciare l�accresciuta potenza navale francese nel Mediterraneo. (L'appoggio che diedero a Garibaldi lo leggeremo il prossimo anno - Con un Cavour che per� fece fallire questo obiettivo. - Che non � il primo, e nemmeno l'ultimo nella storia siciliana)
13 NOVEMBRE - Il 23 ottobre al Parlamento di Torino si era approvata la nuova legge degli ordinamenti comunali e provinciali (LEGGE RATTAZZI) sul nuovo territorio che ora comprende la Lombardia. La centralizzazione su Torino dell'organizzazione amministrativa e quindi burocratica Sabauda � fortissima; e non � certamente gradita dai lombardi. Altra legge, sempre del ministro degli Interni Rattazzi � quella sulla magistratura. Una legge -che rimarr� in vita fino all'avvento del fascismo- limita fortemente l'autonomia, d'ora in avanti sotto il controllo disciplinare del ministro.
Infine il ministro della Pubblica Istruzione, il milanese conte Gabrio Casati, promulga la legge che costituisce...
l'atto di nascita della SCUOLA ITALIANA
Anche questa legge rimarr� in vigore fino all'avvento del fascismo, quando verr� perfezionata con la riforma Gentile.
Questa prima struttura dell'ordinamento scolastico comprende l'istruzione elementare (divisa in due gradi, inferiore con due anni (questa obbligatoria e gratuita) e superiore con altri due); l' istruzione tecnica (in due gradi di tre anni ciascuno); la secondaria classica e superiore (cinque anni di ginnasio e tre di liceo). All'universit� si accede dopo il liceo e comprende cinque facolt�: teologia, giurisprudenza, medicina, scienze fisiche e matematiche, lettere e filosofia. L'orientamento � tipicamente umanistico; scarso quello tecnico, del tutto trascurato l'istruzione professionale. Gli stessi maestri delle scuole elementari bastava che fossero muniti di un attestato di moralit� e una specie di patente di idoneit� per essere idonei a insegnare (nei piccoli paesi spesso era il sagrestano, o il "monitore" cio� uno che "aveva studiato")
Era gi� un passo nel miglioramento dell'istruzione della popolazione di due grandi regioni italiane, ma restava solo intenzionale, visti i molti difetti della struttura (una classe -normalmente un qualsiasi fatiscente locale- con 70 bambini), i limiti del funzionamento della didattica (lasciata alla discrezione del maestro) e le carenze delle risorse economiche del comune (il criterio della retribuzione dei maestri era anche questo piuttosto discrezionale)
Ogni Comune con almeno cinquanta bambini doveva (se poteva) aprire una scuola. Si istituiva la scuola dell'obbligo, ma si lasciava poi ai Comuni provvedere alle spese di gestione, lasciando ampia discrezione agli stessi, tagliando cos� fuori 9.000 paesi e frazioni che non avevano queste caratteristiche n� i soldi necessari. Il risultato: il 78% dei bambini in et� scolare non va a scuola, perch� l'obbligo � legato alle risorse del comune. Mentre in Germania-Austria alla stessa eta' gli scolarizzati sono il 97%. Le spese sono a carico dello Stato. Esiste l'obbligo della frequentazione e c'� perfino una sanzione per i genitori che non mandano a scuola i figli.
Pur affidata l'intera direzione della scuola a funzionari di nomina regia, sia la qualificazione degli insegnanti che la loro retribuzione era dunque lasciata all'improvvisazione e alla discrezione dei comuni. Nemmeno poi nell'86 con la nuova legge Coppino, la situazione migliorer�. Fisser� la frequenza scolastica obbligatoria fino a 9 anni, ma la sua applicazione non fu mai rigorosa. Coppini tenter� solo un'intesa con le valide ed efficienti scuole religiose che nel frattempo erano sorte numerose, ovviamente non certo con una morale laica positivistica, e nemmeno aperte alla frequenza del basso ceto, n� erano sorte di certo nei piccoli comuni. Del resto ancora nel '86 la nascente industria italiana e l'arcaica agricoltura per essere competitiva impiegava soprattutto questa manodopera minorile a basso costo. Infatti sempre nell'86 ci fu una feroce resistenza degli industriali quando l'11 febbraio fu approvata una legge contro il lavoro minorile.
C'era il divieto di impiegare fanciulli sotto i 9 anni (!) negli opifici, nelle cave e nelle miniere (!); o adibire al lavoro notturno quelli inferiori ai 12 anni. Ma la legge -molto ipocrita- escludeva le piccole industrie, l'artigianato, i lavori agricoli, il domicilio, dove proprio all'interno di questi settori i minori venivano impiegati in massa; settori che considerarono questa legge una inammissibile ingerenza dello Stato nei loro affari (Vedi 1886).
Abbiamo anche questa perla: La manodopera dell'industria, soprattutto tessile laniera del biellese e dintorni (dalla Statistica di V.Ellena) del 1876 � cos� fotografata: 382.131 addetti, di cui 188.486 donne, 90.083 fanciulli (dai 6-11 anni), mentre in quella serica milanese-comasca e dintorni 200.393 operai di cui 184.701 donne con 110.900 fanciulli. (60.000 hanno meno di 12 anni, 25.000 sotto i 9 anni, e ben 5.000 hanno solo 6 anni, che lavorano negli opifici 12 ore al giorno. La paga al giorno corrisponde al costo di 1,2 kg di pane).
Nel 1896, l'annoso problema SCUOLA fu ancora affrontato dal ministro della p.i. BACCELLI con programmi che riportano indietro tutta la scuola al medioevo. Si ritorna a questa positivistica formula; "bisogna insegnare solo leggere e scrivere, bisogna istruire il popolo quanto basta, insegnare la storia con una sana impostazione nazionalistica, e ridurre tutte le scienze sotto una.........unica materia di "nozioni varie", senza nessuna precisa indicazione programmatica o di testi, lasciando spazio all'iniziativa del maestro e rivalutando il pi� nobile e antico insegnamento, quello dell' educazione domestica; e mettere da parte infine l'antidogmatismo, l'educazione al dubbio e alla critica, insomma far solo leggere e scrivere". Non devono pensare altrimenti sono guai!" 1896!! Mancano quattro anni al XX secolo!
Benito Mussolini, fu molto sensibile a questo problema. Dopo la Marcia su Roma, appena preso possesso dei vari ministeri, la "Prima Legge" messa all'ordine del giorno e subito votata fu la Riforma Gentile sulla scuola (pronta da 30 anni ma mai approvata) forse una delle pi� importanti e tempestive decisioni prese da Mussolini, che in pochi anni, diamone atto, cambia e alfabetizza il Paese. In buona parte elimina lo sfruttamento del lavoro minorile. Quello soprattutto dei fanciulli, obbligando le famiglie a iscriverli nelle scuole.
Severit� nella frequenza: con precisi programmi in tutti i gradi d'istruzione (un'ossatura che poi si mantenne anche dopo il fascismo).
22 DICEMBRE - A ingarbugliare la matassa delle varie idee del Re, di Cavour, dei governanti provvisori, e le precarie assemblee rappresentative nei vari stati "ribelli" ci pens� ancora una volta Napoleone III. Esce a Parigi un opuscolo di un barone, ma il contenuto � ispirato dall'imperatore, di certo scritto sotto la sua direzione. Le Pape et le Congr�s � la traccia di una nuova politica francese. Ribalta tutta quella fino ad ora perseguita. Si schiera con il Papa, ritiene utile abbandonare il potere temporale; sufficiente conservare Roma, il resto doveva essere trasformato dal Congresso per il bene dell'Italia, dell'Europa, della Chiesa. La cui sovranit� temporale � necessaria, e tanto pi� efficace quanto pi� piccolo lo Stato territoriale su cui si esercita tale sovranit�. Sembra un chiaro invito allo Stato Pontificio a non desistere dai suoi domini in mano ai "ribelli" o a quelli che hanno intenzione di emularli.
Vittorio Emanuele cos� si convinse che (lasciando libero Garibaldi di invadere le Marche) stava per combinare un bel pasticcio. Una reazione di Napoleone in difesa del papa ora non era pi� un dubbio del Re, ma apparve come una certezza. Non dimentichiamo che le truppe francesi erano ancora dislocate in Lombardia.
Il Re richiama a Torino Garibaldi e lo convince a desistere da una invasione delle Marche, a dare le dimissioni, e andarsene lontano. Garibaldi fece qualche resistenza ma alla fine cedette quando il Re gli lasci� intravedere altre possibilit� per l'unit� d'Italia assai pi� sicure e efficaci che non le Marche. Alludeva a Napoli, e alla Sicilia?. A Londra questo volevano!
Garibaldi comunque prima di partire per Nizza, lanci� il 24 dicembre all'Universit� di Pavia un proclama di commiato molto pesante contro la Chiesa, un altro all'Italia Centrale, ed infine da Nizza pubblica un manifesto invitando gli italiani ad armarsi con un milione di fucili (i tre proclami tutti insieme nel link a inizio anno).
La sintesi era comunque questa "Italiani, io vengo a chiamarvi sotto il vessillo unificato del Re; la concordia dei fratelli cessi di essere un desiderio e diventi un fatto compiuto".
23 DICEMBRE - Il Re e il Dabormida, cos� Rattazzi e La Marmora non erano deboli, ma di fronte a tali grosse difficolt� per togliersi dai pasticci fecero di tutto. Ai primi due ora veniva comodo avere accanto l'abile e spregiudicato Cavour (e lo volevano gli inglesi), mentre gli altri due -presi da mille dubbi- di fronte a cos� grosse difficolt�, ora incominciavano a desiderare di rovesciare sulle spalle dell'ambizioso Conte tutto il peso delle responsabilit�.
Vittorio Emanuele si convinse che non c'era altro da fare, bisognava mettere da parte tutta l'antipatia che aveva per quell'arrogante uomo ("che sa tutto e vuol far tutto lui") e richiamarlo al governo.
L'incontro avvenne l'antivigilia di Natale; il Re lo ricevette e gli fece una accoglienza signorile, cordiale; non si erano mai pi� visti n� pi� sentiti da quel famoso terribile giorno a Monzanbano. Erano passati sei mesi. Riprendere i rapporti non fu facile. Cavour si atteggi� a vittima; disse che aveva nemici in Parlamento che l'odiavano; che la contessa Mirafiori (la Bella Rosina) era piena di rancore nei suoi confronti; che le maldicenza sui giornali erano senza limiti. Si lament� di tutto questo, dimenticando che lui aveva cominciato gli attacchi, compresi quelli personali deplorevoli fatti proprio al Re medesimo.
Comunque dopo il colloquio Cavour scrisse al Farini dicendo di "aver fatto il maggiore sacrificio che un uomo pubblico possa fare per il suo paese, sopportando in silenzio tutte le ingiurie, accettando di rientrare in un governo che non sa ispirare n� stima n� fiducia". Cavour non ne nutre nessuna per i suoi colleghi. Del resto era l'unico uomo di stato - a quei tempi- che possedesse una mentalit� europea, ed � dal 1852 che lavora al suo "capolavoro", che � poi quello di attirare gli sguardi dei "grandi" europei sull'Italia.
28 DICEMBRE - Ma di Cavour e dell'intero Parlamento, a non aver fiducia � Garibaldi che da Milano scende a Torino per incontrarsi con il Re; era stanco dei temporeggiamenti del Rattazzi che gli aveva promesso mare e monti, come quella di organizzare le guardie in Lombardia. Propose al Re senza mezzi termini di sciogliere il Parlamento, di sospendere i principi costituzionali, eliminare le varie tendenze politiche e di proclamarsi Dittatore della Nazione; lui era pronto a marciare al suo fianco fino alla liberazione dell'Italia e di Roma, lo avrebbe aiutato con i suoi uomini nella santa missione: "noi compiremo l'Italia".
Il Re non poteva accettare una svolta del genere. Liquidare il Parlamento poteva far nascere una forte tendenza rivoluzionaria democratica, che avrebbe potuto in ogni momento sfociare nel mazzinianesimo pi� puro.
Ma rivoluzionario (ex mazziniano) Garibaldi lo era, quindi lasciarlo solo era molto pericoloso, quindi era estremamente necessario tenerlo a bada cercando di utilizzarlo; e non ci volle molto per ottenere questa collaborazione. Il momento era del resto venuto -sollecitato da Londra- ed era quello di fare una spedizione rivoluzionaria in Sicilia. Rattazzi informato ader� all'idea e promise al generale Garibaldi un migliaio di fucili. Crispi (siciliano, che dall'esilio reggeva i fili del malcontento antiborbonico degli isolani e provvedeva a tener viva la ribellione) nello stesso giorno scrisse ad un amico a Palermo: "si stanno prendendo le misure necessarie, Rattazzi provvede ai fucili e alle navi". (che voleva dire "stiamo arrivando, datti da fare").
Crispi temeva che Napoleone pensasse al Mezzogiorno con nostalgie di restaurazioni murattiane; l'idea torinese di far scattare Garibaldi gli sembrava una buona occasione.
Insomma sembr� per un attimo che a Torino Re, Garibaldi e Parlamento si erano tutti legati per fare la rivoluzione nel Sud. Ma non avevano fatto i conti con Cavour; il Conte vedendo un grosso pericolo nell'azione cerc� di mandare tutto all'aria.
Se c'era qualcosa da fare, questo non doveva di certo essere fatto n� dal Re, n� da Rattazzi, n� dal loro strumento Garibaldi; la via rivoluzionaria era pericolosa. E riusc� cos� bene a intrigare che al Re arrivarono molte minacce diplomatiche, con il governo di Londra in prima fila (che aveva tutto l'interesse a non unire la Sicilia all'Italia).
Risultato: a) Il Re di fronte ai veti richiam� Garibaldi invitandolo ufficialmente (!) ad abbandonare i suoi progetti; b) Napoleone III che aveva promosso il Congresso a Parigi per risolvere a questione della Savoia e Nizza si accorse ora che era controproducente farlo, temeva ora che con l'Italia si sarebbe schierata l'Inghilterra e si affrett� a farlo fallire il Congresso; c) Garibaldi in fretta e furia sciolse (ufficialmente(!) ) la Nazione Armata; d) In Parlamento gi� c'era aria di numerose dimissioni, con lo spaventato La Marmora in testa.
"L'intrigo cavouriano per combattere l'intrigo rattazziano-sabaudo-garibaldino era riuscito in pieno. D'Azeglio comment� lapidariamente "L'ignobile commedia di Garibaldi, Rattazzi e Compagni (il Re) � finita sotto i fischi di Gianduia e le proteste della diplomazia" (Francesco Cognasso, Vittorio Emanuele II, Utet, To 1942, pag. 185).
Parole che non sfuggirono a Cavour. L'antipatia tra i due era di vecchia data ed era rimasta, ma il Conte fu molto abile, and� a chiedere proprio a D'Azeglio di aiutarlo a scalzare Rattazzi (che anche lo scrittore odiava). Lusingato che Cavour dovesse ricorrere proprio a lui, D'Azeglio fu lieto di dargli tutto il suo appoggio per risalire al potere.
Guerra civile, rivoluzione, o guerra all'Austria, all'inizio del nuovo anno 1860 l''Italia pu� scegliere;
uno dei tre accadimenti � alle porte.
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*** In Pennsylvenia c'� il primo potenziale pozzo di olio, che viene fuori dalle pietre (appunto per questo sar� chiamato petr-olio).
A saggiare il terreno con grande intuizione � un bigliettaio di una diligenza-postale, che ha fatto un buon affare con un insofferente scavatore di salgemma che si lamentava sempre con lui di avere gli antri che scavava, sempre sporchi da una melma oleosa e puzzolente, che gli impediva di raccogliere quello che lui cercava; il bianco sale. Quindi voleva vendere il podere e la sua "piccola" ma inutile miniera di sale.
Incaric� il bigliettaio che incontrava molte persone, di cercagli un acquirente. Ma dopo una visita al terreno, il bigliettaio-postino, ha deciso di acquistarlo lui il podere con lo "sporco" e "puzzolente" terreno. Dopo un attento sondaggio gli � venuta una grande idea.(vedi poi il 1862 per la seconda parte della storia di questo singolare acquisto)