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( QUI TUTTI I RIASSUNTI )  RIASSUNTO ANNI  1796

"PIANO DELLA CAMPAGNA D'ITALIA"
TRACCIATO DAL DIRETTORIO


con l'affidamento dell'Armata d'Italia a Napoleone Bonaparte

 

Il "Piano" e le istruzioni per l'invasione dell'Italia, sembra sia stato concepito da Carnot. Molti storici attribuiscono a lui la paternità del "Piano", ma altri con più forte ragione (che spieghiamo sotto) ritengono invece che tale "Piano" sia stato ricalcato su di un precedente progetto consegnato proprio dal generale Bonaparte al Direttorio pochi mesi prima nel gennaio del 1796. E sia il progetto come i particolari del "Piano", testimoniavano una sicura conoscenza dei luoghi e delle situazioni che non potevano essere possedute che da un generale il quale avesse già combattuto in Italia.
E guarda caso, nell'indicare il generale che doveva condurre la campagna in Italia, fu scelto proprio Napoleone.
Stendhal nella "Vita di Napoleone - pag. 13 - afferma: "Nel 1794 (!) Napoleone Bonaparte era capo di battaglione e comandante l'artiglieria dell'Armata d'Italia. In tale qualità compì l'assedio di Oneglia. In quella circostanza propose al generale in capo Dumerbion un piano per l'invasione d'Italia".

E il "Piano della Campagna d'Italia tracciato dal Direttorio", e le "istruzioni per il generale in Capo", che Carnot presentò al Direttorio nel marzo 1796, era dunque lo stesso; Napoleone infatti, lo aveva ripresentato a gennaio.
Che il piano fosse affidato ed eseguito dal suo ideatore, il destino c'entrava poco; fu affidato ed eseguito a chi lo aveva concepito.
Certo non immaginavano che il giovane generale Corso, pur con quell'idea geniale, andasse così lontano.

L'esercito d'Italia aveva il suo quartier generale a Nizza e si stendeva lungo il litorale da Nizza a Savona, costeggiando il mare ed occupando lo stretto spazio tra le cime dell'Appennino e la riva del Mediterraneo. Era una buona posizione difensiva, ma non offriva punto d'appoggio per una eventuale offensiva. Il paese era estremamente estenuato dalla lunga permanenza dei soldati francesi e dalle precedenti guerre combattute (Saorgio 1794, Loano 1795).
Da quella situazione bisognava uscire ad ogni costo, sotto pena di morire di consunzione. Bisognava o avanzare o indietreggiare. Il comandante in capo Bartolomeo Scherer (1747-1804) propendeva per l'indietreggiamento fin sulla Roia, a Ventimiglia. Il Direttorio invece nutriva nei riguardi dell'Italia i più vasti progetti, su pensieri suggeritigli dal giovane generale Bonaparte, che oltre aver combattuto con Scherer le due guerre in Liguria, ne aveva anche analizzate le prospettive. Non solo, ma quasi presagendo che lui avrebbe guidato l'armata in Italia, aveva studiato molto bene il territorio anche all'interno della fascia litoranea che occupavano. Ma oltre a questa aveva studiato l'intera pianura Padana e il resto d'Italia. E non solo la parte geografica ma soprattutto quella storica: dalla Repubblica Romana all'Impero, dal Feudalesimo ai Comuni, dalle Signorie agli Stati Nazionali.

Secondo Napoleone, bisognava riportare una nuova vittoria, non essendosi approfittato di quella precedente riportata a Loano; decidere il re di Sardegna alla pace o spogliarlo dei suoi Stati; varcare in seguito il Po e togliere all'Austria la più bella gemma della sua corona: la Lombardia. Là era il teatro delle operazioni decisive; là si dovevano infliggere i colpi più duri all'Austria, costringerla alla pace, e forse "rendere libera la bella Italia".

Napoleone dunque più che presentare un progetto tipicamente militare, con cognizioni di causa, presentò come si è visto, un progetto politico, anzi geopolitico. Esattamente l'opposto di ciò che voleva fare Scherer, pur avendo questi un esperienza di comando che era pari all'età del piccolo Corso.
In conclusione, fu richiamato Scherer e venne affidato il comando dell'esercito d'Italia al generale Napoleone Bonaparte, che aveva impressionato non poco Carnot.
Ma anche il Direttorio meditava vasti disegni. Voleva con la primavera, finire la guerra in Vandea e prendere in seguito l'offensiva su tutti i punti. Il suo scopo era di portare l'esercito del Reno in Germania, per bloccare ed assalire Magonza, compiere la sottomissione dei principi dell'impero, isolare l'Austria, trasportare il teatro della guerra nel seno degli stati ereditari e far vivere le sue truppe alle spese del nemico nelle ricche vallate del Reno e del Nekar.
E se Carnot aveva simpatia per Napoleone, i progetti che questi presentava, collimavano perfettamente con quelli del Direttorio. E questo diede le istruzioni militari necessarie al generale Bonaparte. Che come leggeremo erano non solo militari ma anche politiche, infatti nelle istruzioni vi è inserito un vero e proprio non indifferente progetto politico. Certo che -lo abbiamo già detto- pur avendo grande fiducia nel piccolo Corso, non pensavano che questi in pochi mesi avrebbe distrutto non solo quattro eserciti imperiali, e che sarebbe arrivato alle porte di Vienna.


Istruzioni per il Generale in Capo dell'Esercito d'Italia, Napoleone Bonaparte
La Repubblica Francese ha due nemici principali da combattere dalla parte dell'Italia: i Piemontesi e gli Austriaci. Questi ultimi, quantunque meno numerosi, sono temibili per il loro odio contro la Francia, per le loro risorse di tutti i generi, infinitamente più grandi, per i loro più intimi vincoli con i nostri nemici naturali, gli Inglesi, e soprattutto per l'imperio che i loro possedimenti permettono in Italia di esercitare sopra la Corte di Torino, la quale si trova obbligata a piegarsi a tutte le loro domande ed a tutti i loro capricci. Risulta da questo stato di cose che l'interesse più immediato del governo francese deve esser quello di dirigere i suoi principali sforzi contro l'esercito ed i possedimenti austriaci d'Italia.
Effettivamente è facile arguire che ogni movimento militare contro i piemontesi, e sul loro territorio, riesce in ogni modo
indifferente per gli Austriaci, i quali, come si é constatato nella campagna precedente, sembrano inquietarsi assai poco dei disastri dei loro alleati e, nel momento del pericolo, lungi dal cercare di proteggerli efficacemente, se ne separano senza indugio e non si preoccupano che di difendere il territorio che loro appartiene e che somministra loro abbondantemente le risorse di cui abbisognano.
Per quanto grandi siano stati sin qui i nostri successi in Italia, noi non ci troviamo ancora così forti per liberare il Piemonte dal giogo che gli é imposto dall'esercito austriaco, sempre rimasto padrone delle sue sorti, grazie alle posizioni che ha occupate.
Considerando i veri interessi della Corte di Torino, gli stessi si trovano in qualunque modo legati ai nostri e non c'è dubbio sul desiderio che deve avere questa Corte di veder espulso l'Austriaco fuori d'Italia e di ottenere il Milanese in risarcimento dei paesi irrevocabilmente uniti alla Francia, in virtù del primo articolo della costituzione repubblicana.
Questa congettura, di cui la verosimiglianza non ha bisogno di esser confortata da ragionamenti che il soggetto di per sé stesso suggerisce, sembra far nascere la questione seguente:
Perché, essendo interesse dei Piemontesi di unirsi ai Francesi per cacciare i Tedeschi dall'Italia, la Corte di Torino non si dà premura di unire le sue armi a quelle della Repubblica per arrivare il più prontamente possibile a tale scopo, insieme profittevole e glorioso?
La soluzione di tale quesito deve contribuire ad illuminare la nostra posizione politica nei confronti dell'Italia e suggerirci il cammino migliore da seguire per vincervi i nostri nemici e più particolarmente i satelliti dell'Austria.
Situato tra i paesi soggetti a quest'ultima e la Repubblica francese, il Piemonte é costretto a rappresentare la sua parte nella guerra attuale e, se volesse restare in uno stato di neutralità, soffrirebbe tutti i mali della guerra senza poter godere di una prerogativa preziosa per uno stato non molto forte in confronto ai suoi vicini: vale a dire del rispetto che le truppe ch'egli può unire a quelle di una delle due parti belligeranti, e il pericolo di una defezione da parte loro, per passare dalla parte nemica, gli assicurano necessariamente: ciò che gli garantisce che subirà le minori possibili vessazioni, almeno dalla potenza con la quale si allea.

Senza respingere l'idea che il re di Sardegna ha potuto essere trascinato da considerazioni di famiglia nella coalizione contro la
Francia, è giusto ammettere che la nostra posizione all'inizio della guerra attuale, e la necessità nella quale ci trovammo di impadronirci della Savoia e della contea di Nizza, tanto per attaccar gli Austriaci con maggior vantaggio, quanto per riunirle alla Francia a garanzia della sua frontiera da questa parte; hanno in qualche modo obbligato la Corte di Torino ad abbracciare il partito dei nostri nemici per opporsi ai nostri sforzi; ma, dopo i nostri successi di frimaio, (il 23 novembre 1795, quando a Loano fu vinta dai generali francesi la battaglia sull'esercito Austro-Piemontese comandato dal generale Dewind - Ndr.) la speranza di un risarcimento da conseguire sui possedimenti austriaci in Italia, riunendosi a noi, avrebbe certamente fatto mutar avviso alla Corte di Torino, se la Francia, appena uscita dagli uragani della rivoluzione, avesse potuto offrirle quei sussidi che l'Inghilterra e l'Austria le assicurano.

È certo che la Francia non accorderà una pace che collocherebbe il Piemonte in uno stato di neutralità, il quale, nell'ipotesi di un successo degli Austriaci, diventerebbe evidentemente nullo e forse pericoloso per la repubblica: il re di Sardegna obbligato a continuare la guerra ha dovuto assicurarsi i mezzi di farla con la minor spesa possibile, e non è riuscito a trovarli che nei sussidi e soccorsi di ogni sorta che i suoi attuali alleati potevano, soli, procurargli. Il Piemonte, schiacciato sotto il peso delle imposte, non ha avuto la possibilità di agire in modo diverso e più coerentemente alle sue mire sul Milanese, di quello che è naturale supporgli, e si deve concludere da questo stato di cose che la corte di Torino non consentirà sinceramente ad un'alleanza difensiva ed offensiva con noi, se non quando noi potremo darle gli stessi soccorsi ch'essa riceve dai suoi attuali alleati.
La repubblica non essendo nella possibilità di somministrare tali aiuti, non deve fare assegnamento su di un'alleanza di questo genere se non allorquando il Piemonte si troverà costretto, per la sconfitta degli Austriaci o per la presenza delle nostre truppe sul suo territorio, a rivolgere le sue armi contro i nostri comuni nemici.
Se le circostanze favorissero questo felice avvenimento, ci si deve aspettare che i Piemontesi, parimenti raggiungendo lo scopo dei loro desideri ed un ragguardevole risarcimento (il Milanese, ecc.), l'accetterebbero, in considerazione di tutti i sacrifici che uno stato, già esausto, dovrebbe ancora sostenere; poiché essi dovrebbero non solamente provvedere il loro esercito di tutto quanto
avrà bisogno, ma gli eserciti stessi della repubblica dovrebbero essere principalmente alimentati e sostenuti da essi; e se ci trovassimo nella necessità di agire in Piemonte come in paese di conquista, noi vi faremmo, é vero, il minor male possibile, ma ne faremmo assai, perché ci sarebbe indispensabile assicurare la nostra marcia mediante il possesso provvisorio, fino alla pace, delle principali piazzeforti del Piemonte, situate al nostro fianco,
di cui la demolizione ci garantisse per l'avvenire una pace ed un'alleanza solida con la corte di Sardegna.

Da quanto detto risulta che il solo attacco al Piemonte non basterebbe allo scopo che il Direttorio Esecutivo deve proporsi: quello di cacciare gli Austriaci dall'Italia e di avere una pace gloriosa e durevole. Lungi dal finire la guerra, la prolungherebbe, poiché gli Austriaci, restando intatti, non avrebbero ragione alcuna di finirla e potendo l'Inghilterra rimettere sempre sussidi all'esercito piemontese, le cose rimarrebbero press'a poco sul medesimo piede sul quale si trovavano nell'ultima campagna.
L'attacco continuato ed unico al Piemonte offre altresì ostacoli superiori per il numero degli assedi che necessiterebbe di porre fin dall'inizio della campagna; ed il Direttorio ha dovuto fissare particolarmente le sue mire su di un sistema di guerra offensivo, principalmente diretto contro le forze austriache d'Italia e talmente combinato da presentare in una volta, all'esercito francese d'Italia, la possibilità di collocarsi, per la disfatta dei Piemontesi all'inizio delle operazioni militari, al sicuro di ogni ostilità dei medesimi per tutto il resto della campagna; e quella di ridurre la Corte di Torino ad una alleanza coatta con la Francia, ed infine il mezzo di accelerare la conclusione di una pace vantaggiosa per la Repubblica dopo la totale sconfitta degli Austriaci in Italia.

Le prime operazioni militari che questo sistema impone si trovano chiuse in un circolo stretto ed esigono poco sviluppo. Il Direttorio deve limitarsi ad indicarle, ed i dettagli di esecuzione apparterranno al generale in capo nel quale ripone la sua fiducia. Essi saranno sottoposti al Direttorio, quando il tempo e le circostanze permetteranno di farlo e nei casi straordinari nei quali il suo avviso diventerà assolutamente necessario per determinare movimenti militari di maggior importanza ed imprevedibili. Tutto ci comanda di cercare, con tutti i mezzi che sono in nostro potere, di far ripassare il Po ai nemici e di puntare i nostri più grandi sforzi nella direzione del Milanese. Questa operazione essenziale ci
sembra non possa aver luogo senza che, al principio, l'esercito francese si impadronisca di Ceva.
Il Direttorio lascia ai generale in capo la libertà di incominciare le operazioni con l'attacco dei nemici su questo punto e, sia che ottenga su di essi una vittoria completa, sia ch'essi si ritirino verso Torino, il Direttorio l'autorizza ad inseguirli, a combatterli nuovamente, ed anche a bombardare questa capitale se le circostanze lo rendessero necessario.

Dopo esserci fatti padroni di Ceva ed aver avvicinato la sinistra dell'esercito d'Italia a Cuneo, allo scopo di minacciare e contenere la guarnigione di questa piazzaforte, il generale in capo provvederà, il più presto possibile, ai bisogni dell'esercito col mezzo delle risorse offertegli dal Piemonte; dirigerà in seguito i suoi sforzi verso il Milanese e principalmente contro gli Austriaci; rigetterà i nemici al di là del Po, si occuperà dei mezzi per passare questo fiume e procurerà di assicurarsi con le piazze di Asti e di Valenza.
Il generale in capo non deve perder di vista che é agli Austriaci che importa di nuocere principalmente, e che una delle misure capaci di determinare l'Austria alla pace é quella di intimidirla, avanzando il più possibile sulla diritta e verso Tortona, di cui la cattiva situazione fa credere al Direttorio che ci sarà facile impadronirsene.
Siffatto movimento essenziale delle truppe verso la nostra destra, che il generale in capo non potrà probabilmente compiere se non dopo aver preso Ceva e riportato una clamorosa vittoria sui Piemontesi, ci metterà nella condizione di poter imporre la nostra volontà alla Repubblica genovese e faciliterà all'Agente francese, che il governo tiene in Genova, delle negoziazioni vantaggiose ed anche un prestito che i particolari genovesi potrebbero farci.
Più ricchi del loro governo, ci si deve aspettare che essi non consentiranno a fornircelo se non quando il governo stesso si farà garante presso di essi della nostra fedeltà ad adempiere le condizioni del prestito che le favorevoli circostanze della guerra potranno metterci in grado di esigere. L'entrata dell'esercito repubblicano in Piemonte non deve esser considerata che come una disposizione preliminare che ci metta in condizione di attaccare le forze austriache con maggior vantaggio; esso deve fermarsi qui il meno possibile ed avanzare in seguito speditamente per combattere queste ultime, che la disfatta dei Piemontesi non avrà potuto che intimidire e rendere più facilmente vincibili.
Insieme ai movimenti che la destra francese dovrà fare verso Alessandria e Tortona, diventerà necessario, per assicurare il seguito delle operazioni ch'essa si impossessi di Gavi, sia che i Genovesi si prestino di buona grazia ad accordarcelo durante la guerra, sia che convenga costringerli con un apparato di forze destinato a farli consentire.
Il Direttorio, persuaso che il generale in capo porrà nella esecuzione di questa misura particolare tutta la prudenza che esigono le circostanze e la nostra situazione politica verso la Repubblica genovese, gli affida interamente la condotta di questo delicato affare, del quale la sua presenza sui luoghi gli farà conoscere la necessità, le difficoltà ed i vantaggi.
Per l'avanzata delle principali forze dell'esercito repubblicano in Italia sulla destra e nella direzione del Milanese, acquisteremo parecchi importanti vantaggi, obbligheremo il Piemonte, già scosso, a schierarsi al nostro fianco, e la prima vittoria che riporteremo sugli Austriaci diventerà il pegno certo della totale rovina delle loro forze in questo paese. Noi intimidiamo tutta l'Italia e dissolviamo la coalizione di tutte queste piccole potenze in favore della causa austriaca.

La marcia che il Direttorio ha indicato al generale in capo deve esser considerata come la principale e, per così dire, la sola da seguire: é la base alla quale si riporteranno tutti i movimenti secondari che le circostanze e gli avvenimenti lo metteranno in grado di ordinare. È, in una parola, lo scopo verso il quale tutto deve muovere e qualunque operazione che se ne allontanasse dovrebbe essere assolutamente respinta.
Il Direttorio non si dissimula che queste grandi operazioni non possono essere tentate dalla destra o dal centro dell'esercito d'Italia, senza che il resto di questo bravo esercito le appoggi o le prepari; esse non possono esserlo senza che il generale in capo si sia dapprima assicurato che una parte dell'esercito non sarà tagliata e separata dall'altra, ed esposta ad una sconfitta totale. Egli veglierà dunque scrupolosamente sulla sinistra e con le sue disposizioni metterà le truppe piemontesi che si trovano a Cuneo, nella impotenza di nuocergli e di intraprendere alcunché.

(1) Goti, Capoluogo ili mandamento nella giurisdizione del circondario di Nevi Ligure (m. 228 sul mare), è situato sulla strada provinciale della Bocchetta, sulla destra del Lemme, laddove questo confluisce col Neirone (affluenti dell'Orba). Nel capoluogo sussistono ancora le antiche mura con le quattro porte; e resta in piedi anche la rocca, ora ridotta a penitenziario, con le sue esterne fortificazioni).
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Il Direttorio deve ora annunciare le proprie intenzioni riguardo agli assedi che gli avvenimenti della inizianda campagna posson mettere nel caso di porre. La sua intenzione é che non si deve intraprendere nessun assedio prima che il nemico, che potrebbe disturbarlo, non sia totalmente in rotta e nell'impossibilità di nulla tentare e, in tutti i casi, il generale in capo deve ben guardarsi dal portare la sua grossa artiglieria su di un punto solo qualsiasi, dove, in causa di un leggero successo nemico, essa potrebbe venir compromessa. Il Direttorio insiste particolarmente su questa precauzione essenziale.
Quantunque sia interesse della Francia di dirigere i suoi principali sforzi contro gli Austriaci, e di trascinare i Piemontesi, coi nostri successi contro i primi, ad un'alleanza vantaggiosa per noi; i Piemontesi non debbono essere risparmiati fin che saranno nostri nemici.
Il generale in capo cercherà, con tutti i mezzi che sono in suo potere, di ravvivare il malcontento in Piemonte e di farlo esplodere contro la Corte di Torino in maniera generale o parziale.
È inutile soffermarsi sulla utilità di una siffatta diversione della quale i nemici ci han dato per i primi l'esempio; essa può facilitare all'esercito delle Alpi, agente di concerto con la sinistra dell'esercito d'Italia, la rapida conquista del Piemonte, di cui il possesso durante la guerra ci assicurerà condizioni vantaggiose alla pace.
Tali sono le principali basi del piano di campagna che il Direttorio ha adottato. Esso insiste, prima di terminare la presente istruzione, sulla necessità di approvvigionare l'esercito d'Italia coi mezzi a disposizione nei paesi nemici, e di somministrargli, con le risorse che gli offriranno le località, tutti i generi di cui esso .può aver bisogno.
Il generale in capo procurerà di mantenere una disciplina severa, di risparmiare agli abitanti tutte le vessazioni ed i disastri che il flagello della guerra trascina sovente con sé e che l'ordine e la buona amministrazione, solamente, possono reprimere.
Farà riscuotere forti contribuzioni delle quali la metà sarà versata nelle casse destinate al servizio delle diverse amministrazioni e l'altra metà a pagare in numerario i prestiti e le paghe dell'esercito.
Il generale in capo (riservandosi il Direttorio esecutivo la facoltà di fare la pace), non accorderà nessuna sospensione d'armi e
non rallenterà in nessun modo le sue operazioni militari. Accoglierà tutte le proposte di pace e immediatamente, le passerà al Direttorio.
Il Direttorio conta sul patriottismo, lo zelo, l'attività ed il talento del generale in capo dell'esercito d'Italia; gli raccomanda con fiducia la precisa esecuzione delle disposizioni contenute nella presente istruzione, alla quale il Direttorio si appellerà quando gli avvenimenti della guerra lo rendessero necessario.

LE TOURNEUR - CARNOT - L. M. LA RÉVEILLÈRE LEPEAUX - REWBELL.



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cioè l'inizio della campagna d'Italia e le nuove disposizioni del Direttorio
quando Napoleone dopo pochi giorni, ottenne la resa del Piemonte ed era
già, seguendo una tattica "contraria ad ogni regola", alle porte di Milano.