Istruzioni per il Generale in Capo dell'Esercito d'Italia, Napoleone
Bonaparte
La Repubblica
Francese ha due nemici principali da combattere dalla parte dell'Italia:
i Piemontesi e gli Austriaci. Questi ultimi, quantunque meno numerosi,
sono temibili per il loro odio contro la Francia, per le loro risorse
di tutti i generi, infinitamente più grandi, per i loro più
intimi vincoli con i nostri nemici naturali, gli Inglesi, e soprattutto
per l'imperio che i loro possedimenti permettono in Italia di esercitare
sopra la Corte di Torino, la quale si trova obbligata a piegarsi a tutte
le loro domande ed a tutti i loro capricci. Risulta da questo stato
di cose che l'interesse più immediato del governo francese deve
esser quello di dirigere i suoi principali sforzi contro l'esercito
ed i possedimenti austriaci d'Italia.
Effettivamente è facile arguire che ogni movimento militare contro
i piemontesi, e sul loro territorio, riesce in ogni modo indifferente
per gli Austriaci, i quali, come si é constatato nella campagna
precedente, sembrano inquietarsi assai poco dei disastri dei loro alleati
e, nel momento del pericolo, lungi dal cercare di proteggerli efficacemente,
se ne separano senza indugio e non si preoccupano che di difendere il
territorio che loro appartiene e che somministra loro abbondantemente
le risorse di cui abbisognano.
Per quanto grandi siano stati sin qui i nostri successi in Italia, noi
non ci troviamo ancora così forti per liberare il Piemonte dal
giogo che gli é imposto dall'esercito austriaco, sempre rimasto
padrone delle sue sorti, grazie alle posizioni che ha occupate.
Considerando i veri interessi della Corte di Torino, gli stessi si trovano
in qualunque modo legati ai nostri e non c'è dubbio sul desiderio
che deve avere questa Corte di veder espulso l'Austriaco fuori d'Italia
e di ottenere il Milanese in risarcimento dei paesi irrevocabilmente
uniti alla Francia, in virtù del primo articolo della costituzione
repubblicana.
Questa congettura, di cui la verosimiglianza non ha bisogno di esser
confortata da ragionamenti che il soggetto di per sé stesso suggerisce,
sembra far nascere la questione seguente:
Perché, essendo interesse dei Piemontesi di unirsi ai Francesi
per cacciare i Tedeschi dall'Italia, la Corte di Torino non si dà
premura di unire le sue armi a quelle della Repubblica per arrivare
il più prontamente possibile a tale scopo, insieme profittevole
e glorioso?
La soluzione di tale quesito deve contribuire ad illuminare la nostra
posizione politica nei confronti dell'Italia e suggerirci il cammino
migliore da seguire per vincervi i nostri nemici e più particolarmente
i satelliti dell'Austria.
Situato tra i paesi soggetti a quest'ultima e la Repubblica francese,
il Piemonte é costretto a rappresentare la sua parte nella guerra
attuale e, se volesse restare in uno stato di neutralità, soffrirebbe
tutti i mali della guerra senza poter godere di una prerogativa preziosa
per uno stato non molto forte in confronto ai suoi vicini: vale a dire
del rispetto che le truppe ch'egli può unire a quelle di una
delle due parti belligeranti, e il pericolo di una defezione da parte
loro, per passare dalla parte nemica, gli assicurano necessariamente:
ciò che gli garantisce che subirà le minori possibili
vessazioni, almeno dalla potenza con la quale si allea.
Senza respingere l'idea che il re di Sardegna ha potuto essere trascinato
da considerazioni di famiglia nella coalizione contro la Francia,
è giusto ammettere che la nostra posizione all'inizio della guerra
attuale, e la necessità nella quale ci trovammo di impadronirci
della Savoia e della contea di Nizza, tanto per attaccar gli Austriaci
con maggior vantaggio, quanto per riunirle alla Francia a garanzia della
sua frontiera da questa parte; hanno in qualche modo obbligato la Corte
di Torino ad abbracciare il partito dei nostri nemici per opporsi ai
nostri sforzi; ma, dopo i nostri successi di frimaio, (il 23 novembre
1795, quando a Loano fu vinta dai generali francesi la battaglia sull'esercito
Austro-Piemontese comandato dal generale Dewind - Ndr.) la speranza
di un risarcimento da conseguire sui possedimenti austriaci in Italia,
riunendosi a noi, avrebbe certamente fatto mutar avviso alla Corte di
Torino, se la Francia, appena uscita dagli uragani della rivoluzione,
avesse potuto offrirle quei sussidi che l'Inghilterra e l'Austria le
assicurano.
È certo che la Francia non accorderà una pace che collocherebbe
il Piemonte in uno stato di neutralità, il quale, nell'ipotesi
di un successo degli Austriaci, diventerebbe evidentemente nullo e forse
pericoloso per la repubblica: il re di Sardegna obbligato a continuare
la guerra ha dovuto assicurarsi i mezzi di farla con la minor spesa
possibile, e non è riuscito a trovarli che nei sussidi e soccorsi
di ogni sorta che i suoi attuali alleati potevano, soli, procurargli.
Il Piemonte, schiacciato sotto il peso delle imposte, non ha avuto la
possibilità di agire in modo diverso e più coerentemente
alle sue mire sul Milanese, di quello che è naturale supporgli,
e si deve concludere da questo stato di cose che la corte di Torino
non consentirà sinceramente ad un'alleanza difensiva ed offensiva
con noi, se non quando noi potremo darle gli stessi soccorsi ch'essa
riceve dai suoi attuali alleati.
La repubblica non essendo nella possibilità di somministrare
tali aiuti, non deve fare assegnamento su di un'alleanza di questo genere
se non allorquando il Piemonte si troverà costretto, per la sconfitta
degli Austriaci o per la presenza delle nostre truppe sul suo territorio,
a rivolgere le sue armi contro i nostri comuni nemici.
Se le circostanze favorissero questo felice avvenimento, ci si deve
aspettare che i Piemontesi, parimenti raggiungendo lo scopo dei loro
desideri ed un ragguardevole risarcimento (il Milanese, ecc.), l'accetterebbero,
in considerazione di tutti i sacrifici che uno stato, già esausto,
dovrebbe ancora sostenere; poiché essi dovrebbero non solamente
provvedere il loro esercito di tutto quanto avrà
bisogno, ma gli eserciti stessi della repubblica dovrebbero essere principalmente
alimentati e sostenuti da essi; e se ci trovassimo nella necessità
di agire in Piemonte come in paese di conquista, noi vi faremmo, é
vero, il minor male possibile, ma ne faremmo assai, perché ci
sarebbe indispensabile assicurare la nostra marcia mediante il possesso
provvisorio, fino alla pace, delle principali piazzeforti del Piemonte,
situate al nostro fianco,
di cui la demolizione ci garantisse per l'avvenire una pace ed un'alleanza
solida con la corte di Sardegna.
Da quanto detto risulta che il solo attacco al Piemonte non basterebbe
allo scopo che il Direttorio Esecutivo deve proporsi: quello di cacciare
gli Austriaci dall'Italia e di avere una pace gloriosa e durevole. Lungi
dal finire la guerra, la prolungherebbe, poiché gli Austriaci,
restando intatti, non avrebbero ragione alcuna di finirla e potendo
l'Inghilterra rimettere sempre sussidi all'esercito piemontese, le cose
rimarrebbero press'a poco sul medesimo piede sul quale si trovavano
nell'ultima campagna.
L'attacco continuato ed unico al Piemonte offre altresì ostacoli
superiori per il numero degli assedi che necessiterebbe di porre fin
dall'inizio della campagna; ed il Direttorio ha dovuto fissare particolarmente
le sue mire su di un sistema di guerra offensivo, principalmente diretto
contro le forze austriache d'Italia e talmente combinato da presentare
in una volta, all'esercito francese d'Italia, la possibilità
di collocarsi, per la disfatta dei Piemontesi all'inizio delle operazioni
militari, al sicuro di ogni ostilità dei medesimi per tutto il
resto della campagna; e quella di ridurre la Corte di Torino ad una
alleanza coatta con la Francia, ed infine il mezzo di accelerare la
conclusione di una pace vantaggiosa per la Repubblica dopo la totale
sconfitta degli Austriaci in Italia.
Le prime operazioni militari che questo sistema impone si trovano chiuse
in un circolo stretto ed esigono poco sviluppo. Il Direttorio deve limitarsi
ad indicarle, ed i dettagli di esecuzione apparterranno al generale
in capo nel quale ripone la sua fiducia. Essi saranno sottoposti al
Direttorio, quando il tempo e le circostanze permetteranno di farlo
e nei casi straordinari nei quali il suo avviso diventerà assolutamente
necessario per determinare movimenti militari di maggior importanza
ed imprevedibili. Tutto ci comanda di cercare, con tutti i mezzi che
sono in nostro potere, di far ripassare il Po ai nemici e di puntare
i nostri più grandi sforzi nella direzione del Milanese. Questa
operazione essenziale ci sembra
non possa aver luogo senza che, al principio, l'esercito francese si
impadronisca di Ceva.
Il Direttorio lascia ai generale in capo la libertà di incominciare
le operazioni con l'attacco dei nemici su questo punto e, sia che ottenga
su di essi una vittoria completa, sia ch'essi si ritirino verso Torino,
il Direttorio l'autorizza ad inseguirli, a combatterli nuovamente, ed
anche a bombardare questa capitale se le circostanze lo rendessero necessario.
Dopo esserci fatti padroni di Ceva ed aver avvicinato la sinistra dell'esercito
d'Italia a Cuneo, allo scopo di minacciare e contenere la guarnigione
di questa piazzaforte, il generale in capo provvederà, il più
presto possibile, ai bisogni dell'esercito col mezzo delle risorse offertegli
dal Piemonte; dirigerà in seguito i suoi sforzi verso il Milanese
e principalmente contro gli Austriaci; rigetterà i nemici al
di là del Po, si occuperà dei mezzi per passare questo
fiume e procurerà di assicurarsi con le piazze di Asti e di Valenza.
Il generale in capo non deve perder di vista che é agli Austriaci
che importa di nuocere principalmente, e che una delle misure capaci
di determinare l'Austria alla pace é quella di intimidirla, avanzando
il più possibile sulla diritta e verso Tortona, di cui la cattiva
situazione fa credere al Direttorio che ci sarà facile impadronirsene.
Siffatto movimento essenziale delle truppe verso la nostra destra, che
il generale in capo non potrà probabilmente compiere se non dopo
aver preso Ceva e riportato una clamorosa vittoria sui Piemontesi, ci
metterà nella condizione di poter imporre la nostra volontà
alla Repubblica genovese e faciliterà all'Agente francese, che
il governo tiene in Genova, delle negoziazioni vantaggiose ed anche
un prestito che i particolari genovesi potrebbero farci.
Più ricchi del loro governo, ci si deve aspettare che essi non
consentiranno a fornircelo se non quando il governo stesso si farà
garante presso di essi della nostra fedeltà ad adempiere le condizioni
del prestito che le favorevoli circostanze della guerra potranno metterci
in grado di esigere. L'entrata dell'esercito repubblicano in Piemonte
non deve esser considerata che come una disposizione preliminare che
ci metta in condizione di attaccare le forze austriache con maggior
vantaggio; esso deve fermarsi qui il meno possibile ed avanzare in seguito
speditamente per combattere queste ultime, che la disfatta dei Piemontesi
non avrà potuto che intimidire e rendere più facilmente
vincibili.
Insieme
ai movimenti che la destra francese dovrà fare verso Alessandria
e Tortona, diventerà necessario, per assicurare il seguito delle
operazioni ch'essa si impossessi di Gavi, sia che i Genovesi si prestino
di buona grazia ad accordarcelo durante la guerra, sia che convenga
costringerli con un apparato di forze destinato a farli consentire.
Il Direttorio, persuaso che il generale in capo porrà nella esecuzione
di questa misura particolare tutta la prudenza che esigono le circostanze
e la nostra situazione politica verso la Repubblica genovese, gli affida
interamente la condotta di questo delicato affare, del quale la sua
presenza sui luoghi gli farà conoscere la necessità, le
difficoltà ed i vantaggi.
Per l'avanzata delle principali forze dell'esercito repubblicano in
Italia sulla destra e nella direzione del Milanese, acquisteremo parecchi
importanti vantaggi, obbligheremo il Piemonte, già scosso, a
schierarsi al nostro fianco, e la prima vittoria che riporteremo sugli
Austriaci diventerà il pegno certo della totale rovina delle
loro forze in questo paese. Noi intimidiamo tutta l'Italia e dissolviamo
la coalizione di tutte queste piccole potenze in favore della causa
austriaca.
La marcia che il Direttorio ha indicato al generale in capo deve esser
considerata come la principale e, per così dire, la sola da seguire:
é la base alla quale si riporteranno tutti i movimenti secondari
che le circostanze e gli avvenimenti lo metteranno in grado di ordinare.
È, in una parola, lo scopo verso il quale tutto deve muovere
e qualunque operazione che se ne allontanasse dovrebbe essere assolutamente
respinta.
Il Direttorio non si dissimula che queste grandi operazioni non possono
essere tentate dalla destra o dal centro dell'esercito d'Italia, senza
che il resto di questo bravo esercito le appoggi o le prepari; esse
non possono esserlo senza che il generale in capo si sia dapprima assicurato
che una parte dell'esercito non sarà tagliata e separata dall'altra,
ed esposta ad una sconfitta totale. Egli veglierà dunque scrupolosamente
sulla sinistra e con le sue disposizioni metterà le truppe piemontesi
che si trovano a Cuneo, nella impotenza di nuocergli e di intraprendere
alcunché.
(1) Goti, Capoluogo ili mandamento nella giurisdizione del circondario
di Nevi Ligure (m. 228 sul mare), è situato sulla strada provinciale
della Bocchetta, sulla destra del Lemme, laddove questo confluisce col
Neirone (affluenti dell'Orba). Nel capoluogo sussistono ancora le antiche
mura con le quattro porte; e resta in piedi anche la rocca, ora ridotta
a penitenziario, con le sue esterne fortificazioni).
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Il Direttorio
deve ora annunciare le proprie intenzioni riguardo agli assedi che gli
avvenimenti della inizianda campagna posson mettere nel caso di porre.
La sua intenzione é che non si deve intraprendere nessun assedio
prima che il nemico, che potrebbe disturbarlo, non sia totalmente in
rotta e nell'impossibilità di nulla tentare e, in tutti i casi,
il generale in capo deve ben guardarsi dal portare la sua grossa artiglieria
su di un punto solo qualsiasi, dove, in causa di un leggero successo
nemico, essa potrebbe venir compromessa. Il Direttorio insiste particolarmente
su questa precauzione essenziale.
Quantunque sia interesse della Francia di dirigere i suoi principali
sforzi contro gli Austriaci, e di trascinare i Piemontesi, coi nostri
successi contro i primi, ad un'alleanza vantaggiosa per noi; i Piemontesi
non debbono essere risparmiati fin che saranno nostri nemici.
Il generale in capo cercherà, con tutti i mezzi che sono in suo
potere, di ravvivare il malcontento in Piemonte e di farlo esplodere
contro la Corte di Torino in maniera generale o parziale.
È inutile soffermarsi sulla utilità di una siffatta diversione
della quale i nemici ci han dato per i primi l'esempio; essa può
facilitare all'esercito delle Alpi, agente di concerto con la sinistra
dell'esercito d'Italia, la rapida conquista del Piemonte, di cui il
possesso durante la guerra ci assicurerà condizioni vantaggiose
alla pace.
Tali sono le principali basi del piano di campagna che il Direttorio
ha adottato. Esso insiste, prima di terminare la presente istruzione,
sulla necessità di approvvigionare l'esercito d'Italia coi mezzi
a disposizione nei paesi nemici, e di somministrargli, con le risorse
che gli offriranno le località, tutti i generi di cui esso .può
aver bisogno.
Il generale in capo procurerà di mantenere una disciplina severa,
di risparmiare agli abitanti tutte le vessazioni ed i disastri che il
flagello della guerra trascina sovente con sé e che l'ordine
e la buona amministrazione, solamente, possono reprimere.
Farà riscuotere forti contribuzioni delle quali la metà
sarà versata nelle casse destinate al servizio delle diverse
amministrazioni e l'altra metà a pagare in numerario i prestiti
e le paghe dell'esercito.
Il generale in capo (riservandosi il Direttorio esecutivo la facoltà
di fare la pace), non accorderà nessuna sospensione d'armi e
non rallenterà
in nessun modo le sue operazioni militari. Accoglierà tutte le
proposte di pace e immediatamente, le passerà al Direttorio.
Il Direttorio conta sul patriottismo, lo zelo, l'attività ed
il talento del generale in capo dell'esercito d'Italia; gli raccomanda
con fiducia la precisa esecuzione delle disposizioni contenute nella
presente istruzione, alla quale il Direttorio si appellerà quando
gli avvenimenti della guerra lo rendessero necessario.
LE TOURNEUR - CARNOT - L. M. LA RÉVEILLÈRE LEPEAUX - REWBELL.