Lezione del prof. PAOLO M. DI STEFANO docente di Marketing nell'Università per stranieri di Perugia
TERRORISMO, GUERRA,
POLITICA E MARKETING
Sono convinto
che poche siano le cose "sicure" attorno a questa guerra che minaccia di
essere infinita, che è nata (anche) come reazione all'attentato dell'11
settembre 2001 per impedire che qualcosa di analogo e di più grave ancora
si verificasse e che è nota come "seconda guerra irachena". Ed è su queste
poche cose certe che andrebbe fondato ogni e qualsiasi ragionamento sugli
eventi in corso, ma più ancora su quelli futuri. E' il mio tentativo, che
condurrò servendomi degli strumenti professionali che mi sono propri. Gli
strumenti di marketing, primo tra tutti quella "pianificazione" di cui tutti,
soprattutto quanti di marketing poco o nulla sapendo, favoleggiano nelle
imprese e, quasi peggior cosa, nelle Università e nei Master post universitari.
Senza per questo escludere le istituzioni pubbliche di qualsivoglia livello.
E intanto:
1. La guerra è in corso.
E' un fatto difficilmente contestabile, oggetto di analisi e di commento
da parte di tutti coloro che in qualche modo hanno accesso ai mezzi di comunicazione,
indipendentemente dalla preparazione, dalla cultura, dalla professionalità
di ciascuno. In particolare, poiché alla guerra si guarda come ad un "risultato
politico" o ad un "risultato della politica", sono coloro che passano o
si fanno passare per "politici" che, in pratica, sembra abbiano il monopolio
della comunicazione in merito, talvolta affiancati da giornalisti chissà
perché promossi al rango di esperti. E naturalmente da una pletora di sociologi.
Potenza della immagine! Comunque, nessuno delle centinaia di partecipanti
ai talk show televisivi e nessuno di coloro che hanno riempito e
riempiono le colonne dei nostri giornali e i tempi delle trasmissioni radio
ha mai utilizzato, a proposito della guerra, il termine "prodotto".
Peccato, perché, se lo avessero fatto e ne avessero tratte le conseguenze,
almeno una parte delle analisi svolte si sarebbe dimostrata più credibile
e, forse, sarebbe scaturita qualche proposta affidabile. Soprattutto se
ad esaminare la situazione fosse stato chiamato qualche professionista della
gestione degli scambi: sì, proprio qualcuno di quegli "uomini di marketing"
che sono, in Italia almeno, numerosi e invasivi come le erbe infestanti
ma che, in alcuni casi, ancora troppo rari, ma esistenti, esercitano una
professione della quale sanno anche utilizzare correttamente i mezzi. E
allora, forse, si sarebbe non soltanto preso atto che la guerra è in corso,
ma anche che essa è un prodotto dalle caratteristiche particolari, oggetto
di uno scambio a sua volta particolare. E dunque un prodotto ed uno scambio
che vanno gestiti secondo criteri propri, in qualche caso assolutamente
peculiari. E si badi bene: ragionare in termini di "guerra in corso" non
è esattamente la stessa cosa del farlo in termini di "guerriglia" e/o di
"resistenza" a guerra finita. E' diverso trovarsi nella posizione del vincitore
conclamato e riconosciuto - che non vuol necessariamente dire accettato-
dall'essere, invece, costantemente in prima linea e lungo direttrici, per
di più, sconosciute anche perché invisibili e in buona parte imprevedibili.
Se di guerra si parla, ebbene: sarà il caso di tentare di esplorarne le
caratteristiche anche da un punto di vista non usuale.
1.1. Il prodotto strumentale "guerra".
Coi tempi che corrono, è possibile scoprire una vena di sottile ironia nella
accezione comune di "guerra", quella riportata dallo Zingarelli di "Situazione
giuridica esistente tra Stati in cui ciascuno di essi può esercitare violenza
contro il territorio, le persone e i beni dell'altro o degli altri Stati
con l'osservanza delle norme di diritto internazionale". E' una buona
definizione, assolutamente convenzionale e fondata su alcuni principi certamente
condivisibili quali il sistema giuridico che ne è o ne dovrebbe essere alla
base e le regole del gioco, a loro volta fissate da norme giuridiche dotate
di sanzione. Come condivisibile è lo sforzo, visto che la guerra in sé pare
assolutamente inevitabile, di regolamentarne almeno gli aspetti "meno umani",
più primitivi.
Il problema sta, forse, nel fatto che non è difficile, oggi e per questa
guerra, dubitare della forza cogente della normazione di guerra, del rispetto
degli accordi e delle leggi internazionali e di quanto altro fa della guerra
se non un comportamento civile certamente un fatto giuridico. Ma,
come sempre, si tratta di accettare o meno una definizione convenzionale.
E questa mi sembra più che accettabile.
Ciò detto, però, c'è da fare un passo avanti. E non è senza rilievo
riscoprire e mettere in evidenza come la guerra sia innanzitutto un prodotto
e, chiaramente, un prodotto destinato ad uno scambio; poi, che si tratta
di un prodotto complesso e, infine, di una prodotto strumentale. E nella
categoria dei prodotti strumentali, alla guerra può guardarsi come ad un
prodotto la cui strumentalità è di primo livello, nel senso che "produce
altri prodotti a loro volta strumentali". Significa che la sua funzione
è quella di produrre - da sola oppure insieme ad altri prodotti strumentali-
ulteriori diversi prodotti destinati, ciascuno, a soddisfare bisogni individuati
e, ciascuno, a sua volta destinato ad essere oggetto di scambio.
E dunque la guerra come strumento va inserita in una vera e propria pianificazione
di marketing la cui "causa" è stata individuata e descritta e al raggiungimento
di questa lo strumento guerra è coerente. E così come in una qualsiasi "fabbrica"
i macchinari, i materiali, le fonti di energia, le risorse occorrenti, il
personale sono disposti in ordine secondo una "pianificazione della produzione"
attenta e precisa, anche per lo strumento chiamato guerra deve essere pianificato
un uso coerente agli altri strumenti e, assieme a questi, all'ottenimento
del risultato finale. Dal che una conseguenza immediata: lo strumento guerra
va utilizzato in costanza di chiarezza sugli obiettivi finali. Significa:
io so a che cosa serve la guerra, cosa la guerra deve concorrere a produrre,
entro quale tempo la produzione deve essere ultimata, con quali caratteristiche
ed a quali costi.
Forse una situazione particolare deriva dalla non trascurabile circostanza
che ai fini del destinatario ultimo - quindi, di colui che dovrà utilizzare
i prodotti che la guerra ha contribuito a fabbricare - la vera rilevanza
la possiede il prodotto finale, appunto. E' questo che deve soddisfare i
bisogni "del mercato" ed è questo che deve essere acquistato. Dal che una
immediata conseguenza: le caratteristiche del prodotto strumentale devono
essere tali da concorrere a mettere sul mercato quei prodotti che il pubblico
di riferimento si attende. E il pubblico di riferimento è alla ricerca della
migliore soddisfazione possibile dei bisogni di cui è portatore, che ha
in qualche modo avvertito e che deciderà se soddisfare o meno compiendo
l'atto d'acquisto necessario per disporre del prodotto che gli viene offerto.
Sapere a cosa serve la guerra significa, dunque, anche sapere cosa deve
produrre e perché.
1.2. La guerra va "venduta".
E, anche, sapere chi sono i "clienti" - gli acquirenti- del prodotto strumentale
guerra. Significa che ho individuato chi sono quei "produttori di altri
prodotti" che possono e debbono utilizzare la guerra quale strumento per
la produzione. Qui il problema nasce, forse, perché di solito accade che
la guerra sia "venduta" quasi soltanto alle popolazioni "attrici", ai singoli
componenti lo Stato o il gruppo sociale che si attiva. In altre parole,
chi decide di far ricorso alla guerra si preoccupa, in genere, di "farla
accettare" alla propria gente, vendendogliela con le argomentazioni più
diverse, che vanno dalla affermazione della propria superiorità (di razza,
di censo, di intelligenza) alla necessità oggettiva di ampliare il proprio
territorio, all'opportunità di disporre di risorse altrimenti di difficile
reperimento, alla volontà di Dio. I produttori di guerra più illuminati
si preoccupano di argomentare anche nei confronti delle popolazioni contro
le quali la guerra viene mossa. E così si cerca di convincere la nazione
o lo stato aggredito che si tratta di una attività liberatrice da tirannie
e miserie e cattiverie di ogni genere; che viene messo in atto uno strumento
apportatore di civiltà, di giustizia e di cultura superiori; che Dio vuole
che i rapporti tra i popoli abbiano un assetto diverso dall'attuale e che
diversa sia la condizione umana.
Uno dei problemi che vengono in evidenza in questa fase di "vendita della
guerra" e di "identificazione degli acquirenti utilizzatori" è quello costituito
dall'essere - la struttura produttrice e distributrice della guerra - più
simile ad una impresa product oriented che ad una marketing oriented.
Avviene così che il "prodotto guerra" viene strutturato in tutte le sue
componenti a prescindere dai bisogni e dagli interessi dell'altra parte;
la sua costruzione è determinata sulla base quasi esclusivamente degli atteggiamenti,
dei bisogni, delle motivazioni, degli interessi del produttore. Questo comporta
difficoltà di non poco conto quando si tratta di "spingere all'atto di acquisto",
di fare accettare il prodotto in modo che questo possa dar vita ai prodotti
per i quali è stato predisposto. Che è esattamente quanto sembra sia accaduto
e stia accadendo per il popolo iracheno e per il medio oriente in generale:
le argomentazioni di vendita utilizzate dagli americani si dimostrano in
buona parte inefficaci e comunque deboli.
Forse, questo è il risultato di analisi sui reali bisogni e sui desideri
delle popolazioni interessate condotta in modo non approfondito (il dubbio
è che non sia stata condotta affatto, che si siano dati per scontati valori
e desideri e comportamenti tutti da accertare) e non si sono verificati
preventivamente gli effetti dei prodotti generati dalla guerra stessa, e
neppure l'atteggiamento dei fruitori nei loro confronti. In buona sostanza,
non sono stati accertati i bisogni e le motivazioni che avrebbero dovuto
spingere gli iracheni ad accogliere i militari americani come portatori
di strumenti di produzione di utilità. Tutto questo - se si aggiunge la
circostanza che anche verso i potenziali co-produttori di guerra sembra
esserci stata una carenza di approfondimento dei bisogni, delle motivazioni
e degli interessi di cui erano e sono portatori - ha portato non soltanto
ad una grande difficoltà "di vendita" ma anche ad una reazione che ha colto
gli americani e gli inglesi quasi di sprovvista e che, sul piano pratico,
al momento in cui scrivo ha provocato quattrocento quattordici vittime tra
i soldati americani, attentati vari e un numero non a me noto di vittime
tra i civili. Ed alla saldatura tra le organizzazioni terroristiche in tutto
il mondo ed a quello che sostanzialmente si rivela come un ampliamento del
fronte. Con buona pace delle "argomentazioni di vendita" comunicate con
tutti i mezzi prima, durante e dopo l'attacco.
1.3. La guerra va comunicata
Quelle argomentazioni di vendita che i responsabili della gestione ritengono
più efficaci vengono a loro volta prodotte e distribuite (comunicate, rese
apprensibili) nei modi e attraverso i mezzi reputati più e meglio adatti
a convincere. E questa attività di comunicazione quasi sempre è pianificata
ed attuata con estrema attenzione, anche distinguendo tra le diverse categorie
che la compongono. E si ricorre dunque a programmi di formazione di base;
a corsi di specializzazione; a sedute di aggiornamento; a forme di animazione
e di promozione..E ad attività di vendita di prodotti a questa in qualche
modo collegati. Il tutto, ovviamente, al fine di "far accettare" lo strumento
guerra, sempre mettendone in ombra gli aspetti drammatici e, sempre, esaltandone
quelli ludici o comunque premianti. Fino a creare prodotti a mio parere
assolutamente aberranti. La "guerra santa" o la "guerra di religione" ne
è un esempio. Ma non lo sono di meno quei prodotti che scaturiscono dalla
comunicazione e dalla formazione all'eroismo, al sacrificio della vita per
la causa, o dalla certezza di guadagnare un premio valido per l'eternità,
sia esso costituito dalla gloria oppure da un numero a me ignoto di vergini
a disposizione in una vita che si svolge in un aldilà dalla collocazione
non esattamente individuabile, ma dall'esistenza certa.
E dal momento che le argomentazioni di vendita sono un prodotto, occorre
identificare la natura del bisogno che sta alla base, le motivazioni che
lo strutturano e strutturano la decisione di acquisto, gli interessi che
ne scaturiscono affinché si possano elaborare argomentazioni convincenti
e, dunque, efficaci. E occorre anche non dimenticare che le argomentazioni
di vendita, così come le argomentazioni pubblicitarie, devono trovare il
massimo possibile del riscontro nella natura del prodotto oggetto della
comunicazione. E forse, sarebbe bene anche ricordare che gli appelli pubblicitari
non sono messaggi assolutamente diversi dalle argomentazioni di vendita.
Al contrario, ne fanno parte integrante e sono chiamati a svolgere effetti
sinergici con queste. La vera differenza sta nel mezzo usato e nella diversità
di linguaggio che ne deriva.
1.4. Lo scambio va controllato
La guerra è in corso e, dal punto di vista di un qualsiasi uomo di marketing
gestore di un qualsiasi scambio in un qualsiasi mercato per un qualsivoglia
prodotto, significa che "il prodotto è sul mercato", che è comunque oggetto
di uno scambio, che questo scambio si svolge con modalità che sono sotto
gli occhi di tutti e i suoi effetti sono attuali. Il problema è sempre quello
di controllare che quanto avviene accada in coerenza agli obiettivi della
pianificazione di gestione. Gli effetti di una qualsiasi attività di scambio
hanno sostanzialmente due possibilità: essere quelli previsti oppure non
esserlo in tutto o in parte. Ovviamente nell'ipotesi che la pianificazione
di gestione sia stata corretta, se gli effetti sono quelli voluti, nulla
quaestio.
Se, invece, in tutto o in parte se ne discostano, allora significa che bisogna
correre ai ripari, che qualcosa non sta andando per il verso giusto, che
occorre riportare lo scambio in atto entro i confini dello scambio previsto
e pianificato. E nel caso in argomento a me pare che sia assolutamente imprescindibile
un'attenta attività di controllo della gestione dello scambio in atto e
l'identificazione e l'attuazione delle azioni opportune per ottenere gli
effetti previsti, voluti e programmati quando il prodotto è stato "ideato".
Questo significa che la prima cosa da fare è verificare se il piano di gestione
(il piano di marketing) è stato correttamente elaborato a suo tempo in tutte
le sue componenti. E, in particolare, se siano stati correttamente disegnati
lo scenario attuale (quello, per intenderci che descrive la situazione di
partenza) e lo scenario finale: quello che descrive la situazione prevista
e in vista della quale tutto è stato predisposto e messo in atto. Che sono,
poi, scenario attuale e scenario finale, i punti estremi della pianificazione
la quale, partendo da una realtà conosciuta e da una ipotesi confidente,
ha costruito un prodotto per uno scambio profittevole in un mondo e in un
momento comunque diversi.
2. Guerra e pianificazione di marketing
Ho affermato che avrei cercato di analizzare per quanto possibile la guerra
in Iraq utilizzando gli strumenti che meglio conosco. E dunque, quelli relativi
alla gestione degli scambi. E mi sembra che tra le poche cose certe di questa
vicenda una sia incontestabile: la guerra è oggetto di pianificazione, di
programmazione e dunque di identificazione degli obiettivi, di reperimento
e di ordinamento delle risorse, di indicazione ed uso degli strumenti e
dei mezzi necessari per il raggiungimento degli obiettivi, di predisposizione
dei sistemi di controllo delle azioni. La guerra è oggetto di un vero e
proprio piano di marketing. E l'oggetto del piano di marketing non è costituito
solo dalle attività di comunicazione (pubblicitaria) e da quelle per qualche
verso promozionali, oltre che di ricerca e di analisi dei mercati.
Così la pensavano i "grandi vecchi", i quali molto hanno dato alla cultura
di marketing ma che sono stati ampiamente superati, come accade in tutte
le discipline. E così la pensavano e la pensano gli italiani che, a tutti
i livelli, dicono di "fare marketing". In questo caso, sopra tutto perché
si sono limitati a copiare, senza neppure preoccuparsi di capirli, gli assunti
americani. L'oggetto della attività e quindi della pianificazione di marketing
è costituito da tutto lo scambio e, quando si abbia a riferimento il prodotto
che dello scambio é oggetto, da tutti gli elementi essenziali che un prodotto
destinato allo scambio deve avere.
La qualifica di "prodotto" in senso fisico, materiale, concreto e, per i
servizi, la immaterialità, e la capacità di soddisfazione dei bisogni di
riferimento; l'essere conosciuto quale prodotto in grado di soddisfare quel
bisogno, e quindi di realizzare utilità; l'essere apprensibile, e quindi
in grado di entrare nella materiale disponibilità del portatore del bisogno
sono le tre condizioni di base, essenziali e sufficienti, perché di prodotto
destinato allo scambio possa parlarsi. Ad esse corrispondono i mondi della
produzione, della comunicazione e della distribuzione, i quali tutti e per
intero entrano a far parte di quella pianificazione di marketing che null'altro
è se non la pianificazione della gestione dello scambio di riferimento.
E non esiste piano di marketing che non prenda le mosse da una approfondita
conoscenza della situazione attuale.
2.1. Lo scenario attuale e quello futuro
E' forse opportuna una premessa. La pianificazione di gestione (di marketing)
si fonda su alcuni, pochi principi di una chiarezza esemplare. Il disegno
dello scenario attuale è tra questi. E ne è il primo almeno in ordine temporale,
ma anche in ordine logico, perché su di esso si fonda o dovrebbe basarsi
ogni e qualsiasi decisione in ordine al prodotto ed allo scambio di cui
questo è oggetto o, se si preferisce, in ordine allo scambio che si intende
attuare ed al prodotto meglio adatto ad esserne oggetto. E spero sia chiaro
che non è esattamente la stessa cosa.
Nel primo caso, protagonista è il prodotto e dunque è più probabile che
nel prodotto in quanto risultato di attività produttiva e oggetto di scambio
si ritrovi la maggior parte dei vincoli e delle opportunità. Nel secondo
caso è lo scambio a disegnare opportunità e vincoli e quindi a determinare
la struttura stessa del prodotto che deve o dovrà esserne oggetto. E tutto
questo influisce, ovviamente, sulle decisioni di oggi e più ancora su quelle
di domani. E sui costi, anche. E la stessa cosa è a dirsi dello scenario
futuro, il cui disegno è a sua volta assolutamente necessario. Perché ci
dice "dove" ci troveremo ad operare; quali saranno le caratteristiche del
mercato e, dunque, che cosa dovremo fare e come. E c'è un particolare non
trascurabile: disegnare lo scenario futuro serve anche a prevedere gli effetti
delle nostre azioni attuali. E più ambiziose e strutturate sono le azioni
di oggi, più importante e approfondita deve essere la previsione dei loro
effetti in un mondo futuro che per la gran parte si struttura in modo indipendentemente
da noi e dalle nostri azioni, ma che da questo è comunque in qualche modo
influenzato, modificato, adattato.
Un'impresa che non riesce a conoscere l'ambiente che dovrà accoglierla (o
che lo conosce soltanto approssimativamente) è un'impresa che non programma
oppure che programma male e solo parzialmente il proprio futuro; che non
immagina se stessa in quel futuro e che, dunque, nella migliore delle ipotesi
"subirà" il mercato. E la sua vita sarà a un tempo difficile e costosa.
E una cosa ancora: disegnare lo scenario attuale costituisce uno dei metri
di valutazione della attività di un qualsiasi responsabile di una qualsiasi
impresa. Ma anche di un qualsiasi impiegato ed operaio, ed anche di qualsiasi
ufficio, servizio, direzione indipendentemente dalla natura privata o pubblica
della struttura. Nella mia lunga vita di dirigente di impresa (privata)
e di consulente di gestione (anche di strutture pubbliche) ho quasi sempre
visto i responsabili dei sistemi informativi e delle ricerche di marketing
adeguarsi alle richieste del "capo" e fare questo addirittura modificando
le informazioni e i dati provenienti dal mercato per trasformare un insuccesso
o un trend negativo in un successo o in un trend positivo. Il che, tra l'altro,
dovrebbe insegnare più di qualcosa anche in merito ai reali obiettivi di
un'azione.
Ciò detto, a me sembra che quel "disegno dello scenario attuale" che di
ogni pianificazione di marketing è base e punto di partenza, nel caso di
questa guerra sia stato malamente attuato. Come accade purtroppo spesso
in molte imprese, lo "scenario attuale" sembra essere stato disegnato più
che per avere il quadro oggettivo di una situazione, per compiacere l'Alto
Dirigente di turno. E così, Saddam Hussein - certamente un bieco dittatore;
certamente uomo senza scrupoli; certamente tutto meno che rispettoso dei
diritti umani; certamente satrapo folle; certamente. tutto quello che volete
- è stato anche presentato al mondo come il detentore e l'imminente utilizzatore
di armi terribili. E il suo Paese come ricettacolo di terroristi in atto
e potenziali. E dunque come una minaccia "attuale" da sventare quanto prima.
Pena, milioni di morti e il crollo di una civiltà. La nostra.
Con un piccolo particolare: che non era vero. Ma con una caratteristica
importante: si trattava di un'informazione capace quasi da sola di coagulare
attorno alla "guerra preventiva" un consenso abbastanza vasto perché si
potesse affermare che "il popolo" voleva che l'Iraq fosse liberato da una
dittatura che, oltre a minacciare il mondo occidentale, umiliava la civiltà
di un Paese che della civiltà è stato culla. E i sacrifici che un intervento
armato impone sarebbero stati ampiamente ripagati in termini così di immagine
come di sicurezza. E il Capo di una Nazione che vuole la guerra per la propria
sicurezza e per una duratura pace futura non può non obbedire, non può non
rispondere alle aspettative di un popolo che lo ha eletto proprio per essere
da lui tutelato, difeso, migliorato, proiettato verso un luminoso futuro.
Un futuro migliore per tutti. Sopra tutto, nell'immediato, un futuro di
gloria per un Presidente che, forse, è costretto a mettere in prima linea
la difesa di interessi che più che alla Nazione sono riferibili ad un gruppo
di personaggi ben più limitato e più che basati su valori universali, si
fondano sul valore del petrolio e dei suoi derivati.
E sulla necessità di moltiplicare gli affari dei produttori di armi. E sulle
opportunità offerte da una ricostruzione che le bombe intelligenti e i missili
intelligenti e le altre armi intelligenti hanno intelligentemente creato.
E crearsi le opportunità e cogliere le opportunità ravvisate sono comandamenti
primi del codice di comportamento degli imprenditori e delle imprese. E
tutto questo la dice lunga anche in termini di "comunicazione" e di "gestione
dello scambio avente per oggetto la comunicazione".
Ma su questo tornerò, non senza aver qui ricordato che un quadro errato
della situazione attuale probabilmente genera informazioni errate (e questo
è accaduto), ma che informazioni non corrette possono essere fabbricate
e distribuite anche in perfetta malafede. E anche questo è accaduto. Sempre
per un futuro migliore. Ma forse è da aggiungere che al momento in cui lo
scenario attuale doveva essere disegnato ci si è dimenticati di dare il
giusto valore alla nuova concezione della guerra. Non più un fenomeno triste,
doloroso, pesante, distruttivo ma in qualche modo soggetto a regole, per
quanto precarie. Un evento, invece, ormai senza alcuna regola, di nessun
tipo. E non è a dire che la cosa non potesse essere prevista. L'attentato
alle torri gemelle (ma non solo) è stato un segnale preciso: pur di colpirvi
e distruggervi, ogni mezzo è lecito, ogni momento è opportuno. E tra le
armi possibili, se voi avete le testate nucleari e i missili e le bombe
atomiche, noi disponiamo di eroi disposti a sacrificare con certezza la
propria vita, pur di colpirvi e di contribuire alla vittoria finale.
Un messaggio terribile con questo in più: la consapevolezza che le armi
atomiche non possono essere utilizzate se non a costi altissimi e con effetti
assolutamente inimmaginabili per l'intero pianeta, fino al rischio della
distruzione totale. Il kamikaze, invece, uccide, distrugge, muore, ma garantisce
la sopravvivenza della propria gente, della parte per la quale combatte.
E sono, questi, alcuni degli elementi che distinguono anche quello "scenario
di oggi" che va accuratamente disegnato se vogliamo porre riparo alle carenze
che la pianificazione di gestione di questa guerra ha palesato. Oggi la
situazione sembra essere descritta almeno dai punti che seguono, l'indicazione
dei quali, ovviamente, non ha alcuna pretesa di completezza ma la cui conoscenza
a mio parere può portare ad iniziare un processo di individuazione delle
azioni di correzione alle falle che quel piano di marketing di cui mi sto
occupando ha denunziato.
LA CATTEDRA
Lezione del prof.
PAOLO M. DI STEFANO
docente di Marketing nell'Università per stranieri di Perugia
"Cronologia"
ringrazia per l'articolo
(concesso gratuitamente)
il direttore di
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