"Vincere!".
Forse fu l'unica volta che i "nostri" esaudirono appieno il famoso
imperativo mussoliniano. Conquistarono il secondo posto, dietro gli Stati Uniti.
LOS ANGELES: ALLE
OLIMPIADI 1932
TRAVOLGENTE EXPLOIT DELL'ITALIA
di ALESSANDRO FRIGERIO
"Olimpiadi della nuova Italia", secondo la propaganda di regime. "Olimpiadi degli italiani", secondo una definizione neutra, politicamente corretta e ancora in uso settant'anni dopo.
Così è passata alla storia la partecipazione degli atleti azzurri ai decimi giochi olimpici di Los Angeles. Tanti allori, il secondo posto in classifica generale, un grande impatto mediatico offerto dal palcoscenico statunitense e la stampa che ne approfitterà per rilanciare l'immagine dell'Italia fascista, cementando nella storia uno dei momenti di massimo consenso al regime.
Correva l'anno 1932 e il fascismo festeggiava i dieci anni di potere come meglio non avrebbe potuto fare. I pochi dissensi interni erano stati messi pressoché a tacere: a gennaio la polizia aveva smantellato il gruppo di Giustizia e Libertà, in marzo era morto in esilio Filippo Turati, mentre in giugno era stato sventato un attentato contro Mussolini e il colpevole, l'anarchico Angelo Sbardellotto, rapidamente giudicato e fucilato.
In ambito internazionale l'attivismo mussoliniano, ancora insensibile ai richiami imperiali, stava dando buoni risultati. Tra la fine degli anni Venti e la prima metà degli anni Trenta le relazioni tra Italia e Stati Uniti si erano incanalati sui binari della più completa cordialità; sia sul piano della politica internazionale sia su quello dei rapporti tra il grande paese d'oltreoceano e la sua consistente comunità italiana.
Mussolini aveva più volte ribadito pubblicamente la necessità che i cittadini italiani residenti in America usassero tutti i riguardi nei confronti della loro patria d'adozione. Mentre il presidente Hoover, dal canto suo, esaltava "il contributo degli italiani al progresso materiale e spirituale del paese". Non a caso, la metà dei voti che nel novembre del 1933 condurranno Fiorello La Guardia sulla poltrona di sindaco di New York saranno di elettori italo-americani.
Erano gli anni in cui a Wall Street aumentava l'interesse economico verso il paese dove regnavano "legge e ordine". Anni in cui l'ambasciatore americano a Roma sosteneva con entusiasmo che con Mussolini era nata una nuova Italia e che "sotto il regime c'era più democrazia di quanta ce ne fosse mai stata dai tempi di Crispi". E se più cauto era il presidente Hoover, che si limitava ad apprezzare le aperture del Duce in tema di disarmo (ma nelle sue memorie scriverà che il regime fascista era uno "stato di polizia, non meno dispotico di quello di Stalin e di Hitler"), con il suo successore, Roosevelt, eletto nel 1933, l'idillio toccherà lo zenit.
Questo il clima politico in cui si svolsero a Los Angeles, tra il 30 luglio e il 14 agosto del 1932, i giochi della X olimpiade, in una atmosfera di euforia e di straordinaria efficienza organizzativa. Gli americani si stavano infatti preparando all'evento quasi da dieci anni e, nonostante la depressione del 1929, non volevano farsi trovare impreparati. A maggior ragione dopo la brutta figura rimediata nella precedente edizione in terra d'America, quella del 1904 a Saint Louis. In quell'anno, infatti, i giochi si erano svolti all'interno di una struttura espositiva approssimativa e sulla base di prove a dir poco curiose. Basti pensare che le gare di nuoto si erano tenute in un lago artificiale di forma irregolare, privo di pedane di partenza, e che agli uomini di colore, agli indiani d'America, a filippini, turchi e siriani erano state riservate delle gare a parte, denominate "gare antropologiche".
A Los Angeles, invece, tutto fu grandioso, in piena sintonia con lo sfarzo della vicina Hollywood. La messa in scena risentì molto dell'atmosfera cinematografica. L'arena destinata alle gare d'atletica, il Memorial Coliseum Stadium, realizzato nel 1919, fu ampliato fino ad accogliere più di centomila posti, tutti a sedere. A Long Beach fu costruito appositamente il Marine Stadium per le gare di canottaggio. A Pasadena fu allestito il velodromo. Un sontuoso villaggio olimpico immerso nel verde, costituito da 550 villette in stile coloniale spagnolo, sorse una ventina di chilometri fuori dalla città, a Baldwin Hills. Era la prima volta che gli atleti venivano concentrati in un villaggio appositamente realizzato per loro. Vi trovarono alloggio gli atleti uomini e il personale di appoggio alle singole squadre. Le donne, numericamente inferiori, erano invece ospitate al Chapman Park Hotel, il più lussuoso albergo di Los Angeles.
L'atmosfera di quei giochi è stata descritta efficacemente - e con una punta di sarcasmo che a noi piace interpretare come una assai più umano accenno d'invidia - dal francese Gaston Meyer in Le Phénomène olympique: "Il villaggio olimpico, molto civettuolo con le sue piccole e fragili casette prefabbricate abitate ciascuna da quattro atleti, costruito su di un terreno di golf, era sì cintato e custodito da cow-boy a cavallo; ma alle porte facevano ressa lussuose vetture americane: stelle, stelline, future stelline, signore mature della buona società si disputavano l'onore di accogliere presso di sé gli atleti e colmarli di attenzioni. Un marciatore francese, Quintric, di professione fattorino, "rapito" da una quarantenne bionda e vaporosa, visse un'avventura di sogno, dopo la competizione. Una villa messa a sua disposizione con i saloni, la piscina privata, nulla era troppo bello per lui. Quando suonò l'ora del ritorno bisognò letteralmente strappare Quintric in lacrime a quella che fu senza dubbio la grande avventura della sua vita. […] Tale era l'atmosfera di stordimento, paradisiaca e mondana, molto lontana dall'ascetismo olimpico".
Ma il villaggio non fu l'unica novità introdotta a Los Angeles. La cerimonia di apertura, con spari a salve, bande musicali, cori e stormi di colombe liberate sul campo del Memorial Coliseum, così come l'ingresso coreografico del corridore con la fiaccola di Olimpia, assunse definitivamente il ruolo simbolico che ancora oggi conserva. Anche nelle modalità di premiazione si introdusse quell'artificio figurativo che oggi pare così abituale: il podio più alto per il primo classificato con i gradini a scalare per il secondo e il terzo.
Complessivamente furono 1408 gli atleti - 1281 uomini e 127 donne - che in rappresentanza di 38 nazioni si confrontarono in 116 gare distribuite su 14 discipline. Rispetto alla 46 nazioni presenti quattro anni prima ad Amsterdam la partecipazione era inferiore. Ma non bisogna dimenticare che la crisi economica del 1929 faceva ancora sentire i suoi effetti. E poi raggiungere la costa californiana con i mezzi dell'epoca era ancora un'avventura.
Ad ogni modo, il bel tempo favorì lo svolgimento dei giochi per tutti i quindici giorni di competizioni. E il pubblico non mancò di dare il suo sostegno, partecipando numeroso alle manifestazioni. Dal canto loro gli atleti ripagarono tanto entusiasmo abbattendo tutti i primati olimpici delle gare di atletica, con l'eccezione del salto in lungo, in alto, dei 3000 siepi e del lancio del martello. Nel nuoto gli atleti giapponesi la fecero da padroni, sconfiggendo gli americani che, sulla scia della trascorsa fama olimpica di John Weissmuller, ormai alle soglie della fama cinematografica con Tarzan l'uomo scimmia (il film fu girato proprio nel 1932), pensavano di non avere più rivali al mondo. Nelle diverse specialità natatorie furono stabiliti dieci primati olimpici, di cui quattro mondiali.
Alla chiusura dei giochi la "vittoria" nella classifica generale del medagliere spettò ai i padroni di casa, che conquistarono complessivamente 41 ori, 32 argenti e 30 bronzi. Ma oltre allo scontato successo statunitense, un'altra nazione impressionò gli spettatori per il suo consistente bottino. Fu l'Italia, che con 12 ori, 12 argenti e 13 bronzi si classificò immediatamente alle spalle dei padroni di casa. Dietro gli azzurri, ben staccate, la Francia, con 10 ori, 5 argenti e 5 bronzi, e la Svezia, con 9 ori, 5 argenti e 9 bronzi. Due furono gli atleti recordman che riuscirono a conquistare tre medaglie, l'americana Helene Madison, nel nuoto, e il nostro Romeo Neri, nella ginnastica.
Non a caso i giochi della decima edizione sono quindi passati alla storia come le "Olimpiadi degli italiani". La nostra squadra, tutta al maschile, era composta da 101 atleti. Mussolini aveva introdotto la regola, ancora in uso ai giorni nostri, per cui agli atleti più meritevoli veniva assegnato un impiego statale di facciata che consentisse loro di dedicare all'allenamento gran parte del tempo senza alcuna preoccupazione di tipo economico. "Dilettanti di Stato", come sarebbe avvenuto nella Germania hitleriana, in Urss, negli Stati Uniti con gli atleti "studenti" o, senza andar troppo lontano, con i nostri atleti carabinieri e finanzieri, gli italiani giunsero a Los Angeles ben preparati e, soprattutto, ben caricati dai miti della "fortificazione della stirpe" e dalla propaganda.
È il caso di Attilio Pavesi, straordinario vincitore della prova di ciclismo a cronometro sulla distanza di 100 chilometri (secondo si classificò un altro italiano, Guglielmo Segato). Partito come riserva, fu inserito in squadra all'ultimo momento. Come tutti gli altri azzurri, poco prima del via ricevette un telegramma di incitamento da Mussolini. I nostri atleti - ma un discorso analogo vale anche per gli intellettuali e gli artisti - dovevano, come si usava dire allora, "farsi ambasciatori dell'Italia fascista nel mondo". E non ci discostiamo troppo dalla realtà se immaginiamo quel telegramma chiudersi con il fatidico "Vincere!".
Si racconta che Pavesi, convinto di essere l'unico fortunato destinatario della missiva, e sentendo fissi su di sé gli occhi del Duce, abbia spinto come un dannato sui pedali della bicicletta fino alla vittoria finale. Dal ciclismo arrivarono poi anche le medaglie d'oro nella classifica a squadre e nell'inseguimento a squadre su pista (Nino Borsari, Marco Cimatti, Alberto Ghilardi e Paolo Pedretti, sulla distanza di 4 chilometri). Bruno Pellizzari conquistò invece il bronzo nella velocità su pista.
Anche i ginnasti italiani diedero grande prova di sé. Romeo Neri, ventinovenne riminese con la passione per il pugilato, il nuoto e il sollevamento pesi, conquistò l'oro nelle parallele e nel concorso generale, trascinando gli azzurri anche al successo di squadra. Saverio Guglielmetti, milanese, ventenne, datosi alla ginnastica dopo che da ragazzino, cadendo dal quarto piano, era riuscito a salvarsi aggrappandosi ai cavi del telefono, ottenne invece il primo posto nel volteggio a cavallo. Un argento nel cavallo con maniglie fu ottenuto da Omero Bonoli, mentre due bronzi arrivarono da Giovanni Lattuada e Mario Lertora, rispettivamente agli anelli e nel corpo libero.
Anche nella scherma la squadra italiana si piazzò ai vertici. Guidata da Nedo Nadi, lo schermidore gentiluomo vincitore di ben cinque medaglie alle olimpiadi di Anversa del 1920, salì complessivamente otto volte sul podio. Nel fioretto individuale conquistò l'oro il livornese Gustavo Marzi. Analogamente fece Giancarlo Cornaggia-Medici nella spada. Gli argenti furono quattro: uno di Giulio Gaudini nella sciabola e tre nelle classifiche a squadre delle tre armi (fioretto, sciabola e spada). Bronzo ancora a Gaudini nel fioretto e a Carlo Agostoni nella spada.
Ma, forse, la medaglia che diede più soddisfazione di tutte fu quella di Luigi Beccali nei 1500 metri piani. Soddisfazione perché fu la prima delle nostre 12 medaglie d'oro e l'unica nell'atletica. E soprattutto perché i pronostici davano un prevedibile testa a testa finale tra gli atleti anglosassoni e quelli scandinavi, all'epoca incontrastati dominatori delle competizioni di fondo. Eppure Luigi Beccali, ventiquattrenne milanese, figlio di un ferroviere, non era un vero e proprio outsider: aveva infatti al suo attivo il miglior tempo della stagione. Nessuno sembrava però disposto a dargli credito. In una corsa serratissima, con continui scatti, allunghi e ricongiungimenti, l'azzurro riuscì a restare sempre insieme ai primi. Quando a poche decine di metri dal traguardo il canadese Edwards pareva ormai lanciato alla vittoria, Beccali si produsse in uno scatto fulminante, impensabile dopo un chilometro e mezzo di lotta accanita. Tra un tripudio di folla che gridava "Italy, Italy", riuscì a tagliare per primo il traguardo, stabilendo anche il nuovo record olimpico. Due anni più tardi, a testimonianza della sua grande classe, stabilirà anche il record del mondo sulla distanza.
La premiazione fu così raccontata dai nostri giornali: "Il vincitore, rigido in mezzo al campo, sull'attenti, maschio nel suo comportamento di atleta, salutava romanamente il tricolore che saliva sul pennone". Anche la stampa americana si allineò, scrivendo del "ragazzo di Mussolini, bello e rapido come la folgore". Come il ciclista Pavesi, anche lui fu uno dei migliori "ambasciatori" dell'Italia fascista nel mondo.
Dall'atletica, piuttosto avara di successi per i nostri colori, giunsero inoltre due medaglie di bronzo, anche queste inattese. Quella di Ugo Frigerio nella 50 chilometri di marcia, conquistata ben dodici anni dopo il successo nella 10 chilometri alle olimpiadi di Anversa, e quella nella 4x100, con Giuseppe Castelli, Ruggero Meregatti, Gabriele Salviati e Edgardo Toetti, giunti alle spalle delle imprendibili staffette statunitensi e tedesche.
Anche se l'oro sfuggì solo per un soffio, una delle gare più emozionanti per i nostri colori fu quella di canottaggio con l' "otto con". Ancora una volta i candidati alla vittoria finale erano due equipaggi, quella statunitense e l'arciblasonato otto di Cambridge. Ma già nelle batterie di qualificazione i vogatori italiani, tutti della "Canottieri Livorno", soprannominati scarronzoni, avevano dimostrato di essere in gran forma prendendosi libertà di battere gli inglesi. L'entusiasmante finale fu così raccontata dal Corriere delle sera: "L'Italia partiva bene, seguita dall'America, e sino ai 300 metri i due otto rimanevano sulla stessa linea. Ai 500 metri l'America, vogando a 34 palate, partiva all'attacco e passava prima per un quarto di lunghezza sull'Italia che batteva 40 colpi. Ai 1000 metri i leader avevano aumentato […] a mezza lunghezza il vantaggio sui nostri vogatori, che sembravano travolti dalla baldanza e dalla sicurezza dei californiani. La lotta era così violenta che Canada e Inghilterra, distaccati di mezza lunghezza, potevano dirsi già fuori gara. Ma ecco ai 1400 metri prodursi la potente offensiva italiana che dava a noi un fremito e che troncava l'urlo della folla che già pregustava la vittoria americana. […] Ai 1750 metri aveva termine l'impressionante inseguimento e i californiani erano raggiunti dall'otto italiano. Poi gli azzurri, lentamente, irresistibilmente passavano gli avversari. Il finale era veramente drammatico e lasciava gli animi sospesi. A 50 metri dall'arrivo l'Italia era prima per 2 metri e pareva che ormai nessuno potesse togliere agli azzurri quest'ultima, più bella, più incredibile vittoria. Ma negli ultimi dieci metri gli italiani rallentavano un attimo. Tanto bastava perché gli americani già battuti si gettassero disperatamente avanti. Nello sforzo meraviglioso gli equipaggi terminavano sulla stessa linea. Non si sapeva chi avesse vinto; neppure il pubblico aveva visto, e taceva ancora. Solo quando l'altoparlante, tra il silenzio generale, annunciava che l'America aveva vinto per 2/10 di secondo si scatenava la bufera degli applausi della folla. Si applaudiva ai beniamini vittoriosi; si applaudiva ai vinti che erano stati degni dei vincitori".
Non fu l'unica nostra medaglia nel canottaggio. Conquistammo un altro argento nel quattro con e un bronzo nel quattro senza.
Ma non è tutto. Il bottino di medaglie fu completato da discipline quali il pugilato, la lotta e il tiro, specialità da allora diventate classiche per gli atleti italiani nei tornei olimpici. Nel pugilato il massimo Luigi Rovati e il mediomassimo Gino Rossi dovettero accontentarsi della piazza d'onore, sconfitti in finale rispettivamente dal pugile statunitense Lovell e dal sudafricano Carstens. Il sollevamento pesi regalò un argento con Carlo Galimberti nella categoria medi e un bronzo con Gastone Pierini nei leggeri.
La lotta greco-romana trovò il suo gigante nel peso piuma Giovanni Gozzi, che strappò l'oro nella sua categoria. Nei pesi gallo, invece, il focoso Marcello Nizzola dovette accontentarsi dell'argento. Furibondo per la sconfitta, e per qualche colpo ai limiti del lecito sferrato dal suo avversario, il tedesco Brendel, negli spogliatoi Nizzola tentò di avventarsi sul vincitore con un coltello, ma un poliziotto riuscì fortunatamente ad evitare il peggio. Due bronzi, infine, furono conquistati rispettivamente da Ercole Gallegati nei pesi welter e da Mario Gruppioni nei medio-massimi.
Dal tiro al bersaglio con pistola automatica arrivò l'ultimo oro. A conquistarlo fu Renzo Morigi, con sei centri pieni infilati nello straordinario arco di tempo di due soli secondi. Verrà definito dagli americani la "mitragliatrice umana". Terzo fu un altro azzurro, Domenico Matteucci. E qualcuno ironizzerà sulla bravura tutta italiana a maneggiar le armi: abilità, si disse, che dallo sport arrivava fino agli ambienti della mafia italo-americana.
Al ritorno dalla lunga trasferta gli atleti italiani verranno ricevuti da Mussolini e additati ad esempio per la maschia gioventù italica. Ma nonostante gli sforzi e le premure del regime, quello di Los Angeles resterà un exploit ineguagliato. Quattro anni più tardi il feeling con gli Stati Uniti verrà definitivamente compromesso dalla guerra d'Etiopia. E alle olimpiadi di Berlino, in casa dei nuovi "amici" tedeschi, gli italiani si collocheranno solo al quarto posto nella classifica per nazioni.
ALESSANDRO FRIGERIO
BIBLIOGRAFIA
Storia di medaglie. Gli ori olimpici italiani, di Giampiero Spirito - Bolis,
1997
* I giochi sono fatti. La storia, i personaggi e i risultati delle olimpiadi
dal 1896 ai nostri giorni, di Mario Gherarducci - Zelig, 1996
* Storia delle Olimpiadi, di Stefano Jacomuzzi - Einaudi, 1976
* Storia delle Olimpiadi, di Antonino Fugardi - Cappelli, 1958
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(concessa solo a Cronologia)
è stata offerta da Franco Gianola
direttore di http://www.storiain.net