Vittorio Emanuele
I abdicò in favore del fratello Carlo Felice, che allora
era a Modena, ospite del duca Francesco I suo cognato, e,
come vedemmo, affidò la reggenza al principe Carlo
Alberto di Carignano.
Questi, giovane inquieto che aveva sognato per ambizione e
per naturale inclinazione dello spirito un rinnovamento liberale
in Piemonte, non aveva nè volontà nè
qualità pari all'arditezza delle aspirazioni, ed era,
in realtà, incapace di sottrarsi agl'influssi delle
tradizioni piuttosto reazionarie e religiose della sua famiglia.
Si era però compromesso coi liberali, e, come vedremo
più avanti, si lasciò persuadere a concedere
una blanda costituzione (in tutto analoga a quella che la
rivoluzione aveva ottenuta in Spagna suscitando in tutta la
penisola un incredibile entusiasmo).
Ma mentre in
Lombardia già si sperava di vedere il giovane principe
Sabaudo dichiarare la guerra all'Austria e varcare risolutamente
il Ticino, iniziando la santa impresa della liberazione dell'
Italia, Carlo Felice, da Modena, chiesto ed ottenuto l'aiuto
austriaco per « ristabilire l'ordine » in Piemonte,
revocò la costituzione ed ordinò a Carlo Alberto
di costituirsi, quasi prigioniero, alle truppe fedeli alla
monarchia stanziate in Novara. Questo atto del nuovo re di
Sardegna segnò la fine della rivoluzione piemontese
del 1821.
Carlo Felice,
terzogenito di Vittorio Amedeo III, era nato il 6 aprile 1765
e aveva avuto il titolo di duca del Genevese. Di carattere
freddo, amante della solitudine, dedito ad abitudini quasi
claustrali, in gioventù aveva aspirato a ritirarsi
dal mondo. Avendo la sua Casa perduta la Savoia, era stato
costretto a mutare il suo titolo in quello di marchese di
Susa. Nel 1798 aveva seguìto in Sardegna suo fratello
Carlo Emanuele IV. Poi, quando questi era ritornato sul continente,
in seguito alle vittorie austro-russe, era rimasto, col titolo
di vicerè, nell'isola, che aveva governata molto saggiamente,
migliorandovi la giustizia, promuovendovi la buona amministrazione,
fondandovi un Museo di storia naturale ed un altro di archeologia,
dando prova, durante un contagio, di animo benefico e noncurante
del pericolo, e così meritandosi l'ammirazione e l'
affetto del popoIo sardo.
Nel mese di ottobre
del 1821 Carlo Felice entrò sollennemente in Torino,
già pacificati dalle armi straniere e da una reazione
feroce. Fu accolto da un silenzio glaciale.
In realtà, egli era, in un certo senso, estraneo a
quanto era avvenuto. Personalmente, non aveva nè ambizione,
nè bramosia di comando. Cosa strana per un Savoia,
non apparteneva neppure all'esercito. Non si era aspettata
nè aveva desiderata la corona, ed è molto probabile
che se Vittorio Emanuele I fosse sceso tranquillamente nella
tomba, egli avrebbe lasciato che il principe di Carignano
raccogliesse la non ambita successione.
Ma gli eventi
lo avevano « condannato al trono », ed egli subiva
la corona, piuttosto che portarla. Amava il teatro, specialmente
la commedia e il ballo, ed era un appassionato di belle arti
e di antichità. La politica lo annoiava.
"Io non faccio il re per essere seccato", rispondeva
ai ministri quando gli presentavano per la firma troppi decreti.
Il progresso,
le novità, lo spaventavano. Quando, scoppiata la rivoluzione,
egli si era trovato re da un giorno all'altro, senz' aver
mai desiderato di diventarlo, non aveva voluto considerarsi
successore di suo fratello prima che questi avesse confermata
da Nizza la propria abdicazione, che, firmata in Torino durante
i moti rivoluzionari, non doveva, secondo lui, esser stata
spontanea. Poi, subendo l'influenza della moglie e della reazionaria
Corte di Modena, si era adattato al suo destino e aveva iniziato
il suo regno commettendo il grave errore politico dei provvedimenti
reazionari spietati, eccessivi.
Il regno di questo
sovrano singolare, durò dieci anni, nei quali, sebbene
egli non risiedesse mai a Torino (preferiva vivere a Genova
o nelle sue ville di Covone e di Agliè) ed amasse occuparsi
di tutto fuorchè degli affari di Stato, i suoi ministri
promossero alcune riforme economiche, giudiziarie e militari,
opportune e benefiche, ed arricchirono il Regno d'importanti
opere pubbliche: ponti sul Ticino e sulla Dora, strade in
Piemonte ed in Sardegna, il teatro di Genova, alcuni magnifici
palazzi a Torino.
Ma, nota giustamente uno storico della dinastia,
pochi in realtà e di scarsa importanza furono i
fatti che del governo di questo principe si possono registrare.
Egli aveva ereditato dal fratello un saggio progetto di riforme
presentato da Prospero Balbo, ma non ne seppe praticare che
una piccolissima parte e la meno importante. I più
intimi amici del re, lo consigliavano a far qualcosa che desse
soddisfazione ai sudditi. Gli stessi capi delle forze austriache
ancora stanziati in Piemonte dopo i moti del 1821, incoraggiavano
il governo ad agire in questo senso. E qualche cosa si fece,
ma assai incompiutamente. Non era più l'intendimento
di uno statista, come l'idea del conte Balbo, che dirigesse
con larghe vedute e provvedesse a una saggia riforma: era
invece l'opera di curiali che rattoppavano quanto era stato
sfondato nella vecchia legislazione, tenendo dietro alle leggi
francesi, ma senza nemmeno osare prendere di quelle il complesso.
Era insomma, ripetiamolo, poca cosa e non buona ».
Nel 1824, quando
Carlo Alberto ritornò in patria dopo un periodo di
esilio trascorso in Toscana e dopo aver combattuti apertamente
i costituzionali spagnoli, rinnegando così la causa
liberale, Carlo Felice si riconciliò con lui, e, nel
suo testamento del 5 marzo dell'anno successivo, lo istituì
erede del trono.
Ad onore di Carlo Felice, a cui si potrebbero imputare non
pochi torti, devono essere ricordati il rifiuto di entrare
a far parte di una lega italiana che avrebbe dovuto essere
presieduta dall'imperatore d'Austria (secondo una proposta
fattagli a Genova da questo stesso imperatore, nel 1825) ed
il bombardamento di Tripoli, eseguito in quell'anno dalla
marina sarda, quando il bey ebbe la velleità
di sottrarsi alle condizioni stabilite in certi trattati conclusi
con Vittorio Emanuele I.
Fu moglie di
questo re Maria Cristina, figlia di Ferdinando re di Napoli,
nata il 17 gennaio 1779, sposata il 6 aprile 1807. Maria Cristina
non diede al marito alcuna prole, cosicché il ramo
primogenito della Casa di Savoia si estinse. Ella morì
in Savona il 12 marzo 1849.
Nell'aprile del 1831, Carlo Felice si ammalò gravemente,
e, affidata alla moglie la reggenza dello Stato, si spense
il 27 di quel mese, in Torino. La sua salma fu, secondo la
sua volontà, portata ad Altacomba, dove egli stesso
aveva fatto restaurare splendidamente l' antichissima chiesa
sabauda. Frattanto, la rivoluzione scoppiata a Parigi offuscava
nuovamente l'orizzonte europeo.
Termineremo questi
rapidi cenni con un giudizio dell'imparziale Predari : «Di
questo principe di tempra dura, inamabile, inflessibile nei
suoi propositi, di animo molto religioso ma forse troppo degenerante
nella bigotteria (sì che fu, più che non volessero
la ragion civile e la convenienza politica, partitante della
sétta divenuta famosa sotto il nome di « la Cattolica
», la quale di tanto male fu causa al suo successore
ed al paese) non si cita atto alcuno che non fosse leale,
anche nei più deplorabili traviamenti del suo dispotismo,
che fu illimitato... Indifferente, però, a qualunque
sentimento di gloria, a quello stesso della gloria militare,
che fu un retaggio perenne di tutta la Dinastia, egli abbandonò
la vita senza lasciare né eredi, né eredità
d'affetti, né una pagina alla storia che raccomandasse
il suo nome ai posteri ».