BIOGRAFIA
(n. 1562 - m. 1630) - Duca 1580 - 1630

sua moglie: CATERINA D'AUSTRIA
(n.1567 - m. 1597)

Carlo Emanuele I, nato in Rivoli il 12 gennaio 1562, da Emanuele Filiberto e da Margherita di Valois, fu uno dei principi più colti e più intelligenti della Casa di Savoia. Scriveva versi in italiano, in francese e in spagnolo; si occupava di filosofia e di storia; amava e proteggeva le arti. Giambattista Marini ebbe da lui la croce di San Maurizio, Gabriello Chiabrera, venuto da Savona alla sua Corte, fu trattato come ambasciatore da lui che aveva già festosamente accolto e onorato Torquato Tasso. Alessandro Tassoni narra di avere assistito ad un pranzo nel quale Carlo Emanuele I, attorniato da circa sessanta vescovi, baroni, dottori e medici, disputava ora con l'uno ora con l'altro di molte questioni di scienza, parlando in varie lingue e dando prova di grande acume e d'ingegno e dottrina veramente singolari.

Dicemmo già che nell'infanzia Carlo Emanuele era stato gracile e malaticcio. Sua madre l'aveva allevato fra continue cure, sempre temendo di perderlo e sottoponendolo spesso al controllo dei medici. Morta la duchessa Margherita il 15 settembre 1574, Emanuele Filiberto prese ad educarlo a suo modo, addestrandolo anzitutto nelle armi, nella ginnastica, e conducendolo con se attraverso gli Stati per farlo conoscere come suo successore.

L' educazione paterna trasformò presto il malaticcio fanciullo in un giovane che, dice un contemporaneo, "buona parte della notte la impiegava in veglie, danze, consulta di Stato e d'armi, onde riuscì guerriero mirabile, principe attivo, affabile e splendido, nel quale spiccò molta vera grandezza, con tratti di benignità tale che valse a contemperare nei sudditi i dolori e gli aggravi della guerra con il peso intollerabile delle imposte".

Con tutto ciò, e per quanto si fosse irrobustito, Carlo Emanuele I, allorchè successe al padre in età di diciott'anni, dovette assoggettarsi al consiglio di due precettori che il padre moribondo gli aveva assegnati: Bernardino di Savoia Racconigi, signore di Cavour, e Andrea Provana, signore di Leynis. Ma ben presto si mostrò insofferente di qualsiasi tutela e pieno di un personale spirito d'iniziativa.

Questo principe Sabaudo, di cui si disse che « illustrò e intorbidò due secoli », oltre al merito di aver rafforzato lo Stato dei suoi avi con buoni ordinamenti civili e con armi proprie, ebbe quello grandissimo di voler provvedere a risvegliare e ad esaltare la passione nazionale, immedesimando gl'interessi della sua monarchia con quelli d'Italia. Appunto per questo il suo nome, quantunque nessun principe avesse mai sottoposto i sudditi a gravami maggiori di quelle a cui egli sottopose i suoi, divenne celebre e popolare dalle Alpi alla Sicilia. Egli ebbe però anche il torto di non limitare all'Italia le proprie aspirazioni, e di non moderare con la prudenza, come aveva fatto il padre, la vastità dei propositi. Abbandonò il sistema di neutralità forte ed armata che Emanuele Filiberto aveva abilmente inaugurato.

Infatti, quando i cattolici francesi insorsero contro Enrico IV, eretico ed alleato con la regina d'Inghilterra, egli non esitò ad aspirare al trono di Francia, come figlio di Margherita di Valois, nata da Francesco l; come poi, dopo la morte dell'imperatore Mattia, nella qualità di principe dell'impero aspirò al trono imperiale. « Rimasto vedovo, dice in proposito il Cibrario, credo aspirasse anche al palpato, sebbene i suoi costumi fossero alquanto corrotti ».

La sua politica, per quanto discontinua e mutevole, ebbe il gran merito di mettere in vista a tutta l'Europa il Piemonte, « paese piccolo ma forte per senno civile e per sottile diplomazia ».
Quando salì al trono, la Francia era sconvolta dalle guerre degli Ugonotti, ed egli che aveva un magnifico temperamento di guerriero amante dei grandi rischi, ne approfittò, come nemico del dominio straniero in Italia, per impadronirsi del marchesato di Saluzzo, il quale, venticinque anni prima, era stato occupato dai Francesi mentre Emanuele Filiberto non poteva impedirlo in alcun modo. Dopo questa conquista, Carlo Emanuele mirò a quella di Ginevra, città sfuggita da più di quarant'anni al dominio Sabaudo e divenuta sede principale del calvinismo. Non potendo vincerla con le armi, cercò di riuscirvi con le congiure, che però riuscirono ugualmente vane.

L'occupazione di Saluzzo e i tentativi contro Ginevra svelarono le mire ambiziose del Duca a danno della Francia e destarono dovunque vive inquietudini, cosicchè Berna, temendo di perdere il paese di Vaud, si decise a dichiarargli guerra. Giunto ad una pace onorevole con i Bernesi, Carlo Emanuele, a cui la sete di conquiste andava crescendo, volle approfittare del dissolvimento provocato in Francia dalla guerra civile che fu detta « dei tre Enrichi », ed iniziò una nuova impresa tendente alla conquista del Delfinato. Ma questa volta i Ginevrini si allearono coi Francesi, e prima che il Duca potesse muoversi invasero la Savoia ed il Piemonte. La guerra fu lunga e disastrosa. Malgrado le ripetute istanze e sollecitazioni del papa, i soccorsi della Spagna, che pure era alleata di Carlo Emanuele I, furono scarsi e lenti.

Nel 1601 finalmente, dopo una lunga serie di trattative e di accordi non sempre osservati, il Duca di Savoia riuscì ad ottenere la pace, e con essa il riconoscimento del possesso di Saluzzo, ma con la condizione di dover consegnare ad Enrico IV la Bresse, il Bugey, il Valromey e Gex.

Dopo questi avvenimenti, visto che la Spagna, della quale era alleato da tanto tempo, non l'aveva mai aiutato, ma anzi l'aveva spesso umiliato trattandolo da suddito, meditò di formare una lega difensiva di tutti i principi italiani per l'indipendenza della penisola. Ma questo progetto svanì come tanti altri fatti prima e dopo, al medesimo fine.

Nel 1612, alla morte di Francesco Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato, quantunque vi fossero dei collaterali che avevano diritto alla successione, si rinnovarono le pretese della Casa di Savoia sul Monferrato, e Carlo Emanuele, nell'anno successivo, invase quel paese. La Spagna tentò invano di opporglisi, fingendo dapprima di offrirsi come mediatrice ed invitando il Duca a non compiere atti di ostilità. Egli allora, fingendo dal canto suo di cedere ai desideri del re di Spagna suo cugino, non si mosse, ma rimase accampato ai confini per far comprendere che non si fidava della mediazione di una Corona che già in parecchie occasioni si era mostrata ostile al Ducato di Savoia. La Spagna si smascherò, ed il governatore di Milano ebbe l'ordine di intimare al Duca di deporre le armi entro sei giorni, se non voleva esser considerato e punito come nemico del Re Cattolico.

Carlo Emanuele rispose da pari suo, rimandando a Filippo III le insegne dell'Ordine del Toson d'Oro e dichiarando senz'altro la guerra. E la guerra sostenne audacemente da solo, senza alleati, senz'aiuti di sorta, manifestando tutta la sua meravigliosa energia di mente e di spirito, mentre tutta l'Italia, benchè egli cercasse di svegliarla con le sue liriche ed i suoi saggi scritti, poltriva più che mai nelle mollezze e nel servilismo. « Non compresero gli altri Signori italiani che se in quell'ora avessero aiutato il Duca di Savoia, la Spagna avrebbe potuto esser cacciata dalla penisola per virtù di armi nazionali ».

Il fatto d'aver combattuto da solo contro la Spagna fruttò a Carlo Emanuele molta fama; ma il non aver saputo o potuto fermarsi dopo quella guerra e l'averla sostenuta senza prima concludere delle valide alleanze, furono fatti che gli valsero, dopo la morte, l'accusa di aver fatto decadere la monarchia Sabauda e di averle fatto perdere quella totale indipendenza dalle influenze straniere alla quale l'avevano sollevata il valore ed il senno del vincitore di San Quintino.

Mentre da ogni parte d'Italia giungevano al Duca congratulazioni perche aveva risuscitato il valore latino, egli dovette piegarsi ad una pace (Asti, 1615), rinunciando alle proprie mire. Il trattato così concluso non valse però a far desistere la Spagna dal danneggiare il Ducato di Savoia, e Carlo Emanuele riprese le armi nell'anno seguente, ancora solo, fidandosi di certe promesse di denaro avute dalla Repubblica di Venezia. Questa nuova guerra ebbe per lui risultati disastrosi. Vercelli gli fu tolta prima che i Bernesi (ai quali egli aveva ceduto il paese di Vaud, per attirarli a sè) potessero mandargli aiuti, e non gli fu restituita se non dopo la pace che venne firmata a Milano nel 1618.

Tuttavia non si quietò il Duca di Savoia. Partecipò alla guerra dei Trent'anni mirando all'Impero, e poi, visto sfumare quel troppo grande sogno, combattè in Valtellina coi Francesi contro gli Spagnoli, con la speranza d'insignorirsi almeno dí Genova e della Lombardia. Ma l'impresa di Genova fallì, e Carlo Emanuele, invece d'invadere la Lombardia, dovette di corsa provvedere a salvare le sue terre, minacciate d'invasione dal duca di Feria, governatore di Milano, ed accettare infine, per forza, la pace di Monzone conclusa a sua insaputa dal cardinale di Richelieu, con la Spagna.

Poco dopo, morto Vincenzo II di Mantova, si riaccese ancora una volta la questione della successione del Monferrato, che nel 1627 era passata a Maria, nipote di Carlo Emanuele I, moglie di un duca di Nevers, della Casa Gonzaga, ma stabilito in Francia e completamente francese. Lasciare il Nevers signore indisturbato di Mantova e del Monferrato, significava per Carlo Emanuele rimanere esposto alle bramosie della Francia, la quale, già padrona di Casale, avrebbe minacciato Torino e compromessa quell'indipendenza del Piemonte ch'era costata tanti sacrifici. Perciò il Duca di Savoia non esitò a porre di nuovo in campo le sue ragioni per pretendere la signoria del Monferrato, e, poichè gli era impossibile agire da solo, si decise a collegarsi con la Spagna contro la Francia, che aveva mandato numerose milizie a sostenere Carlo Gonzaga di Nevers.

Questa guerra, l'ultima combattuta da Carlo Emanuele I, fu disgraziatissima per lui. Come sempre male aiutato dagli Spagnoli, egli riportò, nel 1628 sulla Vraita una magnifica vittoria, mettendo in fuga un esercito francese di quattordicimila uomini; ma nell'anno successivo rimase sconfitto, e i Francesi gli occuparono Susa, Pinerolo e parecchie valli alpine. Quando morì, nel 1630 in Savoia e in buona Parte del Piemonte erano accampate milizie francesi.

Emanuele Filiberto aveva lasciato al figlio un testamento politico, nel quale gli aveva imposto di acquistare Saluzzo, di impossessarsi del Monferrato, di ricuperare Ginevra, e di fare un matrimonio che gli facilitasse queste imprese. Abbiamo visto quel che fece Carlo Emanuele per avere Saluzzo il Monferrato e Ginevra. Vedremo ora con quali criteri egli si ammogliò e quali risultati ottenne dal suo matrimonio.

Alla morte del duca di Alencon fratello di Enrico III re di Francia, essendo rimasta aperta la successione al trono di Navarra Carlo Emanuele pensò fosse suo interesse unirsi alla Lega cattolica, ed accettò in moglie Caterina d'Austria, figlia di Filippo II di Spagna. Con questo matrimonio egli aspirava ad avere aiuti per la conquista del Monferrato, di Saluzzo, recuperare il paese di Vaud e Ginevra, ad ottenere dall'Imperatore il titolo di re a dichiarar guerra alla Francia e ad avere, nella dote della principessa, il possesso di Alessandria. Ma queste vaste aspirazioni rimasero vane. Il re di Spagna gli fu larghissimo di promesse ma gli diede soltanto la sua secondogenita Caterina d'Austria, assegnandole una dote di trecentomila scudi che non fu mai sborsata, nè allo sposo nè ai suoi successori i quali poi, nel 1703 vi rinunciarono completamente.

Quanto poco abbia giovato questo matrimonio alla politica del Duca, s'è già visito; ma per darne un'idea precisa dobbiamo aggiungere che Caterina portò, nella Casa di Savoia il diritto di successione al Ducato di Milano, e che nel 1740 essendosene verificata la vacanza, Carlo Emanuele III, pronipote di lei, dovette accontentarsi, malgrado le sue buone ragioni, di poche terre staccate da quel Ducato e lasciare il resto a Maria Teresa, che non si curò affatto delle disposizioni contenute in un diploma di Carlo V recante la data del 12 dicembre 1549.

Abbiamo già detto che durante la sua ultima guerra, quella per la successione del Monferrato, Carlo Emanuele I dovette assistere all'invasione della Savoia e del Piemonte da parte delle soldatesche francesi. Esasperato per quel che accadeva, egli si portò a Savigliano con un esercito, nel luglio 1630, con lo scopo di provocare i Francesi ad una giornata campale, tanto per salvare quella città, come per impedir loro di recare aiuti a Casale, già circondata. Ma, il 21 luglio, gli giunse inaspettata e dolorosissima la notizia che Mantova era stata occupata e saccheggiata dagli Imperiali.
Chi lo vide riferì ch'egli rimase per due giorni come inebetito. «Tutto crollava, scrive un suo biografo, tutti i sogni svanivano. E quella fantasia ardente che l'aveva indotto successivamente a vedersi seduto su tutti i troni d'Europa, ora gli dipingeva coi colori più foschi una realtà già di per sè stessa molto triste: l'Italia in mano agli Imperiali, la Savoia perduta, il Piemonte alla mercè di tre eserciti, uno dei quali decisamente nemico ».

Carlo Emanuele, già quasi setttantenne, non potè resistere a tanta desolazione. Nella notte del 23 luglio 1630 si ammalò. La mattina del 26 volle il viatico. Quando entrò il sacerdote, si alzò a stento, dicendo : «Dio non voglia che io accolga un tanto Re stando in letto! ». Cinse la spada, si appese al collo il Collare dell'Annunziata, e poi spirò nell'atto di ricevere il sacramento. Aveva sessantotto anni e mezzo.
Il cardinale di Richelieu, buon conoscitore di uomini, diceva di Carlo Emanuele I : « Je ne connais pas d'esprit plus fort, plus universel et plus actif que ce prince ». Il duca fu realmente un uomo d'ingegno non comune, un eccellente guerriero, un principe ambizioso, letterato, cavalleresco, audace; « ma, dice il Cibrario, con le guerre continue, coi tributi insopportabili afflisse grandemente le sorti della patria e le trasmise al suo successore piuttosto pericolate che pericolanti».

Come suo padre, Carlo Emanuele I fu principe assoluto, pur sapendo mostrarsi arrendevole quando aveva bisogno di denaro. Fece sopportare al Piemonte i più gravosi sacrifici, militarizzandolo interamente; ma non si lasciò prender la mano dal papa e fu mite verso i dissidenti religiosi; arricchì la patria di sontuosi monumenti; fu grandioso non solo nelle concezioni politiche, ma anche nella istituzione di opere benefiche e nel dare incitamento e lavoro a letterati, a poeti e ad artisti, mentre però poco o nulla si curava dell'istruzione generale dei suoi sudditi. Morendo, lasciò in pessime condizioni le finanze, l'industria e il commercio del suo Stato.

Il 6 novembre 1597, rimase vedovo di Caterina d'Austria, dalla quale aveva avuto dieci figli: - Filippo Emanuele, nato nel 1586, morto a Madrid tre anni dopo; VITTORIO AMEDEO I (nato a Torino l'8 maggio 1587), che fu suo successore; Filiberto, nato nel 1588, che morì di peste a Messina, dove era vicerè; Maria Margherita, nata nel 1589, che fu viceregina del Portogallo; Isabella, nata nel 1591, che sposò Alfonso d'Este; Maurizio, nato nel 1593, che fu cardinale dall'età di quattordici anni e luogotenente del padre nel 1615; Maria, nata nel 1594, che si fece monaca; Francesca Caterina, che, monaca ella pure, fondò con la sorella Maria il monastero di Santa Maria Maddalena in Torino; Tomaso, nato nel 1596, che fu presto guerriero a fianco del padre, sposò Maria di Carlo di Borbone conte di Soissons e di Dreux, fu capostipite della linea Savoia-Carignano, e prese parte alle guerre civili in Piemonte; Giovanna, che morì nel nascere, cagionando la morte della madre.
Carlo Emanuele, circa un anno prima di morire, e precisamente il 28 novembre 1629, sposò segretamente Margherita di Rossillon de Chatelard, marchesa di Riva, dalla quale aveva avuto undici figli, che vennero in tal modo legittimati e che furono chiamati signori del sangue.

 

sua moglie CATERINA D'AUSTRIA
(n.1567 - m. 1597)

La notizia del matrimonio di Carlo Emanuele I di Savoia con Caterina Michela, figlia di Filippo II re di Spagna e della sua terza moglie Elisabetta di Francia, fu accolta nel Ducato, quando se ne sparse la notizia nel 1584, con grande soddisfazione. E da parecchie Corti giunsero in Piemonte ambasciatori recanti al Duca congratulazioni di re e di principi.
Abbiamo già accennato alle ragioni che indussero Carlo Emanuele a sposare Caterina d'Austria, e abbiamo già detto che un sì splendido matrimonio giovò ben poco alla politica e alle finanze del Duca, che non riuscì neppure a farsi versare la dote della sposa. Le nozze ebbero luogo l'11 marzo 1585, con grandiosa solennità, con splendide feste, tornei ed altri divertimenti pubblici. In quell'occasione Filippo II insignì del Toson d'oro il genero, che poi ne respinse sdegnosamente le insegne quando si mise in guerra contro la Spagna.

Malgrado l'infida e talvolta perfida politica della Corte di Madrid verso il Duca di Savoia, Caterina seppe essere un'ottima moglie per Carlo Emanuele, e dare prova di tutte le virtù che contribuiscono a render cara ai sudditi una principessa, meritandosi un posto fra le donne illustri dell'epoca. Si vuole che, intelligentissima, ella dimostrasse anche di saper governare. Della sua sagacia negli affari più difficili, si giovò in parecchie circostanze Carlo Emanuele, che l'amava teneramente e che nello scriverle soleva chiamarla mia vita, signora della mia anima, ecc.
Quantunque straniera, la duchessa, a fianco del marito, divenne subito e fu poi sempre sinceramente italiana, tanto che Carlo Emanuele, quando nel 1595 vide dileguarsi il suo sogno d'appoggiarsi alla Spagna e maturò il proposito di avvicinarsi alla Francia, ella non esitò ad approvare questa politica, mettendosi in profondo dissidio con la propria famiglia.

In dodici anni di matrimonio, Caterina diede a Carlo Emanuele I nove figli, e morì, come abbiamo già detto, nel dare alla duce l'ultima bambina, Giovanna, che non le sopravvisse. Si dice che la morte della duchessa sia stata affrettata da una falsa notizia che le giunse durante il parto, secondo la quale suo marito, guerreggiante allora contro i Francesi, sarebbe stato ucciso in battaglia.