Biografia
della moglie BEATRICE, a fondo pagina
(
n. 1504 - m. 1538 )
Allo sfortunato
Filiberto il Bello, il 10 settembre 1504 successe il fratello
Carlo III, «signore di così buona volontà,
che fu per soprannome detto il Buono».
Questa definizione é di Andrea Boldù, ambasciatore
veneziano. Ma il nono duca di Savoia non fu soltanto buono;
fu anche perspicace, riflessivo, imparziale, affabile; stimò
i dotti e ne ricercò la compagnia; fu colto ed operoso,
com'é dimostrato dalle minute di lettere, d'istruzioni,
ecc., che si trovarono negli archivi, scritte di suo pugno
in latino, in francese e in italiano.
Carlo III fu
anche molto devoto, e si dedicò sempre con molto
fervore alle pratiche religiose. Ciò non gl'impedì
di assumere atteggiamenti risoluti quando la Chiesa tentò
di soverchiare i diritti della sua Casa; ma, abitualmente,
egli mancò di energia, fu amante della quiete e della
routine, detestò le complicazioni e le finezze della
politica, ebbe una profonda avversione per le cose militari.
Fu, insomma, un principe debole, assolutamente privo delle
qualità più necessarie per reggere uno Stato,
soprattutto uno come il suo.
Figlio di Filippo
II e di Claudina di Brosse, era nato il 10 ottobre 1486
nel castello di Chazey, nel Bugey. Divenuto duca di Savoia,
per la prematura morte del fratello Filiberto, trovò
lo Stato in condizioni finanziarie tristissime, per effetto
dell'amministrazione tutt'altro che saggia dei governi precedenti
e giudicò opportuno seguire una politica tranquilla
e remissiva, quale poteva essergli suggerita dal suo carattere,
ma non tale, certo, da poter servire a vincere le difficoltà,
a risolvere le questioni spinose ed urgenti.
Seguendo pigramente
la linea di condotta che suo fratello aveva scelta, Carlo
III di Savoia, pur rimanendo neutrale ogni qualvolta si
trattasse di agire, parteggiò piuttosto per l'Impero
che per il re di Francia, cosicché Carlo V, riconoscente,
donò alla moglie di lui (della quale ci occuperemo
più avanti)
la città e la contea di Asti. Questo acquisto fu
l'unico successo ch'egli ottenne durante il suo lungo regno
(49 anni), mentre intorno a lui andavano moltiplicandosi
d'anno in anno le circostanze avverse e i pericoli.
Le cause dei
mali che affliggevano allora, anche internamente, lo Stato
di Savoia erano molte e complesse. Basti accennare alle
lotte di religione che si manifestavano dappertutto; alle
diverse eresie che si propagavano, creando profonde perturbazioni
e facendo negare, insieme con l'autorità dei capi
della Chiesa, quella dei principi; alle frequenti guerre
degli Svizzeri, dei Francesi e degli Imperiali, che passavano
e ripassavano attraverso la Savoia neutrale e passiva.
La neutralità ad ogni costo finì con l'essere
di gravissimo danno al ducato di Savoia. Infatti, il paese
fu moltissime volte invaso e devastato; e Carlo III anziché
infliggere, con le armi, delle severe lezioni agli Svizzeri
che abusavano in mille modi della sua bontà, sborsò
loro in diverse occasioni ingenti somme di denaro le quali
costarono gravi sacrifici a lui ed ai suoi sudditi.
D'altronde,
« la rovina a cui lo Stato di Savoia fu tratto
al tempo di Carlo III, scrive uno storico, fu una
conseguenza delle tristi condizioni a cui era pervenuta
l'Italia, aperta ormai da ogni parte agli stranieri, che
ne facevano il campo preferito delle loro lotte ambiziose
».
Assai dannosa
al debole duca fu anche l'inimicizia di Renato, Gran
bastardo di Savoia, che gli procurò l'ostilità
di Francesco I. Questo re giunse perfino a dichiarargli
guerra, appunto per quel Renato, che pretendeva la restituzione
dei possedimenti di cui era stato privato da Filiberto II,
e rinunciò all'impresa soltanto perché gli
Svizzeri gli negarono il loro aiuto.
Allora Carlo si decise finalmente ad organizzare un esercito
permanente di diecimila uomini; ma non poté farne
nulla perché non riuscì ad avere i mezzi necessari.
Il suo regno continuò ad essere pieno di avvenimenti
a lui contrari e apportatori di mali inauditi. Le pestilenze
e la fame, oltre ai saccheggi e alle violenze degli stranieri,
aggravarono le condizioni interne, e frattanto il duca,
sempre tormentato dal bisogno di denaro, era costretto a
vendere gli uffici e le magistrature, ad accettare delle
somme per condonare le pene inflitte, ad essere estremamente
lento nell'effettuare i pagamenti, così da acquistar
fama di avaro. In una sola cosa, era splendido, affermano
i contemporanei, e cioè nel fare indossare delle
clamidi di tessuto d'argento alle sue guardie del corpo,
e nell'ornare le loro divise di grandi croci di quello stesso
metallo.
Nel 1521, quando
scoppiò la grande guerra tra Carlo V e Francesco
I, dalla quale ebbe origine la preponderanza spagnola in
Italia, il Piemonte, privo di qualsiasi mezzo per farsi
rispettare, fu nuovamente e più che mai straziato
dai passaggi di truppe indisciplinate, le quali erano tanto
temute, che intere popolazioni abbandonavano le città
e le borgate e si rifugiavano sui monti e nei boschi, dove
la fame e i patimenti mietevano vittime innumerevoli.
In mezzo a
tanto sfacelo, parecchie popolazioni sabaude diedero prova
di vera devozione all'antica ed illustre Casa sovrana. La
Tarantasia insorse contro i Francesi e si ostinò
in un'eroica lotta, che però fu vana; Aosta tenne
sempre chiusi i passi allo straniero; Nizza, nel 1543, respinse
con un erpico sforzo di popolo Francesi e Turchi collegati
per prenderla.
Ma le notizie di questi fatti lasciarono sempre indifferente
Carlo III, che non si mosse mai, non montò mai a
cavallo, né fece alcun tentativo per prendere le
armi contro chicchessia. Così egli finì col
non esser più tenuto in considerazione da nessuno,
mentre nei paesi che gli stranieri e i nemici gli andavano
occupando si diffondeva il Calvinismo e la nuova generazione
non riconosceva più il duca come sovrano.
Egli doveva
morire prima che la guerra (interrotta per pochi anni dalla
pace di Crépy) fosse del tutto cessata, e prima che
gli fossero resi i suoi Stati dei quali ben poco gli rimaneva.
Morì improvvisamente, a Vercelli, per un colpo apoplettico,
il 17 agosto 1553, mentre suo figlio Emanuele Filiberto
combatteva lontano, nelle Fiandre, e fu sventurato anche
dopo esser morto. Infatti, tutte le
cose sue vennero rubate e andarono disperse, e la sua salma
non solo non fu in alcun modo onorata, ma non ebbe nemmeno
sepoltura per parecchi anni. Rimase in una semplice cassa,
sopra un armadio della sacrestia della cattedrale di Vercelli,
finché venne tumulata nella cappella in cui riposava
il Beato Amedeo.
Il regno di
questo principe durò quarantanove anni, per diciassette
dei quali i domini sabaudi di qua e di là dalle Alpi
furono in gran parte occupati da stranieri, che vi rimasero
ancora per molto tempo. La monarchia di Savoia poteva dirsi
distrutta. Doveva risollevarne le sorti Emanuele Filiberto
"Testa di ferro".
La
moglie: BEATRICE DI PORTOGALLO
( n. 1504 - m. 1538 )
La moglie di
Carlo III, che ha una parte non indifferente nella storia
dell' infelicissimo regno di questo duca di Savoia, nacque
il 31 dicembre 1504, da Emanuele, re di Portogallo, e da
Maria di Castiglia, nipote dell'imperatore Massimiliano
e sorella di Elisabetta regina di Spagna.
Il suo matrimonio col duca di Savoia fu ben visto da 'Carlo
V e da Leone X (che mandò a Carlo III la tradizionale
rosa d'oro) e venne deciso dopo lunghe trattative sul finire
del 1520.
L'arrivo della sposa nel ducato ebbe luogo il 29 settembre
1521. L'incontro di lei con Carlo III avvenne a Villafranca
nel Nizzardo, e le nozze furono celebrate il 5 ottobre e
seguite, secondo. le consuetudini, da splendidi festeggiamenti.
Nel marzo dell'anuro seguente, gli sposi entrarono trionfalmente
in Torino, dove, poco tempo dopo, Beatrice ricevente la
dolorosa notizia della morte del padre.
Abbiamo già
visto come Carlo III, virtuoso e mite, fosse un sovrano
alquanto debole. Beatrice, invece, era piena di energia,
d'iniziativa e di ardire.
Ella fu decisamente contraria al contegno passivo del marito
di fronte agli stranieri che facevano della Savoia il teatro
dei loro sanguinosi conflitti. Avrebbe voluto che Carlo
III si mettesse risolutamente dalla parte del re di Francia
contro l'Imperatore, per evitare che, come infatti avvenne,
i due ostinati rivali, uno dopo l'altro e per motivi
diversi, facessero scempio del ducato e s'impadronissero
di gran parte di esso.
Se non riuscì
ad influire sul marito tanto da dargli la forza di decidersi
a non rimanere in una neutralità piena di pericoli,
Beatrice, conscia di tutti i gravi errori di lui, e presaga
delle sciagure che minacciavano lo Stato e la Casa di Savoia,
seppe, in parecchie -occasioni, dargli buoni consigli, guidarlo,
e spingerlo a qualche atto che almeno potesse sembrare energico
e coraggioso.
Ella visse
successivamente a Ginevra, a Torino, a Rivoli, e specialmente
a Nizza, spesso lontana da 'Carlo, che, mentre le bufere
imperversanti sui suoi Stati non avevano tregua, andava
da una città all'altra, dubbioso perfino nella scelta
di una residenza.
Quando Carlo
V, nel 1530, si recò a Bologna per esservi incoronato
da Clemente VII, Beatrice volle assistere per proprio conto
a quella cerimonia, e, mentre Carlo III chiedeva l'illusorio
regno di Cipro, domandò ed ottenne, oltre alla contea
di Asti, già concessa dall'imperatore, anche le signorie
di Cherasco e di Ceva, con facoltà di trasmetterle
al figlio :primogenito e ai successori di lui. Fu questo
un importante acquisto, che assicurò ai duchi di
Savoia la padronanza della valle del Tanaro.
Ritornata a Torino, mentre l'assenza di Carlo III si prolungava,
ella riprese le redini dello Stato e ricevette i diplomi
di concessione dei domini su accennati, da parte del Sacro.
Romano Impero.
Ma tutto ciò
non serviva certo a ridare consistenza allo Stato, che,
come già dicemmo, era straziato e diviso per mille
cause e in mille modi. E la duchessa, aiutata da un Consiglio
di Stato, faceva tutto il possibile per evitare che le condizioni
del Piemonte peggiorassero sempre più, e cercava
di combattere la miseria e la carestia che infierivano nelle
città e nelle campagne.
Dopo una lunga serie di sciagure e di eroici sforzi, dopo
avere assistito, fremente ed impotente, allo Sfacelo del
ducato, questa principessa dall'animo virile, che aveva
dato prova di tante nobili qualità, si spense a soli
trentaquattro anni, l'8 gennaio 1538, mentre suo marito
era lontano da lei. Ella aveva avuto otto figli, ma tutti
le erano morti, nell'infanzia o nell'adolescenza. Unico
sopravissuto (ma anche lui malaticcio e spesso in punto
di morte) il figlio maschio Emanuele Filiberto che raccolse
il suo ultimo respiro, e fu poi degno erede della sua sagacia,
della sua energia, dei suoi coraggiosi slanci.