BIOGRAFIA
(n. 1486 - m. 1553) - Duca 1504 - 1553

Biografia della moglie BEATRICE, a fondo pagina
( n. 1504 - m. 1538 )

Allo sfortunato Filiberto il Bello, il 10 settembre 1504 successe il fratello Carlo III, «signore di così buona volontà, che fu per soprannome detto il Buono».
Questa definizione é di Andrea Boldù, ambasciatore veneziano. Ma il nono duca di Savoia non fu soltanto buono; fu anche perspicace, riflessivo, imparziale, affabile; stimò i dotti e ne ricercò la compagnia; fu colto ed operoso, com'é dimostrato dalle minute di lettere, d'istruzioni, ecc., che si trovarono negli archivi, scritte di suo pugno in latino, in francese e in italiano.

Carlo III fu anche molto devoto, e si dedicò sempre con molto fervore alle pratiche religiose. Ciò non gl'impedì di assumere atteggiamenti risoluti quando la Chiesa tentò di soverchiare i diritti della sua Casa; ma, abitualmente, egli mancò di energia, fu amante della quiete e della routine, detestò le complicazioni e le finezze della politica, ebbe una profonda avversione per le cose militari. Fu, insomma, un principe debole, assolutamente privo delle qualità più necessarie per reggere uno Stato, soprattutto uno come il suo.

Figlio di Filippo II e di Claudina di Brosse, era nato il 10 ottobre 1486 nel castello di Chazey, nel Bugey. Divenuto duca di Savoia, per la prematura morte del fratello Filiberto, trovò lo Stato in condizioni finanziarie tristissime, per effetto dell'amministrazione tutt'altro che saggia dei governi precedenti e giudicò opportuno seguire una politica tranquilla e remissiva, quale poteva essergli suggerita dal suo carattere, ma non tale, certo, da poter servire a vincere le difficoltà, a risolvere le questioni spinose ed urgenti.

Seguendo pigramente la linea di condotta che suo fratello aveva scelta, Carlo III di Savoia, pur rimanendo neutrale ogni qualvolta si trattasse di agire, parteggiò piuttosto per l'Impero che per il re di Francia, cosicché Carlo V, riconoscente, donò alla moglie di lui (della quale ci occuperemo più avanti) la città e la contea di Asti. Questo acquisto fu l'unico successo ch'egli ottenne durante il suo lungo regno (49 anni), mentre intorno a lui andavano moltiplicandosi d'anno in anno le circostanze avverse e i pericoli.

Le cause dei mali che affliggevano allora, anche internamente, lo Stato di Savoia erano molte e complesse. Basti accennare alle lotte di religione che si manifestavano dappertutto; alle diverse eresie che si propagavano, creando profonde perturbazioni e facendo negare, insieme con l'autorità dei capi della Chiesa, quella dei principi; alle frequenti guerre degli Svizzeri, dei Francesi e degli Imperiali, che passavano e ripassavano attraverso la Savoia neutrale e passiva.
La neutralità ad ogni costo finì con l'essere di gravissimo danno al ducato di Savoia. Infatti, il paese fu moltissime volte invaso e devastato; e Carlo III anziché infliggere, con le armi, delle severe lezioni agli Svizzeri che abusavano in mille modi della sua bontà, sborsò loro in diverse occasioni ingenti somme di denaro le quali costarono gravi sacrifici a lui ed ai suoi sudditi.

D'altronde, « la rovina a cui lo Stato di Savoia fu tratto al tempo di Carlo III, scrive uno storico, fu una conseguenza delle tristi condizioni a cui era pervenuta l'Italia, aperta ormai da ogni parte agli stranieri, che ne facevano il campo preferito delle loro lotte ambiziose ».

Assai dannosa al debole duca fu anche l'inimicizia di Renato, Gran bastardo di Savoia, che gli procurò l'ostilità di Francesco I. Questo re giunse perfino a dichiarargli guerra, appunto per quel Renato, che pretendeva la restituzione dei possedimenti di cui era stato privato da Filiberto II, e rinunciò all'impresa soltanto perché gli Svizzeri gli negarono il loro aiuto.
Allora Carlo si decise finalmente ad organizzare un esercito permanente di diecimila uomini; ma non poté farne nulla perché non riuscì ad avere i mezzi necessari. Il suo regno continuò ad essere pieno di avvenimenti a lui contrari e apportatori di mali inauditi. Le pestilenze e la fame, oltre ai saccheggi e alle violenze degli stranieri, aggravarono le condizioni interne, e frattanto il duca, sempre tormentato dal bisogno di denaro, era costretto a vendere gli uffici e le magistrature, ad accettare delle somme per condonare le pene inflitte, ad essere estremamente lento nell'effettuare i pagamenti, così da acquistar fama di avaro. In una sola cosa, era splendido, affermano i contemporanei, e cioè nel fare indossare delle clamidi di tessuto d'argento alle sue guardie del corpo, e nell'ornare le loro divise di grandi croci di quello stesso metallo.

Nel 1521, quando scoppiò la grande guerra tra Carlo V e Francesco I, dalla quale ebbe origine la preponderanza spagnola in Italia, il Piemonte, privo di qualsiasi mezzo per farsi rispettare, fu nuovamente e più che mai straziato dai passaggi di truppe indisciplinate, le quali erano tanto temute, che intere popolazioni abbandonavano le città e le borgate e si rifugiavano sui monti e nei boschi, dove la fame e i patimenti mietevano vittime innumerevoli.

In mezzo a tanto sfacelo, parecchie popolazioni sabaude diedero prova di vera devozione all'antica ed illustre Casa sovrana. La Tarantasia insorse contro i Francesi e si ostinò in un'eroica lotta, che però fu vana; Aosta tenne sempre chiusi i passi allo straniero; Nizza, nel 1543, respinse con un erpico sforzo di popolo Francesi e Turchi collegati per prenderla.
Ma le notizie di questi fatti lasciarono sempre indifferente Carlo III, che non si mosse mai, non montò mai a cavallo, né fece alcun tentativo per prendere le armi contro chicchessia. Così egli finì col non esser più tenuto in considerazione da nessuno, mentre nei paesi che gli stranieri e i nemici gli andavano occupando si diffondeva il Calvinismo e la nuova generazione non riconosceva più il duca come sovrano.

Egli doveva morire prima che la guerra (interrotta per pochi anni dalla pace di Crépy) fosse del tutto cessata, e prima che gli fossero resi i suoi Stati dei quali ben poco gli rimaneva. Morì improvvisamente, a Vercelli, per un colpo apoplettico, il 17 agosto 1553, mentre suo figlio Emanuele Filiberto combatteva lontano, nelle Fiandre, e fu sventurato anche dopo esser morto. Infatti, tutte le
cose sue vennero rubate e andarono disperse, e la sua salma non solo non fu in alcun modo onorata, ma non ebbe nemmeno sepoltura per parecchi anni. Rimase in una semplice cassa, sopra un armadio della sacrestia della cattedrale di Vercelli, finché venne tumulata nella cappella in cui riposava il Beato Amedeo.

Il regno di questo principe durò quarantanove anni, per diciassette dei quali i domini sabaudi di qua e di là dalle Alpi furono in gran parte occupati da stranieri, che vi rimasero ancora per molto tempo. La monarchia di Savoia poteva dirsi distrutta. Doveva risollevarne le sorti Emanuele Filiberto "Testa di ferro".

 

La moglie: BEATRICE DI PORTOGALLO
( n. 1504 - m. 1538 )

La moglie di Carlo III, che ha una parte non indifferente nella storia dell' infelicissimo regno di questo duca di Savoia, nacque il 31 dicembre 1504, da Emanuele, re di Portogallo, e da Maria di Castiglia, nipote dell'imperatore Massimiliano e sorella di Elisabetta regina di Spagna.
Il suo matrimonio col duca di Savoia fu ben visto da 'Carlo V e da Leone X (che mandò a Carlo III la tradizionale rosa d'oro) e venne deciso dopo lunghe trattative sul finire del 1520.
L'arrivo della sposa nel ducato ebbe luogo il 29 settembre 1521. L'incontro di lei con Carlo III avvenne a Villafranca nel Nizzardo, e le nozze furono celebrate il 5 ottobre e seguite, secondo. le consuetudini, da splendidi festeggiamenti. Nel marzo dell'anuro seguente, gli sposi entrarono trionfalmente in Torino, dove, poco tempo dopo, Beatrice ricevente la dolorosa notizia della morte del padre.

Abbiamo già visto come Carlo III, virtuoso e mite, fosse un sovrano alquanto debole. Beatrice, invece, era piena di energia, d'iniziativa e di ardire.
Ella fu decisamente contraria al contegno passivo del marito di fronte agli stranieri che facevano della Savoia il teatro dei loro sanguinosi conflitti. Avrebbe voluto che Carlo III si mettesse risolutamente dalla parte del re di Francia contro l'Imperatore, per evitare che, come infatti avvenne, i due ostinati rivali, uno dopo l'altro e per motivi
diversi, facessero scempio del ducato e s'impadronissero di gran parte di esso.

Se non riuscì ad influire sul marito tanto da dargli la forza di decidersi a non rimanere in una neutralità piena di pericoli, Beatrice, conscia di tutti i gravi errori di lui, e presaga delle sciagure che minacciavano lo Stato e la Casa di Savoia, seppe, in parecchie -occasioni, dargli buoni consigli, guidarlo, e spingerlo a qualche atto che almeno potesse sembrare energico e coraggioso.

Ella visse successivamente a Ginevra, a Torino, a Rivoli, e specialmente a Nizza, spesso lontana da 'Carlo, che, mentre le bufere imperversanti sui suoi Stati non avevano tregua, andava da una città all'altra, dubbioso perfino nella scelta di una residenza.

Quando Carlo V, nel 1530, si recò a Bologna per esservi incoronato da Clemente VII, Beatrice volle assistere per proprio conto a quella cerimonia, e, mentre Carlo III chiedeva l'illusorio regno di Cipro, domandò ed ottenne, oltre alla contea di Asti, già concessa dall'imperatore, anche le signorie di Cherasco e di Ceva, con facoltà di trasmetterle al figlio :primogenito e ai successori di lui. Fu questo un importante acquisto, che assicurò ai duchi di Savoia la padronanza della valle del Tanaro.
Ritornata a Torino, mentre l'assenza di Carlo III si prolungava, ella riprese le redini dello Stato e ricevette i diplomi di concessione dei domini su accennati, da parte del Sacro. Romano Impero.

Ma tutto ciò non serviva certo a ridare consistenza allo Stato, che, come già dicemmo, era straziato e diviso per mille
cause e in mille modi. E la duchessa, aiutata da un Consiglio di Stato, faceva tutto il possibile per evitare che le condizioni del Piemonte peggiorassero sempre più, e cercava di combattere la miseria e la carestia che infierivano nelle città e nelle campagne.
Dopo una lunga serie di sciagure e di eroici sforzi, dopo avere assistito, fremente ed impotente, allo Sfacelo del ducato, questa principessa dall'animo virile, che aveva dato prova di tante nobili qualità, si spense a soli trentaquattro anni, l'8 gennaio 1538, mentre suo marito era lontano da lei. Ella aveva avuto otto figli, ma tutti le erano morti, nell'infanzia o nell'adolescenza. Unico sopravissuto (ma anche lui malaticcio e spesso in punto di morte) il figlio maschio Emanuele Filiberto che raccolse il suo ultimo respiro, e fu poi degno erede della sua sagacia, della sua energia, dei suoi coraggiosi slanci.