Il re di Francia Carlo VI interpose infine la sua mediazione,
e aggiudicò la reggenza alla madre anzichè
alla vedova del defunto Conte di Savoia, stabilendo che
ella dovesse essere assistita da un consiglio composto di
principi della famiglia, di giureconsulti e di prelati.
Bona di Borbone fu quindi reggente fino al 1398, cioè
fino a quando Amedeo VIII ebbe compiuti i quindici anni.
Egli si trovò
prestissimo in conflitto, come i suoi predecessori, con
i marchesi di Saluzzo, per la solita questione dell'omaggio
feudale, che essi rifiutavano di prestare a ciascun nuovo
Conte di Savoia, e che ora ai Savoia premeva più
che mai, anche a maggiore sicurezza della contea di Nizza
recentemente acquistata. Si venne alle armi; Tomaso di Saluzzo
subì una grave sconfitta a Monasterolo, nel 1394,
e fu tenuto prigioniero a Torino per circa due anni. Nel
1412 la guerra ricominciò, e durò ancora per
più di un anno, finchè il Saluzzese si rassegnò
a fare atto di sudditanza verso Amedeo VIII.
Questi si dedicò poi ad abili negoziati per aumentare
i suoi territori, ai quali riuscì ad aggiungere anzitutto
il Genevese, che costituiva la sola grave soluzione di continuità
ancora esistente nel suo Stato di là dalle Alpi,
e che ottenne da Oddone di Villars (erede dei Conti di Ginevra),
parte in virtù di antiche ragioni di superiorità,
e parte a prezzo d'oro. Acquistò poi metà
della giurisdizione del vescovo di Belley, nella quale questo
prelato lo volle associato per esser difeso contro i signori
e contro il popolo, a lui ugualmente avversi, e la sudditanza
degli Arborii, degli Avogadri, dei Roasenda, degli Alciati
e di altri nobili, nonchè quella di parecchie terre
del Vercellese, che, stanche del malgoverno dei Visconti,
gli si sottomisero spontaneamente. Pietro e Ranieri Lascaris
gli fecero omaggio di Briga e di Limone, e questo acquisto
ebbe notevole importanza perchè agevolò ai
Sabaudi il passo del Colle di Tenda; Luca ed Antonio Grimaldi,
signori di Monaco, gli cedettero nel 1418 la città
di Mentone.
In quello stesso
anno, Amedeo VIII fece un acquisto più considerevole
di tutti gli altri: quello del Piemonte, la cui sovranità
da Filippo principe d'Acaia era passata al suo primogenito
Giacomo e da questo al figlio Amedeo, che l'aveva trasmessa
al fratello Lodovico. Morto quest'ultimo senza prole, e
spentasi così la linea dei Savoia di Piemonte-Acaia,
l'importante provincia piemontese, accresciuta di tutti
gli acquisti fatti da quei principi, ritornò alla
Casa di Savoia per diritto di riversibilità e di
eredità. Infine Amedeo potè aggiungere ai
propri domini, oltre ad altri minori, la città di
Vercelli (cedutagli nel 1427 dal Duca di Milano, perchè
si staccasse dalla lega formata coi Veneziani e coi Fiorentini
a danno dei Visconti), e la città di Chivasso con
altre terre, avute da Giangiacomo, marchese di Monferrato.
Così Amedeo formò con le antiche e le nuove
province uno Stato assai vasto, che si estendeva dal lago
di Neuchàtel alla Sesia, e dall'estremità
del Lemano al Mare Tirreno.
Egli era stato
fidanzato all'età di tre anni a Maria di Borgogna,
allora lattante, e l'aveva poi sposata nel 1401. Avuta da
quella principessa una figlia, Maria, la diede in moglie
al Duca di Milano, Filippo Maria Visconti.
« Volendo assicurare la pace al paese col tenersi
sempre ben preparato alla guerra - così scrive
il Cibrario - Amedeo VIII si mise in grado di poter
disporre ad ogni occorrenza di un esercito forte di ventimila
uomini (che per quei tempi era un numero assai considerevole)
e composto totalmente di sudditi suoi, senza bisogno di
ricorrere all'aiuto sempre incerto e dannoso di soldati
mercenari. A ciò egli pervenne coll'istituzione,
allora affatto nuova, di una forza militare preordinata
in appositi quadri, facendo perciò compilare un'accurata
statistica degli uomini atti alle armi, i quali potevano
al bisogno in brevissimo tempo esser chiamati sotto le bandiere.
Prima idea, questa, dell'esercito stanziale alla moderna,
ben diverso dal bando, feudale e dalle milizie comunali
del Medio Evo ».
Del resto,
il governo di questo principe fu ordinatissimo in tutto
e per tutto. Egli non prendeva mai alcuna risoluzione, se
non dopo matura riflessione. Quando si trattava di affari
gravi, raddoppiava, quadruplicava il numero dei suoi consiglieri.
In certi casi, per gli affari pubblici, interrogava i tre
Stati (Clero, Nobiltà e Popolo), le cui regolari
assemblee erano cominciate durante la reggenza.
Una delle opere
principali di Amedeo VIII fu certamente la legislazione
nuova ch'egli diede ai propri Stati, nei quali le controversie
solevano essere giudicate senza un fondamento costante di
diritto, mentre si seguivano confusamente le vecchie leggi
feudali, le consuetudini e la legge romana che cominciava
a diffondersi. Nel 1430 egli promulgò un organico
corpo di leggi, col titolo di Statuta Sabaudiae,
nel quale furono anche determinate le attribuzioni diverse
delle varie cariche dello Stato. Stabilì inoltre
la precedenza delle cause dei poveri con patrocinio gratuito.
Provvide inoltre
Amedeo VIII a moderare le eccessive pretese del clero, che
anche negli Stati della Casa di Savoia, come negli altri,
cercava continuamente di usurpare diritti o attribuzioni
del potere sovrano.
Frattanto era
stato eletto imperatore il re d'Ungheria Sigismondo (1411).
Questi transitò per la Savoia nel 1416, e Amedeo
l'accolse con grandissima pompa in Chambéry. Appunto
in quell'anno, e in quell'occasione, il 19 febbraio, l'imperatore
investì del titolo ducale i Conti di Savoia, ai quali
confermò la dignità e le prerogative di vicari
imperiali, che erano già state conferite loro al
tempo di Amedeo VI. Dal canto suo, il Duca Amedeo VIII,
che ebbe, come scrisse il Cibrario, « l'istinto
unificatore della propria Casa », istituì
alcuni titoli che, dopo di lui, rimasero nella dinastia
e che si ripeterono fino al regno di Vittorio Emanuele III.
Il 15 agosto
1424 egli conferì il titolo di Principe di Piemonte
al suo primogenito Amedeo, nato nel 1412. Questo suo figlio
ebbe vita assai breve. Nel 1431, mandato con numerose milizie
ad incontrare l'imperatore Sigismondo (che scendeva in Italia
per arginarvi la crescente potenza di Venezia, della quale
anche Amedeo VIII si preoccupava assai) morì per
una indigestione di frutta. Amedeo, che già aveva
subito, provandone profondo dolore, la perdita della moglie
nel 1422, soffrì immensamente per quella nuova sventura.
Per di più,
il destino gli fu avverso nella guerra intrapresa dal 1430,
insieme col principe d'Orange e coi duca di Borgogna, per
impadronirsi del Delfinato mentre in Francia infierivano
guerre intestine. Sconfitto gravemente ad Anthon, corse
anche pericolo di annegare, nell'attraversare il Rodano
a nuoto per non rimanere prigioniero; e questo ed altri
avvenimenti, non esclusa la peste che poco prima aveva desolato
il Piemonte e specialmente Torino, tanto lo impressionarono,
aggiungendosi alle sciagure domestiche, da renderlo inguaribilmente
triste e da spingerlo a cercar rifugio e consolazione nelle
meditazioni religiose. In queste condizioni di spirito lo
sorprese l'atto insano di un nobile della Bresse, Gallo
di Sure, che, per ambizioni sue insoddisfatte o per qualche
altra ragione rimasta ignota, gli tese un agguato per pugnalarlo,
presso Thonon. Egli sfuggì soltanto per caso ai colpi
di quel ribelle, che fu poi decapitato a Chambéry,
e dopo questo fatto decise di "dedicarsi a Dio".
Il 7 novembre
1433, comunicò la sua risoluzione all'assemblea dei
prelati e dei signori della Savoia, e senza abdicare rimise
il governo dello Stato al suo secondogenito LODOVICO, nato
in Ginevra il 24 febbraio 1402. Poi si ritirò in
un eremo presso Ripaglia, con sei cavalieri della sua Corte,
ch'erano anche suoi consiglieri, i quali presero insieme
con lui l'abito monacale.
Così
ebbe origine l'Ordine Mauriziano, che allora fu
denominato dei Cavalieri romiti di San Maurizio,
dal nome del santo protettore dei re di Borgogna e della
Casa di Savoia. Quest'Ordine, Pure avendo carattere religioso,
fu da principio un vero e proprio Consiglio di Stato. Infatti
Amedeo, che non aveva affatto rinunciato alla sovranità,
continuò a dirigere dall'eremo gli affari più
importanti del Ducato, consultando, per le decisioni gravi,
i suoi sei compagni di romitaggio, tutti celibi o vedovi,
tutti attempati, esperti nell'arte di governare e nella
diplomazia del tempo. Continuò anche ad esercitare
una certa autorità negli affari d'Europa, e forse
fu realmente (come asserisce qualche storico)
mediatore fra l'Inghilterra, la Francia e il duca di Borgogna
nella pace di Arras, che liberò la Francia dagl'Inglesi.
Si hanno curiosi
ed interessanti particolari sul singolare Consiglio di Stato
del primo duca sabaudo. Quegli eremiti non pronunciavano
alcun voto, ma si riunivano ad ore fisse nella chiesa del
convento di Sant'Agostino, per gli offici divini, e due
volte alla settimana in una sala, presso Amedeo VIII, per
trattare le questioni politiche. Indossavano una tonaca
grigia con mantellina e cappuccio, portavano lunghi capelli
e la barba e si appoggiavano ad un lungo bastone, ricurvo
ad un'estremità come un pastorale. Una croce d'oro
simile a quella dei vescovi pendeva loro sul petto, unico
segno di distinzione. Amedeo VIII teneva rigorosamente a
quell'abito ed alla propria barba fluente. La mensa in comune
dei cavalieri eremiti, senza essere splendida era rispondente
alla loro condizione, alle loro abitudini e all'età
loro.
Il duca, che
si faceva chiamare il Decano, aveva seicento fiorini
per le proprie spese; i suoi compagni ne avevano duecento.
Ciascuno di essi abitava in una casetta isolata in mezzo
ad un piccolo giardino ed era servito da famigliari. Amedeo
VIII aveva un'abitazione sontuosa ed una numerosa servitù,
cosicchè l'Ordine non aveva nulla di eremitico, salvo
nient'altro che la consuetudine delle lunghe preghiere in
comune e la severissima regolarità del sistema di
vita.
Sebbene Amedeo,
pur conducendo vita monastica, avesse ancora molta ingerenza
nelle cose d'Italia, ed anche in quelle d'Europa, la sua
vita politica non avrebbe più lasciato tracce nella
storia, se inaspettatamente, nel 1439, il Concilio di Basilea
(in seguito ad una lunga e complicata contesa, e riaprendo
nella Chiesa cattolica uno scisma che era già durato
quarant'anni e che soltanto da ventidue era stato composto
dal Concilio di Costanza) non lo avesse proclamato papa,
senza che fosse mai stato prete, dopo aver condannato come
eretico Eugenio IV.
Alcuni storici
affermano che Amedeo VIII fu assai riluttante ad accettare
la tiara, aborrendo dall'idea di contenderla ad Eugenio
IV e di veder continuare le discordie che straziavano la
Chiesa. Altri invece gli rimproverano di avere aspirato
alla dignità papale e di aver brigato per conseguirla.
Il Cibrario
dice : «Questo gran principe ebbe il torto di
desiderare il papato, e di accettarlo dopo la deposizione
di Eugenio IV, fatta dal Concilio di Basilea illegalmente
perché fuori dei casi di quella estrema necessità
che aveva giustificato simili rimedi adoperati dai Concilii
di Pisa e di Costanza ». Comunque, nell'accettare
il pontificato, Amedeo VIII ebbe questa attenuante, riconosciutagli
dalla storia: - mentre dalla parte del papa di Roma Eugenio
IV stavano la corruzione e gli abusi, dall'altra parte,
cioè da quella del Concilio di Basilea, che aveva
eletto l'antipapa, stava un lodevole spirito di riforma
e di purificazione. E pare d'altronde ch'egli realmente
si proponesse di ritornare al suo eremo non appena fosse
riuscito a ristabilire la pace nella Chiesa.
Salutato pontefice
dagli ambasciatori del Concilio, col nome di Felice V, da
lui scelto, il duca di Savoia abdicò totalmente,
in favore del figlio Lodovico e si recò a Basilea,
dove entrò solennemente il 4 giugno 1440. Enea Silvio
Piccolomini, allora segretario del Concilio e più
tardi papa a sua volta, così descrisse il pontefice
contrapposto a quello di Roma « Giunse sul nascer
del giorno Felice papa eletto, con veneranda canizie, aspetto
dignitoso, e spirante da tutto il volto una prudenza singolare;
di statura mediocre, di fattezze tanto belle quanto le può
comportar la vecchiezza; bianco di carni e di pelo, lento
e breve nel favellare ».
In quell'occasione
erano convenute a Basilea non meno di cinquantamila persone.
Felice V celebrò la sua prima messa con grande pompa,
e la cerimonia finì con un'imponente processione.
Naturalmente Eugenio IV, da Firenze, nuova sede (dopo Ferrara)
del suo Concilio, scagliò la scomunica contro Amedeo
di Savoia, e la Chiesa fu divisa da uno scisma che durò
dieci anni.
In questo periodo, Amedeo fece il papa quanto meglio potè.
Quantunque più che cinquantenne studiò ed
imparò perfettamente il latino, tanto da parlarlo
correntemente. Stette per quasi due anni a Basilea, indi
passò a Losanna con alcuni cardinali, mentre gli
altri, compresi quelli creati da lui, rimanevano a continuare
il Concilio, che si sciolse nel maggio del 1442.
Dalla parte
di Felice V si schierarono tutti gli avversari degli abusi
e dei disordini ecclesiastici; ma Eugenio IV distribuiva
così largamente favori e privilegi, che la maggiore
influenza rimase a lui, tanto nel campo ecclesiastico che
in quello politico.
Il clero francese rimase obbediente ad Eugenio IV; Carlo
VII non prese parte nè per l'uno nè per l'altro
dei due papi; Federico d'Austria, successore dell'imperatore
Sigismondo, fece dei tentativi per la pacificazione della
Chiesa, nei quali però fu più fortunato il
re di Francia. Questi infatti, essendo morto nel 1447 Eugenio
IV, ed essendo stato eletto in sua vece, dai cardinali di
Roma, il nuovo papa Nicola V, si mise di mezzo per far cessare
lo scisma, e indusse facilmente Felice ad adattarsi alla
rinuncia al pontificato e a riconoscere l'autorità
dell'eletto di Roma.
Fu convenuto
che Amedeo di Savoia abdicherebbe volontariamente, davanti
ad un concilio da lui stesso convocato, e che allora verrebbero
dichiarate nulle e come non avvenute le scomuniche lanciate
contro di lui e contro i cardinali creati da lui, i quali
sarebbero riconosciuti
legittimi. La cessazione dallo scisma fu celebrata con grande
solennità (1449).
Amedeo non fu detto antipapa, ma già
papa Felice V. Nicola V lo nominò cardinale,
vescovo di Sabina, legato a vicario apostolico a «primo
principe dalla Chiesa dopo il sovrano pontefice».
Al duca di Savoia rimase anche il vescovado di Ginevra,
cha nel 1444, mentre era papa, la città stessa gli
aveva conferito.
Ma egli ritornò nella tranquillità dal suo
eremo di Ripaglia, dopo aver dimostrato di preferire alla
propria ambizione la pace dalla Chiesa, a d'altronde sopravvisse
soltanto diciotto mesi alla sua grande rinuncia. Morì
infatti in Ginevra il 7 gennaio 1451, a fu solennemente
tumulato in Ripaglia. Più tardi, le sua ossa vennero
trasportata nella cattedrale di Torino, dove infine vennero
onorata con un grandioso monumento nella cappella dal Sudario,
eretto per volere del re Carlo Alberto.
Coma i suoi
predecessori, Amedeo VIII fu fondatore di chiese a di conventi.
Fu inoltre, coma già abbiamo detto, istitutore di
dignità e di titoli, eresse il Piemonte in principato,
e, protettore degli studi come delle arti, concesse privilegi
ed onori speciali all'Università di Torino, fondata
nel 1404 dall'ultimo principe d'Acaia, Lodovico V.
Dal tempo di
Amedeo VIII in poi, sulle moneta coniata dai principi della
Casa di Savoia si legge il motto FERT, che diede luogo ad
interpretazioni diversissime, fra cui quella secondo la
quale le quattro lettere sarebbero iniziali delle parole
Fortitudo Ejus Rhodum Tenuit, alludenti ad un fatto
storicamente insussistente, cioè che il Conte di
Savoia Amedeo VI si fosse impadronito di Rodi.
In realtà quella parola, o quell'insieme di iniziali,
non è che l'espressione di uno dai tanti motti d'arme
in uso in quell'epoca, esi trova sulla tomba di Tomaso I
di Savoia, morto nel 1233, ossia molto tempo prima cha Amedeo
VI si recasse in Oriente. « A quei tempi, dica in
proposito il Cibrario, compare nel Collare anche la parola
misteriosa FERT, che io ho creduto potersi spiegare nel
suo senso letterale, poichè tutta le altra interpretazioni
sono favolose od arbitrarie. Paragonando colla impresa
dei nodi, a con la consacrazione dell'Ordine ai gaudi di
Maria, io compio la frase espiego : porta i nodi della
fede giurata a Maria. Ecco una emprise simile
alle tante altre che si usavano a quall'età in argomenti
sacri a profani : un segno materiale di voto o promessa
solenne ».
Dei nove figli
che il primo duca di Savoia ebbe da Maria di Borgogna, tre
soli vissero oltre l'adolescenza : Lodovico, che successe
al padre; Margherita, che sposò Luigi III d'Angiò,
re di Sicilia, a poi, rimasta vedova, Luigi di Wittelsbach,
duca di Baviera; Maria, che sposò Filippo Maria Visconti.