Morto Amedeo
III, la tutela del fanciullo suo successore, Umberto III
(nato nel castello di Avigliana il 4 agosto 1136), e quindi
l'effettivo governo del contado di Savoia, rimase affidata
ad Amedeo d'Altariva, vescovo di Losanna. Questi era stato
priore del monastero di Altacomba, e Amedeo, prima di partire
per la Crociata, gli aveva raccomandato di vigilare sul
suo primogenito.
La morte del padre in terra lontana e la tutela del vescovo
influirono molto sulI' animo del principe adolescente, nel
quale si sviluppò una spiccatissima tendenza a preoccuparsi
della religione e delle sue pratiche e a favorire con venerazione
chiese e monasteri.
Una delle prime
cure del tutore fu quella di fargli pagare certi debiti,
assai considerevoli, che il defunto Conte di Savoia aveva
contratti con la badia di San Maurizio per poter partecipare
alla seconda Crociata.
Le particolari condizioni d'instabilità e di disordine
dei possedimenti ereditati obbligarono Umberto III a risolvere
molte ardue questioni, mentre, di tempra assai debole, egli
sarebbe stato proclive soprattutto alla vita solitaria e
contemplativa, o addirittura monastica, come dimostrava
ritirandosi spesso a vivere ed a pregare fra le austere
mura di Altacomba. Egli quindi s'indusse a transazioni e
a rinunzie che pregiudicarono seriamente la sua autorità,
non solo nei suoi rapporti con monaci ed abati, ma anche
in quelli con quasi tutte le categorie di sudditi, dai baroni
ai servi della gleba.
Sostenne nondimeno
con valore una piccola guerra contro Guido, Delfino del
Viennese, che lo assalì per vendicare suo padre,
morto per le ferite riportate a Monmeliano combattendo contro
Amedeo III. Mosse Umberto contro il Delfino alla testa dei
suoi armati, e lo sconfisse, dicesi, nel luogo stesso in
cui già il suo genitore aveva riportato una memorabile
vittoria.
Venne poi l'epoca
della fiera lotta tra Federico Barbarossa, calato in Italia
nel 1154, ed i liberi Comuni di Lombardia. Il mite Umberto
III, per natura amante della pace, si sforzò di non
avversare nè l'imperatore nè i Comuni, i quali
ben volentieri avrebbero accettato l'aiuto del principe
che aveva signoria sulle Porte d'Italia. Così gli
accadde (come sempre agli uomini incapaci di dominare gli
eventi) di trovarsi in una condizione disgraziatissima.
Infatti ebbe contrari contemporaneamente i Comuni e l'imperatore,
e l'autorità sua e della sua Casa ne rimase diminuita
e compromessa.
Frattanto,
nel 1173, sostenne un'altra piccola guerra, contro Manfredo
I, machese di Saluzzo, che gli aveva rifiutato l'omaggio
feudale dovuto da tutti i signori minori al marchese d'Italia.
Gli tolse, con la forza delle sue milizie, parecchie terre,
e già s'accingeva ad assediarlo in Saluzzo, quando,
intermediario Bonifacio del Monferrato, acconsentì
a deporre le armi, ma non prima di avere ottenuto che la
supremazia dei Conti di Savoia fosse formalmente riconosciuta
dai Saluzzesi.
Rimane però
accertato che Umberto III fu sempre « uomo più
di sermone che di spada », come lo chiama il Cibrario,
così da meritare il soprannome di Beato,
che gli rimase nella storia. E molto probabilmente questo
principe sarebbe rimasto celibe, se la ragione di Stato
non gli si fosse stata imposta come più forte della
sua inclinazione all'ascetismo.
Si ammogliò,
dunque, e non una, ma ben quattro volte. Sposò prima
Faidiva di Tolosa, che morì presto, senza lasciargli
figli; poi Anna, o Germana, di Zoeringen, dalla quale ebbe
una figlia, Agnese, che dopo esser stata fidanzata a Giovanni,
figlio di Enrico II, re d'Inghilterra, si unì ad
Umberto, conte di Ginevra. Morta Germana poco dopo aver
dato alla luce quest'Agnese, Umberto III prese in moglie
Beatrice di Vienna, che gli diede un'altra figlia, Eleonora,
la quale ebbe successivamente due mariti: Guido, conte di
Ventimiglia, e poi Bonifacio III, marchese di Monferrato
e re di Tessalia.
Da Beatrice
nacque anche, nel 1177, un figlio a cui venne imposto il
nome di Tomaso e che poi successe al padre. Ultima moglie
del Beato fu Geltrude d'Alsazia, che non gli diede figli
e che gli sopravvisse.
Federico Barbarossa ebbe a volta a volta favorevole e contrario
Umberto III, e gli tolse e gli ridiede domini, a seconda
delle vicende delle sue invasioni e delle sue guerre in
Italia. Il Beato riebbe tutto quanto aveva perduto, allorchè
l'imperatore dovette fuggire (come un ladro, nottetempo,
da Susa) attraverso la Savoia. Grato al marchese Guglielmo
III di Monferrato che l'aveva aiutato a riconciliarsi col
Barbarossa, lo appoggiò in un'aspra lotta contro
Asti.
Nel 1174, quando
Federico ritornò in Italia per il Moncenisio, e volle
punire Susa che gli era stata avversa, ed assediò
inutilmente Alessandria, Umberto III gli fu favorevole.
Il nome del Conte di Savoia figurò poi fra quelli
dei signori che nelle trattative con la Lega Lombarda si
resero garanti della tregua conclusa a Montebello nel 1175.
E dopo la vittoria delle città italiane a Legnano
(29 maggio 1176), Umberto III partecipò di nuovo
ai preliminari di pace, discussi a Piacenza nella chiesa
di Sant'Antonio.
Certo egli
non fu ricompensato della sua sottomissione all'imperatore,
poichè questi, in una lite assai complicata per diritti
e possessi, gli diede torto a vantaggio di Milone da Cardano,
vescovo di Torino. Gli fu avverso anche il figlio e successore
del Barbarossa, Arrigo VI, che nel 1186 gl'invase lo Stato,
gli distrusse la rocca d' Avigliana, estese a danno di lui
i possedimenti del vescovo d'Aosta, ed infine, con un atto
del 7 marzo 1188, Io mise al bando dell'impero.
Quel bando giunse in ritardo, poichè Umberto III
era morto a Chambéry tre giorni prima (4 marzo),
ma non per questo ebbe minore effetto. Il figlio di Umberto,
infatti, ereditò uno Stato diminuito di tutti i domini
conferiti al Conte di Savoia per la sua qualità di
« grande vassallo » dell'Impero, e quasi ciò
non bastasse lo spirito d'indipendenza di cui le città
lombarde avevano dato splendido esempio agitava frattanto
la Valle d'Aosta e altri luoghi rimasti alla Casa Sabauda.
Per la sua
grande fede e per la sua devozione, Umberto III fu posto,
dall'Ordine cistercense, nel novero dei santi, santità
confermata, nel 1838, da Gregorio XVI. La sua festa rimase
segnata, nel calendario d'Ivrea, al 7 settembre.