BIOGRAFIA
(n. 980? - m. 1056
?) Signore 1003 -ca 1047
L'epoca
in cui visse quel l'Umberto che i cronisti di Savoia dei secoli
XIV e XV chiamano Biancamano (soprannominato così per
la bianchezza eccezionale delle sue mani), è una delle
più turbate e delle più fosche ricordate dalla
storia: epoca di sciagure e di tribolazioni. Carestie, pestilenze,
terremoti, devastavano l'Italia, mentre la violenza, la cupidigia,
la rapacità, regnavano dovunque, e dominavano sole,
come se la luce dello spirito umano si fosse dovunque eclissata.
La Chiesa era divisa da eresie e da simonie; al disordine
religioso e al dissolvimento sociale si accompagnava quasi
dappertutto l'anarchia politica.
La grande monarchia carolingia si era sfasciata tra le mani
dei degeneri successori di Carlo Magno. Solo un'istituzione
sembrava ancora resistere allo sfacelo e contenere un principio
di autorità : l'Impero, il ricordo di Roma imperiale
antica, la cui potenza per alcuni anni era stata risuscitata
dal grande imperatore, s'imponeva presente e vivo, con tutti
i suoi prestigi. Come idea, l'Impero, quantunque nella realtà
fosse anch'esso meno grandioso che nel passato, rimaneva la
maggior forza del tempo. Ma le autonomie locali cominciavano
già a prevalere sulla sua potenza lontana, sparsa e
discontinua; e già da allora si comincia a notare un
movimento lento e brancolante e si scorgono le tracce dei
primi ed incerti passi sulla lunga via che condurrà,
nove secoli più tardi, alla nazionalizzazione dei popoli.
In
tanto tenebrore di tempi, viveva nell'antico paese degli Allobrogi
e degli Equestri un Umberto, personaggio di alto lignaggio
e di somma autorità nel regno delle due Borgogne, di
qua e di là dal Giura, riunite dal 933 in un unico
Stato.
Questo Umberto, sia egli figlio secondogenito di Ottone Guglielmo,
conte dell'Alta Borgogna (come afferma il Cibrario e com'è
generalmente ammesso), o figlio unico di Beroldo di Sassonia
(come vogliono altri biografi, però respinti da una
certa critica), o figlio di Amedeo, conte dell'Alto Viennese,
od abbia qualche altra origine, risulta, appena appare nella
storia, di stirpe nobile. Egli è il signore del Viennese
(Francia), d'Aosta, della Moriana, della Tarantasia, del Chiablese,
del Basso Vallese. Ha sposato una donna d'alto lignaggio,
Ansilla o Ancillia, figlia di Manasse, conte di Savoia verso
il 1000.
Sembra che Manasse sia stato padre anche di Ermengarda, seconda
moglie di Rodolfo III, re di Borgogna, a fianco della quale,
rimasta vedova, Umberto appare in qualità di avvocato,
di tutore, di consigliere. Infatti quando, in seguito all'invasione
della Borgogna da parte dell'esercito di Oddone conte di Sciampagna,
bramoso del regno del defunto Rodolfo, Ermengarda si rifugia
a Zurigo, risulta dai documenti dell'epoca che questa regina
è assistita dal conte Umberto. In quasi tutti gli atti
che restarono di lei, sotto la firma di Ermengarda regina
si legge quella di Umberto conte.
Ora, siccome la tutela legale della vedova, specialmente se
questa era d'alto lignaggio, di norma era affidata soltanto
a parenti molto prossimi, tutto concorre a rendere probabilissima,
se non accertata, la stretta parentela di Umberto col re e
con la regina di Borgogna.
Ma Umberto Biancamano, oltre ad essere indubbiamente di stirpe
nobile ed illustre, grandeggia nella storia quale fondatore
di una dinastia e di uno Stato.
Durante la sua prima gioventù, il regno di Borgogna
venne smembrato. Nella partizione dell'impero di Carlo Magno,
la Borgogna era stata assegnata a Carlo il Calvo; ma non tardò
ad essere divisa in due regni: quello della Borgogna superiore
e quello della Borgogna inferiore. Il primo appartenne a Bosone,
duca di Provenza, nell'879; il secondo fu creato nell'888
da un Rodolfo, che col titolo di marchese dominava già
sulla Borgogna, come pure sugli Svizzeri e sui Savoiardi.
Nel 933, questo secondo reame della Borgogna inferiore assorbì
l'altro della Borgogna superiore, estendendosi in tal modo
da Basilea fino alle Bocche del Rodano.
Regnante Rodolfo II, uomo combattivo e valoroso, nonchè
molto saggio, i vescovi che avevano contribuito a fondare
e a rafforzare il suo regno, e che a loro volta erano favoriti
da lui in ogni cosa, gli furono sottomessi e devoti. Ma, successo
a Rodolfo II Corrado il Pacifico, e successo a quest'ultimo
Rodolfo III, sovrano tutt'altro che energico ed autoritario,
le cose andarono diversamente.
Osserva il Carutti (Dom. Carutti : « Il Conte Umberto
I Biancamano ») che questo Rodolfo non avrebbe dovuto
diventare re, poichè (avendo un fratello maggiore al
quale spettava per diritto la corona) era stato destinato
alla carriera ecclesiastica. Ma, venuto a morte quel fratello,
egli era rimasto principe ereditario, e poi, morto anche il
padre, nel 993, era salito al trono, « sul quale aveva
portato poca attitudine alle armi e al governo ».
Egli infatti, per debolezza o per insipienza, commise l'errore
di distribuire contee ai vescovi, i quali, avidi di possessi,
fecero poi una vera rivoluzione episcopale con cui si resero
quasi totalmente padroni di Ginevra, di Grenoble, di Morienne
(Moriana), di Gap, ecc. Nello stesso tempo, i baroni laici
riuscirono, con non minore avidità, ad ampliare i loro
possedimenti. Vivo ancora Rodolfo III, essi s'impadronirono
dei territori, come i vescovi si erano impadroniti delle città.
Chiunque possedesse un castello, vi si fortificava ed esercitava
vera sovranità sulle terre circostanti, cosicchè,
in Borgogna come in tutta la Francia, la monarchia andava
perdendo a poco a poco ogni effettivo potere.
Morì Rodolfo III il 26 settembre 1032, senza lasciare
figli. Prima di morire, egli mandò all'imperatore Corrado
detto il Salico, marito di una sua nipote, la lancia e l'anello
di San Maurizio, simboli venerati dell'investitura del suo
regno. Ma parecchi pretendenti disputarono a Corrado il Salico
la successione di Borgogna. E il regno, che già sotto
Rodolfo era stato turbato anche dalle ambizioni del nipote
di lui, Oddone di Sciampagna, oltre che dall'insolenza dei
vescovi e dei baroni, divenne allora teatro di competizioni
sanguinose, di guerre interne e d'invasioni straniere.
Umberto Biancamano era sempre stato fedele al debole sovrano,
e l'aveva aiutato a sostenere la vacillante autorità.
Ed Ermengarda, la regina vedova, difficilmente avrebbe potuto
conservare la propria dignità, fra le sedizioni e i
tumulti, se Umberto non l'avesse validamente assistita come
consigliere e curatore.
Oddone di Sciampagna invase la maggior parte della Borgogna,
e, occupate le fortezze di Novenburg e di Moriana, le guarnì
di forti presidi. In quel tempo, Corrado il Salico guerreggiava
in Polonia, e non potè accorrere nel regno ereditato
da Rodolfo III. Ermengarda e Umberto, costretti ad abbandonare
il paese invaso da Oddone, si recarono a Zurigo, dove s'incontrarono
con Corrado, che li accolse con grandi feste.
Appena
gli fu possibile, il Salico mosse ai danni del suo nemico,
ed entrato con un esercito nella Sciampagna, la devastò
tanto crudelmente, che Oddone si ridusse ad implorar clemenza,
promettendo con giuramento di desistere dalla occupazione
della Borgogna. Ma a questo giuramento non tenne fede, certo
perchè gli parve duro lasciare ad uno straniero un
paese che da tempo considerava come suo, e Corrado entrò
infine nel regno conteso, con un esercito di tedeschi. Accorsero
in suo aiuto con le loro genti (1034) Ariberto, vescovo di
Milano (che poi doveva rivoltarsi contro di lui) e Bonifacio,
marchese di Toscana, padre della celebre contessa Matilde,
fedelissimo all'Impero. Umberto Biancamano prese allora il
comando di quelle truppe italiane, che condusse fino al Rodano,
e in una memoranda battaglia presso Ginevra sconfisse Oddone
e i Borgognoni, facendo prigioniero anche il proprio parente
Burcardo III (già vescovo d'Aosta, poi arcivescovo
di Lione) che militava risolutamente contro l'imperatore.
È
interessante notare, col Carutti, che nel sec. XI un esercito
italiano al servizio dell'imperatore fu comandato, sulle Alpi,
dal capostipite della dinastia che circa ottocento anni dopo
doveva presiedere all'unificazione dell'Italia! Ma a questo
proposito osserva giustamente quell'autore che nel 1034 la
Valle d'Aosta, dalla parte d'Ivrea, costituiva il confine
del regno di Borgogna verso il regno italico, e che Ariberto
e Bonifacio, entrambi marcianti verso la Borgogna venendosi
a trovare fuori dai territori italiani sui quali avevano potere
dall'imperatore, trasmisero il comando dei loro due eserciti
ad Umberto, non perchè questi fosse principe nato in
Italia, ma perchè aveva il comando degli eserciti imperiali
destinati ad agire in Borgogna.
Così
narra il Janni : "Nel maggio del 1034, la Valle d'Aosta
echeggiava allo strepito di due eserciti in marcia verso il
valico del Gran San Bernardo. Schiere di cavalieri si succedevano
per quella impervia strada contornata da nevi e monti maestosi.
Gli abitanti di quelle contrade, parlanti francese erano a
quel passaggio ammirati ma anche intimiditi; inoltre non capivano
quella strana lingua, infatti nelle milizie si mescolavano
linguaggi e accenti italici, soprattutto dialetti lombardi
e toscani. A condurre uno degli eserciti il marchese Bonifacio
di Toscana, uno tra i più potenti principi d'Italia,
signore di molte terre e temuto dai signori delle altre.
Alla testa del secondo esercito era l'arcivevescovo di Milano,
Ariberto d'Intimiano, il più formidabile e il più
famoso di quei grandi prelati che oltre ad essere abituati
a impugnare il pastorale come uno scettro, erano sempre pronti
per impugnare la spada; e se le parole erano frequenti nelle
preghiere latine recitate sui gradini dell'altare, non meno
frequenti erano quelle che incitavano alla guerra. Ariberto
quando alzava la destra non era solo per dare la benedizione
ma per dare comandi nel fremito delle battaglie.
Questi italiani andavano a recar guerra di là dei monti.
Ed era una novità per i valligiani. Da secoli quei
valichi e quelle valli servivano solo per far scendere come
torrenti i barbari in Italia per fare saccheggi, per acquistare
dominio, per dettare leggi, per ribadire servitù.
Ora,
ecco, gli italiani superavano in armi i baluardi delle Alpi
per portare in terra straniera la guerra. Ma la portavano
in vantaggio di un Imperatore tedesco, contro i ribelli di
Borgogna. Di là dei monti li aspettava Corrado II,
scendente verso il Rodano con un altro esercito.
Nell'alta valle, al Passo del Gran San Bernardo, li aspettava
un signore di Borgogna che aveva il titolo di conte di Aosta
e nome Umberto, e che era venuto da parte di Corrado a ricevere
quelle milizie nel suo territorio. I capi dei due eserciti,
giunti sul passo (dove già sorgeva il famoso Ospizio)
scrutarono dubbiosi quel cavaliere già anziano, tra
i cinquant'anni e i sessanta, tuttavia nella sua forbita armatura
e per essere abituato all'esercizio delle armi manteneva tutto
il suo vigore.
Come convenuto i due grandi signori d'Italia gli cedettero
il comando delle loro milizie.
Nell'attesa, Umberto guardando giù li aveva visti faticosamente
salire, e chissà quali pensieri ebbe, certamente nè
lui nè alcuno poteva immaginare che in quel momento
si metteva alla testa di soldati italiani, e che la sua stirpe
nel volger dei secoli, sotto l'oscura spinta del destino,
avrebbe rifatto passo passo quel cammino, comandato altri
soldati italiani, sempre più italiani, fino a cingere
la corona del Regno".
Come abbiamo già narrato sopra, questi italiani capitanati
da Umberto e i tedeschi condotti da Corrado nei pressi di
Ginevra, in vista del lago Lemano, sconfissero il conte Oddone.
In seguito alla battaglia di Ginevra, Teobaldo, vescovo di
Moriana e nemico dell'imperatore, per il quale Umberto Biancamano
combatteva, fu scacciato dalla diocesi, che venne unita a
quella di Torino, mentre Rinaldo di Borgogna e Geroldo di
Ginevra si sottomettevano. Così Corrado il Salico ebbe
assicurata anche la corona di Borgogna.
Umberto Biancamano si mantenne poi fedele alla parte imperiale,
e fu il più potente tra i principi di Borgogna che
ad essa aderirono. Egli è il solo nominato da Wipps
tra quelli che dalla Borgogna si recarono a rendere omaggio
a Corrado in Zurigo. E qui indubbiamente per la sua bella
vittoria a Ginevra ricevette benefici e terre e probabilmente
ottenne anche il permesso imperiale di fregiare il suo stemma
con l'aquila imperiale tedesca.
Da
allora questo fu lo stemma di Casa Savoia fino
ad Amedeo III, lo sfortunato conte che dopo aver preso a Metz
solennemente le insegne della croce per la partecipazione
alla seconda crociata, morì durante il ritorno il 4
marzo del 1148 a Cipro. Fu appunto sepolto all'abbazia di
Monte Santa Croce.
Da
allora la famosa croce che era cucita nella tunica dei crociati
iniziò ad apparire in piccolo all'interno dello stemma
di Casa Savoia (spesso al centro dell'aquila), fino a quando
Carlo Alberto adottò l'intero scudo crociato nell'intero
stemma, e lo stesso a
seguito dell'Unità d'Italia fu
poi inserito sormontato
dalla corona reale al centro del rettangolo bianco della bandiera
nazionale.
La devozione di Umberto Biancamano all'imperatore tedesco
non può sorprendere se si rifletta che, più
tardi, quello stesso sentimento nacque nell'Alighieri dalla
convinzione che i popoli potessero essere più liberi
e più felici sotto l'imperatore che non sotto i deboli
regimi nei quali era sminuzzata l'Italia, e che un identico
modo di pensare si riscontra poi nel principe Eugenio di Savoia,
il quale, come pure Raimondo Montecuccoli e altri illustri
italiani, offrì la sua spada all'Impero.
Non
si deve dimenticare che l'Impero esprimeva un concetto unitario
ed era ritenuto una seconda incarnazione di quello di Roma;
cosicchè l'imperatore tedesco non poteva essere considerato
dagl'italiani come uno straniero, neppure essendo nato di
là dalle Alpi.
Ben poco rimase nelle cronache relativamente alla fine di
Umberto. La regina Ermengarda visse i suoi ultimi anni a Vienne,
dove morì nel 1057. In questa città, nel 1036,
ebbe luogo un concilio, presieduto dal vescovo Leodigario,
al quale intervennero la vedova regina e il conte Umberto.
Un Umberto sottoscrisse anche una donazione fatta il 3 novembre
di quell'anno da Leodigario in favore del monastero di San
Vittore in Marsiglia, dove taluni vogliono morisse il leggendario
Beroldo. Il nome di un Umberto figura inoltre in una donazione
alla chiesa di Moriana, che sarebbe avvenuta dopo la morte
del vescovo Teobaldo e che quindi sarebbe posteriore al 1056,
inquantochè sembra sia questo l'anno in cui Teobaldo
si spense.
Questo fa pensare che Umberto Biancamano, nel 1003 aveva già
moglie e figli, sia morto carico d'anni. Ma il documento più
importante nei riguardi del capostipite della Casa di Savoia
è un atto del 1040 (detto Carta d'Aosta), col quale
Umberto fa donazione ai canonici di San Giovanni e di Sant'Orso
di alcuni beni posti in Aviso e nella Val Digna, riservandosene
però l'usufrutto per il resto della sua vita. Tale
documento ha uno straordinario valore, perchè in esso
la donazione fatta da Umberto reca la successiva conferma
dei quattro figli di lui, Amedeo I, Burcardo, Aimone vescovo
di Lione, e Oddone, e porta anche l'adesione di Pietro figlio
di Oddone, documentando così la discendenza diretta
del progenitore della Casa di Savoia.
Investito da Corrado il Salico, dopo la vittoria di Ginevra,
della signoria del Chiablese, del Vallese e di altre terre,
Umberto Biancamano potè lasciare ai suoi discendenti
un dominio che, dice il Carutti, «formava una vera
marca di frontiera, dai passi del Moncenisio, al Piccolo e
al Gran San Bernardo verso il Sempione, e giù fino
al lago di Ginevra ».
Sono varie le grafie del nome della principessa che fu moglie
di questo principe: Anchilia, Ancilia, od Ausania, o Anchilla,
o Ansilla, o Ancilla. Fu ella, come già si è
detto, figlia di Manasse, conte di Savoia verso il 1000, e
sorella, pare, della regina Ermengarda, moglie di Rodolfo
III di Borgogna. Andò sposa ad Umberto nel 1002, mentre
era ancora adolescente.
Gentile, buona e molto bella dovette essere Anchilia in realtà,
poichè la leggenda e la storia sono concordi nell'affermare
ch'ella fu tale. Amò teneramente e devotamente il marito,
e gli diede i quattro figli che già abbiamo nominati.
Risulta
dalla tradizione e dagli annali che questa principessa incitò
coraggiosamente il marito a farsi onore alla testa delle milizie
italiane, nel liberare la Borgogna per darla all'Imperatore,
suo signore legittimo, e certo al Vincitore di Ginevra (così
venne chiamato il Biancamano) fu dolcissimo premio il ritrovar
l'affetto di una simile compagna, dopo le gesta vittoriose.
Anchilia, « che seppe sempre camminare con piè
fermo all'altezza di lui, non mai discordando da quella temperanza
di costumi che mantiene dignità e leggiadria »,
non sopravvisse lungamente al consorte. Non si ha una data
precisa della sua morte, ma pare non sia rimasta in vita per
più di due anni dopo la scomparsa di Umberto.
A
UMBERTO QUANDO FU POI COSTRUITA L'ABBAZIA DI ALTACOMBA
GLI FU DEDICATA UNA TOMBA
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