UN TENACE DIFENSORE DEI DIRITTI UMANI DI ... TUTTI

S.E. MONS. AGOSTINO MARCHETTO ( * )

 

OGGI

ROMA, 2 GIU - 2008 - No al reato di immigrazione clandestina. Lo dice mons.Agostino Marchetto, 'ministro dell'immigrazione' della Santa Sede. "Nessuno straniero 'irregolare' puo' essere privato della liberta' personale o soggetto a pena detentiva a causa di un'infrazione amministrativa", afferma il segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti. Tenendo conto delle normative europee e della posizione dell'Italia, 'mi ritrovo nell'opinione espressa dalla minoranza a Bruxelles'.

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IERI

( 14 MAGGIO 2004 - 17 giugno 2003 - 10 luglio 2007 )

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Globalizzazione,
migrazioni e povertà
si avverte sempre di più l'esigenza di una “authority politica mondiale al disopra delle parti”

LA CHIESA CATTOLICA INTERVIENE SU QUESTI TRE DRAMMI DEL NOSTRO TEMPO, CON LA NUOVA "ISTRUZIONE" DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I MIGRANTI DAL TITOLO
“ERGA MIGRANTES CARITAS CHRISTI”
PRESENTATA IL 14 MAGGIO 2004 DA MONS. MARCHETTO NELLA SALA STAMPA VATICANA.

E' UN INVITO AD UNA CULTURA DELL’ACCOGLIENZA VERSO GLI IMMIGRATI.

I migranti, rileva il documento hanno diritto al ricongiungimento familiare, all’educazione dei figli, all’alloggio, al lavoro, e a varie forme di partecipazione nella società in arrivo”. La cultura dell’accoglienza e del dialogo è un “dovere” per tutti ma in particolare per i cristiani. Forte la condanna di razzismo e xenofobia e l’esortazione a superare paure e insicurezze.
L’invito al dialogo non è però disgiunto da alcune raccomandazioni: l’Istruzione sconsiglia i matrimoni tra cattolici e immigrati non cristiani, “pur con variata intensità” secondo le religioni. Un capitolo particolare è dedicato ai matrimoni tra donne cattoliche e musulmani, una riflessione – si dice – frutto di “amare esperienze”.

L’Istruzione rileva quindi i valori in comune con l’Islam, ma sottolinea anche le divergenze, prendendo in considerazione le acquisizioni legittime della modernità, specialmente nel campo dei diritti umani: a questo proposito il documento vaticano auspica “da parte dei nostri fratelli e sorelle musulmani una crescente presa di coscienza che è imprescindibile l’esercizio delle libertà fondamentali, dei diritti inviolabili della persona, della pari dignità della donna e dell’uomo, del principio democratico nel governo della società e della sana laicità dello Stato. Si dovrà altresì raggiungere un’armonia tra visione di fede e giusta autonomia del creato”.
“Nelle relazioni tra cristiani e aderenti ad altre religioni - continua l’Istruzione vaticana - riveste … grande importanza il principio della reciprocità, intesa non come un atteggiamento puramente rivendicativo, ma quale relazione fondata sul rispetto reciproco e sulla giustizia nei trattamenti giuridico-religiosi. La reciprocità è anche un atteggiamento del cuore e dello spirito, che ci rende capaci di vivere insieme e ovunque in parità di diritti e di doveri. Una sana reciprocità spinge ciascuno a diventare “avvocato” dei diritti delle minoranze dove la propria comunità religiosa è maggioritaria. Si pensi in questo caso anche ai numerosi migranti cristiani in Paesi con maggioranza non cristiana della popolazione, dove il diritto alla libertà religiosa è fortemente ristretto o conculcato”.

Inoltre per “evitare … confusioni, considerate le diversità religiose … per rispetto ai propri luoghi sacri e anche alla religione dell’altro”, l’Istruzione non ritiene opportuno “che quelli cattolici - chiese, cappelle, luoghi di culto, locali riservati alle attività specifiche della evangelizzazione e della pastorale - siano messi a disposizione di appartenenti a religioni non cristiane”. Gli spazi di tipo sociale, invece - quelli per il tempo libero, il gioco ed altri momenti di socializzazione - potrebbero e dovrebbero rimanere aperti a persone di altre religioni, come “un’occasione per favorire l’integrazione dei nuovi arrivati e preparare mediatori culturali capaci di favorire il superamento delle barriere culturali e religiose promuovendo una adeguata conoscenza reciproca”.

Vedi più avanti l'intervento di Mons. Marchetto alla conferenza stampa.
Ma già il 13 settembre 2002, a Loreto, Mons, Marchetto aveva trattato questo problema:

Globalizzazione, migrazioni e povertà
(aspetti ecclesiali)
Intervento di S. E. Mons. Agostino MARCHETTO, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

I. Globalizzazione
Introduzione

"Permettete allo storico che è in me, più del diplomatico, ma spero meno del pastore-Vescovo, di iniziare il mio intervento con una citazione storica, la seguente:
«Il mercato domina il mondo … L’economia del pianeta si è aperta, internazionalizzata e globalizzata … L’economia è integrata. Il pensiero si è uniformizzato e la religione monoteizzata …».
Vi chiedo a bruciapelo: Di che epoca pensate sia questo testo che sembra così attuale? Ebbene esso risale al 1596, alla fine del XVI sec.[1].

Aggiungerei, sperando di non appesantire questo inizio, la citazione di un grande storico contemporaneo, il Morghen. Egli scrisse: «Oggi, la comunità nazionale, le cose, i sentimenti, le idee hanno subito grandi mutamenti, ma non tali che, anche tra le rovine di tutto un mondo non sia possibile a chi, come me, è stato partecipe di quegli eventi lontani, di rendersi conto come la situazione attuale abbia tanti rapporti con gli accadimenti di ieri … D’altra parte la creazione dell’ONU, il movimento per l’unità e l’integrazione europea, il Concilio Vaticano II, segnano alcuni punti di partenza per un rinnovamento della società umana, con affermazioni, oggi teoriche, ma sempre più sentite dalle masse, di universalità e di ecumenismo, di diritti umani e di giustizia che recano il segno inconfondibile della secolarizzazione d’ideali cristiani, calati nella realtà storica, non più in contrasto col mondo, ma in accordo con la creatività positiva della civiltà umana»[2].

In tale contesto Morghen faceva eco ad Huizinga, che auspicò «un risanamento della civiltà umana nel ricupero della ragione come misura delle cose, nel campo intellettuale, ricupero che è alla base dell’atteggiamento morale di ogni comunità» e perorò altresì «un ordine mondiale in cui valga il diritto naturale delle genti, in un nuovo concetto della libertà, che non identifichi la libertà e la democrazia soltanto con l’utilità ed il benessere», e si augurò il «predominio dei milioni di uomini che hanno sete di giustizia e senso dell’ordine e della ragionevolezza e professino il culto della libertà insieme a quello dell’onestà, della fedeltà, della fiducia»[3].

Non siamo qui in piena attualità? La globalizzazione, non è dunque del tutto una novità, anche se l’era presente ha caratteristiche particolari poiché “lo spazio che si restringe, il tempo che si contrae e i confini che scompaiono stanno legando gli individui in maniera più profonda, più intensa e più immediata di quanto sia mai successo prima”[4].

Nella sua attuale fase, in effetti, la globalizzazione sta correndo più velocemente rispetto al controllo delle sue ripercussioni sulle persone e alla regolazione dei mercati, soprattutto di quello finanziario, ognor più debordante.

La “solidarietà”, in globalizzazione, secondo il Concilio Vaticano II

E veniamo al primo elemento dello svolgimento del tema che ci è stato proposto: la solidarietà (cooperazione-condivisione-dono-partecipazione-comunione, aggiungerei, e potrei continuare per far intravedere cosa sta sotto a tale concetto-realtà). L’aspetto qui è inteso però come cultura della solidarietà, come globalizzazione della solidarietà, della fratellanza.

Al cultore del Concilio Vaticano II quale mi considero, al “patito” per una sua giusta e corretta ermeneutica, concederete di citarlo qui, quel Grande Sinodo, per sottolineare che vi è solidarietà naturale e soprannaturale di tutti gli uomini e di tutte le donne in Adamo e in Cristo[5], v’è intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana. La nostra Chiesa si considera, cioè, realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia, sentendo l’anelito “verso una certa comunità universale”[6]. Insomma: “Tra i segni del nostro tempo è degno di speciale menzione il crescente ed inarrestabile senso di solidarietà di tutti i popoli che è compito dell’apostolato dei laici promuovere con sollecitudine e trasformare in sincero e autentico affetto fraterno. I laici inoltre debbono prendere coscienza del campo internazionale delle questioni e soluzioni sia dottrinali che pratiche che sorgono in esso, specialmente per quanto riguarda i popoli in via di sviluppo”[7].

Vi è qui un richiamo alla Mater et Magistra di papa Giovanni e ai popoli in via di sviluppo, e implicitamente, in nuce, alla scelta preferenziale, non esclusiva, a favore dei poveri, senza indulgere ad un’etica puramente individualistica [8]. Si fa poi speciale menzione dei laici e ciò significa, per essi, mediazione tra principi e realtà, pluralità di pensiero, di opzioni, di soluzioni; ciò significa professionalità e “politica”. Non ci scandalizziamo dunque della pluralità, nella misura in cui dal Vangelo e dalle linee magisteriali ci avviciniamo al concreto, vissuto, complesso, mondo nostro - anche se un discorso a parte si dovrebbe però fare per l’Azione Cattolica, per il suo speciale legame con la Gerarchia .

A questo proposito varrà ricordare il 6° punto dell’intervista concessa a Telepace dal Card. A. Sodano, Segretario di Stato, il 19 luglio 2001. Il più prossimo collaboratore del Papa rispondeva alla domanda «Come può la Chiesa aiutare la politica?» con queste precise parole: «La Chiesa è un corpo composto di tanti membri. Ognuno di questi è chiamato a collaborare alla vita pubblica. Diversa è la Missione del Papa, di un Vescovo o sacerdote, o dei singoli cristiani. Una cosa è certa: nel loro insieme i cristiani possono e devono contribuire al bene della società. In particolare è questa la missione del laicato cattolico”[9].

La “solidarietà”, su scala globale, nel Magistero ecclesiale

Dopo il richiamo conciliare eccoci a menzionare, sia pure brevemente, il Magistero pontificio ed episcopale, cioè la Dottrina sociale della Chiesa, su tale tema, che diventa ognor più sviluppato e di difficile raccolta sotto un solo sguardo d’insieme[10].

Senza dimenticare Pio XII, nei suoi famosi discorsi natalizi, partirei dalla citazione della Pacem in terris di Papa Giovanni (“le economie nazionali stanno diventando così interdipendenti che una specie di economia mondiale è nata dalla integrazione delle economie dei singoli Stati” [11]) per arrivare ai ripetuti richiami, circa l’ambivalenza della globalizzazione, da parte di Giovanni Paolo II e al suo invito accorato a globalizzare appunto la solidarietà, senza marginalizzazioni. Vi consiglio, a questo riguardo, di consultare la “sintesi” di vari Autori dal titolo “The social dimensions of globalisation”[12].

In special modo varrà esaminare l’applicazione di alcuni dei principi permanenti della Dottrina sociale cattolica alle manifestazioni odierne della globalizzazione[13]. Mi riferisco alla Chiesa come attore globale con responsabilità globali, all’umanità vista quale unica famiglia, alla “globalizzazione in solidarietà”, appunto, alla questione sociale che concerne tutti, alla necessità di non assolutizzare l’economia e il mercato. Ancora mi riferisco alla centralità della persona umana e al bene comune universale (globale) [14], nonché alle strutture indispensabili per garantirlo, e alla destinazione universale dei beni creati.

Sempre nell’impegno di pensare la globalizzazione in termini cristiani, varrà prendere in considerazione un saggio del Card. Dionigi Tettamanzi dal titolo “Globalizzazione e pensiero cristiano”[15], e il suo volume: “Globalizzazione, una sfida”[16]. Interessante risulta pure l’intervento del Card. F. X. Nguyên Van Thuân sulla “new economy”, nel contesto sempre della Dottrina sociale della Chiesa[17], mentre ci permettiamo di citare pure il nostro studio “Al centro l’uomo, immagine di Dio”[18]. Comunque, in relazione alla globalizzazione, credo bisognerà elaborare una nuova frontiera di tale Dottrina[19].

A questo proposito si rivela un interesse anche da parte almeno di un settore del mondo islamico, da quanto risulta dalla VII riunione del Comitato congiunto islamo-cattolico, svoltasi in Vaticano, dal 3 al 4 luglio 2001, sul tema: “Religione e dialogo di civiltà in un’era di globalizzazione”[20].

La globalizzazione secondo Giovanni Paolo II

In ogni caso varrebbe la pena rivisitare tutto il discorso di Giovanni Paolo II ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali del 27 aprile 2001[21]. Ve ne leggo anzitutto il passo per me centrale: «La globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno. Nessun sistema è fine a se stesso, ed è necessario insistere che la globalizzazione, come ogni altro sistema, dev’essere al servizio della persona umana, della solidarietà e del bene comune»[22]. Aggiungo la lettura di qualche altro breve tratto del menzionato discorso, assai significativo: «La globalizzazione non dev’essere una nuova versione di colonialismo … deve rispettare le diversità delle culture … L’umanità nell’intraprendere il processo di globalizzazione non può più fare a meno di un codice etico comune»[23].

E’ qui richiamato -avete sentito- un elemento fondamentale di umanizzazione della globalizzazione, l’etica, che il Santo Padre menzionò nuovamente in vista del G8, all’Angelus dell’otto luglio u.s., unendosi Egli ai Vescovi liguri che «esprimono l’urgenza di risvegliare in tutti, a partire dai responsabili della cosa pubblica, un sussulto di nuova “moralità” di fronte ai gravi e talvolta drammatici problemi di ordine economico-finanziario, sanitario, sociale, culturale, ambientale e politico … Per questo i popoli più ricchi e tecnologicamente avanzati … devono saper ascoltare il grido di tanti popoli poveri del mondo; essi chiedono, semplicemente, ciò che è loro sacrosanto diritto»[24]. Il pensiero è ripetuto con convinzione nel discorso pontificio indirizzato al Presidente statunitense G. Bush, in questi termini: «La rivoluzione delle libertà … deve essere ora completata da una rivoluzione delle opportunità, in cui tutti i popoli del mondo possano attivamente contribuire alla prosperità economica e godere dei suoi frutti … un mondo globale è essenzialmente un mondo di solidarietà!»[25].

Nella stessa linea, direi, il Card. F. X. Van Thuân, auspicava che la “new economy” non sia autonoma dall’etica. “La finanza in quanto tale deve [cioè] scoprire la sua eticità”[26]. Conferma ne viene da un altro fronte, pur degno di tutta attenzione, dal titolo di un elzeviro di A. Fazio: «Senza morale niente mercato»[27]. E’ notevole affermazione per un economista. Tale elemento morale, solidale, deriva anche dal servizio che la globalizzazione dovrà offrire a tutta la persona umana e a tutte le persone[28], e qui sorge un aggancio logico tra mondializzazione e democrazia, tema che però non affronteremo[29]. Si tratterebbe comunque di democrazia solidale e plurale (associativa, la dicono alcuni).

Considerazioni del Magistero sulla necessità di una “governance” della globalizzazione (cooperazione globalizzata)


Alla richiesta di “governance” del fenomeno in parola, formulata da molti, come risponde il Magistero? Ebbene ecco l’affermazione di Papa Giovanni Paolo II: “La globalizzazione della solidarietà esige una nuova cultura, nuove regole, nuove istituzioni a livello nazionale ed internazionale”.[30]

L’esigenza di “un’autorità politica mondiale” è stata poi richiamata anche dal Card. F.X. Nguyên Van Thuân, sempre nel citato articolo sulla “New economy”[31], ma avvertendo egli che governance non significa automaticamente government. Ecco le sue precise parole: «La governance della nuova economia ha bisogno, però, anche delle strutture giuridiche e politiche, capaci di orientare al bene comune le immense potenzialità della nuova economia. Questo, nella consapevolezza che l’uomo, come dice la Centesinus annus, è “santo e peccatore” nello stesso tempo. La Dottrina sociale della Chiesa continua a sostenere l’esigenza di una “autorità politica mondiale”, - Giovanni XXIII, Pacem in Terris, N. 137 - maggiormente richiesta oggi dato che i fenomeni della nuova economia sono, appunto, mondiali. Ma governance non significa automaticamente government. I principi di gradualità e di sussidiarietà chiamano in causa sia il realismo con cui procedere, facendo lievitare gli strumenti internazionali attuali migliorandone il funzionamento e i rapporti reciproci, sia la necessità di responsabilizzare ed abilitare all’azione attori molteplici. Si nota la necessità di aumentare “la concertazione tra i grandi paesi” – Giovanni Paolo II, Centesimus annus, N. 58 –, di trasferire conoscenza e tecnologia nei paesi poveri (dato che “il facile trasferimento delle risorse e dei mezzi di produzione” – Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali del 25 aprile 1997, N. 4 – reso possibile dalle nuove tecnologie può oggi facilitare simili processi di solidarietà sussidiaria), di raccordare meglio le iniziative delle Istituzioni Finanziarie Internazionali con gli autentici bisogni dei paesi poveri e con gli attori della società civile di quei paesi».

Anche il Sig. Card. C.M. Martini ha invocato, or non è molto, “un’ authority mondiale al disopra delle parti” per governare la globalizzazione[32], mentre, se è lecito citarsi e parva componere magnis, faremmo qui menzione anche del nostro intervento “Al centro l’uomo, immagine di Dio”[33]. Qui però ci fermiamo, pur potendo continuare nelle citazioni.

II. Migrazioni

Inizio la trattazione di questo II° punto del nostro tema con una connessione (che forma un trinomio) fra diritto (dei migranti) - dovere (di chi accoglie) e diritto (dello Stato che riceve).

Mentre appare ormai ampiamente comprovato il fatto che i Paesi ricchi diventano sempre più ricchi e quelli poveri sempre più poveri, si è constatato, quale conseguenza, che molte persone dai Paesi poveri decidono (o sono obbligate) di trasferirsi in quelli ricchi. L'ONU, a questo riguardo, stima che nei prossimi cinquant'anni dovrebbero entrare in Europa almeno 160 milioni di immigrati, per mantenere i suoi equilibri interni demografici e occupazionali.

Ebbene, si tratta di una invasione dalla quale i ricchi sono chiamati a difendersi? Oppure i poveri hanno il diritto, appunto perché poveri, affamati e ammalati, di entrare nella società del benessere? Di accedere anche così alla globalizzazione?

Da parte nostra citeremo a risposta il Concilio Vaticano II, - poiché trattiamo gli aspetti ecclesiali di fenomeni odierni - punto di sicuro riferimento in vasto pelago di opinioni, che elaborò importanti linee di pensiero e direttive anche circa la realtà migratoria. Esso invita i cristiani a conoscerla (GS, 63) e a rendersi conto dell’influsso che l’emigrazione ha sulla vita individuale. Sono ivi ribaditi il diritto all’emigrazione (GS, 65), la dignità del migrante (GS, 66), la necessità di superare le sperequazioni nello sviluppo economico e sociale (GS, 63) e di rispondere alle esigenze autentiche della persona (GS, 84). Vi è riconosciuto però, all’autorità civile, il diritto alla regolamentazione del flusso migratorio (GS, 87). Il popolo di Dio deve quindi sentirsi impegnato ad assicurare in tutto ciò il suo apporto generoso e i laici cristiani, soprattutto, sono chiamati ad allargare il loro impegno e la loro collaborazione nei settori più svariati della società (AA, 10), facendosi “prossimo” del migrante (GS, 27). Le Conferenze episcopali devono essere altresì sollecite al riguardo e ampliare la loro attenzione ai problemi non solo dei migranti economici, ma anche degli esuli, dei profughi, dei marittimi, degli addetti ai trasporti aerei, dei nomadi, dei turisti (CD 18).

Il Concilio ha segnato dunque un momento “magico” per la cura pastorale dei migranti e degli itineranti, soprattutto per la sua visione rinnovata, nella continuità, dei relativi problemi ecclesiali ed umani. Particolare importanza vi è data infatti "al cammino che la Chiesa deve percorrere nella sua missione, accanto ad ogni uomo, al significato della cattolicità intesa come “cittadinanza” che ogni fedele gode nella Chiesa (LG, 3), al senso altresì della parrocchia, intesa più come comunità di persone che come pura territorialità, alla visione della Chiesa come mistero-comunione della presenza di Dio che ha posto la sua tenda fra gli uomini, per cui essa appare quale “popolo che deriva la sua unione dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (LG, 4).

D'altra parte, considerando la storia, si può notare che, nel suo corso, fenomeni migratori sempre ci furono, talvolta con effetti positivi, in altri casi traumatici. Sembra assodato, comunque, che una accoglienza, graduale e ordinata nel tempo, fa progredire il senso umanitario generale e aumenta il potenziale produttivo in campo economico, con arricchimento anche degli scambi sociali. Ma non vogliamo invadere campo di riflessione altrui, pur considerando che l'Europa potrebbe trarre benefici dall'immigrazione.

Senza nasconderci cioè gli aspetti problematici che l'emigrazione porta con sé, ma sgomberando il campo da alcuni equivoci e pregiudizi, resta, su questo punto, una domanda molto concreta che vi faccio: una persona umana in stato di bisogno ha il diritto di essere accolta? Il fatto che abbia un evidente bisogno di aiuto, le dà il diritto di essere oggetto di attenzione?

Si afferma che la libertà è agire senza nuocere agli altri. Ma il non risolvere la situazione disumana dell'altro non è già un nuocergli? Come sempre, la cosa più difficile è conoscere l'altro per quello che è, sentire il dovere di “vedere” la sua fatica e liberarci, noi, da quelle barriere e dai pregiudizi che deformano e fanno considerare gli altri diversi da come sono in realtà.

E se facciamo attenzione alla vita di coloro che vengono a casa nostra, avremmo modo di “vedere” che nei loro Paesi si muore di fame, mentre da noi molti si ammalano per ipernutrizione; da loro il denaro sta spesso tutto in un portamonete, mentre noi, molti di noi, col nostro denaro, riempiamo le casse di una infinità di banche; da loro poi, sovente, non c’è libertà, mentre da noi se ne abusa.

La seconda connessione a cui faccio solo cenno è quella tra minaccia (dei migranti) e paura (di chi accoglie) nel suo aspetto generale. Si tratta di minaccia e paura per motivi socio-economici (criminalità). Vi sono, in merito, - è evidente - alcune paure provocate da luoghi comuni e affermazioni, più o meno diffusi nell'opinione pubblica, che sarebbe necessario verificare nella realtà dei dati. Non lo possiamo però qui fare. Ma ci soffermiamo, invece, perché vi è un aspetto ecclesiale, sulla minaccia e paura legate a motivi religiosi.

Si considera cioè principalmente il fatto che molti immigrati in Europa sono islamici, il che fa temere una subdola invasione della cultura e della religione che si rifà a Mohammed.

Le complicazioni della storia recente (non ultima quella dovuta all’attentato, terribile, dell'11 settembre) hanno acuito, certo, in molti la percezione di una opposizione quasi radicale e di una frattura direi insanabile tra mondo occidentale (mondo cosiddetto cristiano) e islamico. Ma le radici del conflitto - sappiamo - stanno lontano.

Tenuto conto che esso, da sempre, maschera spesso contenuti e motivi di altra natura (economica e politica), oggi sembra più che mai necessario cercare, invece, con gli islamici, un dialogo, un confronto sereno, lucido e pacato, puntando, peraltro, sul principio della reciprocità. E' vero, comunque, che alcuni Paesi mostrano di sostenere (grazie alle risorse derivanti specialmente dal petrolio) movimenti integralisti, che giungono a forme di terrorismo contro il mondo occidentale, motivato da fanatiche considerazioni, nelle quali si mescolano citazioni del Corano ed espressioni di vendetta per i «soprusi subiti dagli sfruttatori dell'Occidente», oltre alla volontà di ripulire «la corrotta civiltà consumistica dell'Europa e degli Stati Uniti», come ripetutamente affermò Ben Laden.

Ma se, da parte nostra, commettiamo l'errore di considerare l'integralismo come espressione unica dell'Islam, non faremo che rinforzare proprio gli integralisti che vogliono, per l'appunto, non apparire frangia isolata, ma essere, invece, “coscienza” di tutto il mondo musulmano. Esso, al contrario, si presenta come un arcipelago di mentalità e convinzioni tra loro, a volte, molto diverse.

E' anche vero, però, che nell'islam v’è un nucleo di religiosità «dogmatica». Il sistema teocratico che lo caratterizza deve, però, non farci dimenticare situazioni analoghe vissute in passato. Se da un lato, dunque, fa paura il musulmano «ipnotizzato» da un tipo di religione che propone come «credere, obbedire e combattere» (… e morire: vedi i recenti atti di terrorismo dei “martiri” islamici), va anche detto che vi sono musulmani usciti da tale «gabbia» e da questo limite, pur rimanendo musulmani. Perché non sperare dunque in una evoluzione simile a quella che ha portato i Paesi occidentali all'attuale tolleranza e “moderazione”? Anche per essere vissuto qualche anno nel Maghreb ho peraltro ben presente tutta la problematicità della cosa.

Per un cristiano, tuttavia, la dimensione di fede porta ad un atteggiamento specifico. Se consideriamo, di conseguenza, l'umanità come famiglia di Dio, allora l'imperativo che ci viene dal Vangelo è almeno quello di trattare gli altri come vogliamo che gli altri trattino noi.

La Chiesa poi è cattolica anche perché va verso ogni uomo e donna, a curare, come buon samaritano, le ferite di ciascuno. La Chiesa cattolica si propone altresì di incontrare tutti e ognuno senza distinzioni o preferenze: «Nella Chiesa nessuno è straniero» (Paolo VI). Pertanto, di fronte all'immigrazione e alle altre religioni, tutti noi abbiamo una straordinaria occasione di incontrare gli altri, di offrire a tutti il nostro amore e il nostro servizio e testimoniare così il Vangelo nel rispetto della libertà, in una missione che ha portato ormai fin qui, in Europa, le sue tende, proprio a causa delle migrazioni. L’evangelizzazione dei lontani, fatti vicini, batte alla porta della nostra mente e del nostro cuore.

Per una accoglienza umana e cristiana

Ricevere gli immigranti, dunque, è risposta a un diritto da parte loro, con dovere da parte nostra, in mediazione politico-legale (con regolamento statale dei flussi), nel rispetto dei diritti umani, ma è soprattutto, la nostra risposta, una cartina di tornasole della coscienza e responsabilità cristiana. «Il principio fondamentale per accostare il problema dell'accoglienza degli stranieri - affermò il Card. Martini - è un'apertura dello spirito a cogliere, nel particolare evento epocale, una circostanza provvidenziale, un invito ad un mondo più fraterno e solidale, ad una integrazione che sia segno della presenza di Dio tra gli uomini (…). L'annuncio evangelico chiede di rompere ogni complicità con atteggiamenti razzistici e di fare nostra l'utopia di una fraternità universale (…). La presenza degli stranieri nelle nostre città è, dunque, un prezioso segno dei tempi, che sveglia le nostre coscienze (…), non deve essere vista perciò come fenomeno fastidioso, inopportuno o come minaccia per il futuro; al contrario, questa presenza è una 'chance' per rinnovare la nostra cultura e la nostra fede» (cit. da «Nuovi Orizzonti Europa», gen.-feb. 2002).

L'Europa di oggi, senza negare le sue radici cristiane che dovrebbero avere un riverbero anche nei futuri testi istituzionali europei, si presenta già come continente multietnico, multiculturale e multireligioso. Siamo confrontati infatti con l'intensificarsi dei flussi migratori di minoranze etniche sempre più differenziate, la presenza massiccia di migrazioni non cattoliche e non cristiane, l'esigenza della difesa dei diritti umani, anche religiosi, dei migranti, quelli legittimi, la promozione di un dialogo complesso e difficile, con mediazione culturale e politico-legislativa.

Le migrazioni spingono così a domandarci quale tipo di società stiamo costruendo o vogliamo costruire e, nello stesso tempo, chiedono che si progetti una società nella quale si allarghino gli spazi di appartenenza e di partecipazione e si restringano quelli di emarginazione e di esclusione.

L'obiettivo di fondo e la sfida, per i Paesi occidentali, sono dunque la costruzione di una «società integrata». Questo richiede non tanto la difesa di culture e religioni contrapposte, quanto piuttosto l’impegno per l'incontro delle culture e il dialogo interreligioso per favorirne, nel rispetto di ciascuno, la relazione, lo scambio, il rapporto, nella pace e nella giustizia.

Per la stessa Chiesa in Europa le migrazioni diventano così il terreno quotidiano dove verificare le sue capacità di dialogo (non solo interreligioso). E’ questa inoltre la realtà su cui basare una educazione capace di trasformare la coabitazione sul medesimo territorio in luogo di tolleranza, di convivialità e di solidarietà cristiana. La Chiesa partecipa così, con attenzione e sollecitudine, all'allargamento della comunità internazionale nelle sue varie forme, mentre vi intravvede la propria tensione a creare unità nel genere umano, in giustizia e carità, una famiglia di Nazioni e di popoli, la famiglia umana.

La Chiesa intende abbracciare il mondo intero nel desiderio e nella disponibilità all'accoglienza, ricordando che è proprio un valore della tradizione cristiana accogliere il pellegrino, difendere l'ospite, sostenere la persona che ha bisogno. Diversamente trasgrediremmo il comando stesso di Dio: «Amate dunque il forestiero, poiché anche voi siete stati stranieri nel Paese d'Egitto» (Dt 10,19). E quanti furono gli italiani, per stare al nostro Paese, che migrarono nel corso dei cinquant’anni a cavallo del secolo XIX-XX? Si calcola che il 25% della popolazione in quel periodo prese il cammino delle Americhe. L’Italia ha quindi vissuto in carne propria il fenomeno dell’emigrazione, sanguinandone.

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a tale proposito
NOTA DI "CRONOLOGIA"

vedi-tabella-migrazione-dall'Italia-in-140-anni-e-Paesi-di-destinazione > >
e vedi anche
"Italia-1946-Emigrazione Italiana:- sciagura-nazionale"-
Documento originale del Ministro Plenipotenziario Bertelè > >

Ne diamo qui solo l'inizio piuttosto significativo - Era il 1946 !

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continua Mons. Marchetto

Le odierne migrazioni spingono dunque la Chiesa e i cristiani verso una visione e un impegno sempre più universali. Essa deve, in ogni tempo e luogo, accettare in effetti il giusto pluralismo, - voluto da Dio stesso, creatore di tutti gli uomini e di tutte le razze umane - allargando l'ambito della sua presenza fino ai confini della terra, per portare il messaggio di liberazione e di grazia, dell'amore fraterno, riflesso dell'Amore infinito ed eterno di Dio.

III. Povertà

Per il III° ed ultimo punto del nostro tema, in cui sarò più breve che in precedenza, mi rifaccio al mio intervento in occasione della XXVIII Sessione del Comitato FAO sulla Sicurezza Mondiale Alimentare, che ha preparato il suo recente Vertice, quello “Mondiale sull’Alimentazione – cinque anni dopo”.

Tale riunione, oltre le critiche, ha offerto l’occasione agli Stati partecipanti di nuovamente “volere” – termine questo che forse può riassumere tutte le conclusioni del Vertice stesso – contribuire, ciascuno e tutti, a ridurre alla metà il numero di coloro che soffrono la fame e la malnutrizione entro il 2015.

In effetti il bilancio dell’ultimo anno sui livelli di sicurezza alimentare nel mondo, fornitoci dalla FAO, evidenzia un allargamento delle situazioni che producono l’insicurezza alimentare. Ancora una volta ci troviamo di fronte a dati che mostrano in tutta evidenza le cause della fame, fattori naturali e quelli dovuti all’azione dell’uomo che la determinano, e ancora l’ampiezza dei bisogni di popolazioni poste ai margini degli elementari processi di sviluppo. Parliamo così di marginalizzazione crescente, di esclusione, di discriminazione quanto al godimento del fondamentale diritto di persone e popoli, ad essere liberi dalla fame, dalla carestia. E questo in un contesto nel quale i consumi tendenzialmente aumentano, a livello mondiale, e la crescente globalizzazione dei mercati di fatto renderebbe disponibili alimenti in ogni angolo del pianeta.

Diventa allora essenziale il riferimento ai modelli di consumo delle aree più sviluppate che rischiano di far dimenticare la necessità di un impegno per ridurre la fame.

Orbene, uno degli strumenti che sembra utile, anzi indispensabile, in tale lotta, risulta essere la creazione di un concorrere unanime di quanti operano nel contesto delle relazioni internazionali e nel particolare settore della cooperazione allo sviluppo, quello sostenibile naturalmente. Questa “coalizione”, chiamiamola così, o alleanza, se vuole essere efficace va poi percepita non tanto come un nuovo impegno per gli Stati, quanto come una metodologia, una strategia di intervento, resa necessaria dalla complessità dell’obiettivo – eliminare la fame, appunto – e dall’ordine delle cose. Infatti se appare essenziale l’apporto dei Governi, non sfugge il dato che, alla finfine, solo una capacità di stimolo e pressione positiva delle opinioni pubbliche può garantire un concreto, voluto, continuo, vigilante impegno governativo.

E’ indispensabile altresì il ruolo delle Organizzazioni intergovernative, ad iniziare dalla FAO, per la loro capacità di conoscenza delle situazioni, di analisi dei diversi fattori e di progettualità.

Evidentemente al centro di ogni preoccupazione ed azione, di politica interna o internazionale, deve esserci tuttavia, sempre e ancora, la persona umana, con la sue esigenze, tra le quali svetta anche il diritto alla nutrizione, che promana da quello alla vita. Non si tratta dunque di un’astratta lotta contro la fame, pur se tecnicamente fondata e strutturata. Si tratta della “causa dell’uomo”. Orbene solo questa dimensione di azione unitaria e coordinata può trasformare l’idea di una “coalizione contro la fame” in una realtà viva e concreta, per eliminare, o almeno ridurre, una situazione indegna dell’uomo, una condizione di scandalo, per noi, in cui versano milioni di nostri fratelli e sorelle. Già questa convinzione, che sappiamo presente nel cuore di tutti, nonostante tutto, se fatta valere sul tavolo del negoziato, delle decisioni e dell’azione convergente e conseguente può far superare quelli che pur sembrano ostacoli insormontabili, può eliminare, o almeno attenuare, l’egoismo nelle sue diverse forme, che porta solo a guardare a noi stessi e non intorno a noi, agli altri. Si aprirebbe così la strada a decisioni coraggiose, che vincano l’abitudine allo scandalo, al male.

La Chiesa, la Santa Sede, come è evidente, ha rivolto così un appello accorato e pressante a tutti e a ciascuno, un appello la cui forza non risiede su una capacità ecclesiale di ordine politico, né su fattori economici. Esso è fondato unicamente sull’amore e la compassione che portiamo per la “causa dell’uomo”, per ogni uomo e donna che viene a questo mondo bellissimo e tragico ad un tempo. La forza del nostro appello non è per questo minore, anche se essa non è valutabile nell’immediato, ma lo sarà pienamente nel giudizio della storia.
Eliminare la fame, in astratto, forse può essere difficile, ma consentire, invece, ad ogni persona di disporre, nel concreto, del pane, del cibo quotidiano, è necessario, è indispensabile ed è possibile, lo sappiamo.

Concludo con la mia impressione, che vi confido, al termine del servizio durato 3 anni presso gli Organismi della famiglia delle Nazioni Unite a Roma, quella di un grande egoismo da parte dei Paesi ricchi, in genere, in relazione a quelli poveri. Ciò non significa che niente si faccia a questo riguardo, ma, sì, ancora assai poco in relazione alle immense necessità degli affamati, dei malati e degli analfabeti, per ricordare le categorie più bisognose di autentica liberazione. In ogni modo le situazioni che esistono all’interno dei Paesi in via di sviluppo o di transizione, e che pur potrebbero almeno qualche volta scoraggiare gli aiuti e la cooperazione, non giustificano il mancato raggiungimento dello 0,7% del Pil nell’aiuto allo sviluppo dei Paesi arretrati (Paolo VI aveva chiesto però l’1%) e la non eliminazione del debito estero (a date condizioni, con corrispondente impegno concreto, per es., per la salute e l’educazione nazionale) dei popoli più derelitti.

Grazie dell’attenzione e del vostro impegno a favore della promozione umana, che ha legami profondi ed inscindibili con la causa del Vangelo di Cristo.

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[1] V. Projet N. 262, del giugno 2000, pp. 49s.
[2] R. MORGHEN, Per un senso della Storia. Storici e Storiografia, Marcelliana, Brescia 1983, p. 56.
[3] Ib., p. 211.
[4] Rapporto UNDP 1999 su Lo sviluppo umano 10. La globalizzazione, Rosenberg and Sellier, Torino 1999, p. 17.
[5] v. Proemio della Gaudium et spes e suoi NN. 32 e 22, nonché Lumen gentium NN. 1, 7 e 13.
[6] Gaudium et spes N. 9; ciò che vi si oppone è descritto al N. 8.
[7] Apostolicam actuositatem N. 14.
[8] Cfr. Gaudium et spes N. 30. Vi sono naturalmente tanti altri passi della Gaudium et spes che si potrebbero citare in questo contesto.
[9] V. L’Oss. Rom. del 21 luglio 2001, p. 2.
[10] Per uno sguardo panoramico della bibliografia più recente sul tema della solidarietà rimando – senza esprimere un giudizio critico al riguardo – alla sintesi di Eros Monti, apparsa su “Orientamenti bibliografici e programma dei corsi: Diocesi insieme” della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, N. 12 (2001), pp.34-38. Cito comunque, dell’A., Alle fonti della solidarietà. La nozione di solidarietà nella dottrina sociale della Chiesa (Dissertatio, Series romana, 25), Glossa, Milano 1999, pp. 532; e inoltre di Mons. Marcelo Sánchez Sorando, Globalizzazione e Solidarietà, Vatican City 2002, pp. 45.
[11] Pacem in terris N. 130
[12] Miscellanea 2 della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, Città del Vaticano 2000. V. inoltre il resoconto di G. SALVINI, su La Civ. Catt. (2001) III, pp. 390-400, della Assemblea Generale dello scorso anno della medesima Pontificia Accademia su Globalization and the Common Humanity: Ethical and Institutional Concerns.
[13] Ib., pp. 82-93.
[14] V. anche, di G. MARCHESI, I Vescovi inglesi e il bene comune della società, in Civ. Catt. (1997) I, pp. 488-497, del “German Bishops’ Conference, Research Group on the Universal tasks of the Church”, The many faces of globalization – Perspectives for a human world order, Bonn 2000, e, del Consiglio Permanente dei Vescovi cattolici del Canada, la dichiarazione del 4 aprile 2001 dal titolo: Qu’il n’ y ait pas d’exclus.
[15] V. In Cristo nuova creatura (volume in onore del Card. Ruini), PUL–Mursia, Roma 2001, pp. 355-374, specialmente ai NN. 6 (“la globalizzazione è per l’uomo”) e 7 (“dei fondamenti teologici della globalizzazione”).
[16] Piemme, Casale Monferrato 2001.
[17] New Economy e Dottrina sociale della Chiesa, in L’Oss. Rom. del 9-10 luglio 2001, p. 8.
[18] Rivista della diocesi di Vicenza N. 9 (2000), pp. 1305-1311; v. anche J. JOBLIN, Chiesa e mondializzazione, in La Civ. Catt. (1998) I, pp. 129-141; G. SALVINI, Globalizzazione economica e Paesi in via di sviluppo, in La Civ. Catt. (1998) II, pp. 340-353 e S. MOSSO, Globalizzazione, una sfida alla pace: solidarietà o esclusione?, in La Civ. Catt. (1999) I, pp. 558-570.
[19] L’invoca anche il gesuita J. Schashing della Katholische Sozialakademie di Vienna: v. Avvenire del 26 aprile 2001, p. 19; v. pure l’auspicio implicito di A. Fazio, con richiamo alla Populorum Progressio, cfr. Avvenire del 26 agosto 2001, p. 3, ultima colonna.
[20] Al N. 4 della dichiarazione congiunta si “riconosce l’importanza della globalizzazione e dei suoi benefici, mentre si richiama l’attenzione per i suoi pericoli che impediscono la realizzazione di un ordine mondiale riconosciuto comunemente giusto”.
[21] V. L’Oss. Rom. del 28 aprile 2001, p. 5.
[22] Ib., N. 2.
[23] Ib., N. 4.
[24] V. L’Oss. Rom. del 9-10 luglio 2001, p. 1.
[25] v. L’Oss. Rom. del 23-24 luglio 2001, p. 5, NN. 2 e 3.
[26] v. art. cit., in L’Oss. Rom. del 9-10 luglio 2001, p. 8, IV e V col. ed altresì E. HERR, S.J., La mondialisation: pour une evaluation éthique, in N.R.T. CXXII (2000), N.1, pp. 51-67 e H.J. BLOMMESTEIN, Etica nel nuovo mondo mirabile, in Il Regno – Documenti, 13/2001, pp. 457-464.
[27] V. Corr. della Sera del 13 novembre 1998, e pure Avvenire del 26 agosto 2001, p. 3, a cui P. OSTELLINO risponde piuttosto sfuocatamente, disgiungendo giustizia commutativa e distributiva, in Corr. della Sera del 27 agosto 2001, p. 1.
[28] “In questo processo vinca l’umanità tutta - auspica il Papa – e non solo un’élite prospera che controlla la scienza, la tecnologia, la comunicazione e le risorse del pianeta a detrimento della stragrande maggioranza dei suoi abitanti. La Chiesa spera veramente che tutti gli elementi creativi della società coopereranno alla promozione di una globalizzazione al servizio di tutta la persona umana e di tutte le persone”: Discorso di Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia della Scienze Sociali, di cui sopra: v. L’Oss. Rom. del 28 aprile 2001, p. 5 N. 5.
[29] Per una testimonianza circa l’attualità del tema si vedano, oltre il vol. Democracy. Some acute questions edito dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, nel 1999, Città del Vaticano, l’art. apparso su International Herald Tribune del 5 ottobre 1999, p. 8, dal titolo Globalization needs a dose of democracy (by R. FALK and A. STRAUSS) e l’altro di PHILIPPE ENGELHARD pubblicato su Le Monde del 16 maggio 2000, p. 17, intitolato Nous avons la mondialisation que nous meritons. Cfr. altresì, di D. SINISCALDO, Per capire i dissensi anti G-8 in Il Sole-24 Ore del 22 giugno 2001, p. 1.
[30] V. L’Oss. Rom. del 18 maggio 2001, p. 4.
[31] V. L’Oss. Rom. del 9-10 luglio 2001, p. 8, III e IV col.
[32] V. Libero dell’11 luglio 2001, p. 11.
[33] V. Riv. della dioc. di Vicenza, loc. cit., p. 1310.

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Qualche mese dopo il 17 giugno 2003 - Sua Eccellenza Mons. Agostino MARCHETTO aveva risposto alle domande del giornalista Luigi ACCATTOLI del Corriere della Sera. Il titolo dell'intervista era eloquente: "Si rispettino dignità e diritti umani dei migranti e dei rifugiati!".

Ed iniziava così: “L’uso della violenza contro gli inermi non è una buona soluzione e alla lunga non lo è neanche dal punto di vista politico”: lo afferma l’arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti.
In risposta al ministro Bossi, l’arcivescovo afferma che “lo Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori”, ma deve esercitare tale funzione “nel rispetto dei diritti umani e del bene comune”. Marchetto afferma anche che non si può limitare l’ingresso a “chi ha un contratto di lavoro”, perché non si possono respingere i rifugiati e chi è in estrema necessità”.
D. Il ministro Bossi propone l’uso della forza per fermare l’immigrazione clandestina. Che ne dice, Eccellenza?
R. “Se corrisponde a verità che il Sig. Ministro Umberto Bossi vuol sentire il rombo dei cannoni puntati sui migranti e sui rifugiati senza documenti, se ciò è vero, credo che un cristiano, un uomo di compassione anche umana, non possa essere d’accordo, come non può esserlo il Pontificio Consiglio di cui sono Segretario. Il diritto dello Stato a regolare i flussi migratori va esercitato nel rispetto dei diritti umani e del bene comune, non solo quello di una Nazione, ma anche aperto, esso, al bene comune universale. La dignità della vita è poi la stessa per ogni essere umano, cittadino o no”.
D. E’ accettabile per la Chiesa cattolica il principio che “entra solo chi ha un contratto di lavoro”?
R. "Se si porta all’estremo questo criterio, si vanno ad infrangere ordinamenti internazionali ben accolti per oltre 50 anni dalla comunità direi mondiale e si finisce con il mercificare, in fondo, la persona del migrante. Si respingeranno i rifugiati? Accoglierli è un segno di civiltà e oggi i loro flussi hanno tendenza ad essere mescolati con quelli dei migranti. E l’accoglienza di chi è in estrema necessità, o in pericolo di vita, specialmente nel caso di vecchi, donne e bambini?”
D. L’ingresso clandestino è sempre da considerare reato?
R. “No, ovviamente! L’Italia per esempio ha firmato la Convenzione di Ginevra che regola lo Statuto dei rifugiati, in cui l’articolo 31 stabilisce che non è un delitto entrare in un Paese, anche in modo illegale, per richiedere asilo. Certo ogni ingresso senza documenti materialmente viola la legge , ma è da tener in conto la situazione di chi, in estrema necessità o perseguitato in patria, con pericolo della vita, cerca altrove salvezza, dignità, lavoro”.
D. C’è chi afferma che riconoscere il diritto all’emigrazione in termini così generosi, come fanno le Chiese, può configurarsi – oggi – come una legittimazione del “diritto di invasione”
R. “Non mi dispiace che lei definisca l’atteggiamento delle Chiese “generoso”, ma non vorrei che l’aggettivo gli togliesse realismo. Gli Stati diverranno sempre più, volenti o nolenti, multiculturali e multietnici: è una tendenza che comporta pericoli; ma offre anche l’occasione di un cammino verso una maggior unità della famiglia umana. Che se poi si parla d’invasione mi pare ci si metta a gonfiarla, questa realtà! L’Italia in ogni caso non è certamente uno dei Paesi con maggior presenza di migranti. Pensiamo alla Germania e alla Francia!”
D. Il ministro Bossi afferma che il “malumore per la tolleranza nei confronti dei clandestini è “più profondo” tra i cattolici e cita il Veneto tra i luoghi del malumore. Lei eccellenza è veneto: che dice dell’atteggiamento della sua gente nei confronti degli immigrati?
R. “Può darsi che la frequentazione abbastanza esclusiva di certi ambienti e del proprio partito influisca nella valutazione dell’estensione del malumore indicato. Credo comunque che i veri cattolici, pur coscienti dei problemi ed avendo anche una loro propria sensibilità in materia, devono essere… cattolici! E nella mia bella terra d’origine penso che vi siano grandissimi segni di accoglienza dei migranti, ecclesiale o no, pur – ripeto – nelle sofferenze che l’incontro con l’altro sempre implica. Se l’altro è poi molto diverso da noi, ha una cultura, una religione diversa, l’accoglienza, nel senso profondo della parola, non è facile di certo. Ma tutti dobbiamo camminare per divenire veramente cristiani”

Nei prossimi cinquant'anni dovrebbero entrare in Europa almeno 160 milioni di immigrati, per mantenere i suoi equilibri interni demografici e occupazionali.

Testo dell'intervista messo gentilmente a disposizione dal Vaticano, per "Cronologia".
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ARRIVIAMO AL 14 MAGGIO DEL 2004

"La Chiesa cattolica invita ad una cultura dell’accoglienza verso gli immigrati, al rispetto dei loro diritti e a superare paure e insicurezze".
L’esortazione è contenuta nella nuova Istruzione del Pontificio Consiglio per i migranti dal titolo “Erga Migrantes Caritas Christi” (La carità di Cristo verso i migranti), presentata questa mattina nella Sala Stampa della Santa Sede dal cardinale Stephen Fumio Hamao e da mons. Agostino Marchetto, rispettivamente presidente e segretario del dicastero.

Mons. Agostino Marchetto - prima della presentazione della "Erga Migrantes" in una intervista di Giovanni Perduto, ha ricordato che attualmente nel mondo i migranti sono 175 milioni. A questi vanno aggiunti 18 milioni di profughi e 25 milioni di sfollati. Ma sul messaggio centrale della nuova Istruzione ascoltiamo lo stesso mons. Marchetto:
"Dobbiamo essere tutti infiammati dalla carità di Cristo per affrontare in modo cristiano le sfide che ci attendono come Chiesa e come membri della società nel campo migratorio che diventa sempre più importante. La lettura dell’Istruzione rivela poi grandi acquisizioni teologiche e pastorali. Ci si riferisce alla centralità della persona – per esempio – nelle migrazioni stesse, alla valutazione del contributo pastorale dei laici, degli Istituti religiosi, al valore delle culture nell’opera di evangelizzazione, alla tutela, alla valorizzazione delle minoranze anche all’interno della Chiesa cattolica, all’importanza del dialogo “intra” ed “extra”-ecclesiale, e infine allo specifico contributo che la migrazione potrebbe offrire alla pace universale.
DOMANDA – Cosa non fanno gli Stati di fronte alla drammatica situazione di tanti migranti?
"Io preferirei dire cosa debbono fare e cioè: dovrebbero proteggere i diritti di tutti i lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie. Ma il fenomeno migratorio solleva soprattutto una vera e propria questione etica: quella della ricerca di un nuovo ordine economico mondiale, internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra, nella ricerca di un nuovo ordine economico mondiale che contribuirebbe non poco – del resto – a ridurre e moderare i flussi di una numerosa parte della popolazione in difficoltà".
DOMANDA – La globalizzazione in corso aiuta o aggrava la situazione dei migranti?
"L’evento della globalizzazione ha aperto i mercati ma non le frontiere; ha abbattuto i confini per la libera circolazione dell’informazione e dei capitali, ma non nella stessa misura quelli per la libera circolazione delle persone".

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15 maggio 2004

Questo poi l'intervento dello stesso Mons. Agostino Marchetto alla conferenza stampa per la presentazione della "Erga migrantes". Il documento è poi apparso con un inserto sull'"Osservatore Romano" del giorno dopo, 15 maggio 2004. Ed è attualmente integralmente presente nel sito del Vaticano. E per gentile concessione anche su "CRONOLOGIA" ( vedi QUI > )



L'intervento di Mons. Agostino Marchetto

1. Le migrazioni contemporanee costituiscono il più vasto movimento di persone di tutti i tempi. In questi ultimi decenni tale fenomeno, che coinvolge ora più di duecento milioni di persone, si è trasformato in evento strutturale della società e costituisce una realtà complessa, sociale, culturale, politica, economica, religiosa e pastorale.

2. L'Istruzione Erga migrantes caritas Christi intende aggiornare proprio la pastorale migratoria, passati ormai trentacinque anni dalla pubblicazione del Motu proprio di Papa Paolo VI Pastoralis migratorum cura e della relativa Istruzione della Sacra Congregazione per i Vescovi De pastorali migratorum curaNemo est»).
L'Istruzione vuole essere poi una risposta ecclesiale ai nuovi bisogni pastorali dei migranti, per condurci a trasformare l'esperienza migratoria in occasione di dialogo e di missione nel segno della nuova evangelizzazione. Il Documento tende altresì a facilitare una puntuale applicazione della legislazione contenuta nel CJC e nel CCEO per rispondere in modo più adeguato alle particolari esigenze dei fedeli emigrati delle Chiese cattoliche orientali, oggi sempre più numerosi.

3. La composizione delle migrazioni odierne, oltre l'evolversi dell'ecumenismo stesso, impone altresì la necessità di una visione ecumenica di tale fenomeno, a causa della presenza in territori tradizionalmente cattolici di molti migranti cristiani non in piena comunione con la Chiesa Cattolica. Vi è poi la dimensione del dialogo interreligioso, a causa del numero sempre più consistente di migranti appartenenti ad altre religioni, in particolare a quella musulmana.
Un'esigenza squisitamente pastorale si impone così a tutti i cattolici, e cioè il dovere di promuove un'azione fedele alla Tradizione ecclesiale e allo stesso tempo aperta a nuovi sviluppi per quanto riguarda anche le strutture pastorali, e ciò per renderle atte a garantire la comunione tra Operatori pastorali specifici e Gerarchia locale, che rimane decisiva nella sollecitudine ecclesiale verso i migranti, e ne ha la prima responsabilità.

4. Il Documento, dopo una rapida rassegna dei tratti peculiari dell'odierno fenomeno migratorio (l'evento della globalizzazione, la transizione demografica in atto soprattutto nei Paesi di prima industrializzazione, l'aumento a forbice delle disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo, la proliferazione di conflitti e guerre civili), sottolinea i forti disagi che, generalmente l'emigrazione causa nelle famiglie e nei singoli individui, in particolare per donne e bambini. Tale fenomeno solleva pure il problema etico della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra, nella visione della comunità mondiale come
famiglia di popoli, con applicazione del Diritto Internazionale.
Nell'Istruzione si traccia poi, per l'emigrazione, un preciso quadro di riferimento biblico-teologico, contemplando il fenomeno migratorio nella storia della salvezza, quale segno dei tempi e della presenza di Dio nella storia e nella comunità degli uomini, in vista di una comunione universale.

5. Con un sintetico excursus storico, l'Istruzione intende dimostrare la sollecitudine della Chiesa per il Migrante e il Rifugiato nei documenti ecclesiali: dalla Exsul Familia al Concilio Ecumenico Vaticano II, all'Istruzione De Pastorali migratorum cura, e alla successiva normativa canonica. Tale lettura rivela importanti acquisizioni teologiche e pastorali, come la centralità della persona, la difesa dei diritti del migrante, la dimensione ecclesiale e missionaria delle migrazioni stesse, il contributo pastorale dei Laici, degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, il valore delle culture nell'opera di evangelizzazione, la tutela e la valorizzazione delle minoranze, anche all'interno della Chiesa locale, l'importanza del dialogo intra ed extra ecclesiale, e infine lo specifico contributo che l'emigrazione potrebbe offrire alla pace universale.

6. Altre istanze, come la necessità dell'«inculturazione» del messaggio cristiano, la visione di Chiesa intesa come comunione, missione e Popolo di Dio, la sempre attuale importanza di una pastorale specifica per i migranti, l'impegno dialogico-missionario di tutti i membri del Corpo mistico di Cristo e il conseguente dovere di una cultura dell'accoglienza e della solidarietà nei confronti dei migranti, introducono l'analisi delle specifiche esigenze pastorali a cui rispondere, sia a quelle dei migranti cattolici (di rito latino come di rito orientale), sia a quelle di coloro che appartengono a diverse Chiese e Comunità ecclesiali, ad altre religioni in genere, e all'Islam in specie.

7. Viene poi ulteriormente precisata e ribadita, la configurazione, pastorale e giuridica, degli Operatori pastorali - in particolare dei Cappellani/Missionari e del loro Delegato (Coordinatore) nazionale, dei Presbiteri diocesani/eparchiali, dei Religiosi e delle Religiose, dei Laici, delle Associazioni e dei Movimenti laicali - il cui impegno apostolico è visto e considerato nella visione di una pastorale di comunione.

8. L'integrazione delle strutture pastorali (quelle già acquisite e quelle in prospettiva) e l'inserimento ecclesiale dei migranti nella pastorale ordinaria - con pieno rispetto della loro legittima diversità e del loro patrimonio spirituale e culturale, in vista anche della formazione di una Chiesa sempre più «cattolica» - è un'altra importante caratteristica che il Documento intende sottolineare e proporre alle Chiese particolari. Tale integrazione è condizione essenziale perché la pastorale, per e con i migranti, possa diventare espressione significativa della Chiesa universale e missio ad Gentes, (missione alle Genti), incontro fraterno e pacifico, casa di tutti, scuola di comunione accolta e partecipata, di riconciliazione chiesta e donata, di mutua e fraterna accoglienza e solidarietà, nonché di autentica promozione umana e cristiana.

9. Un aggiornato e puntuale «Ordinamento giuridico-pastorale» 'corona l'Istruzione, richiamando, con linguaggio appropriato, compiti, incombenze e ruoli degli Operatori pastorali e dei vari Organismi ecclesiali preposti alla pastorale migratoria, allo scopo di renderla il più possibile adeguata alle odierne esigenze dei migranti, e alle prevedibili prospettive future.

10. Il Documento si ricollega dunque, idealmente, alla Exsul Familia - di cui due anni fa abbiamo celebrato il 50° anniversario - e ne sottolinea la continuità di ispirazione, ma con apertura, nello stesso tempo, alle nuove prospettive che il fenomeno migratorio oggi ci indica. La Chiesa si trova quindi continuamente impegnata ad aggiornare gli strumenti di analisi e di programmazione pastorale. Tradizione e innovazione vanno anche qui insieme.

11. Certamente, cinquant'anni fa non erano ancora entrate nelle nostre case le immagini di profughi, di esuli e deportati di guerra - nei Balcani, per esempio, o in Africa , né delle «carrette del mare» stracolme di clandestini albanesi, curdi o africani. La televisione non ci aveva ancora mostrato i volti di migliaia di esseri umani smarriti, sfiniti e affamati in cerca di un posto di lavoro, di sicurezza, di futuro per sé e per la propria famiglia. Non ci erano ancora apparse quelle scene di sopraffazione e di morte, quei visi terrorizzati di tanti nostri fratelli, le devastazioni dei loro corpi, e la desolazione dei loro villaggi distrutti dalla violenza, dall'odio e dalla vendetta.
Quegli stranieri, feriti, oppressi e disperati non sbarcavano ancora sulle nostre coste quando, cent'anni fa, molti europei attraversavano invece l'oceano alla ricerca di un lavoro e di un avvenire migliore. La Chiesa, anche allora, era lì a garantire i primi soccorsi ai feriti, a sfamare piccoli e grandi, ad aiutare a trovare alloggio o riparo, per quanto umile e precario, ad assumersi soprattutto il compito di aprire una strada che allargasse lo sguardo accogliente di tutti, soprattutto dei cristiani.

12. La storia continua dunque tra questi drammi, vecchi e nuovi. E la Chiesa è sempre lì, accanto ai vecchi e ai nuovi migranti. Il documento «Erga migrantes caritas Christi» vuole indicare ancora una volta a tutti i cristiani l'esempio del Buon Samaritano che duemila anni fa ha soccorso l'uomo e lo ha salvato dando egli stesso la sua vita.


Mons. Agostino MARCHETTO, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti - Città del Vaticano 14 maggio 2004

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Bruxelles - Martedì, 10 luglio 2007  

INTERVENTO DELLA SANTA SEDE
AL "FORUM MONDIALE SU MIGRAZIONE E SVILUPPO"
DISCORSO DI S.E. MONS. AGOSTINO MARCHETTO

Signor Presidente,
Al giorno d'oggi, il legame esistente tra migrazione e sviluppo richiama sempre più attenzione da ogni parte del mondo. A tale riguardo la mia Delegazione, porgendo i propri sentiti ringraziamenti al Governo belga per lo sforzo messo in atto nella preparazione del presente Forum, vuole sottolineare che, siano migranti o membri della popolazione locale, gli esseri umani non sono primariamente o unicamente un fattore economico, ma persone umane, dotate di un'innata dignità e di uguali e inalienabili diritti.

Al tempo stesso, nemmeno lo sviluppo può dirsi autentico, qualora venga ottenuto a spese della gente comune. Per essere genuino, lo sviluppo deve essere di ogni persona e di tutta la persona, cioè integrale, olistico. Qualora le esigenze morali, culturali, spirituali e religiose degli individui e delle comunità non vengano rispettate, il benessere materiale risulterà insoddisfacente.

Per quanto riguarda le migrazioni, senza dubbio le persone hanno, prima di tutto, il diritto a vivere in pace e dignità nel proprio paese. Di conseguenza, i paesi di origine hanno la grave responsabilità di adoperarsi per aumentare il proprio sviluppo, cosicché i propri cittadini non siano obbligati a lasciare la patria per cercare una vita degna altrove.

Tuttavia, il raggiungimento del bene comune universale (inteso per l'intera umanità) richiede il sostegno, la solidarietà, l'assistenza e la cooperazione degli altri, soprattutto quando una Nazione non riesce a tener testa al processo di sviluppo e alla lotta per la pace e la sicurezza.

Purtroppo ancora oggi le persone emigrano, tra le altre cose, per poter provvedere alla propria famiglia, che è, in effetti, la cellula naturale e fondamentale della società. I migranti, come gli altri, hanno bisogno di vivere in una famiglia. Ma ancora di più, in quanto per coloro che sono lontani dalla propria patria, il sostegno della famiglia è essenziale. Di conseguenza, le famiglie non devono essere disperse ed indebolite, lasciando i loro componenti in uno stato di vulnerabilità, in particolar modo le donne ed i bambini.

Da un'altra prospettiva, la migrazione è anche causata dalla richiesta, nei paesi industrializzati, dei servizi dei migranti, un fatto legato alla globalizzazione. Così i migranti contribuiscono al benessere del paese di accoglienza e, anche in ragione della loro dignità umana, devono essere rispettati e vedersi garantite le loro libertà: il diritto ad una vita dignitosa, ad un equo trattamento sul luogo di lavoro, ad avere accesso all'istruzione, alla salute ed altri benefici sociali, a sviluppare la propria competenza, a crescere da un punto di vista umano, a manifestare liberamente la propria cultura e a mettere in pratica la loro religione. Ma diritti e doveri vanno di pari passo. Perciò, allo stesso tempo, i migranti hanno il dovere di rispettare l'identità e le leggi del paese di residenza, di lottare per una giusta integrazione (non assimilazione) nella società di accoglienza ed apprenderne la lingua. Essi devono favorire la stima e il rispetto per il Paese ospitante, fino a giungere ad amarlo e difenderlo.

Purtroppo, tra di loro, vi sono migranti in situazione irregolare, i quali, tuttavia, indipendentemente dal loro status legale, hanno una dignità umana inalienabile. Di conseguenza, i loro diritti devono essere salvaguardati e non ignorati o violati. Lo status di migrante irregolare, infatti, non significa criminalità. La soluzione è quella della migliore cooperazione internazionale, che scoraggi la clandestinità con aumento di canali legali per la migrazione.

Consentitemi di farmi eco, a questo punto, dell'appello pontificio rivolto ai Governi che ancora non l'hanno fatta, per la ratifica della Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti di tutti i Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie.

Grazie.


Intervista apparsa sul mensile internazionale "30 GIORNI"
diretto da Giulio Andreotti

Il Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti
Straniero, ma non estraneo

 

Centosettantacinque milioni di persone nel mondo si trovano oggi, in qualità di migranti, in Paesi diversi da quelli d’origine. Come possono i Paesi ospitanti integrare queste persone rispettandone la cultura, senza assimilarle o ghettizzarle?
Intervista con Agostino Marchetto

di Tommaso Marrone

«Integrazione dei migranti, e non assimilazione o ghettizzazione; non sviluppo separato, “apartheid” dello spirito». Monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, introduce la delicatissima e quanto mai attuale questione dell’immigrazione, partendo dal senso profondo del messaggio del Papa alla Giornata mondiale del migrante e del rifugiato di quest’anno incentrata sulla “Integrazione interculturale come simpatia e comprensione tra le diverse culture”. «L’espressione “interculturale” non è usata a caso perché richiama anche la componente religiosa presente in ogni cultura», spiega Marchetto, che mette un preliminare al dialogo che deve instaurarsi tra il migrante e il Paese che lo ospita: «L’impegno da parte degli immigrati nell’osservare le leggi che regolano le comunità locali, e soprattutto il rispetto dei diritti umani da parte di tutti, dell’ospite e dell’ospitato. Questo preliminare al dialogo è un filo rosso che percorre anche tutta la nostra recente istruzione Erga migrantes caritas Christi».

Monsignor Agostino Marchetto, nato a Vicenza nel 1940, ha alle spalle ben trentacinque anni di servizio diplomatico, dei quali venti trascorsi in Africa. Nel 1999 è stato nominato da Giovanni Paolo II osservatore permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni e gli Organismi delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao, Ifad, Pam), incarico che ha lasciato per assumere la Segreteria del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti.

Di che si occupa in concreto questo Pontificio Consiglio?

AGOSTINO MARCHETTO: È soprattutto un think tank, come è stato definito. Certo, poi c’è l’agire, col rispetto naturalmente delle competenze di ciascuno, e in primis delle Conferenze episcopali (in genere attraverso le loro commissioni nazionali) e dei vescovi diocesani; un dirigere insomma «la sollecitudine pastorale della Chiesa alle particolari necessità di coloro che sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o che non ne hanno affatto». Il Pontificio Consiglio «s’impegna perché nelle Chiese locali sia offerta un’efficace e appropriata assistenza spirituale, se necessario anche mediante opportune strutture pastorali, sia ai profughi e agli esuli, sia ai migranti», come vuole la Pastor Bonus. In tutto ciò si richiede una cura pastorale specifica che va oltre quella ordinaria, territoriale, parrocchiale, e la completa.

Le linee di tendenza rilevano una crescita sempre maggiore dei flussi migratori, che coinvolgono sempre più Paesi. Qual è il suo parere al riguardo?
MARCHETTO: All’alba del terzo millennio circa 175 milioni di persone si trovano, in qualità di migranti, in Paesi diversi da quelli d’origine. Non parliamo quindi dei migranti interni ai propri Paesi, né dei rifugiati. Dunque, più o meno una persona su 35 nel mondo è migrante internazionale, e poco meno della metà, circa il 48%, sono donne. Si stima che 56 milioni di migranti si trovino in Europa, circa 50 milioni in Asia, 41 milioni in America del Nord, 16 milioni in Africa, 6 milioni nei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, e altrettanti in Oceania. Tra gli Stati che ospitano il maggior numero di immigrati ci sono gli Stati Uniti d’America – un primato assoluto, con circa 35 milioni –, seguiti dalla Federazione Russa, con 13 milioni.

Sarebbe interessante esaminare la provenienza della popolazione immigrata in ognuno di questi Paesi…
MARCHETTO: Per brevità e non disponendo di dati statistici sicuri, come per esempio per la Federazione Russa, mi limito soltanto ad alcuni esempi, con cifre approssimative.
Negli Stati Uniti gli immigrati provengono da almeno 40 Paesi, tra cui il Messico – 9 milioni –, la Cina, Hong Kong,Taiwan – un milione e mezzo –, le Filippine – 1,4 milioni –, il Viet Nam – 986mila –, la Polonia, con 480mila immigrati. La Germania ha una popolazione straniera proveniente da 18 nazioni, fra cui dalla Turchia 2 milioni. Il Giappone riceve immigrati da almeno dieci Paesi. Infine uno studio delle Nazioni Unite prevede che entro il 2050 entreranno in territorio europeo 50 milioni di immigrati. Tali flussi migratori, dunque, lasciano immaginare una crescita proporzionata di esigenze, a livello sociale ed ecclesiale, sempre più pressanti.

Tra le esigenze c’è un ordine di priorità?
MARCHETTO: V’è un’esigenza che vale per tutti, pur nella diversità dei contesti culturali, e l’ho già menzionata, quella della progressiva integrazione intesa nel giusto senso, cioè capace di trovare un ragionevole equilibrio – quella “ragionevolezza civica” di cui parla il Papa nel suo messaggio – tra il rispetto dell’identità propria e il riconoscimento di quella altrui. Il Santo Padre attesta infatti che «è necessario riconoscere la legittima pluralità delle culture presenti in un Paese, compatibilmente con la tutela dell’ordine da cui dipendono la pace sociale e la libertà dei cittadini». Se qualcuno poi obietta che l’incontro fra culture diverse mette a rischio l’identità culturale, rispondo che non è necessariamente così. Anzi, la coscienza della propria individualità culturale può essere “risuscitata” proprio dall’incontro con persone di diversa cultura, senza che tale coscienza sia concentrata in modo fondamentalistico o di chiusura mentale, e diventi causa di lotte e contrapposizioni o si traduca in semplice tolleranza. È necessario che tutti ci sforziamo di raggiungere e di creare una vera e propria coesistenza tra le varie culture, soggette però a quello che si chiama “diritto naturale” o, in termini oggi più accettati, diritti umani.
Per l’aspetto ecclesiale ricorderò, invece, come esigenza prioritaria, la collaborazione indispensabile tra Chiese d’origine e di arrivo dei migranti, anche se la responsabilità pastorale immediata grava su queste ultime, nel rispetto peraltro della cultura anche religiosa dei nuovi arrivati. È caratteristica peculiare e nuova dell’istruzione prima ricordata la “categorizzazione” – se così si può dire – dei migranti stessi. Sarebbe bene tener presente, del resto, che la realtà religiosa fa parte della cultura di un popolo.

Non bisogna dimenticare il composito mondo degli itineranti, «l’altra faccia» come lei sostiene «del nostro impegno pastorale».
MARCHETTO: Usando il termine “itineranti”, si mette insieme, sotto uno stesso ombrello, come si dice in inglese, tutta la realtà della mobilità umana, che è una delle caratteristiche del mondo d’oggi, dell’umanità contemporanea. È un’umanità che si muove sempre di più, diventando maggiormente cosciente, quindi – io lo penso, ed è straordinario l’impatto che ne potrà derivare per la pace nel mondo – della necessità di formare una sola famiglia di popoli solidali. Ne abbiamo avuto una prova, forse a sorpresa, in occasione del maremoto, a fine dicembre, che ha prodotto una sorta di “globalizzazione della solidarietà”, grazie a Dio e alla buona volontà di uomini e donne di tutti i Paesi.

Ma non tutte le esperienze sono uguali…
MARCHETTO: Ci sono aspetti caratterizzanti l’esperienza del turista e del pellegrino, del nomade e del “lunaparchista”, del pescatore e marinaio, del crocierista, del membro di equipaggio, di chi fa piccolo cabotaggio, del viaggiatore aereo e di colui che lo serve, dell’automobilista e di quanti lavorano al suo servizio, di chi abita la strada: pensiamo mai ai ragazzi e alle donne di strada e ai senza fissa dimora? Credo che sia bene lasciare al sociologo o allo psicologo le considerazioni a questo proposito. Io rispondo invece sul piano pastorale e dico che tutte queste categorie in mobilità possono forse rappresentare una condizione di maggior apertura all’eterno e sempre attuale messaggio di Cristo, alla nuova evangelizzazione, rispetto a quella dell’uomo installato e fermo nel proprio Paese. E questo senza voler minimizzare il rischio di relativismo che può nascere dall’itineranza. Tale situazione è dunque un rischio, ma anche una sfida, un’opportunità, un’occasione in cui vi sono anche aspetti, per molti, di allontanamento dallo stress di ogni giorno, e quindi di maggior serenità e pace. La Chiesa comunque deve seguire, come può, quest’essere umano in movimento, deve cercare di raggiungerlo in questa posizione di eterno viator, per comunicargli, sempre e di nuovo, il suo tesoro: il Vangelo, le Beatitudini, il Padre nostro. È questione – come dicevo – di pastorale specifica, adattata alla situazione sempre più comune oggi.

Come valuta il suo lavoro di questi anni? Quali sono le prospettive del Pontificio Consiglio?
MARCHETTO: Non mi piace fare bilanci personali; preferirei eventualmente esaminarmi davanti a Dio, che scruta i cuori e tutto vede e giudica con giustizia e misericordia. Ma chi lo desidera può esaminare l’opera del nostro dicastero, raccolta alla fine di ogni anno, nel sito vaticano della Curia romana o nella nostra rivista People on the Move. Certo, posso dire che in questi poco più di tre anni d’impegno nel Pontificio Consiglio – pur venendo in fondo da un altro mondo, quello della diplomazia della Santa Sede, dove ho servito per 36 anni, specialmente in Africa – mi sono innamorato di questa pastorale specifica. Solo vista nel suo insieme questa composita realtà rivela la sua importanza, e la necessità di una pastorale ad hoc; che fa soffrire, perché tanti sono i limiti della nostra risposta, anche per la scarsità di operatori pastorali, a fronte della gravità e larghezza del fenomeno; ma che dà altresì speranza, oltre ogni incomprensione, poiché anche in questo caso la Chiesa si rivela madre e maestra.

Dunque non parliamo di bilancio. Possiamo però rilevare che la pubblicazione dell’istruzione Erga migrantes caritas Christi – a circa 35 anni dalla De pastorali migratorum cura – costituisce finalmente un punto di fermo riferimento, dopo tre anni dedicati alla sua preparazione. E tutti mi avevano detto, proprio all’inizio del mio servizio di segretario, che era indispensabile un nuovo documento. Certo in pentola bollono ancora parecchie cose in relazione a orientamenti pastorali per i rifugiati, i nomadi, sulla pastorale della strada e altro; ma non mi pare di poter dire di più. In ogni modo quest’anno avremo, qui a Roma, tre importanti convegni internazionali, vale a dire il XII seminario internazionale dei cappellani cattolici dell’Aviazione civile, il congresso sulla pastorale delle donne di strada, anche nel contesto del traffico di esseri umani, e infine un incontro mondiale sulla pastorale degli studenti esteri, che vedrà l’applicazione anche in questo campo della recente istruzione. Insomma, il nostro cantiere è bene in movimento.


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(*) Sua Ecc. Mons. Agostino Marchetto, oltre che essere uno storico ufficiale della Santa Sede, ha alle spalle 35 anni di intensa carriera diplomatica, con spostamenti da una parte all'altra del mondo con incarichi in nunziature in Zambia e Malawi; nei primi Anni Settanta a Cuba, un "posto caldo" dove è rimasto fino al 1975; poi ancora Africa in zone musulmane come Algeri, indi con speciali incarichi in Marocco, Tunisia, Libia, poi in Mozambico, pro-nunzio in Madagascar e isole Mauritius.
Nel 1990 nunzio apostolico in Tanzania, infine con lo stesso incarico in un altro punto nevralgico della cristianità a Minsk in Bielorussia.
Rientrato a Roma, dal 1999 per circa tre anni è stato Osservatore Permanente per la Santa Sede presso il Comitato FAO sulla Sicurezza Mondiale Alimentare; incarico che ha lasciato per assumere la Segreteria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.
Numerose le pubblicazioni storiche sulla Chiesa; fra le quali segnalo il poderoso volume Chiesa e Papato nella storia e nel diritto, 25 anni di studi critici. Libreria Editrice Vaticana - Marzo 2002. Su questo sito abbiamo un altro suo intervento: una analisi critica su ciò che si è scritto fino ad oggi sul "Concilio Vaticano II"
Mi onoro di averlo come carissimo amico da oltre trent'anni, e partendo da Vicenza, anche dopo essere stato nominato alto prelato, lui è sempre rimasto lo stesso amico, gioviale, generoso, semplice ma con tanto tantissimo carisma; così amico che non mi ha mai dimenticato, da ogni parte del mondo mi ha sempre scritto raccontandomi le sue difficoltà ma anche la sua instancabile "missionaria" laboriosità in quei paesi molto difficili. Straordinaria la sua carica umana. Formidabile il suo sapere storico sulla Chiesa. Sorprendenti le conoscenze delle numerose problematiche del nostro tempo (e chi meglio di Lui!! - vero pastore della Chiesa Universale), che da 35 anni percorre il mondo in lungo e in largo, tanto da avere la nomina di "vescovo con la valigia". . Io personalmente non ho mai conosciuto una persona di così grande intelligenza. Gli auguro di ricevere presto la nomina a cardinale, e perchè no? un domani degno successore di Benedetto XVI.
(Franco, l'autore di Cronologia)


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