11 Settembre in USA e in IRAN
TESTIMONIANZE
A cura di Giovanni De Sio Cesari
Presentiamo due racconti di nostri connazionali che si trovavano uno a New York e l’altro in Iran nel giorno dell’attentato.
Il primo racconto è della signora Delia Socci Skidimore di origine italiana ma emigrata in America da moltissimi anni.
Appare dal racconto lo sbigottimento che si impadronisce degli americani in quel giorno: in realtà nessuno sapeva veramente che cosa sarebbe accaduto ancora e a tutti apparve all’improvviso la prospettiva della propria morte, una morte che poteva venire da qualsiasi parte, di fronte alla quale nulla il singolo poteva fare se non sperare che non toccasse a lui. La gente prima si raccoglie insieme per rassicurarsi ma poi arrivano le parole davvero agghiaccianti del direttore dell’ ufficio che consiglia che, se questo è il momento della morte, meglio allora attenderla nel seno della propria famiglia. E poi i soccorsi, la confusione, l'ansia per i parenti e amici e alla fine la protagonista che si trova avanti al televisore a recitare le preghiere sperando che non siano le ultime .Il secondo racconto è di Plinio Gargano, un tecnico di impianti siderurgici che in quel giorno si trovava in Iran nei pressi di Ishafan per un contratto di lavoro.
Ci presenta un Iran che esplode in una gioia incontenibile, che sente l’euforia di una vittoria attesa da sempre, che brucia bandiere americane, con il mullah che ringrazia Allah e tutti in fermento.
I tecnici stranieri però non corrono nessun pericolo per la protezione dei responsabili iraniani.I due racconti possono farci comprendere forse meglio di tante fredde analisi gli effetti, al di qua e al di la dell’oceano, degli avvenimenti dell' 11 settembre
DELIA SOCCI SKIDMORE: 11 settembre 2001 a NEW YORK
il giorno del 9/11/2001 cominciò normalmente come tutti gli altri giorni.
Era una bella giornata di sole , cielo azzurro chiaro con poche nuvolette bianche.
Come era solito mi preparavo per andare in ufficio e avevo acceso la tv su channel 4 il “morning news show” da New York. Erano le 8.45. La televisione trasmetteva immagini “live” della citta’. Vidi il primo aereo abbattersi contro la prima Torre ed esplodere in una vampa di fuoco. Pensai che forse era un” horror film” di quelli che si girano tanti in New York. Ricordo che pensai che il “filmato” pareva proprio “vero”.
Pochi si resero conto di quel che stava accadendo. I reporters della stazione televisiva si erano piazzati fuori dalla sede e filmavano di continuo questo “incidente.”, la Torre che bruciava e la gente che scappava via per mettersi in salvo. Il suono sibilante della sirena si sentiva per tutte le strade. I primi soccorsi cominciarono ad arrivare quasi immediatamente.Poco dopo il secondo aereo si abbattè sulla seconda Torre. La popolazione cominciò a rendersi conto della gravità della situazione. Ero sola a casa e capii subito che qualcosa di sinistro stava succedendo. Mi prese il terrore come quando gli aerei alleati (inglesi e americani) bombardarono il mio paese. (In Italia,durante la II guerra mondiale , Ndr) Non volendo morire sola, presi la macchina e andai in ufficio. Strada facendo pensavo alla mia famiglia con apprensione e timore.
Arrivai in ufficio e trovai tutti i miei colleghi ammucchiati attorno a un televisore che avevano scovato non so dove. Anche la seconda Torre bruciava e una collina di fumo nero acre e denso saliva verso il cielo.
Quando le notizie cominciarono a trasmettere che un aereo si era abbattuto sul Pentagono ci guardammo tutti spaventati e istintivamente ci abbracciammo. Ci sentivamo smarriti non sapevamo cosa fare. Poco dopo venne il capo, il CEO e mandò via tutti con queste parole "Siamo sotto attacco, disse, e siamo a poca distanza da New York tra poco quel che sta succedendo a New York arriverà anche qui. Non si sa bene chi è il nemico -continuò- andate a casa a morire con le vostre famiglie."
Ci salutò tutti con uno sguardo serio e triste. Solo allora mi resi conto che non so per quale strana ragione eravamo al buio. Qualcuno aveva spento tutte le luci. Un po’ di bagliore veniva dall’unica finestra al lato dell’ufficio. Era una scena strana surreale. Ancora oggi quando parlo con i colleghi nessuno ricorda di aver spento le luci........Cercai di telefonare ai mie cari ma le linee erano sempre occupate.
Quasi tutti i business chiusero le porte, anche quelli che di norma rimanevano aperti anche il giorno di Natale. Mentre tornavo casa (abitavo a poca distanza dall’ufficio) vidi gente che camminava svelta e ogni tanto scrutava il cielo. Il traffico cominciava a farsi pesante, sembra che tutti avessero premura di andare non so dove, basta che non erano soli. Arrivata a casa trovai messaggi dai figli che erano ok. Mi rilasciai un po’e mi misi di fronte al tv a guardare quelle immagini che tutti avete visto. Dai punti più alti della mia città si vedeva alzarsi il fumo nero, acre, denso delle Torri verso il cielo che solo qualche ora prima era limpido e chiaro. Avrei giurato che nelle colonne di fumo e fiamme che si alzavano e si spandevano salendo vedevo figure sinistre. Ma era solo la mia immaginazione attivata dagli avvenimenti del giorno e il ricordo del passato. Ma non ne ero del tutto sicura............ Intanto arrivavo sul luogo soccorsi di ogni genere: vigili del fuoco e policemen mobilizzati in tutto i tre stati (New York New Jersey e Connecticut) e oltre; squadre di volontari, membri della comunità religiosa , gente abbandonate le macchine che correva al soccorso delle vittime. A tutti gli ospedali e posti di pronto soccorso e a tutto il personale venne ordinato di rimanere on duty ( di servizio) indefinitivamente. Tutti gli aeroporti di New York i ponti e i tunnell che davano a New York furono tutti chiusi, nella stazione centrale tutti i treni bloccati.
Tutta la Nazione andò a RED ALERT.
Seguirono ore di spavento scoraggiamento e terrore. Sembrava che su tutto il mondo pendesse una sentenza di morte e immediata di distruzione . Si sentiva un profondo senso di vulnerabilità. Nella più potente Nazione del mondo ci sentivamo completamente senza protezione. Ancora non si sapeva se l’attacco era solo qui o se altre Nazioni erano coinvolte. Sapevamo solo che tutti gli aeroporti in Europa erano shot down (chiusi) per sicurezza. Non mi ero mossa da vicino la tv , le immagini live continuavano a trasmettere.
La gente correva lontano dal disastro coperti di fumo, polvere e calcinaccio.
Crollo’ la prima Torre e si abbatte su altri palazzi sottostanti .
Si fecero le 10.30 erano meno di 2 ore dal primo attentato alle Torri.
Mi giunse una telefonata da mia sorella, la sentivo tutta emozionata. Lavorava in un grande ospedale e come tutti gli altri doveva restare on duty indefinitamente.
Mi disse che suo marito doveva ripartire dall’aeroporto di Roma quel giorno.
L’aereo che su cui si era imbarcato aveva appena decollato quando annunciarono la tragedia. L’aereo era sparito non si sapeva dove. Per di più la figlia che abitava a New York vicino le Torri non rispondeva alle sue telefonate. Era in panico ma non poteva lasciare il suo posto all’ospedale. Mi disse che i feriti arrivavano con le ambulanze, automobili , elicotteri e ogni mezzo di trasporto. Cercai di rassicurarla , calmarla ma era inutile. Passammo ore angosciose, io telefonavo a tutti gli Enti e Agenzie statali ma non riuscivo a raggiungere nessuno. Tutte le linee erano bloccate dal grande afflusso di telefonate dalla popolazione . Ognuno voleva sapere qualcosa, ognuno cercava i suoi cari, ognuno voleva essere rassicurato.Finalmente a sera tardi suo marito telefonò. L’aereo era stato dirottato non ricordo dove ma i passeggeri non erano stati messi al corrente della tragedia e lo seppero solo quando atterrarono. Mio cognato rimase in Europa per diversi giorni prima che gli aerei ricominciassero ripartire per gli USA. Anche mia nipote, la figlia di mia sorella, riuscì a mettersi in contatto con la madre e rassicurarla che stava bene. Tirai un respiro di sollievo.
Alle 11.00 il sindaco di New York , Giuliani , apparve alla tv. Invitava i cittadini a restare a casa e ordinò l’evacuazione della zona vicino a ground zero.
Il forte, il duro l’implacabile Rudy Giuliani era visibilmente scosso dagli avvenimenti.Poco dopo trasmisero che United Airlines flight 93 era precipitata in un campo in Pennsylvania. Questa ultima notizia mi sprofondò in una assoluta desolazione. Ricordo che pensavo che l’avevo scampata una volta ma ora forse era arrivata l’ora mia .
Senza togliere gli occhi dalla tv ( come si poteva?) dissi le mie preghiere.
Ringraziando la Divina Provvidenza ancora sono qui.
PLINIO GARGANO : 11 settembre 2001 in Iran
L'undici settembre del duemilauno ero in IRAN per ragioni di lavoro .
Una giornata come tante altre, calda nel pomeriggio si superavano i 45 gradi , quindi al mattino ero in giro sugli impianti e nel pomeriggio da buon meridionale me ne stavo in ufficio ad aggiustare disegni e programmi al pc .
La mia amica e segretaria iraniana la chiamava l'ora della siesta, parlavamo pochissimo, il silenzio era rotto dal rumore del condizionatore che tentava di alleviarci dal caldo e anche i movimenti erano ridotti all'essenziale .
Io avevo il pc con una finestrella accesa in chat wind con una mia amica di Milano, anche lei in ufficio . Ad un certo punto scrive ."E' caduto un aereo in America" poi "mamma mia e' un attentato si e' schiantato un aereo sulle torri " poi silenzio .Non ci si riusciva a collegare più in internet: la mia amica telefona a casa e le dicono che avevano sentito dell'attentato con il satellitare e gli raccomandavano di tornare a casa subito .
Le persone che erano con me non sapevano niente ed erano sugli impianti: allora, preso il mio casco, sono sceso anche io per avvertirli .
Ancora dovevo raggiungerli e già vedevo gente che saltava di gioia e ballava con una strana luce negli occhi .
Raggiunti i miei amici e dato che l'ora di uscita si era avvicinata abbiamo deciso di tornare subito al nostro villaggio residenziale .
Sulla strada si passava da Mobarake un paesino noto perchè era stata la patria della rivoluzione di Komeini : c’erano gruppi che bruciavano bandiere americane e foto di Bush e inoltre il mullah dal minareto invitava la popolazione a ringraziare Allah .Giunti al villaggio, come se niente fosse, ci siamo preparati ed siamo andati a cena nel locale ristorante del villaggio. Qui i cuochi erano particolarmente eccitati e tutti volevano sapere la nostra opinione. Cercando di fare battute di spirito senza offenderli abbiamo evitato la discussione .
In quel villaggio oltre le otto persone che erano con me , c'erano belgi , francesi, tedeschi, finlandesi e un cinese, per un totale di circa 50 persone. Ho invitato tutti nella mia villa che era la più lontana dal posto di guardia . Con tutte le difficoltà di lingua che si possono immaginare abbiamo convenuto di fare un codice di comportamento uguale per tutti sentendoci ogni gruppo con la propria ambasciata ma sostanzialmente facendo finta che nulla fosse accaduto. Nella scelta di questa strategia erano contrapposte di idee mie e del capo dei finlandesi che però alla fine cedette ed il tutto fu suggellato da grandi tazze di caffè.Prendemmo contatti con le rispettive ambasciate: queste annotarono i numeri dei cellulari e dissero che non c'erano motivi di allarme e se ce ne fossero stati ci avrebbero contattati mentre noi dovevamo telefonare ogni giorno. Le persone che erano a nostro stretto contatto non ci hanno mai fatto sentire in imbarazzo ma sui reparti c'era sempre qualche facinoroso: i tecnici Iraniani, quando ero in reparto, chiudevano tutte le porte del capannone .
Vedendo che la mia strategia era vincente i finlandesi mi soprannominarono affettuosamente "Toto Riina", un nome che aveva già varcato i confini . Superato il periodo, dopo due settimane chiesi al delegato di stabilimento Iraniano di restituirci i passaporti avendo chiuso la ragione sociale del contratto: questo lo feci con il cuore in gola ma avemmo i passaporti senza difficoltà Superammo i tre giorni per andare a Isfhan e Teheran compresi i momenti che andavamo in taxi .
Giunti a Roma e scesi dall'aereo Iraniano abbiamo tutti tirato un respiro di sollievo anche se non si sono mai verificati situazioni di vero pericolo .
Arrivato a casa mi sono dovuto pure subire mia moglie che era sempre stata contraria al viaggio, ma per me e' stata una bella esperienza di lavoro e di vita .