STORIA DELLA RUSSIA

3. Le fonti
4. Scena prima

3. Le fonti

Ho cominciato allora a cercare, prima di tutto, notizie sulle imprese dei Variaghi svedesi nei laghi del nord russo. Purtroppo prima del IX sec. d.C. di questi famosi Variaghi nessuno ne parla ! Solo verso il X sec. si trova qualcosa qua e là, presso i cronisti bizantini.
Attenzione però ! Nel X sec., il modo di scrivere storia a Costantinopoli, rispecchiava tutta una concezione particolare, in cui si esaltava l’evoluzione dell’umanità come lo svolgersi degli eventi umani all’interno di un piano sconosciuto e imperscrutabile del dio cristiano, dalla creazione (fissata in un concilio nell’anno 5508 a.C. come Anno Primo della Nascita del Mondo) fino al sempre imminente giorno del Giudizio Universale. E, siccome l’Imperatore dei Romani aveva la missione universalistica (ecumenica) di dominare il mondo in nome di Cristo, figlio del dio cristiano, l’Universo aveva come uno dei centri Bisanzio e, al di fuori di questo universo, tutt’intorno non c’erano altro che barbari ed infedeli. Costoro si affacciavano alle frontiere dell’Impero, sì !, con la bramosia di impadronirsi delle ricchezze materiali del mondo cristiano, ma soprattutto perché … anelavano ad essere convertiti alla fede di Cristo !
Con l’introduzione del Cristianesimo nel primo stato di Kiev, Vladimiro (primo principe cristiano variago-russo, per questo detto – e fatto – santo), entrò nei disegni del dio cristiano e dette mano libera ai consiglieri bizantini (specialmente quelli che accompagnarono l’ultima sua moglie greca) affinché il suo dominio fosse trasformato in uno stato “cristiano”, autorizzando la fondazione della Laura (monastero o convento in greco) delle Grotte a qualche chilometro negli anfratti subcarpatici a sud di Kiev, sulla riva destra del fiume Dnepr. In questo convento fondato da Sant’Antonio, il monaco greco chiamato appunto “delle Grotte”, si sarebbero dovuti formare gli ecclesiastici destinati a gestire le anime della nuova Sede Metropolitana russa (16a. della Tauroscizia), dipendente dal Patriarcato di Costantinopoli. Da questo momento si comincia … a scrivere dei rus’ !
Si concepì una storia delle origini del nuovo stato e dei suoi nuovi principi, secondo il modello bizantino di visione del mondo che ho detto sopra e che ancora valeva nell’XI-XII sec. quando le Cronache vennero alla luce …
In un luogo così decentrato come Kiev, si capisce però che scrivere cercando di mettere insieme gli avvenimenti locali all’interno della storia “universale” dell’Impero Bizantino, doveva esser fatto con grande cautela dagli amanuensi, per non offendere troppo il principe committente, Jaroslav il Saggio, facendolo sentire troppo inferiore all’Imperatore dei Romani. Sicuramente fu chiaro al cronografo dopo qualche tempo che i rus’, al potere a Kiev, slavizzati e battezzati e avendo perso gran parte della loro “mafiosità”, potevano essere pienamente legittimati nel loro ruolo, e di conseguenza ci si dette da fare per evidenziare in tutti i modi come i principi di Kiev agivano per il bene di tutti i sudditi cristiani della Terra Russa, e non solo per il proprio, come sembrava nella realtà. Chi fossero poi questi sudditi, la loro identità etnica o personale, non era importante ! Per Cristo tutte le anime sono uguali ! Che vivessero dove volevano con le proprie tradizioni … purchè si battezzassero e rimanessero soggetti al loro principe !
Qualsiasi avvenimento tramandato, e degno di essere riportato nella Cronaca che si andava compilando, doveva solo rispecchiare questi princìpi di fondo. D’altronde la Cronaca scritta avrebbe circolato solo nei palazzi del potere e non sarebbe stata accessibile ad estranei !
C’è una cosa da notare subito (ma vi ritorneremo): Le Cronache scritte a Novgorod sono sensibilmente diverse da quelle scritte a Kiev ! E le ragioni sono anche chiare: A Novgorod risiedevano ancora sia i parenti sia i fautori dei conquistatori di Kiev e questi, che fossero Slaveni o Variaghi, erano ancora gente importante che non poteva essere urtata impunemente, nemmeno da un santo monaco cronachista, mandato da Kiev !
Possiamo immaginarci che si cominciò a raccontare la storia russa naturalmente dagli eventi più remoti di cui si avevano notizie più o meno sicure, anno per anno, e più salienti almeno dal punto di vista degli affari della chiesa e del potere secolare di cui la chiesa era strettissima (e protetta) alleata.
I monaci e il clero cristiano più umile (i preti praticamente), mandati a gestire il Cristianesimo nella Terra Russa, raccolsero probabilmente come poterono le notizie che circolavano fra i notabili dei villaggi e forse persino i racconti della gente più semplice. All’inizio ci fu il problema della lingua, ma sicuramente Costantinopoli per queste mansioni si servì anche dei bulgari danubiani che, appunto da slavi che erano diventati, parlavano e capivano la lingua di queste parti, mentre solo il clero più alto fu di lingua greca, a partire dal leggendario vescovo Anastasio (Nastas) di Chersoneso in Tauride che Vladimiro portò con sé a Kiev per il battesimo del suo popolo.
Le notizie dunque, selezionate e affiancate alle relazioni che giungevano al Metropolita, più tutto il materiale raccolto dalla viva voce costituirono le Raccolte delle Cronache della Terra Russa ! Questi cosiddetti “Racconti del Passato” (in russo Povést’ Vremenných Let e in italiano Cronaca dei Tempi Passati, che abbrevierò nel seguito CTP), fissati in forma scritta, non solo raccontano, ma diventano pure l’unico insegnamento impartito ai rampolli della classe nobile, nelle scuole dei conventi o nelle lezioni “private” delle case patrizie.
E’ comprensibile che, quando appare ufficialmente per la prima volta a Kiev l’arte dello scrivere e i libri che “parlano”, questi ultimi, visti come oggetti preziosissimi e misteriosi, riempiono prima d’ammirazione e meraviglia la gente, a corte come altrove, e poi di paura magica per le cose che fanno dire a chi li legge …
Questi libri, e soprattutto questo affannarsi ad annotare gli avvenimenti sulla pergamena, fu visto come uno strumento a dir poco minaccioso, perché, in mano a persone estranee, da quelle pagine si traevano le verità del passato e si preparavano gli avvenimenti futuri !
Ricordiamo, per inciso, che nel grande nord l’attività dello scrivere era un’attività soprattutto magica e che si leggeva il futuro o si proteggevano case e persone proprio con i segni incisi su legno o su pietra (vedi le rune scandinave !).
Insomma fu una rivoluzione mentale veramente epocale, perché, se prima si temeva la natura, adesso si poteva dominarla …
Questi strumenti di grandissima portata, la scrittura e la lettura, non furono riservati all’uso dei soli preti e monaci, ma vennero quasi subito posti a disposizione della classe dominante ed anzi fu chiaro a quest’ultima che bisognava impadronirsene al più presto per gestirli al meglio !
Molto spesso nella CTP (vedremo meglio fra poco i suoi contenuti che interessano), saranno sempre elogiati quei principi che leggono e scrivono, perché sono gli unici che hanno capito come si accede al sapere universale che il Cristianesimo porta con sé, per porsi ad un livello di potere veramente superiore. Figuriamoci dunque, come l’illetterato è affascinato da colui che fa rivivere degli eventi soltanto guardando dei segni !
Attenzione però ! L’uomo di potere vuole sapere solo come si fa una certa cosa, ma … non farla lui stesso ! Per cui l’accesso allo scrivere e al leggere, per paura che qualcuno potesse servirsene contro il principe, non fu subito allargato a tutte le altre classi collaboratrici del potere, anzi ! Impararono a scrivere solo i più stretti parenti e collaboratori ! Persino a Novgorod, dove risiedeva la parte più conservatrice e arroccata della casta slavena al potere, la scrittura non si diffuse fra la gente che successivamente, nel XII sec. ca. e solo per uso pratico, e gli archeologi che nel 1951 scoprirono così negli scavi numerosi scritti su corteccia di betulla (berjòsty, l’unica carta da lettera disponibile al tempo) con tanta corrispondenza commerciale, mettono in evidenza proprio questa particolarità.
A parte quindi i Variaghi che erano illetterati e non avevano storia nella Terra Russa, come si trasmetteva invece la tradizione delle grandi famiglie slave che qui vivevano ormai da qualche secolo ?
Fino a quel momento il passato era stato tramandato oralmente, cantilenato e mimato presso la grande stufa della casa avita nelle lunghe serate d’inverno oppure dai bardi prezzolati (in russo pevzì, di solito ciechi che componevano le storie degli antichi eroi e cercavano coi loro canti di divertire, attenendosi alle richieste della moda del tempo, più che alla verità) mantenuti in casa dal notabile proprietario terriero, e, le genealogie e le imprese degli avi, era l’unica cultura personale ammessa, sia fra i contadini che fra i nobili. Una persona era una persona, proprio se poteva ricordare la sfilza dei suoi avi e cioè, se aveva una storia !
La novità della scrittura, in un certo qual senso, è un peggioramento rispetto al passato, giacchè, se ai bardi si poteva chiedere - e imporre ! - di alterare in peggio o in meglio la realtà che essi cantavano a memoria, ai monaci invece, personaggi magici e per principio incorruttibili, non si poteva imporre niente e lo scritto rimaneva l’unica verità esistente … per l’eternità ! Coi monaci cristiani quindi: Niente manipolazione !
Con l’apparizione dei libri perciò la situazione cambia radicalmente persino nei villaggi e i bardi, non più adulatori della vanità dei nobili che li pagano, devono cedere il passo al sapere bizantino e diventano dei figli del demonio per quello che raccontano, per le realtà pagane che esaltano “senza la benedizione del dio cristiano” (v. A. Sinjavskii) e, non avendo più un lavoro a casa dei nobili, finiscono al mercato come semplici cantastorie in cui il passato diventa solo una favola fantastica e incredibile.
Queste saghe russe (chiamate bylìne nel sud e nel nord dumy), sono però anch’esse delle fonti storiche, proprio come lo sono per la storia del nord scandinavo l’Edda di Snorri Sturlusson e le altre saghe islandesi, perché si riferiscono ad avvenimenti dei primi anni della Terra Russa e ai costumi e agli usi di tempi remoti. Al principio le tradizioni cantate in particolare nelle byline, furono bollate di paganesimo e relegate al rango di componimenti degni dei sogni pagani della gente del popolo e solo molto più tardi, diventate politicamente neutre, furono ammesse alla forma scritta e conservate per i posteri come favole … proprio dai preti che le avevano finora disprezzate !
Certo, tutto questo patrimonio letterario e storico popolare non scompare d’un botto, ma continua ad esistere, fino al tempo dell’ultimo grande pevèz Bojan di Kiev, cantore famoso e affermato (anche se, nel famosissimo Cantare della Schiera di Igor, lo si accusa di avere un po’ troppa fantasia) del XIII sec.
Tuttavia, se le byline erano manipolate, sarebbe ingenuo non pensare che Jaroslav il Saggio, il principe committente della CTP, non abbia influenzato i contenuti delle Cronache scritte dai preti, anzi ! Sicuramente stette molto attento che si parlasse bene della sua famiglia, della sua ascendenza e delle sue imprese.
Per il Monastero delle Grotte, dove si scrivevano le Cronache, non fu molto difficile attenersi a queste direttive.
Probabilmente il monaco incaricato della stesura delle prime Cronache, Nicone, verso il 1037 d.C. raccolse il materiale informativo soprattutto dalla cerchia del principe, prima di condensarla in articoli brevi per ogni anno “dalle origini ai giorni presenti”. Al principio ci fu quindi la Raccolta (degli avvenimenti) detta di Nicone il Grande (così è conosciuto questo monaco, nella tradizione della Chiesa Russa) e poi quella detta delle Origini, rispettivamente in russo Svod Nikona e Nac’alnyi Svod. Come era uso nelle opere cronografiche bizantine (vedi quelle scritte da Giorgio Amartolo che furono le più imitate), la storia cominciava con la Creazione del mondo da parte del dio cristiano per giungere al dì presente. Fu fatta certamente molta attenzione alla tradizione orale, alle testimonianze dei componenti della druzhìna del principe (vedremo oltre che cosa sia questa istituzione !) e il tutto rivisto per servire agli scopi del Principe eletto da Dio per la Terra Russa !
Dobbiamo sottolineare che la Chiesa Russa, a partire dal XI sec., s’interessò, non solo al compito di registrare gli eventi del dominio del principe, ma innanzitutto di diffondere il suo credo e quindi i documenti più antichi tradotti in russo antico, furono logicamente i libri sacri del Cristianesimo. Un esempio è il Vangelo di Ostromir (questo è il nmome del principe o del notabile che finanziò il lavoro), scritto in anticorusso da un diacono – djak – nel 1056-1057 o quello di Arkhangelsk del 1092. Anche questi scritti tuttavia, malgrado il loro contenuto, possono esser usate come fonti storiche perché, attraverso l’accurata analisi filologica e semantica del testo russo, si ricava qualche indizio su come si viveva nell’XI sec., ad esempio (vedi l’analisi di V. Kolesov) !
Per la Terra Russa fu annotato persino il suo destino universale con la famosa Leggenda di Sant’Andrea, Primo Apostolo, che si trova nella prima parte della CTP, e la missione santa del nuovo popolo cristiano fu così fissata per sempre. In essa infatti si narra come Sant’Andrea avesse ricevuto da Cristo stesso l’incarico di evangelizzare questa parte del mondo, la Scizia, e come, giunto a Chersoneso in Tauride, diretto a Roma, si fosse informato su quali genti si trovassero lungo la corrente del grande fiume Dnepr e come avesse risalito il fiume fin sotto Novgorod, dove addirittura godette dei piaceri della sauna russa: la banja, prima di mettersi sulla strada per Roma … Un giro assurdo !
Lo scopo di questa leggenda “edificante” però è chiaro: con essa si legittima la proprietà della Terra Russa da nord a sud per i principi di Kiev discendenti di Rjurik e … voluta da Dio !
Nel 1039 probabilmente viene nominato ufficialmente, dal Patriarca di Bisanzio, il primo Metropolita, Michele, per la Tauroscizia, come viene chiamata ufficialmente la Pianura Russa nella burocrazia bizantina. La sede per il momento è a Perejaslavl-del-sud perché a Kiev ancora non c’è una sede degna. Qualche anno dopo, nel 1050 d.C., anche nella seconda città più importante della Terra Russa, Novgorod, è istituita una diocesi e si mette subito mano a scrivere le Cronache locali ! E così avviene anche per la terza città russa: Polozk !
Le cronache scritte a Novgorod hanno una differente trattazione rispetto alla redazione kieviana, proprio perché, scritte sotto le linee guida date dal principe locale mandato da Kiev, dove il peso politico maggiore ce l’ha la potente assemblea locale dei proprietari terrieri e nessuno, neanche il rappresentante di Kiev, può mettersi troppo in contrasto con essa …
Le Cronache di Nicone e delle Origini, compilate a Kiev, e quella di Novgorod, vengono chiamate rispettivamente Prima Raccolta Kieviana e Antica Raccolta Novgorodese.
Successivamente a continuazione della Prima Kieviana, compare nel 1095 la Seconda Raccolta Kieviana che servirà di base alla stesura definitiva della Cronaca dei Tempi Passati, redatta dal famoso Nestore nel 1113, qualche anno dopo la morte di Jaroslav il Saggio che l’aveva ispirata. Questa Cronaca è la nostra fonte primaria che abbrevierà d’ora in poi con la sigla CTP !
Nel 1116 inoltre, per un litigio con il Monastero delle Grotte, Vladimiro detto Monomaco, figlio di Jaroslav il Saggio, educato a Bisanzio, affida la continuazione delle Cronache e la loro revisione al monaco (igùmeno) del Monastero principesco di San Michele di Vydubizkii, mentre subito dopo nel 1118 per incarico del principe Mstislav di Novgorod viene elaborata una terza redazione, detta novgorodese …
Questa ricostruzione (v. A. A. Sciakhmatov) della compilazione delle Cronache Russe secondo me è indispensabile per capire lo spirito con cui leggere quanto in esse è contenuto e per muoversi agevolmente fra questi scritti. La CTP nelle sue numerose redazioni è l’unica fonte di storia russa antica più completa e ad essa ho dovuto rifarmi nella maggior parte dei casi. D’altronde lo stesso titolo della CTP (di Nestore) è piena di promesse per il ricercatore ed eccolo per intero:

Ecco le cronache dei tempi passati, da come si è originata la Terra Russa, su chi per primo ha regnato a Kiev e da dove la Terra Russa si è trasformata in quella che è. (in russo: Se povèsti vremjannýh let, otkùdu est’ posc’là Rùskaja Zemljà, kto u Kìeve nac’à pervèe knjazhìti, i otkùdu Rùskaja Zemljà stalà est’).

Quindi ci si può fidare, ho pensato …
Tuttavia durante tutti questi secoli passati per giungere fino a noi, la CTP ha subito rimaneggiamenti, completamenti, aggiunte etc. nelle varie edizioni e le redazioni conosciute sono oggi molte e con vari nomi, come l’Ipatevskaja o la Radziwill etc. (denominazioni attribuite a seconda del luogo di ritrovamento del manoscritto relativo o della persona che lo ha trovato e recensito et sim.) ! Ciò non è però un elemento di confusione. Tutt’altro ! Confrontando i testi e gli eventi narrati nelle diverse versioni (talvolta in dialetti diversi dell’anticorusso) si può capire meglio e di più, proprio dalle aggiunte, dai giri di parole usati, dalle note fuori testo. Ad esempio la redazione del 1050 di Novgorod, chiamata Cronaca di Ostromir, mostra con evidenza l’intento di difendere gli interessi politico-economici dei bojari (di questi parleremo in seguito) di Novgorod contro il Principe di Kiev, Jaroslav il Saggio, ormai considerato non più un “membro della casta di potere novgorodese”.
Un’altra fonte di storia russa sono le Vite dei Santi, dei priori e dei superiori dei vari conventi che si venivano fondando nella Terra Russa o dei conventi bizantini della zona pontica (Mar Nero in greco Pontos Euxeinos), che ebbero contatti con i russi. Questi testi agiografici tuttavia sono di molto minor aiuto poichè, essendo di genere edificante, sono troppo stereotipati e alcuni eventi si ripetono quasi con le stesse parole passando dalla vita di un santo all’altra e quindi non risultano sempre affidabili, benchè talvolta si trovino notizie interessantissime, sui popoli che a noi interessano.
Altro documento importante per lo studioso è infine l’antenato del Codice Civile Russo, la cosiddetta Pravda Rus’ka, insieme di costumanze e di leggi, una volta orali ed ora ordinate e messe per iscritto, sempre del tempo di Jaroslav il Saggio (1019-1054), conservatasi a Novgorod per varie vicissitudini storiche successive. In essa si riflette la società variago-russa in formazione del IX-X sec. e perciò per me preziosa.
Nè possiamo dimenticare le notizie degli osservatori esterni che conobbero o sentirono parlare della Terra Russa agli albori della sua storia. Sono tante, anche se frammentarie, ma utilissime, come gl’importantissimi testi dei cronografi bizantini o le preziose Saghe Islandesi, l’Edda fra le altre, che parlano delle terre russe proprio nel periodo delle origini, anche se queste saghe sono state scritte qualche secolo dopo.
Notiamo una cosa: Gli osservatori esterni sono in maggioranza d’ambiente mediterraneo e quasi sempre concentrano la loro attenzione sulla parte sud della Terra Russa a loro più immediatamente accessibile (Kiev e dintorni in particolare). Del nord le nostre fonti parlano poco, perché in realtà nessuno lo conobbe bene per i molti pericoli che si rischiavano a viaggiare lungo i fiumi russi verso nord !
Queste cronache, relazioni di viaggi, ambascerie, trattati ed incontri, si usa dividerle in fonti cristiane e fonti musulmane, perché esiste una grossa differenza nell’esposizione, fra gli scrittori di queste due religioni universalistiche tanto diverse.
Una fonte importante contemporanea (un’ambasceria del 921 d.C.) è il musulmano Ibn Fadhlan che incontrò personalmente i Rus’ e nei suoi scritti si trovano moltissime notizie sui loro usi, costumi, religione e tant’altro, alle cui informazioni mi sono rifatto molto spesso. Riporto qui le parole del prof. F. Gabrieli, grande studioso dell’Islam, a proposito di questo documento.

“Con facile imparzialità … rileveremo qui solo l’importanza del nostro testo per i costumi e le credenze di tutti questi popoli pagani, per le caratteristiche fisiche, climatiche ed economiche dei loro stanziamenti … Dei Rus’ stessi egli ci ha lasciato una descrizione dei loro barbarici usi funebri …”

Un altro problema delle fonti è che la trattazione in quelle cristiane è molto ideologizzata in chiave religiosa, mentre, al contrario, quelle musulmane sono molto più laiche e “spassionate” ! Gli autori cristiani sono sempre ossessionati dal meraviglioso e dal miracoloso, distorcono la realtà e mettono in difficoltà il ricercatore, per l’interpretazione a volte ambigua. I musulmani invece non hanno tutti questi pregiudizi “tipici dei cristiani” e tendono a riportare le notizie così come sono state raccolte, con grande curiosità e … solo se ci sono prove testimoniali evidenti e credibili (per quei tempi) ! In caso di dubbio, il fatto o non viene raccontato oppure è sottolineato nella sua incertezza. Abu Sa’id di Siraf, esploratore del X sec. e nostro informatore, consiglia ad esempio a chi scrive relazioni e rapporti: “E’ preferibile limitarsi alle informazioni autentiche, anche se esse sono poco numerose.”
Un’eccezione in questo senso dal versante “cristiano”, sono i documenti scritti dall’imperatore Costantino VII Porfirogenito, gran ricercatore lui stesso e accurato lettore delle relazioni dei suoi generali nei vasti archivi del Palazzo Imperiale di Costantinopoli, redatti mentre aspettava di ritornare sul trono che suo suocero gli aveva temporaneamente sottratto.
In pratica oltre queste fonti scritte non abbiamo altro …
E di qui si potrebbe tranquillamente partire, se non si tenessero presenti le difficoltà dell’accessibilità ai testi in anticorusso o in arabo, con tutte le vicissitudini – distruzioni e mutilazioni - che questi scritti hanno subito nel corso dei secoli (dieci e più !), e che perciò devono esser studiati su traduzioni complete e commentate da specialisti.
Chissà quanti testi andarono distrutti a Kiev quando questa città venne completamente svuotata e distrutta dai Mongoli nel 1240 o a Baghdad, che perde le sue ricchissime biblioteche sotto i colpi degli stessi Mongoli nel 1258 e così incendi di Monasteri e Conventi, distruzioni di Medrese musulmane che custodivano documenti preziosi, trafugamenti a causa del grandissimo valore dei libri (incrostati di gemme e pietre preziose, foderati in argento e in oro !) come oggetti commerciali, etc.
Pure gli scavi archeologici rappresentano una fonte importante d’informazione, sia sulla cultura materiale sia come conferma alle fonti scritte, per cui qui non posso che rendere omaggio ai ricercatori, sovietici specialmente, perché proprio le loro campagne di scavi, minuziose e accurate, mi hanno dato la possibilità di orientarmi meglio fra tante ipotesi fantasiose per interpretare nel giusto modo testi a volte incomprensibili.
Purtroppo la conformazione geologica della Pianura Russa fino alla riva destra del Volga, esclusi i Carpazi a sud di Kiev, non offre pietra naturale a buon mercato e, se si eccettuano i grossi massi morenici usati di tanto in tanto qua e là, altro materiale archeologico di pietra non c’è. A proposito dei massi morenici poi, a parte la loro mole e la loro durezza, essi non furono mai usati per costruire, ma, considerati solo magici guardiani delle vie d’acqua, furono incisi con segni e scritte servendo da mete (mezha in russo), per indicare confini o direzioni e qualcuno di essi è utilizzabile come testimonianza del passato (famoso è quello di Borisovo, in Bielorussia, con un’iscrizione e una croce databile dopo il 988 d.C).
Solo in seguito (XI sec.) si costruì con la pietra “fatta dall’uomo” cioè col mattone … quando giunse la tecnica da Bisanzio !
Per questo motivo rimane un problema archeologico studiare il materiale usato in quei tempi remoti di cui ci occupiamo per tutti gli usi quotidiani: il legno ! Questo è facilmente deperibile e perciò, nel riconoscimento dei reperti, l’archeologo deve fare moltissima attenzione e avere grandissima competenza, altrimenti la traccia di un palo che non c’è più o le ceneri di un idolo tacerebbero per sempre e andrebbero perdute altre preziosissime informazioni.
Per citare un esempio importante per la nostra storia: i resti di Itil, la capitale dell’Impero Cazaro, non sono stati più ritrovati proprio per questo motivo ! Dall’altro lato invece, un’eccezione per tutta la Terra Russa, in Cazaria i resti della fortezza di Sarkel (Forte Bianco) costruita in pietra e mattoni dagli ingegneri greci (proprio per tenere sotto controllo i rus’) sono ancora visibili e ci parlano dei Cazari, questi antichi signori del Volga !
Gli scavi delle città del nord ci hanno informato delle innumerevoli e disastrose inondazioni che queste, costruite lungo le rive dei fiumi, hanno subito nel corso dei secoli e si è avuto conferma, come nelle costruzioni si rispecchino tecniche conosciute anche in altre zone slave fuori della terra Russa, e documentano dell’alta tecnologia raggiunta nella lavorazione del legno.
Ad esempio le strade di Novgorod (in russo gati e in norreno gade) erano pavimentate con tronchi di legno e venivano riattate quasi ogni anno dopo il disgelo, con un lavoro di posa in opera e di sistemazione dei tronchi complicatissimo. Le case in città poi erano anche a più piani. Dai fori lasciati dai pali dei recinti si è dedotta la pianta di alcune case signorili e dalla profondità della parte di palo infisso nel pavimento si è riuscito a dedurre persino l’altezza dei molti piani sovrastanti.

4. Scena prima


Nel dicembre del 1915 il professor Federico Hrozný informava che il mistero della lingua ittita era stato da lui risolto. Questo studioso, senza l’aiuto di alcuna bilingue, era finalmente riuscito a tradurre la frase scritta in cuneiforme che gli era stata per anni davanti agli occhi: Nu nindan ezzateni vadar-ma ekkuteni. Aveva infatti scoperto che l’ittita era una lingua indoeuropea e, confrontandola con le altre lingue della stessa famiglia, era riuscito a tradurla: "Adesso mangia il pane e bevi l’acqua".
Questo aneddoto certamente ha poco a che fare con la mia ricerca, se non fosse che questa antichissima frase (2000 anni a.C.) racchiude tutta l’essenza della civiltà contadina: il pane e l’acqua ! Il pane fatto dai cereali coltivati dall’uomo e l’acqua attinta al fiume per impastarlo.
Nella lingua russa, la parola per acqua è figlia dell’omologa ittita vadar e suona vodà, esattamente come in paleobulgaro e in tutte le altre lingue slave sorelle (salvo l’accento), ed è … una parola che ha avuto, ed ha, un grandissimo ruolo storico, nella storia dei popoli russi, come si vedrà dalla trattazione che segue.
La parola per pane - hleb in russo – invece, è stata probabilmente adattata dal germanico (hlaiba ossia frumento). Anche questa parola è molto importante perchè i contadini dipendevano moltissimo dalle piante che coltivavano e soprattutto dai semi scambiati al mercato coi vicini quando dovevano abbandonare, costretti dalle circostanze, una zona climatica più temperata per trasferirsi in un’altra più fredda.

Torniamo all’acqua …
Nella Mitteleuropa l’acqua è l’elemento naturale più abbondante e più immediatamente accessibile, sia che essa provenga dal mare che dai fiumi ed anzi, se nel sud europeo il mare è stata la via di comunicazione più importante, per un popolo vissuto nel cuore dell’Europa e trasmigrato poi nella Pianura Russa, sono proprio i fiumi a costituire le grandi autostrade della storia …
Forse un fiume russo ha degli elementi caratteristici che potrebbero distinguerlo dagli altri fiumi del resto d’Europa ?
In effetti sì. Il fiume russo (rekà) nasce generalmente da sorgenti a quote molto basse (kljuc’, rodnik in russo), come ad esempio quelle del Volga che si trovano intorno alle colline del Valdai. La sorgente forma di solito una specie di polla ribollente mentre si allarga sul terreno circostante alla ricerca del letto. Il letto (ruslo), è tagliato in mezzo agli alberi che crescono nella foresta latistante e le sue rive sono talvolta l’unico spiazzo libero nel fitto della vegetazione. Quando il corso è incerto, lungo ampie e variabili anse (luki), talvolta si adagia in ampi e oblunghi laghi (chiamati oggi vodohranilisce). Esso scorre, sin dalla sorgente e per la maggior parte del suo corso, in pianura, e quindi in media, scorre più lentamente degli altri fiumi europei che hanno pendenze del letto percentualmente maggiori. La portata del fiume russo naturalmente è sempre molto grande, paragonabile a quella del Reno o del Danubio, per intenderci.
Il fiume russo attraversa quindi grandi distese di foreste che gli rinforzano gli argini con i loro alberi, ma che costituiscono, dato il clima, un ulteriore apporto d’acqua, perchè in primavera, quando il ghiaccio o la neve accumulatisi nei mesi più freddi (quasi otto mesi su dodici) sugli alberi si scioglie, provoca esondazioni estese con formazioni di acquitrini, paludi, torbiere ai cambi di stagione, causando per l’uomo l’impraticabilità della foresta.
Una particolarità dei fiumi russi è che, a causa del loro lunghissimo corso, spesso cambiano di letto (e addirittura di foce, come accadde per il Kuban) e così una stessa corrente lungo il suo corso riceve un nome locale sempre diverso e le confluenze sono tali e tante, che non si riesce a distinguere, fra le numerose correnti, qual è quella principale fino alla foce (v. A. Ageeva) !
Un esempio linguistico di questa situazione è il nome che i greci davano al Dnepr, Boristenès, che deriva molto probabilmente da una delle tante Berezinà (una di esse è famosa per la sconfitta della Grand’Armée napoleonica) che si versano molto più a monte nella sua corrente principale, in zona bielorussa. Il Dnepr inoltre, fiume storicamente molto importante, è uno dei pochi fiumi russi che, prima della foce, deve saltare delle rapide (poroghi) proprio ai limiti della foresta e prima della steppa del Mar Nero.

Il numero dei fiumi della Pianura Russa è veramente enorme … In Bielorussia, ad esempio, sono stati censite molte migliaia di correnti d’acqua di una certa portata e degni di esser chiamati fiumi ed è facile immaginare, dalla densità di queste vene d’acqua per chilometro quadrato, come gli spartiacque (voloki, perevoloki) fra una corrente e l’altra siano di solito non molto ampi, rendendo così abbastanza facile passare da un fiume all’altro, come si fa da una strada all’altra.
Durante la stagione fredda il fiume russo si copre naturalmente di ghiaccio e sul ghiaccio si stratifica la neve, così che il fiume si riconosce rispetto al resto della foresta imbiancata solo come una striscia libera da alberi.
La corrente (tok) dei fiumi russi è lenta, come abbiamo detto, e ciò provoca un apporto molto scarso di terra e ciottoli di fondo, con un avanzamento della foce conseguente molto limitato rispetto a quelle di fiumi più impetuosi e questo è immediatamente comprensibile, ma in più, per questo motivo, le sue acque allo sbocco nel mare sono anche più salate degli altri fiumi europei e favoriscono la pesca. Facendo il confronto fra il Danubio da una parte e il Bug Meridionale che sfocia insieme al Dnepr, dall’altra, nello stesso mare (Mar Nero) ci si accorge subito dell’apporto di terra del Danubio perché questo forma un ampio delta (anticamente detta Isola Russa) mentre gli altri due formano solo una laguna (liman) dove l’unica isoletta striminzita è la famosa striscia di sabbia chiamata Berezan’ dove i rus’ sacrificavano agli dei, contenti di essere arrivati sani e salvi finalmente al mare !
Il regime dei fiumi russi è diviso fra qualche mese (2-3) di corrente tranquilla che permette la navigazione e un regime instabile con frequentissimo pericolo di inondazioni, quando all’uscita dall’inverno, si sciolgono la neve e il ghiaccio.
Per tutte queste ragioni il contadino dei secoli VII-X d.C. ha cercato sempre una zona abbastanza lontana dalla riva del fiume, possibilmente in una radura (poljana) nel fitto, magari un po’ più elevata, rispetto al resto del terreno, per evitare le inondazioni primaverili o il suolo troppo paludoso.
Qui scaverà il suo pozzo (kolodèz) per l’acqua che gli serve ogni giorno e uno per quella da irrigare. Per tirar su l’acqua dal pozzo, userà un secchio di legno appeso al capo di un lungo bastone, che si sbilancia su un palo confitto presso il pozzo e che porta all’altro capo più lontano un contrappeso. Basterà immergere il secchio nell’acqua del pozzo e poi agire sull’altro capo della barra per sollevare con pochissima fatica il secchio, ora pieno. Il pozzo veniva sempre ben protetto da una casetta costruita intorno, al fine di impedire a chiunque di avvelenarne l’acqua.
Si costruiranno con tronchi scavati, quando è necessario, dei canali sollevati per distribuire l’acqua nei campi e questi tronchi al Carnevale (Maslèniza) con il fondo ancora gelato sarà la gioia dei bimbi che si faranno scivolare lungo di essi.

Gli Slavi dunque come frequentatori delle vie d’acqua interne non possono che essere stati anche loro abili costruttori di barche da fiume: legno ce n’è in abbondanza, la necessità di navigare lungo i fiumi pure … Non ci sono quindi problemi a costruire barche senza chiglia, larghe e capaci, e spinte con le pertiche o tirate dalla riva dai cavalli. Quando si giunge agli spartiacque le si tirano a secco e le si spingono sui rulli con tutto il carico da una corrente all’altra, per iprendere il viaggio. Queste barche furono famose nell’antichità, perché erano smontabili e rimontabili a volontà e furono proprio queste che in seguito si trasformarono nei famosi paromy dei pirati Vendi del Baltico, che infestarono la riva estone e polacca, prima di scomparire dalla storia ai tempi dell’Hansa.
Questo è dunque il fiume russo, in un paesaggio di cui costituisce, insieme alla foresta o i laghi laghetti e paludi, l’elemento dominante.
La zona delle foreste intorno a Kiev e prima della steppa, a causa della composizione chimica del suolo e del suo colore, costituisce le cosiddette terre nere (cernozjòm) che sono fertilissime, dove il grano e gli altri cereali crescono senza fatica. Questo spiega l’interesse degli Slavi migranti per queste terre che erano conosciute dalla più remota antichità in modo quasi leggendario. La Terra Russa infatti, già prima del tempo delle migrazioni slave, esportava verso Bisanzio cereali in gran quantità ed anzi diventò e rimase una delle fonti di cibo più importanti per la vita dell’Impero.
Questo sarà sempre un fattore importante nelle relazioni fra Kiev e Costantinopoli …
Purtroppo non tutti i migranti slavi ebbero accesso alle terre nere e alcuni dovettero continuare per il nord verso lande più desolate …

La grande Pianura Russa ha un’altitudine media di una decina di metri al di sopra del livello del mare per ca. 90 % della sua superficie e si distingue proprio per questa sua uniforme piattezza. Essa confina al nord col Mar Glaciale Artico (Mar Bianco), a nordovest col Baltico, ad ovest col Bug occidentale e a sud coi Carpazi, ad est ha il confine geografico degli Urali che si allineano da nord a sud, ma agli albori della storia russa questo confine era un confine culturale ed era più arretrato, costituito semplicemente dalla riva destra del fiume Volga. A sud infine c’è di nuovo il mare: il Mar Nero e il paludoso Mare d’Azov, mentre verso sudest si innalza un altro confine naturale: il massiccio del Caucaso, che nasconde e domina l’immenso lago, detto oggi Mar Caspio, ma al tempo dei rus’ Mare di Hvalis, dai turchi Mare Bianco e dagli arabi Mare di Giurgian.
Le uniche alture all’interno della Pianura Russa sono la cosiddetta piattaforma dell’Alaun, di cui le colline del Valdai dove c’è il lago Seligher o quelle minori a nord di Minsk, sono la parte più alta (massima altezza 343 m nel Valdai), e sui declivi carpatici intorno a Lvov e Uzhgorod dove l’altezza massima è di 471 m …
Tutto questo immenso territorio (compreso entro 26 gradi di latitudine !) è divisibile in quattro zone climatiche più o meno. Una zona a nord confinante nel Mar Glaciale Artico dal clima freddissimo, con pochissima luce d’inverno e breve stagione estiva, con venti gelidi invernali che spazzano tutta la superficie gelando qualsiasi liquido in superficie per quasi otto mesi l’anno. Qui la vegetazione è costretta a sfruttare il brevissimo sole estivo e quindi regna la tundra, con arbusti non molto alti e con un paesaggio dall’aspetto piuttosto brullo. Gli uomini evitano questa zona così ostile alla vita.

A nord proprio a causa di frequenti depressioni si formano i grandi laghi Onega, Ladoga e Peipus (e altri) e lo storicamente famoso Lago Ilmen (o Ilmer in alcune fonti), cuore della storia russa, sulle cui rive regnarono gli alberi di alto fusto dai larici ai tigli, dalle betulle alle querce, dagli abeti ai pioppi.
Subito più a sud inizia finalmente la grande foresta, il Poliesje.
Il clima fra Novgorod e Kiev è continentale (freddo d’inverno e torrido d’estate), le giornate estive si allungano man mano che si scende verso sud dove si può avere un’attività agricola sempre migliore in redditività, dosando bene gli sforzi, mentre ci si avvicina alla zona delle terre nere. Infine, a sud di Kiev, la foresta comincia a rarefarsi e inizia la steppa eurasiatica dove si trova l’unico contatto col mare, il Mar Nero. La steppa continua al di là dei Carpazi fin nel cuore dell’Europa, dove termina nella cosiddetta puszta (parola magiaro-slava che significa deserto) ungherese. Qui l’acqua certamente manca e il terreno è sabbioso e, nel periodo che noi descriveremo, non fu intensamente abitato, ma rappresentò solo un pascolo di passaggio per i popoli nomadi provenienti dall’Asia Centrale e dal Caucaso.

Quando i popoli slavi in particolare (ma anche tutti gli altri popoli immigrati nella Pianura Russa) giunsero da queste parti si trovarono di fronte ad un vero e proprio muro d’alberi, pericolosissimo da attraversare sia perché ci si poteva facilmente perdere durante la buona (peggio ancora nella cattiva) stagione, ma poi perché piena di acquitrini, paludi e torbiere che possono facilmente inghiottire senza scampo il viandante non accorto e i suoi carriaggi, oltre al pericolo delle fameliche belve selvagge e gigantesche. Non dimentichiamo infatti che nel IX sec. e ben fino al XII sec. le foreste russe erano abitate da orsi, lupi, linci, uri selvaggi, bisonti e cinghiali pericolosissimi … tanto che nella storia, nel folclore, nella religione e in tutte le espressioni dell’uomo anticorusso, la foresta, misteriosa e fittissima, restò sempre l’elemento dominante nei suoi racconti.
Il clima inoltre non è il più favorevole: … Le stagioni sono in pratica due, quella bella che dura da maggio ad agosto e quella brutta che, buia e fredda, dura per il resto dei mesi. Anche il corso d’acqua diventa fruibile e navigabile con barche e burchielli o con le chiatte del Medioevo russo che ho nominato prima, solo a primavera (maggio). Andare nelle foreste senza sapere in quale direzione è insomma un’avventura rischiosissima, se non si segue una corrente d’acqua, ma anche affidarsi al fiume per farsi portare da qualche parte è altrettanto rischioso, perché i fiumi sono lunghissimi e le distanze qui si contano a centinaia e migliaia di chilometri e, siccome i fiumi si intersecano con molti altri in un groviglio di correnti grandi e piccole, si può perdere facilmente la rotta.
Senza strade lastricate, senza città vicine e senza indicazioni, era praticamente impossibile viaggiare sicuri e vedremo come contro il pericolo della guerra o della cattura, la gente si rifugerà proprio nella foresta, perché sa che essa è impenetrabile anche al nemico.

Le foreste, ancora oggi, continuano ad essere poco esplorate e le città e i villaggi sono ancora oggi rimasti rari e sparsi. Oggi dopo tanti secoli il paesaggio è certamente cambiato, a causa dei tanti alberi abbattuti, ed è diventato meno selvaggio e più accessibile, ma la bassa densità di popolazione lo rende comunque difficile da attraversare con tranquillità … quasi come mille anni fa.

Chi abitò la Pianura Russa prima dell’arrivo di Slavi, Finni e Vichinghi ?
La pianura in verità non fu mai completamente disabitata. I suoi abitanti autoctoni sono stati i Balti, ma la loro densità abitativa era talmente bassa (forse dovuta anche ad una bassa prolificità) che in teoria c’è sempre abbastanza posto per gli immigrati, senza gran fastidio. I Balti poi, raccoglitori e cacciatori, non praticavano l’agricoltura sistematica e i prodotti agricoli non erano la base della loro vita, come invece per gli Slavi e perciò, se si lasciava più o meno intatta la loro foresta, non avrebbero avuto molto da ridire sugli immigrati.
Dall’idronimica (i nomi dei corsi d’acqua), conservatasi molto chiaramente baltica nella Bielorussia, si può dedurre che gli Slavi non si comportarono proprio da crudeli conquistatori, ma da ospiti; che non volevano sconvolgere la vita dei nativi, ma solo trovare un luogo migliore per vivere. Gli incontri fra i Balti e gli Slavi dalle evidenze archeologiche sono quindi abbastanza pacifici e sarà la cultura slava a fagocitare quella baltica.
Il fatto però che i Balti si ritirassero sempre più verso nord per salvare la loro identità, lungo le rive del loro mare, ci suggerisce che la cultura materiale portata dagli Slavi Orientali fu sentita comunque estranea e nemica, benché superiore, e che ci furono Balti refrattari “al progresso agricolo”, preferendo la vita grama nelle loro foreste piuttosto che “slavizzarsi” e zappare la terra !

Se dall’ovest arrivano gli Slavi contadini, dal nord estremo e dal sudest giungono i finni, cacciatori e raccoglitori anch’essi, e infine dal nordovest, ma solo in gruppi sparuti, arrivano per ultimi i Variaghi scandinavi.
Per gli Slavi contadini la migrazione verso nordest porta a condizioni climatiche peggiori della zona di provenienza e quindi non può proseguire oltre certi latitudini e perciò il limite dei loro spostamenti si trova dove è possibile ancora coltivare il fieno o la segala. Oltre non vanno !
Giustamente lo storico Solovjov vede un confine ultimo fra l’insediamento slavo e l’insediamento balto-finnico nella zona nord della Terra Russa a Novgorod, fra la Scelon’ e la Lovat’: al di qua dei due fiumi la terra è più alta e meglio coltivabile, al di là è più bassa e più acquitrinosa. Questo dunque pone un limite alla migrazione slava a nord. Nella zona intorno a Kiev invece la terra è molto più fertile (la cosiddetta terra nera o cernozjom) ed il clima più moderato, per cui il confine agricolo della migrazione meridionale è costituito solo dalle sabbie della steppa ucraina.
E’ importante conoscere queste differenze fra le due aree nord e sud perché si spiega con esse l’economia sostanzialmente diversa che toccava i contadini slavo-orientali immigrati: Quelli al nord integrano il lavoro dei campi con l’artigianato e la raccolta come già fanno i Balti e quelli del sud che possono vivere bene anche solo del lavoro dei campi !

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