rivoluzione     FRANCESE

Quel prete "rivoluzionario"


che riscoprì Voltaire

GLI ANTEFATTI:
Nel 1723 LUIGI XV  sale sul trono di Francia. 
Nel mese di dicembre muore Filippo, duca di Orleans, reggente del regno fin dal 1715 del piccolo nipote di Luigi XIV.
Nonostante la giovane età ( ha 13 anni), Luigi viene proclamato re di Francia, ponendo fine al periodo di reggenza che sotto Filippo era stato caratterizzato da un vivace clima culturale.
Inizialmente  personaggio influente a corte era il duca LUIGI ENRICO di Borbone, che però cadde in disgrazia nel 1726, subito sostituito dal Fleury che accenniamo qui sotto.
Con il regno di Luigi XV e la nomina nel 1726 del cardinale Andrè Hercule Fleury (suo ex precettore), alla carica di primo ministro, inizia in Francia un periodo di relativa pace che, oltre a far riprendere e a favorire lo sviluppo economico, senza quelle pluridecennali gravose spese di guerra care a Luigi XIV, Fleury attuando un risanamento monetario permise  il ristabilimento delle finanze dello Stato fino al pareggio. Il ministro Fleury, abile anche in diplomazia durerà fino al 1743, anno della sua morte. 
Luigi XV non lo rimpiazzò, assunse lui direttamente il potere. Che però -indolente com'era- fu molto influenzato da amicizie ambigue, ma soprattutto dalle "favorite" in particolare la marchesa di Pompadour, che ha però il merito di aver fatto sperperare denaro anche in prestigiose istituzioni culturali e benefiche; fu questa discussa marchesa una vera e propria protettrice degli illuministi.

E fu proprio questo sviluppo culturale ed economico di questi primi anni di regno di regno di Luigi XV, che fece emergere dentro la società francese oltre che gli interessi della emergente borghesia, le varie posizioni culturali e politiche, che non avevano più nulla in comune con il debole "mondo dorato" di Versailles.
Sulle sponde della Senna già alla morte di Luigi XIV, c'erano in piena germinazione le forze di un "mondo di idee": e c'era il Parlamento di Parigi, c'era la piccola nobiltà che appena fuori da Versailles  non contava più nulla, quella provinciale ancora meno; infine gli ecclesiastici non inseriti, pure loro erano una nullità. La monarchia assolutista restava in piedi solo perchè c'era (dentro il "palazzo") quel partito di "devoti", i dignitari di corte, e le onnipresenti dame. Sarebbe bastata una spinta per buttarla giù, o per farla trasformare imitando quella monarchia costituzionale che in Gran Bretagna stava già diventando una realtà con la camera dei Comuni, dove vi erano già rappresentati gli interessi dei ceti più importanti e vitali del Paese (commercianti, industriali, agrari) che riuscirono a tenersi fuori dai grandi conflitti europei.

C'era già in Inghilterra la Rivoluzione Liberale del 1688; una rivoluzione la cui filosofia è tracciata da John Locke nei memorandi Due trattati sul governo e nell'Epistola sulla tolleranza che sono - potremmo dire - i classici che segnano l'inizio del nostro pensiero liberale, dell'idea di tolleranza religiosa, che diventano carne e sangue della nostra civiltà moderna. Questi sono i due punti che non vanno dimenticati: la Rivoluzione inglese e il pensiero lockiano.

Ma la spinta in Francia non venne. Era troppo presto. Ci si crogiolava con orgoglio ancora in quel periodo aureo di Luigi XIV (del suo primo periodo) che aveva dato il grande prestigio alla Francia. Il suo secondo periodo, che fu piuttosto squallido, invece nessuno volle analizzarlo, criticarlo, o almeno prendere atto che camminare solo per spinta di inerzia non si andava molto lontano.

Eppure in Francia, già qualche voce tonante si levava in questi anni. Fu poi Voltaire a riscoprirla, ma oltre trent'anni dopo, nel 1762.

JEAN MESLIER - uno oscuro curato di campagna- nel suo singolare Testamento da lui scritto nel 1729, lancia l'appello più violento, forte e disperato in favore di una rivoluzione incitando il popolo ad unirsi per scuotere il giogo tirannico dei principi e dei re. 
Per questo oscuro curato di campagna "la salvezza del popolo non dipende che dal popolo stesso".

Ed era già un'epoca, in cui molte cose esigevano un demolitore: "Orbene, Voltaire venne e distrusse con le sue risa" disse in seguito Nietzsche. 
"Nominare Voltaire -aggiunse Victor Hugo alla conferenza per il centenario di V.- vuol dire caratterizzare tutto il secolo XVIII".
"L'Italia ebbe un Rinascimento, la Germania una Riforma, ma la Francia ebbe Voltaire; per il suo paese egli fu, al tempo stesso, Rinascimento e Riforma, e quasi Rivoluzione. Continuò lo scetticismo antiscettico di Montaigne e il sano umorismo grossolano di Rabelais; combattè la superstizione e la corruzione con accanimento maggiore e con migliori risultati di Lutero e di Calvino, aiutò a fabbricare l'esplosivo con il quale Mirabeau e Marat, Danton e Robespierre rovesciarono l'antico regime" (W. Durant, The Story of Philosophy, New York, 1926).

"La sorte a Voltaire  gli riservò ottantatre anni di vita, perchè egli potesse lentamente decomporre la sua era decadente; ebbe il tempo di combattere il tempo; e quando cadde, cadde vittorioso" (disse Lamartine, Brandes, 57).

Voltaire e con lui Rousseau, furono i due annunziatori di un vasto movimento di transizione dall'aristocrazia feudale al governo della classe media. Quando una classe che sale al potere è ostacolata da leggi esistenti o da retrive consuetudini, non obbedisce più a queste, ma alla ragione, non più alle leggi, ma alla natura -proprio come i desideri in lotta dell'individuo s'insinuano nel pensiero.
Così la borghesia benestante appoggiò il razionalismo di Voltaire e il naturalismo di Russeau; ed era necessario per sradicare vecchi riti e costumi, per rinnovare e rinvigorire il sentimento e il pensiero, per aprire le menti all'esperienza e alla evoluzione, prima che la grande Rivoluzione potesse scoppiare.
Non che Voltaire e Rousseau fossero essi causa della Rivoluzione; forse essi erano piuttosto, insieme con la Rivoluzione, il risultato delle forze che fermentavano e bollivano sotto la superficie politica e sociale della vita francese; erano la luce e lo splendore che accompagnavano il calore vulcanico e la conflagrazione. La filosofia è per la storia ciò che la ragione è per il desiderio; in ambedue i casi, un procedimento inconscio determina dal di sotto il pensiero cosciente che affiora.

Ma non dobbiamo rimproverare troppo al filosofo la sua tendenza a esagerare l'influenza della filosofia. Eppure lo stesso Luigi XVI disse, vedendo nella prigione del Tempio le opere di Voltaire e Rousseau. "questi due uomini hanno distrutto la Francia" (Tallentyre, 526), volendo dire la sua dinastia.
"I borboni avrebbero potuto salvarsi - disse Napoleone - se avessero letto ciò che si scriveva. L'avvento del cannone uccise il sistema feudale; l'inchiostro ucciderà l'organizzazione sociale moderna" (Bertaut, Napoleone in His Own Words, Chicago, 1916, pag.63).
Voltaire aggiunse anche questo: "Quando una nazione incomincia a pensare, è difficile fermarla" (Tallentyre, 101, cit. in The Story of Philosophy, New York, 1926).
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  Jean Meslier nei primi decenni del 1700, é quasi un simbolo delle contraddizioni ormai insanabili dell'organizzazione sociale del tempo, anche se apparteneva egli stesso al Clero, che era uno dei ceti titolari di quei privilegi feudali oggetto delle denunce dei filosofi illuministi. 
Eppure nel testamento da lui scritto nel 1729 si possono ritrovare analisi ed esortazioni che già prefigurano le parole d'ordine della Rivoluzione Francese.

"la vostra salvezza è nelle vostre mani, la vostra liberazione dipenderebbe solo da voi se riuscirete a mettervi d'accordo. Unitevi dunque uomini se siete saggi unitevi tutti se avete coraggio per liberarvi dalle vostre comuni miserie . E' da voi dalla vostra laboriosità, dal vostro lavoro che nasce l'abbondanza di beni e delle ricchezza della Terra.... E' il lavoro dell'uomo che permette di trasformare la natura creando ricchezza che il popolo deve tenere per se: teneteveli per voi e per i vostri simili (i beni prodotti), non date niente a questi superbi e fannulloni.  

"Non si vedono più ormai, fra coloro che detengono le più alte cariche dello Stato se non meschini adulatori pronti ad approvare i loro turpi disegni ad inseguirne gli ingiusti ordini e le ancor più ingiuste ordinanze. Tali sono nella nostra Francia i giudici e i magistrati del Regno...i quali sono capaci solo di giudicare le cause private e di sottoscrivere ciecamente tutte le ordinanze dei loro Re che non oserebbero contrastare
.  
Intendenti delle Province, governatori delle città, comandanti militari, ufficiali, soldati che non servono che a sostenere l'autorità del tiranno. Impiegati, controllori, gabellieri, sbirri, guardie, ufficiali giudiziari che c
ome lupi affamati mirano soltanto a divorare la preda, saccheggiando e tiranneggiando il popolo oppresso avvalendosi del nome e dell'autorità del Re".

"Potere religioso e potere politico anche quando sembrano in lotta, si trovano invece abbastanza d’accordo una volta che abbiano contratto tra di loro un’alleanza. Infatti da quel momento si difendono e si sostengono reciprocamente. La religione sostiene il governo politico, per quanto cattivo questo possa essere. A sua volta il governo politico sostiene la religione, per quanto essa possa essere vana e falsa. Da un lato i preti raccomandano, con la minaccia di maledizione e di dannazione eterna, di obbedire ai magistrati, ai principi e ai sovrani in quanto destinati da Dio a governare gli altri e, dal canto loro, i principi fanno rispettare i preti. Fanno dare loro dei buoni stipendi e delle buone rendite”. La religione come imbonitore delle coscienze in nome di “un Dio immaginario” è dunque il forte strumento di controllo politico sociale, che mantiene il potere a chi lo detiene ed offre la consolazione del cielo alle masse, che per giunta sostengono anche il peso economico di tutta questa “impostura”.


MA CHI ERA JEAN MESLIER ?

Jean Meslier (1664 - 1729), era nato a Mazerny (Champagne), avviato alla carriera ecclesiastica presso il seminario di Reims per compiacere i suoi genitori, ordinato sacerdote nel 1688, diventa parroco di Etrèpigny, un paesino ai margini delle Ardenne: qui, per quarant'anni trascorre l'oscura esistenza di curato di campagna fino a quando non riuscendo ad ottenere giustizia in una lite con un feudatario, angosciato per essere entrato nel tunnel della prepotenza,  senza alcuna uscita,  preso dalla disperazione decide di uccidersi (lasciandosi morire di fame) dopo aver scritto, in tre copie il suo testamento. 

Questo incredibile testo, materialista e ateo, comunista e rivoluzionario, è uno dei più violenti atti d'accusa contro l'Ancienne Régime e la religione cristiana (considerata il puntello della tirannide).

Voltaire, lo scoprirà nel 1762,  pubblicherà degli estratti dell'opera (tralasciando gli spunti più radicali), tuttavia rendendo immediatamente famoso questo prete rivoluzionario.

Il "canto del gallo della rivoluzione" aveva alle spalle già un precursore


 

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