Tra le salme estratte dalla foiba di Surani c’era quella della studentessa universitaria Norma Cossetto, ventiquattro anni da Santa Domenica di Visinada, figlia di Giuseppe Cossetto, ex segretario del Fascio di Santa Domenica di Visinada e nipote dell’ammiraglio Cossetto che nel 1945 firmerà una lunga testimonianza sul sacrificio della giovane catturata il 25 settembre da un gruppo di uomini che il giorno precedente avevano saccheggiato la sua abitazione.
Condotta dapprima a Visignano, fu trasferita a Parenzo e successivamente ad Antignana, dove fu violentata e torturata da diciassette esaltati ubriachi e quindi gettata nuda nella vicina foiba di Surani. Durante gli interrogatori subiti si rifiutò tenacemente di rinnegare la sua militanza fascista (suo padre Giuseppe Cossetto, proprietario terriero, era stato Commissario governativo delle Casse Rurali della Provincia e per lunghi anni Podestà oltre che segretario del Fascio di S. Domenica di Visinada e tra i massimi gerarchi del regime in Istria) e respinse pure tutte le offerte fattele di assumere mansioni direttive nel movimento partigiano. E questo, stando a quanto detto all’autore di questo saggio da un suo parente residente a Fiume, Silverio Cossetto, scatenò il furore dei violentatori.
Il padre di Norma, che poche ore prima era accorso insieme al sottotenente del genio Mario Bellini, suo parente, per chiedere la liberazione della figlia, rimase ucciso insieme all’ufficiale in un agguato, di sera, all’ingresso del paese. I loro cadaveri, come già detto, finirono nella foiba di Castellier di Visinada. Dei diciassette torturatori di Norma, sei caddero nelle mani di un manipolo di fascisti repubblichini istriani nel dicembre dello stesso anno. Costretti a passare l’ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero per vegliare la salma in decomposizione della loro vittima, tre impazzirono. All’alba, senza aver subito alcun processo, furono fucilati insieme ad altri tre a raffiche di mitra.
Finora nessuno, storiografo o no, è riuscito a stabilire neppure approssimativamente, il numero delle vittime dell’insurrezione popolare in Istria nel 1943. Si va da qualche centinaio, o "alcune centinaia", ad alcune migliaia. All’epoca della guerra le cifre variarono dai "circa 200 prigionieri fascisti" uccisi dai partigiani (relazione Zic) e dalle 349 persone finite infoibate secondo la dichiarazione dell’alto gerarca repubblichino, fino alla valutazione 450-500 vittime fornita da un rapporto dei pompieri istriani che più avanti citeremo.
Nel dopoguerra la danza delle cifre si è fatta invece sfrenata.
Lo storico Mario Pacor afferma che nelle foibe istriane finirono da 400 a 500 persone, ancorandosi così al documento dei vigili del fuoco. Si arriva poi agli "oltre 4000 italiani" deportati, dei quali "molti furono uccisi dopo procedimenti sommari e precipitati nelle Foibe" come si esprime l’Enciclopedia Treccani, la quale però si riferisce anche al periodo maggio-giugno 1945 nelle provincie di Gorizia e Trieste. In periodi a noi vicini, nel volume "Storia di un esodo" curato da C. Colummi bolognese, L. Ferrari e G. Trani goriziani, e G. Nassisi leccese, edito dall’Istituto regionale per la Storia del movimento di liberazione del Friuli Venezia Giulia (Trieste 1980) sono state denunciate: "l’assoluta mancanza di riflessione (in Italia) su ciò che rappresentò il fascismo in queste terre";
"una radicata diffidenza verso le popolazioni di ceppo slavo". Anche qui viene nuovamente scritto che gli infoibati furono "alcune centinaia", vittime di "uno scoppio improvviso di odi e di rancori a lungo repressi".
Negli anni, soprattutto nei periodi di crisi e di aspre polemiche nei rapporti italo-jugoslavi, è accaduto che, mentre da parte jugoslava veniva calata una pesante pietra tombale sulle foibe e l’argomento diveniva tabù, la destra italiana rispolverava gli antichi slogan dell’irredentismo e del fascismo contro gli "slavo-bolscevichi" istriani e riscriveva pari pari quanto la stampa fascista istriana scrisse nel 1943-1944 in occasione dell’esumazione delle salme dalle foibe e quanto i nuovi gerarchi posti dai tedeschi alla testa dei municipi scrissero nei manifesti annuncianti la commemorazione degli istriani "trucidati nel breve, infausto periodo dell’anarchia anti-italiana". Via via andarono gonfiandosi il lievito delle cifre e inasprendosi le accuse; le esagerazioni, condite anche di menzogne, furono il pane quotidiano delle polemiche. Ai giorni nostri si sono toccati livelli incredibili.
Così oggi, fonti della sinistra concedono che "furono circa 2.100 le persone (militari e civili) eliminate, la maggior parte senza un processo regolare", comprendendo nella cifra sia le vittime del settembre-ottobre ‘43 in Istria sia quelle del maggio-giugno 1945 a Trieste e Gorizia, mentre la parte politica opposta è arrivata alla cifra "esatta" di 16.500! È quella che si legge nell’"Albo d’oro dei caduti della Venezia Giulia e Dalmazia" nella seconda guerra mondiale, curata da Luigi Papo de Montona, presentata il 28 agosto 1996 nella sede dell’Unione degli Istriani a Trieste. La cifra dei sedicimila e passa si riferirebbe alle "vittime militari e civili, della repressione slavo-comunista tra l’8 settembre ‘43 e il dopoguerra".
Il dato, come ammette lo stesso curatore è basato in buona parte su " stime approssimative e non sui cadaveri rinvenuti". Le salme esumate in Istria, Venezia Giulia e Dalmazia nell’intero periodo indicato furono 994. Il Papo vi ha aggiunto "altre 326 vittime accertate, 5.643 vittime presunte e 3.174 vittime nei campi di concentramento". La somma di 10.317 ottenuta viene ancora "arrotondata" con l’aggiunta di altri 6.363 dispersi! E questi, a differenza dei dispersi che si hanno in tutte le guerre, in Istria e Venezia Giulia diventano ipso facto vittime delle foibe secondo il curatore di quell’Albo che scrive: "Ma sono ben 37 le foibe, le fosse e le cave di bauxite per le quali non è stato possibile alcun accertamento", quindi si dà per scontato che "anche lì furono compiuti altri massacri" sicché "non possiamo che confermare che le vittime militari e civili per mano slavo-comunista furono non meno di 16.000".
Di fronte alle esagerazioni ed alle strumentalizzazioni della destra, come si è comportata la storiografia italiana di sinistra? Per quella italiana legata al movimento resistenziale jugoslavo è stato più facile ammettere a più riprese, che anche i partigiani titini commisero "errori" e crimini, in gran parte giustificandoli. E sono state presentate giustificazioni abbastanza accettabili. Di gran lunga più accettabili di quelle che, per lunghi anni, sono venute da parte croata e slovena, direttamente coinvolta e fin troppo criminalizzata, perciò costretta su posizioni di rabbiosa difesa. Emblematica è una circolare diramata il 29 agosto 1944 dalla Sezione italiana del Comitato regionale del Partito comunista della Croazia, nella quale si davano direttive per la celebrazione dell’insurrezione popolare istriana. Nell’occasione fu toccato anche il problema delle foibe e il modo per controbattere la propaganda nemica che da un anno sfruttava l’argomento. Dopo aver minimizzato le stragi e respinto con sdegno l’accusa della propaganda reazionaria secondo cui sul finire dell’estate ‘43 si sarebbe tentato " di distruggere gli italiani dell’Istria", la circolare recitava: "Noi sappiamo benissimo che nelle foibe finirono non solo gli sfruttatori e assassini fascisti italiani ma anche i traditori del popolo croato, i fascisti ustascia e i degenerati cetnici. Le foibe non furono che l’espressione dell’odio popolare compresso in decenni di oppressione e di sfruttamento, che esplose con la caratteristica violenza delle insurrezioni popolari ".
Uno storico triestino della Resistenza, Galliano Fogar, va giù duro scrivendo di "violenze di alcuni esponenti partigiani slavi che suscitano il terrore" nell’Istria del settembre 1943. I massacri delle foibe, "dopo sommari processi, hanno il carattere di rappresaglia brutale". "Nazionalismo e socialismo diventano sinonimi della guerra al nemico".
"Uno degli obiettivi che alcuni esponenti slavi vogliono conseguire il più presto possibile, è la distruzione della classe dirigente istriana, quasi tutta italiana". La "responsabilità delle violenze e delle uccisioni indiscriminate ricade generalmente sulla volontà, sulla tolleranza e sulla complicità di singoli dirigenti politici e militari, talora improvvisati, che lungi dal comportarsi come soldati pionieri di libertà e di giustizia, furono apportatori di persecuzioni".
Tra le vittime ci furono operai, contadini, piccoli funzionari, insieme a gerarchi e manganellatori; quindi scriverà Cesare Vetter "gli infoibamenti furono soprattutto l’esito violento della rivolta contadina contro fascisti e italiani vissuti come padroni" e "furono certamente atti irrazionali e crudeli". Perfino P. Flaminio Rocchi, che nel suo libro raccoglie il fior fiore della violenza verbale dei cronisti e storiografi fascisti contro i partigiani, e scrive dalla sponda della diaspora istriana antislava, finisce per concludere le sue considerazioni col dire che "si tratta di episodi locali, causati spesso da bande incontrollate" che crearono comunque in Istria un’atmosfera di incubo. E non soltanto fra gli italiani. Tra i documenti da noi consultati c’è un rapporto del 41º Corpo dei Vigili del Fuoco di Pola comandato durante la seconda guerra mondiale dal maresciallo Arnoldo Harzarich, impegnato per diversi mesi, come già accennato, nell’esplorazione delle foibe e nel recupero delle salme.
Intanto va precisato che l’Harzarich, dopo aver abbandonato Pola verso la fine di aprile del 1945, nel momento in cui le truppe jugoslave dilagate in Istria avanzavano verso la città dell’Arena, raggiunse Trieste e successivamente il territorio amministrato dal Governo Militare Alleato in Italia. Tornò a Pola quando la città fu ceduta provvisoriamente agli alleati (giugno 1945-estate 1947), ed ai funzionari del Governo Militare Alleato rilasciò una lunga testimonianza su tutte le operazioni di recupero delle salme dalle foibe compiute dal suo reparto. Quella testimonianza – "Relazione di un sottufficiale dei VV.FF. del 41° Corpo di stanza a Pola" fu stilata dall’Ufficio "J" del Gma in data 12 luglio 1945 (si trova negli archivi dell’Istituto per la storia del Movimento di liberazione del Friuli Venezia Giulia a Trieste) e risente fortemente del clima dominante nel periodo in cui fu dettata, contrassegnata da accesi scontri politici fra filotitini e loro avversari, un clima nel quale, per esigenze propagandistiche, furono rispolverati anche gli eccidi delle foibe.
Nella sua relazione, peraltro "tecnicamente" corretta, Harzarich si servì anche dei documenti di provenienza fascista dello autunno 1943, epoca in cui le esplorazioni delle foibe furono fortemente pubblicizzate dalla radio e dalla stampa nazifascista anche per giustificare i massacri delle SS nella penisola e per sviare l’attenzione da quei sanguinosi rastrellamenti. Il rapporto di Harzarich menziona pressoché tutte le foibe esplorate da Vines, Terli, Castellier, Gimino, Surani, Cregli, Carnizza alle altre. Alcune risultarono vuote, in altri casi furono trovati i resti mortali di persone scomparse o arrestate dagli insorti nel settembre-ottobre 1943 ma anche carcasse di animali. Complessivamente furono estratte 203 salme, delle quali 121 identificate. Sempre secondo quel documento, tuttavia, le vittime istriane della rivolta popolare erano da calcolare a "non meno di 460 e non più di 500".
Queste cifre, spiegava il testimone, si ottenevano sommando agli infoibati le persone date come disperse nelle varie località istriane, 19 civili fucilati e gettati in mare nei pressi di Santa Marina di Albona e un numero approssimativo di corpi che non avevano potuto essere recuperati dalle cavità carsiche in quanto in alcune di esse, le più profonde, era stato impossibile raggiungere tutte le salme per insormontabili difficoltà tecniche. Il recupero fu parziale per le foibe di Cregli, di Barbana (Carnizza), di Semi (Semici) e di Castel Lupogliano. Più volte, a proposito di foibe, è stata posta la domanda se le condanne a morte seguite da fucilazioni e infoibamento di cadaveri o in altro modo barbaro – scaturirono da processi o no.
Fornirò in proposito le risposte date da due storici fiumani, l’italiano Luciano Giuricin e il croato Antun Giron, gli unici che, insieme al sottoscritto, hanno finora affrontato l’argomento in Croazia. Raccolsi e pubblicai le loro dichiarazioni sul tema nel già citato testo "Cadaveri scomodi". Antun Giron ricorda che il Governo partigiano, ovvero "il Consiglio antifascista di liberazione della Croazia (Zavnoh) raccomandava nelle sue direttive la celebrazione dei processi", che però non sempre avvenivano perché in quella guerra guerrigliata "con il nemico alle spalle, si aveva il fiato corto e si ricorreva a soluzioni rapide".
Consultando i pochissimi documenti finora disponibili in Croazia ci si rende conto - è sempre Giron a dirlo - che "non veniva applicata una procedura univoca" a carico delle persone catturate, facendo capire che molte di esse venivano liquidate sol perché un commissario o chi per lui troppo "rivoluzionario" e poco scrupoloso decideva che bisognava liquidarle e basta.
E questa è una delle ragioni per cui "si stenta a fornire interpretazioni di quei tristi fatti". Dice ancora Giron: "Bisognerebbe scavare nei documenti e nei resoconti dei servizi informativi che per conto dello Zavnoh operavano durante la resistenza". Documenti tuttora inaccessibili. A sua volta Giuricin, percorrendo anche sentieri interpretativi indicati già nel corso della Resistenza, spiega:
"Le violenze del 1943 in Istria esplodono sull’onda di un’insurrezione popolare per molti aspetti spontanea, densa di entusiasmo patriottico nazionale e di riscatto sociale, che assume risvolti di una tipica rivolta contadina per le masse croate, ma anche proletaria nelle zone minerarie, industriali e cittadine dove prevale l’elemento italiano, contro l’odiato stato fascista appena crollato e come risposta alla ventennale politica di sopraffazione e snaturalizzazione. La resa dei conti, considerata necessaria da tempo da tutti i partiti antifascisti italiani in esilio e in particolare dal Movimento popolare di liberazione, si fa subito sentire con i primi arresti, anche indiscriminati, avvenuti in quasi ogni località dell’Istria sotto la pressione dei rivoltosi e di non pochi elementi estremisti e facinorosi, approfittando del vuoto di potere e del caos venutosi a creare quasi dappertutto".
Ricorda che nella sua Rovigno un gruppo di estremisti di sinistra si autodeterminò "Guardie della Rivoluzione", costituendo una specie di corpo di polizia denominato "Ceka" sull’esempio della polizia segreta bolscevica creata durante la rivoluzione d’ottobre in Russia: "I massimi esponenti del comitato partigiano rovignese, con Pino Budicin e Giusto Massarotto in testa, ebbero un bel da fare per neutralizzare l’azione di questi avventurieri e far sì che gli arresti fossero limitati ai soli fascisti responsabili di precise colpe durante il ventennio".
Le persone arrestate a Rovigno, stando sempre alla testimonianza di Giuricin, che all’epoca era un giovanissimo partigiano ed agiva sul posto, "dopo attento vaglio furono inviate a Gimino e quindi a Pisino dove dovevano essere raggruppate a quelle provenienti da tutta l’Istria e giudicate da appositi tribunali popolari". Un tanto era stato concordato e garantito in precedenza sulla base delle disposizioni dello Zavnoh e delle raccomandazioni del Cpl regionale istriano del 13 settembre, secondo le quali la punizione dei criminali fascisti doveva essere decisa mediante regolari processi, "impedendo giustizie arbitrarie e vendette personali". Queste direttive "furono eseguite solo in parte" a causa della rapida e sconvolgente avanzata delle truppe motorizzate tedesche che tutto travolgono davanti a sé, seminando la morte e distruzioni, con barbari eccidi, incendi, fucilazioni in massa di inermi cittadini nella seconda metà di ottobre.
In questo momento di panico generale, con le unità partigiane appena costituite, allo sfascio e disperse, alcuni comandanti di reparti minori decidono di "liberarsi dal peso dei prigionieri", e vengono compiuti quelli che Giuricin definisce giustamente "gli orrendi misfatti delle foibe da parte dei carcerieri e degli uomini senza scrupolo incaricati di eliminarli al più presto senza lasciare traccia".
Sull’argomento esiste una relazione testimonianza dell’allora capitano del Poc (Partizanski obavjestajni centar), il Servizio informativo partigiano, Zvonko Babic che, per incarico del Comando del Litorale croato e dell’Istria compì un giro di ispezione nella penisola subito dopo l’offensiva nazista. Nel suo rapporto, datato 6 novembre 1943, egli scrisse che "la lotta contro i nemici del popolo" era stata condotta in maniera "radicale" in certe zone, in altre fiaccamente, evidenziando però anche "deviazioni". Così in certe località erano stati gli stessi comandi partigiani ad impedire le esecuzioni, al punto da inviare informazioni che affermavano l’avvenuta liquidazione dei condannati, cosa che non rispondeva al vero; là dove le liquidazioni erano veramente avvenute, non tutti gli arrestati erano finiti nelle foibe, ma erano stati liberati dalle truppe germaniche oppure erano rimasti uccisi sotto i bombardamenti tedeschi.
Risultò ancora che gli incaricati diretti della cattura dei fascisti non conoscevano affatto i veri "nemici del popolo", e mancavano dati precisi sulla loro colpevolezza. Le zone meglio "ripulite", sempre secondo la relazione Babic, risultarono quelle di Gimino e l’agro Parentino. Il Babic sottolineò pure che tra gli arrestati figurava un sacerdote che era stato rimesso in libertà dopo l’intervento diretto del vescovo di Parenzo e Pola, monsignor Raffaele Radossi. Secondo Giron, è da escludere che il movente di una parte degli arresti e delle liquidazioni di "nemici del popolo" sia stato l’odio nazionale, ovvero il sentimento anti-italiano di certi capi partigiani croati. Su questa base, non ci sarebbero state vendette. Sta il fatto, però, che nel settembre 1943, di fronte alle violenze compiute dagli insorti si diffuse una grande paura fra larghi strati della popolazione di etnia italiana in Istria, come viene rilevato anche dalla relazione del dott. Oleg Mandic, nativo di Abbazia presso Fiume, esponente dello Zavnoh, inviato nel 1944 in Istria dal governo partigiano della Croazia.
Ancora in quell’anno egli scrisse "una certa dose di timore gli italiani l’avevano al ricordo del giudizio sommario a cui i partigiani sottoponevano i fascisti e di cui queste popolazioni sono state testimoni involontari". Qui si parla di fascisti, nel rapporto del Babic di "nemici del popolo".
Nessuno dei due scrive a chiare lettere che, purtroppo, finirono uccisi anche degli innocenti, vittime di basse vendette personali, e tuttavia la relazione Babic lo fa capire. In essa si afferma che da una foiba furono estratte, fra le altre, le salme di tre giovani sorelle fra i diciassette e i ventun anni, una delle quali incinta, insieme al cadavere di un ragazzo diciottenne trucidato insieme al padre. Il riferimento è alla foiba di Lindaro. Tra gli infoibati di Albona troviamo Giacomo Macillis, noto per essere stato uno degli esponenti della rivolta antifascista dei minatori del bacino carbonifero di Arsia nel marzo-aprile1921. Più tardi verrà liquidato pure Lelio Zustovich, massimo dirigente dell’organizzazione albonese del Partito comunista italiano sin dalla sua costituzione, "colpevole" per essere venuto in contrasto con gli esponenti del Partito comunista croato e da essi, perciò considerato un ostacolo allo sviluppo della "linea" del Movimento popolare di liberazione in Istria.
Abbiamo già detto che i drammatici episodi delle foibe furono reclamizzati con descrizioni a tutta pagina dai giornali fascisti che seguirono giorno dopo giorno le esplorazioni delle voragini carsiche compiute dai vigili del fuoco, cercando di attizzare l’odio antipartigiano e di mobilitare nuove reclute nelle sparute file repubblichine al fianco dei nazisti.
Non mancarono tuttavia preoccupazioni e denunce in seno allo stesso Movimento di liberazione. Nella prima conferenza dei comunisti istriani svoltasi a Brgudac nel novembre 1943; presenti 500 delegati, il massimo esponente italiano del Mpl istriano e membro dello Zavnoh, Pino Budicin, rivolse una dura critica ai dirigenti del Partito comunista croato per i selvaggi infoibamenti e, come si esprime Giuricin, per "alcuni altri incresciosi incidenti di stampo nazionalista", anti-italiano, registrati durante l’insurrezione istriana. Quegli "incresciosi incidenti" stavano causando "un certo disorientamento tra l’elemento italiano dell’Istria", sostenne Budicin, "e non pochi danni al Movimento di liberazione stesso".
Alle critiche di Budicin fu risposto che non era quello il momento di spargersi la cenere sul capo e di dare la caccia a quei partigiani che si erano macchiati di colpe. Bisognava invece salvaguardare l’unità del movimento resistenziale, senza sacrificare nessun attivista e dedicare tutti gli sforzi unicamente alla lotta contro i nazisti e i loro collaborazionisti impegnati nell’operazione delle Divisioni SS "Prinz Eugen" e "Leibstandarte Hitler", unità queste che stavano mettendo a fuoco l’Istria intera devastando, incendiando, saccheggiando, massacrando e deportando.
Sul caso delle foibe prese la parola in quell’occasione anche Antonio Vincenzo Gigante detto Ugo, brindisino, già membro del Cc del Pci, riparato in Istria dopo essere fuggito da un campo di internamento insieme ad alcuni croati. Pur condividendo le tesi del compagno connazionale istriano, "Ugo" concluse: "Lasciamo stare, ora è il momento di battere i tedeschi!". Uno dei punti all’ordine del giorno della consultazione era, infatti, la "mobilitazione degli italiani nel Movimento popolare di liberazione". Pochi mesi dopo, l’8 febbraio 1944, Giuseppe Budicin -Pino ed Augusto Ferri detto il Bolognese, anche questi alto dirigente della Resistenza istriana, ex ufficiale dell’Esercito italiano di occupazione in Croazia, caddero in mano ai fascisti repubblichini per la spiata di un collaborazionista croato in camicia nera, subirono inenarrabili torture dai fascisti rovignesi e sotto le torture morirono. Qualche mese dopo, nel luglio 1944, l’argomento foibe fu sollevato anche dal Clnai, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, presso il quale era accreditato in rappresentanza dell’Esercito popolare di Liberazione jugoslavo lo sloveno Anton Vratusa-Urban.
Inviando al Clnai una relazione di risposta sull’argomento "Urban" parlò di "singole irregolarità" verificatesi nei giorni di settembre 1943 in Istria, definendole "fenomeni marginali dovuti in maggioranza a singoli elementi locali irresponsabili, infiltratisi nel nostro movimento". Relazione reticente; è chiaro. Ma gli infiltrati certamente ci furono in Istria e altrove. Gli infoibamenti, tuttavia, non furono semplici "irregolarità". Riscrivo qui il breve racconto apparso sul quotidiano "La Voce del Popolo" di Fiume il 26 luglio 1990, a firma di "lama" (Laura Marchig) sotto il titolo: Storia di Libera e di suo padre:
"Nella memoria della gente della valle di Cepic è rimasta la figura di Libera Sestan, una giovane donna di Novako, un paese del comune di Pisino. Era nata nel 1919 e all’epoca aveva 24 anni. Libera era bellissima e, raccontano, aveva un animo dolce e sensibile. La sua era una famiglia benestante che certo suscitava l’invidia di molti. Si era sposata con un ufficiale dei carabinieri e aveva due figlie piccole. Era solita recarsi molto spesso a Pisino, per fare compere o concludere qualche affare, abitudine che gli abitanti delle campagne attorno alla cittadina hanno mantenuto anche oggi. Questo però fu sufficiente e pretesto a un suo parente, Veljko Sestan, partigiano, per dichiararla spia e nemica del popolo. Andò a prelevarla a casa, con un manipolo di suoi collaboratori, trascinando via con lei anche il padre. Dicono che li pregasse in ginocchio di permetterle di rivedere per un’ultima volta le sue piccine, ma le fu negato. Prima di gettarla viva, insieme al padre, nella foiba di Chersano, la malmenarono e le bruciarono i capelli. Il delitto non restò impunito. Un altro suo cugino, Ervin Sestan, che le era molto affezionato, impazzì quasi dal dolore. Subito dopo quei fatti, si unì per vendetta e per disperazione all’esercito tedesco. Dopo qualche tempo arrivò insieme ai tedeschi a prendere Veljko in casa. Veljko appena li vide tentò di scappare scavalcando la finestra sul retro e correndo via per i campi, ma Ervin sparando con una pistola dalla finestra riuscì a colpirlo alla testa e ad ucciderlo".
I nomi di alcuni feroci massacratori spacciatisi per partigiani a quell’epoca corrono ancora oggi sulla bocca degli istriani rimasti in Croazia. Il primo che raccolgo è quello dell’albonese Mate Stemberga, nato a San Bartolo. Si dice che sia stato lui a infoibare personalmente un avvocato di Albona, Pietro Milevoj (classe 1897), militante del partito fascista. Nell’intervista concessa alla giornalista de "La Voce del Popolo" Laura Marchig all’inizio di agosto 1990, una donna anziana di Vines così si espresse sullo Stemberga:
"No ghe mancava niente, el gaveva l’America a Vines. La sua era una famiglia molto ricca, erano possidenti, ma lui, non so perché, odiava i benestanti, i borghesi in genere, odiava tutti, e divenne il carnefice del movimento partigiano. Dicono che sia stato Stemberga il primo a gettare la gente nelle foibe. Ma mica solo nelle foibe: in mare, nelle grotte d’acqua salata vicino a Fianona. Ammazzava la propria gente. Fu lui, a capo di uno squadrone della morte, a raccogliere per le case di Albona parecchie decine di italiani, scelti fra quelli che egli conosceva, tra quelli che appartenevano alla piccola borghesia albonese. Diceva che questi, una volta arrivati i tedeschi, avrebbero potuto collaborare con loro. Li vennero a prendere di notte, li legarono insieme con del filo di ferro e li caricarono su una barca, poi li trasportarono al largo. Lì, a ognuno un colpo in testa e, via, in mare. Mate Stemberga era un criminale, ne ha accoppati tanti, ma tanti! Ha rovinato anche la mia famiglia".
"Per rappresaglia, quando vennero, i tedeschi ammazzarono la sua donna che era incinta. Suo fratello Tommaso morì anche lui, nelle carceri di Pola. Un altro fratello, Ive, e Katica moglie di Ive, finirono a Dachau. La madre invece rimase a Pola, come ostaggio, in prigione, fino a quando non acciuffarono il figlio e lo uccisero. L’unica ad essere stata risparmiata della famiglia Stemberga fu la cognata, moglie di Tommaso, che era incinta. Mate Stemberga morì come un cane. Lo presero mentre si nascondeva in una casa di Carbune dalle parti di Cepich. Si era infilato nel camino, ma gli videro i piedi che penzolavano e spararono".
La donna che ha fatto questo racconto ha voluto mantenere l’anonimato, ma ha aggiunto, tra i criminali infiltratisi nelle file partigiane, anche il suo ex marito, Mate Skopac, all’epoca Matteo Scopazzi.
"Lui stesso raccontò un giorno a mio nipote Rino di non sapere quanti ne aveva buttati in foiba. L’unico suo cruccio era di non essere riuscito ad ammazzare anche me, sua ex moglie... Tanti misfatti sono stati compiuti per odio, per vendetta. L’episodio più brutto che ricordo è lo sterminio della famiglia Faraguna, composta da cinque persone, di cui una bambina di pochi mesi. I Faraguna, detti Bembici, furono ammazzati dai Kos, una famiglia di Ripenda, un villaggio vicino. La solita apparente lotta fra comunisti e non comunisti, ma il motivo vero era l’invidia e l’odio. Accusarono i Faraguna di avere un tedesco in casa, il Paris, secondo marito della figlia. Li catturarono e li portarono a Smokvica, dalle parti di Fianona. Là li uccisero e gettarono i cadaveri nelle caverne con acqua salata che ci sono da quelle parti. A perdere la vita furono padre, madre, la loro figlia e il secondo marito di questa, La bambina invece l’ammazzarono più tardi, il corpicino fu trovato a parecchi chilometri di distanza".
Il racconto dell’anonima torna sull’ex marito, lo Skopac-Scopazzi, al quale la donna imputa pure l’assassinio di una certa Emma di Fianona, sposata con un italiano di Napoli che era sospettato di collaborare con i tedeschi. "Mario li andò a prendere con un camion, ve li caricò e li portò via. Spariti". Anche lo storico Luciano Giuricin ha fatto i nomi di alcuni "criminali infiltrati nel movimento partigiano", fra questi Mate Stemberga, "un vero e proprio sadico assassino", ed il rovignese Gregorio Budicin detto Trigambe "degno compare del primo" ed altri avventurieri che a guerra finita, scoperti, pagheranno il fio dei loro nefandi misfatti. Ciò detto, "non possono essere sottaciute - afferma Giuricin - le responsabilità di non pochi tra i massimi esponenti del Mpl di allora, effettivi mandanti" dei massacri.
L’esule istriano Gaetano La Perna, da molti anni collaboratore dei giornali della diaspora istriana ed autore del già citato libro "Pola Istria Fiume 1943-1945" (La lenta agonia di un lembo di terra) amplia il ventaglio dei nomi di cosiddetti malfattori e di responsabili. Secondo lui i principali "inquisitori, accusatori, giudici, carnefici, aguzzini e sicari che si resero tristemente famosi in tutta l’Istria per la loro azione" di liquidazione degli avversari furono: Ivan Motika, "il principale giudice del Tribunale del popolo di Pisino"; un non meglio identificato Beletich detto "Drago"; una lattivendola dei dintorni di Pisino di nome Tonka Antonia Surian.
E ancora: l’ex sergente dell’esercito italiano e già studente universitario a Padova, Ciro Raner con le sorelle Nada, Vanda e Lea; il rovignese Giusto Massarotto; il gobbetto Ivan Kolic detto il "terrore di Barbana" e Rade Poropat, barbanese pure lui; il maestro elementare Joakim Rakovac di Racozzi; i fratelli Silvio e Antonio Bencich di Sanvincenti (il primo sarà ucciso in un’imboscata da un tenente dei carabinieri); il capo della polizia partigiana dell’Istria centrale Giovanni Maretich e il suo collaboratore Benito Turcinovich (che sarà uno dei primi comandanti del battaglione partigiano italiano "Budicin") e l’immancabile Matteo Stemberga, "contrabbandiere molto noto nella zona" di Albona che "verrà ucciso per vendetta dal fascista Francesco Mizzan di Pisino la sera del 6 novembre 1943 a Villa Carbune in Valle di Pedena".
Dai documenti e testimonianze finora raccolti risulta: tra i giustiziati nell’insurrezione istriana ci furono anche non pochi innocenti, vittime di odi, rancori e vendette personali, ma nella loro maggioranza gli arrestati, sommariamente processati, giustiziati e gettati nelle foibe, lo furono non perché fossero italiani (alcuni certamente anche per questo semplice fatto) ma per aver commesso violenze e soprusi durante il ventennio – chi semina vento raccoglie tempesta – o per essersi macchiati di collaborazionismo e di spionaggio a favore degli invasori tedeschi all’inizio dell’insurrezione; fra i giustiziati vi furono numerosi croati; fra i "giustizieri" di italiani, fascisti e no, vi furono anche degli italiani.
I documenti e le testimonianze dimostrano ancora, senza ombra di dubbio, che i massimi organismi del movimento partigiano croato, a cominciare dallo Zavnoh, e gli stessi capi dell’insurrezione istriana sin dall’inizio diedero chiare direttive sul comportamento da tenere in Istria verso gli Italiani: evitare persecuzioni, non fargli alcun male. Poi, tra il dire e il fare... ci si misero i delinquenti infiltrati. Altrettanto abbondantemente dimostrato è il fatto che le pubblicazioni sulle foibe e gli elenchi dei cosiddetti infoibati e giustiziati di provenienza nazionalistica e neo e/o post-fascista italiana contengono inesattezze, esagerazioni e perfino falsificazioni; in altre parole, evidenziano la strumentalizzazione di cui è stato e continua ad essere oggetto oggi quel drammatico periodo della storia istriana. La strumentalizzazione, favorita dal lungo silenzio dell’altra parte, ha inevitabilmente fatto delle foibe il monumento alla divisione, al razzismo, all’intolleranza documenti e le testimonianze, esibiti dalla parte croata negli ultimissimi anni, anche se parziali, dimostrano d’altra parte che il problema delle foibe non è una mostruosa montatura dei fascisti, ma una reale, dolorosissima ferita ancora aperta (sulla quale i fascisti hanno speculato e speculano), un problema che merita la massima attenzione, studio, giudizi equilibrati, anche se non si possono mettere sullo stesso piano coloro che per decenni praticarono la violenza e infine la scatenarono, e quanti a quella violenza reagirono, talvolta con ferocia , nel momento storico della svolta.
È inaccettabile la tesi di coloro i quali mettono sullo stesso piano l’eccidio compiuto dai tedeschi alle Fosse Ardeatine di Roma e le vittime dell’insurrezione istriana di settembre.
Nel primo caso furono trucidati degli ostaggi chiaramente innocenti, estranei al fatto bellico per il quale furono massacrati. Nel caso dell’Istria furono per lo più arrestati, e poi giustiziati nelle circostanze dell’offensiva nazista, quei gerarchi, funzionari ed altre persone che, nell’imminenza della prevista calata dei tedeschi nella penisola istriana, sarebbero certamente passati al nemico, avrebbero collaborato (come molti, infatti, collaborarono) all’azione di sanguinosa repressione e di sterminio delle colonne d’invasione.
Va pure detto, infine, che – considerate nel contesto globale delle tragedie legate alla seconda guerra mondiale - le foibe istriane "hanno un peso marginale", a dirla con le parole dello storico triestino Giovanni Miccoli in una conferenza tenuta il 24 settembre 1996 a Opicina. Certo, valutato nel ristretto ambito dell’area istro-giuliana il fenomeno diventa una tragedia di ben altra portata. Tuttavia condivido il parere di Miccoli:
"E' necessario ridimensionare questo terribile capitolo storico" sul quale si è fatta "tantissima confusione".
Una confusione favorita da quel silenzio mantenuto per oltre mezzo secolo dalle autorità dell’ex Jugoslavia e dalla chiusura pressoché totale degli archivi dei servizi segreti che operarono durante la guerra. Appena in questi ultimissimi anni anche nelle repubbliche di Slovenia e Croazia hanno cominciato a tirare fuori gli scheletri dagli armadi. Presso l’Istituto per la storia croata (Institut za hrvatsku povijest) di Zagabria è in corso di realizzazione da circa un anno un progetto di ricerche dal titolo "Vittime della seconda guerra mondiale". Le ricerche, il cui coordinamento è stato affidato allo storico Mihael Sobolevski di Fiume, riguarda le vittime del nazifascismo e del comunismo, comprese le vittime istriane delle foibe.
Vogliamo sperare che, tenendo pur conto dei non pochi misfatti compiuti ai danni dei croati e sloveni istriani prima e durante la guerra, tenendo conto ancora del caos provocato dall’armistizio italiano e dalla insurrezione istriana nel quale non sempre fu possibile separare i colpevoli dagli innocenti, sia tuttavia fatta piena luce, tenendo pur conto dei non pochi misfatti compiuti ai danni dei croati e sloveni istriani prima e durante la guerra, tenendo conto ancora del caos provocato dall’armistizio italiano e dall’insurrezione istriana nel quale non sempre fu possibile separare i colpevoli dagli innocenti, sia tuttavia fatta piena luce.
Il mio vuol essere un modestissimo contributo agli sforzi tendenti a scoprire la verità, per amara che sia, superando ogni sorta di omissioni e reticenze, ogni specie di tabù, pregiudizi, preconcetti e velleità di strumentalizzazione dall’una e dall’altra parte del confine, dando così inizio a un esame sereno e rigoroso del caso foibe, disegnandone l’esatta dimensione storica.
Si smetta di dire, da una parte e dall’altra, che le vittime innocenti, pulite e rispettabili stanno tutte dalla propria parte, e si operi da parte di tutti come già auspicato nel dicembre 1989 alla tavola rotonda di Capodistria per eliminare le condizioni che alimentano la violenza e tutti i fattori che di essa si servono.prof. Gian Luigi FALABRINO
docente di storia della comunicazione visiva al Politecnico di Torino
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
* Rossa una stella, di
Giacomo Scotti e Luciano Giuricin - Rovigno 1975
* Confine orientale. Questione nazionale e resistenza nel Friuli-Venezia Giulia,
di Mario Pacor, - Milano 1964
* Sotto l'occupazione nazista nelle provincie orientali, di Galliano Fogar -
Del Bianco editore, Udine 1968
* Dall'Irredentismo alla Resistenza nelle provincie adriatiche, di Gabriele
Clocchiatti - Udine 1966
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Intervista a Vincenzo Maria De Luca
Scritto da GIOVANNA CANZANO
lunedì 12 febbraio 2007
Giovanna Canzano intervista VINCENZO MARIA DE LUCA, storico romano che da alcuni anni si dedica allo studio di quei tragici avvenimenti che furono le foibe, l'esodo e le mutilazioni territoriali successive al secondo conflitto mondiale.
De Luca – che alterna alla sua attività di medico quella di ricercatore storico, soggiornando periodicamente a Trieste, Gorizia e in Slovenia, dove raccoglie in prima persona documentazioni e testimonianze direttamente dai protagonisti, indipendentemente dalla loro nazionalità e fede politica – è socio della Società di studi Fiumani di Roma, della Unione degli Istriani, libera provincia dell'Istria in esilio, dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. E' membro del Comitato scientifico del Centro Studi e Ricerche Storiche "Silentes Loquimur" di Pordenone. Per la casa editrice 'Il Settimo Sigillo' ha pubblicato: FOIBE, Una tragedia annunciata.
CANZANO. La Repubblica Italiana ha riconosciuto il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo”, (legge n. 92 del 30 marzo 2004) al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
Tu, da storico e autore di alcuni libri sulle foibe, come pensi che si debba ricordare?
DE LUCA. Partendo dalla scuola, inanzitutto. Con libri di testo finalmente non più politicamente orientati a sinistra ed asserviti al mito obsoleto dell'"Epopea della Resistenza" ma culturalmente tesi a mettere in luce quanto di positivo e di negativo avvenne negli opposti schieramenti di una Italia in ginocchio, dopo l'8 settembre 1943, immersa in una guerra civile fratricida combattuta non più e non solo da fascisti contro anti-fascisti, bensì da democratici ed anticomunisti da una parte, ed i fautori dell'espansionismo stalinista nell'Europa occidentale dall'altra.
CANZANO. Quest'anno saranno trascorsi 60 anni da quegli avvenimenti, tu pensi che tutta la verità è stata raccontata?
DE LUCA. Assolutamente no. Su "Libero" del 4 febbraio scorso, il regista Renzo Martinelli, autore del film "Porzus" sui crimini commessi dai partigiani comunisti italiani della brigata "Garibaldi Natisone" contro altri partigiani di formazione cattolica della "Osoppo", nel febbraio 1945, lamenta il fatto, deprecabile, che la Rai, che detiene i diritti di questo film-verità fin dal 1997, non lo abbia mai voluto mandare in onda. Viviamo un tempo in cui quando si parla di "memoria", si pensa solo all'"Olocausto" nazista degli ebrei. Purtroppo ci sono stati anche olocausti di stampo comunista sui quali si è preferito sempre tacere in ossequio al principio che la Storia è sempre scritta ad uso e consumo dei vincitori e che i vinti hanno sempre torto: <... nulla può sembrare brutto a coloro che vincono...> (W. Shakespeare; Enrico IV).
CANZANO. Il nostro attuale governo di centro-sinistra, che ha appoggiato in passato l'operato dei governi sovietici-comunisti, parteciperà con le proprie istituzioni alle varie iniziative per il giorno del ricordo?
DE LUCA. Sono in programma numerose iniziative a livello istituzionale; tutto è però circonfuso in un clima di palpabile ipocrisia. Non si può eludere la legge della Stato che ha riconosciuto il 10 febbraio come "Giorno del Ricordo", ma si avverte forte l'imbarazzo di una classe politica post-comunista ed ex sessantottina che non ha nessuna intenzione di fare luce in modo esauriente su uno dei tanti crimini del Comunismo, tra l'altro proprio rivolto contro il popolo italiano della Venezia Giulia.
CANZANO. Il ministro della Giustizia Clemente Mastella ha lanciato un appello affinche' il negazionismo della Shoah diventi reato in tutti i paesi dell'Unione Europea. Il principio volteriano "detesto quello che dici, ma mi batterò per permetterti di dirlo" deve rimanere il faro della nostra civiltà giuridica, almeno quanto quello weberiano della "consapevolezza della responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni”, tu come storico e ricercatore, pensi che questo provvedimento potrà dare un colpo mortale a tutta la ricerca storica che non sia “ufficiale”?
DE LUCA. La strada è ancora lunga, tuttavia l'assegnazione del Nobel per la Letteratura a Orhan Pamuk, che venne incriminato nel 2005 per aver accusato la Turchia del genocidio di oltre un milione di armeni, conforta il mio come il lavoro di tanti altri storici e saggisti che da tempo dedicano sè stessi alla definitiva legittimazione morale e materiale di episodi "scomodi" e politicamente "scorretti" che pure è indispensabile conoscere per la formazione di una coscienza civile matura e responsabile.
CANZANO. Molti intellettuali hanno preso le distanze dai politici di sinistra che vogliono “imbavagliare” la ricerca storica, pensi che possano venire fuori altri fatti come già si parla della resistenza che potrebbero dare fastidio ai nostri politici al potere?
DE LUCA. Mi sembra che il dossier Mitrokin sia un esempio illuminante in tal senso.
CANZANO. Il tuo nuovo libro che uscirà il mese prossimo...
DE LUCA. Si intitolerà "La memoria non condivisa": Venezia Giulia contesa 1914-1941. Con questo lavoro, che conclude la mia "Trilogia Giuliana" dopo "Foibe. Una tragedia annunciata" del 2000 e "Venezia Giulia 1943" del 2003, intendo ripercorrere, dal primo conflitto mondiale alla campagna militare italo-tedesca contro la Jugoslavia dell'aprile 1941, le tappe fondamentali della questione dei confini orientali e di una memoria storica tra italiani e slavi ancora oggi non condivisa.da
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QUANDO TRIESTE RISCHIO' LO STRAPPO DALLA MADRE PATRIA > >
RIPETIAMO:
GLI INTERVENTI LI RIPORTIAMO "LIBERAMENTE", NON PER PARTITO PRESO
O PER ATTRIBUIRE TORTI O RAGIONI
MA PERCHE' E' GIUSTO CERCARE DI CAPIRE - QUINDI LI OSPITIAMO ANCHE SE HANNO
UNA TESI DIVERSA DAGLI ALTRI PRESENTI..
OGNUNO DI NOI SA, CHE ESISTONO DIFFERENTI STORIOGRAFIE E DIFFERENTI INTERPRETAZIONI
DEI FATTI STORICI. DIFFICILE FARLI CONDIVIDERE O TENTARE DI METTERE D'ACCORDO
CULTURE DIVERSE. MA NON PER QUESTO DOBBIAMO RINUNCIARE A TENTARE DI CAPIRE,
A COSTO DI RIBALTARE CONTINUAMENTE LA STORIA CHE CONOSCIAMO CHE SPESSO E' NEL
SUO ROVESCIO.
IMPORTANTE E' INFATTI SOSPETTARE, METTERE IN DUBBIO LE NOSTRE CONOSCENZE, SOPRATTUTTO
QUANDO LA NOSTRA TRACCIA "DIDATTICA" E' IMPOSTA E IMPEDISCE DI FARE
UN'ALTRA SCELTA; SCELTA CHE DOVREBBE ESSERE TESTIMONIANZA DI LIBERTA', IN CASO
CONTRARIO SIGNIFICHEREBBE CHE "LA NOSTRA DEMOCRAZIA LIBERALE NON E'
ANCORA COMPIUTA".
E QUESTA NON E' UNA INTEPRETAZIONE!
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