MEDIOEVO
- Come viveva la "piccola gente"di quel tempo? Un resoconto dal nostro
inviato
STORIA MINIMA E STORIELLE
DEL "SECOLO BUIO". CON LAZZI, FRIZZI E MALIZIE
di LIONELLO BIANCHI
Come vivevano mille anni fa o attorno a quell'epoca? Parliamo della gente comune, non dei signori che alloggiavano nei loro palazzotti e castelli. Per scoprirlo, il vostro inviato nel tempo che fu, si è inserito in uno di quei borghi medievali sparsi per l'Italia e per l'Europa con l'ausilio di qualche buon libro, opera di studiosi dei costumi dell'evo di mezzo, da Piero Camporesi a Jacques Le Goff.
Girando per quelle stradicciole lastricate di pietre, sbirciando dentro le case attraverso le porte aperte o nelle botteghe, siamo in grado di ricostruire la vita di uomini e donne di quell'epoca che va appunto dall'Anno Mille fino ai secoli del Rinascimento.
Abbiamo scoperto che proprio in quei secoli cosiddetti bui sono nati le arti e i mestieri, di cui del resto si hanno riflessi nella grande letteratura, vedi per tutti il sommo Dante. C'era veramente di tutto in quei borghi, autentici microcosmi: in primis si scorgevano le botteghe dei sellai e dei fabbri. E poi gli artieri abili nel costruire materiali per i carri e le carrozze, bravi anche a ferrare i cavalli, che in quell'epoca e fino all'età pre-moderna erano il mezzo di trasporto per andare da un paese all'altro, da una regione all'altra. Ma c'erano anche gli inventori che venivano considerati veri e propri maghi, che davano al Medioevo quella patina di misterioso e insieme di meraviglioso, come sottolinea a ragione Jacque Le Goff in un suo libro dal titolo suggestivo "Il meraviglioso e il quotidiano nell'Occidente medievale", edito da Laterza, prima edizione 1990.
Appare evidente che la vita di borgo, dove tutti e ciascuno erano sotto controllo di tutti comportava necessariamente a una convivenza di massa, che accompagnava dalla nascita alla morte ogni componente della comunità. Ognuno diventava così figlio della comunità, membro di una grande tribù, come scriveva il cronista forlivese Leone Cobelli. Gli altri, i componenti di comunità poco distanti - pur essendo della medesima etnia - venivano considerati estranei, "forestieri" si diceva allora, "diversi". Del resto, da un borgo all'altro, anche lontano poche miglia, cambiavano spesso usi e costumi. La ricerca della privacy all'interno di un gruppo ovvero di un borgo era sempre più difficile, chi cercava di isolarsi era guardato quasi con sospetto, e veniva ritenuto sovente come un mago o una strega.
Avveniva pertanto che nei borghi, un po' come nei villaggi primitivi, lo sguardo collettivo inseguiva chiunque, nel privato e persino nei comportamenti e negli atteggiamenti sessuali. La nozione di privato era piuttosto vaga.C'era il controllo sul sesso, anzi il controllo dell'efficienza sessuale rientrava nei rituali del vivere comunitario sui quali il vicinato aveva un ruolo di primo piano. Di conseguenza i singoli erano chiaramente condizionati negli atteggiamenti erotici o sessuali, ma anche e soprattutto nei comportamenti economici, religiosi e sociali. Vagolando per i viottoli di questi borghi, si è potuto rilevare che sovente non c'era una divisione tra interno ed esterno. Le case - come si possono vedere ancora in certi antichi villaggi o paesi dell'Italia centrale o meridionale ma anche in quelli dell'Italia settentrionale - erano legate tra loro, spesso non esistevano porte, ma una fila di corridoi che univano i vari edifici uno dentro l'altro, con gabinetti in comune nei cortili: i borghi medievali per la loro costruzione costituivano un continuum non scomponibile col metro dell'intimità quale siamo abituati oggigiorno.
Non c'era confine tra tuo e mio, la vita affettiva, lavorativa, l'ozio e il piacere si intrecciavano, il chiacchierare e il parlare si intersecavano coinvolgendo tutti quanti gli appartenenti alla comunità senza scampo. Scomparivano persino i nomi, i cognomi, ognuno veniva indicato dal soprannome, in genere dall'attività o dal mestiere che esercitava. Spesso i nomignoli avevano attinenza con una malformazione o un difetto fisico, noto a tutti. In un villaggio della Romagna occidentale (vedi. La miniera del mondo, di Piero Camporesi - Edizioni Il Saggiatore) c'era chi aveva per soprannome "Tot usel" (tuttouccello) ed era un iposessuale o un impotente. Un lavoratore del vescovo di Cesena era stato ribattezzato - lui e i suoi eredi - "trivoglioni". Rientravano nel leggendario paesano incredibili episodi di irrefrenabile bestialità sessuale, come riferiscono certe cronache: "M. Agnollo Dal Buschio, citadino de Cesena, questo anno, usando con una sua comare, s'atachorono insieme commo li cani, visto da ognomo"... oppure: "Francesco de Jseppo... uxando più ch'al dovere con la Bricida sua femina, si sfilò e morì...": (dalle Cronache e storie di Giuliano Fantaguzzi nel suo Caos).Personaggi tra i più strani arrivavano spesso nei borghi, sotto le vesti di eremiti, ma anche di impostori o di maghi; vagabondi travestiti da suore o da frati si infilavano nelle case, entrando in famigliarità specialmente con le donne per ottenere ospitalità. Si tramanda che un certo "Francesco, fiorentino di patria, uomo di bell'aspetto e imberbe, tranne alcuni peli che nel mento gli nascevano sopra tre nei, ma che insieme da lui radevansi artifiziosamente, di voce femminile e sopra tutto di indole astuta, (che) si vestì dell'abito di un monaco del Terz'ordine , e in tal forma n'andò vagando per lungo spazio di ventidue anni continui, fingendo gran bontà.... Questo impostore girovago nell'anno presente giunse sul territorio di Rocca San Cassiano, terra sopra Forlì, di giurisdizione fiorentina: qui egli di suo stile tentò una fanciulla la quale fe' manifesto a que' di casa l'affronto insidioso; e quindi per loro reclamo arrestatosi colui e trovato esser maschio venne posto alla tortura...."(Storia di Forlì, di P. Bonoli)
Di impostori di tal guisa se ne trovano spesso e dovunque nel Medioevo, a cercare rifugio e ospitalità nei vari villaggi e borghi. Di maghi e di prodigi è ricca tutta quest'epoca. La vita quotidiana con le sue commedie e tragedie viene a galla attraverso i carnevali che mettono in evidenza macchiette e tipi che si potevano trovare nei vari borghi sparsi per l'Europa.
In tali feste solitamente annuali venivano riprese riti e liturgie, unendo il sacro al profano; Ci sono in proposito erudite testimonianze (come fa rilevare Le Goff nel libro citato) circa questi Carnevali, come Emmanuel Le Roy Ladurie in I contadini di Linguadoca, Laterza, Bari 1970). Un altro studioso Louis Dumont (La Tarasque, Parigi 1951) associa la festa principale, quella di Pentecoste, alla rassegna locale delle corporazioni di mestieri.
E nei Carnevali paesani si tende a esaltare il carattere orgiastico in cui il furore sessuale aveva una parte fondamentale in una società come quella di borgo o villaggio affascinata dal corpo, sempre disposta a soddisfare gli istinti fisiologici, a tuffarsi nella carnalità in cui l'unica barriera era costituita non dal senso religioso ma da un limite etico che verteva sulla natura e sul rispetto dell'ordine naturale che comunque veniva spesso violato, dentro e fuori le case, nei vicoli e nelle piazzette dei paesi.
Il Boccaccio con il suo Decameron non fa che rivelare un modo di vita portato a ridere dei gesti sessuali, anche i più provocatori. Dalle cronache dell'epoca si rileva che "... Sbroglia, idest Bertolomeo de ser Jacomo de li Ambroni da Cesena... usando con una femina contra natura, li roppe el sesso et fo condenato la vita al fuoco e per mezzo de Madonna de Forlì (Caterina Sforza) e de la duchessa di Ferrara, le quali apunto volsero informarsi e intendere la cosa, e non senza grandi rixa (risa) e piacere, ebbe la gratia e fo absolto de l'atto disonestissimo...".
Sempre dalle cronache dell'epoca, si ricava che i postriboli era un luogo in cui le belle donne entravano e uscivano con sorprendente disinvoltura: "La Cingana, giovene asai bela, putana usita del postribolo, cinque anni fece bene e poi tornovi..." "... el tamburino de rocha mozò el naso a la moglie in piaza che era andata a stare in bordello...." O ancora: "Ursolina de Cesena, masara fo de Madonna Biancofiore da Montefiore, femina bella e giovene de Valdocha, fo presa, menata in bordello e grande honore con la scarata innante e con trombe, tamburo, bacile e campanazi e pagalla, pagalla con festa e piazer...".
Il popolo medievale è fatto di uomini e donne, ragazzi e vecchi, che nei borghi e nei villaggi vivono, soffrono, ridono e piangono tutti assieme, in un collettivo che rispecchia i loro stati d'animo di gente abituata a lavorare o nei campi o nelle botteghe, impegnata in mestieri e in arti, ma è anche gente che crede ai miracoli, e sono molte le cose meravigliose, mirabilia in latino o in volgare, che fanno parte dei contenuti di magia e di mistero. Non a caso accanto alle leggende di re (la corte di Re Artù ad esempio) c'è la saga del mago Merlino. Il meraviglioso entra nel quotidiano e ne sono impastati persino i muri delle case una appiccicata all'altra, una dentro l'altra, attorno al castello del signore che a volte è un Vescovo ovvero un prelato.
E ci sono poi i riti religiosi, con le saghe di santi o di eremiti in odore di santità, di abati e di frati, di monaci che vivono nei monasteri ma che sovente si mescolano alla gente comune. E' tutto questo il Medioevo, un crogiolo di usi e costumi, fatto di leggende, rituali che uniscono il profano al sacro in un tutt'uno.
Proprio nel mese di aprile di questo anno 1999 è uscito un libro di Dario Fò, il Nobel della letteratura del 1998, che ha pubblicato la vera storia di Ravenna, attraverso i secoli dell'Impero bizantino e medievali, quando per le campagne la gente camminava sui trampoli per spostarsi attraverso le campagne paludose; anche qui uno squarcio della vita popolare in pieno Medioevo. L'autore di Mistero buffo racconta di Ravenna, della gente dell'evo di mezzo, scavando nel vissuto della gente semplice, come piace sempre a lui che in teatro ha fatto sfoggio trovando addirittura un linguaggio universale che rende bene la situazione di quelle popolazioni.
Nel libro (La vera storia di Ravenna, edizioni Panini, 330 pagine) prodotto da una serie di ricerche in molte biblioteche ha scavato e portato alla luce il patrimonio della città che è stata capitale dell'Impero d'Occidente, dai tempi di Cesare Augusto a Carlo Magno, da Galla Placidia a Teodora, sempre vista dalla parte del popolo per darci uno spaccato interessante, di fondamentale importanza per entrare nella vita quotidiana, proprio come ci siamo ripromessi di fare con questo nostro lavoro per penetrare nella vita di tutti i giorni. Nelle case e nei bassi dei borghi si respirava una confidenza con il sopranaturale, quasi una vera e propria coesistenza: si spiegano così le storie di folletti o spiriti famigliari che si annidavano, secondo le dicerie popolari, nelle parti buie delle case e in particolare nelle cantine. Anche questo fa parte del Medioevo, di una vita fatta di luci (il meraviglioso, i prodigi, i miracoli eccetera) e di ombre (la presenze di forze oscure, demoniache) che documentano un vissuto intenso, a tinte forti, al di fuori dai palazzi e dei castelli o dei monasteri.
di LIONELLO BIANCHI
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Il meraviglioso e il quotidiano nell'Occidente medievale, di
Jacques Le Goff - Edizioni Laterza, Roma-Bari 1999
La miniera del mondo, di Piero Camporesi - Edizioni Il Saggiatore, 1990
La vera storia di Ravenna, di Dario Fo, Panini Editore, Modena 1999
Varia romanica, di R. Ortiz - Edizioni La Nuova Italia, Firenze 1932
Viaggio in Alemagna (1507), di Francesco Vettori, in Scritti storici e
politici a cura di E. Niccolini - Edizioni Laterza, Bari 1971.
L'arca del mondo, di M. Brusatin, in Arte della meraviglia, Edizioni
Einaudi, Torino 1986.
Ringrazio per l'articolo
concessomi gratuitamente
dal direttore di