POLITICA-FINANZA-GUERRE
Chiesero un prestito (le Casse dello Stato erano state svuotate)
per pagare i danni della velleitaria guerra condotta da re Carlo Alberto contro
l'Austria Poi con quelli della Prima Guerra, i debiti per l'Italia scadevano nel
1988 (non è un errore!)
Con quelli della Seconda, la scadenza la conosceranno
solo i nostri pronipoi - (fino al 2025 è top secret)
SAVOIA A
BOLLETTA |
Portatevi un attimo con l'immaginazione al secolo scorso. Siete un Re, non è importantissimo di quale paese (poi vi spieghiamo perché), l'essenziale è che siate Re, o Regina, a seconda dei casi. Avete approntato un ottimo piano per invadere il paese di xxyz: le motivazioni ideali ci sono già (qualche intellettuale a tassametro si trova sempre); il popolo è in fermento, ansioso di misurarsi sul campo di battaglia. Vi immaginate già assiso su un altro trono; magari a quel punto potreste anche proclamare l'impero... Il Ministro della Guerra vi ha appena rassicurato: "Maestà, il morale delle truppe è elevatissimo. La preparazione eccellente. Legioni di giovani premono sui portoni delle caserme chiedendo di essere arruolati !" Estasi. Meglio di così non si potrebbe proprio andare. Sennonché poi è il turno di un ometto che vi è sempre stato cordialmente odioso, ma lo tenete al governo perché sa fare bene il suo mestiere; ma sembra specializzato nel dare solo cattive notizie.
E' il ministro del Tesoro: "Dunque, Maestà, ho fatto accuratamente tutti i controlli. Se sommiamo le spese straordinarie per gli arruolamenti dei volontari, le riserve di munizioni, circa diecimila fucili nuovi da acquistare (con o senza baionetta? Ma questo non ci cambia molto... ), le indennità che presumibilmente dovremo versare a un po' di vedove, e altre spesucce, beh, insomma, abbiamo in cassa quanto è sufficiente per, dunque dunque, esattamente otto giorni di guerra, purché si stia strettini sul foraggio per i cavalli, altrimenti si ridurranno a sei e mezzo". A questo punto che fate? Vi piacerebbe molto condannare a morte il ministro del Tesoro, ma vi rendete conto che ciò non risolverebbe nulla. Fine dell'estasi e fine del sogno di conquista; la vita da Re non è sempre tutta rose e fiori, e l'arida legge della matematica è una delle poche leggi realmente uguali per tutti.
Ma ecco che arriva un terzo personaggio. E' un certo marchese Tal dei Tali, tipo elegante, forse un po' troppo (a voi piace di più la figura del rude condottiero), noiosetto e presuntuoso, ma che più volte vi è stato tremendamente utile. Ha conoscenze in tutta Europa, ha le mani dappertutto; a corte non ricopre nessun preciso incarico, ma ha reso molti servigi, e l'ha sempre fatto con discrezione e tatto. Il marchese avanza con passo elegantissimo, fa appena un inchino impercettibile con la testa verso di voi (porca miseria, ma non ha il minimo rispetto per la Corona... ) e poi inizia, con la sua voce che sembra sempre uscire da un confessionale: "Maestà, casualmente ho avuto sentore di qualche problematica finanziaria relativa alla santa guerra che Voi intendete muovere contro il paese di xxyz. Certo, Sua Eccellenza il ministro del Tesoro Vi ha giustamente esposto l'arido linguaggio dei numeri, ma io penso che in politica anche i numeri siano variabili; basta ricorrere al credito". "Al credito?" "Certo, al credito. Rothschild.
Naturalmente, se la cosa è di Vostro gradimento, mi occuperò io di tutto. Sono questioni un po', come dire, banali, e Voi avete ben altre e più alte incombenze nella guida della nazione... " Eccetera; il resto della storia si trasferisce in uffici così riservati, che neanche l'immaginazione può entrarci, quindi smettete pure di pensare di essere Re o Regina. Tornate invece a pensare di essere quel che siete, un normale cittadino che campa onestamente del suo lavoro e che magari in un certo momento della sua vita ha pensato di comprare, ad esempio, una casa. Siete allora andato in banca, avete fatto la vostra brava domanda di mutuo, vi sono stati richiesti circa tre chilogrammi di documentazione per dimostrare quanto guadagnate, che non siete insolvente da almeno undici generazioni, avete firmato un numero spaziale di moduli, avete subito interrogatori da parte di un funzionario che fa tutto ciò "nel vostro stesso interesse", e poi, finalmente, vi è stato concesso l'agognato mutuo, a un tasso che vi sembra un po' pauroso, ma tanto vi hanno garbatamente spiegato che il tasso è quello, oppure sempre quello. In fondo, tutto ciò è giusto (pensate tra voi, tanto per consolarvi).
La banca deve finanziare solo operazioni sicure, deve verificare tutto con scrupolo, per essere sicura che i capitali prestati torneranno indietro con i dovuti interessi. Insomma, deve far bene il suo mestiere. Ma allora, che senso ha finanziare quel Re di cui parlavamo prima? Se poi perde la guerra, chi pagherà? E la scenetta di prima, era pura fantasia, o solo la rilettura, in chiave un po' stramba, di fatti veri? Vediamo cosa succede nella realtà guardando alle vicende di uno dei più grandi (o il più grande?) banchieri del mondo. Nathan Rothschild, vissuto dal 1777 al 1836, fondatore del ramo inglese della dinastia, aveva una volta affermato che l'insegnamento più prezioso ricevuto dal padre era che politica e affari andavano sempre considerati assieme.
E infatti la storia di questa grande famiglia è indissolubilmente legata alla Storia della politica europea dell'ottocento. Il nome Rothschild spunta nei più diversi conflitti, ma anche in opere grandiose, come la costruzione del Canale di Suez e arriva anche a superare l'oceano: da Londra fu sempre la casa Rothschild a lanciare, tra il 1852 e il 1875, una serie di prestiti che servirono a finanziare lo sviluppo di quel fenomeno unico dell'America Latina che fu l'Impero del Brasile. E anche il nostro paese, come vedremo, ebbe legami stretti con questi banchieri, che nella loro storia si trovarono a fornire capitali, con grande equità, ai paesi nemici di Napoleone e alla Francia, alla corte di Vienna e al Re Sabaudo; già, perché i Rothschild si sparsero un po' dovunque, grazie alla preveggenza del fondatore della dinastia, Meyer Amschel (1744 - 1812), che, trattenendo il primogenito Amschel al suo fianco, a Francoforte, spedì gli altri figli nei posti che contavano: Nathan andò a Londra, James a Parigi, Salomon a Vienna e Carl alla corte dei Borboni, a Napoli. L'accumulo dei capitali era importante, perché significava accumulo di potenza; ma a sua volta, la potenza acquisita con l'appoggio alle case regnanti portava nuove possibilità di accumulo di capitali. Abbiamo parlato di Meyer Amschel come del fondatore della dinastia, e dal punto di vista puramente commerciale ciò è esatto, perché fu quel mercante ebreo di Francoforte il primo ad allargare l'attività di famiglia all'esercizio professionale del credito.
Ma, a titolo di curiosità, vogliamo ricordare una ricerca svolta dall'università di Cambridge, che fa risalire al 1560 l'origine del nome che dal secolo scorso significa per tutti finanza. In quel tempo gli ebrei del ghetto di Francoforte vivevano in condizioni di incredibile segregazione; tra le varie leggi assurde che ne limitavano i diritti, una vietava la trasmissione del cognome di padre in figlio. Appunto nel 1560 un tale Isaak Eichanan comprò una piccola casa con una targa rossa, una rot schild. I discendenti di Isaak presero i più diversi cognomi, Hahn, Waag, Bauer, finché uno di loro preferì chiamarsi semplicemente come la casa avita, e nacque il cognome Rothschild. Torniamo a Nathan, il Rothschild inglese. Aveva ben appreso gli insegnamenti paterni circa il profondo legame tra affari e politica, e lo dimostrò il 18 giugno del 1815, giorno della battaglia di Waterloo, quando aumentò enormemente la sua già rispettabile fortuna.
Nathan era presente quel giorno, come tutti gli uomini d'affari che si rispettino, alla Borsa di Londra; in quel mercato era scoppiato il panico, perché si era sparsa la voce di una vittoria dei francesi. La corsa a vendere era diventata inarrestabile e a prezzi stracciati. Un compratore attendeva pazientemente che le quotazioni andassero giù, ancora più giù, e poi comprava, comprava. Era Nathan Rothschild: i suoi incaricati in Belgio gli avevano spedito dei piccioni viaggiatori con un semplice messaggio: "Victory". Il brillante rampollo di Meyer Amschel era divenuto proprietario di uno dei patrimoni più grandi del mondo e suo figlio, Lionel, seppe ben approfittare di questa posizione, assicurando alla banca di famiglia, il cui nome era ormai garanzia assoluta di solidità finanziaria, il monopolio nell'emissione di prestiti internazionali di particolare importanza.
La storia dei Rothschild inglesi va di pari passo con l'espansione dell'Impero Britannico, che non avrebbe potuto essere tale senza il concorso della potente famiglia. Il titolo di barone, conferito in segno di gratitudine dalla Regina Vittoria a Nathaniel (1840 - 1915) portava nel mondo della nobiltà la stirpe originaria del ghetto di Francoforte. E proprio in patria i Rothschild non ebbero mai terreno facile. Vi fecero affari, ma non assursero mai a ruoli elevati ; non scordiamoci che l'antiebraismo, tragicamente sviluppato da Hitler, non fu però mai assente dalla società germanica del secolo scorso. Nei paesi di lingua tedesca fu invece Vienna il centro in cui la casa Rothschild conobbe la grande espansione che l'avrebbe portata, anche qui, a divenire creditrice dell'imperatore. Le misure di liberalizzazione del commercio attuate negli anni successivi al 1850 dal ministro Bruck e l'affrancamento dei servi della gleba avevano portato a un eccezionale e tumultuoso sviluppo sia nel campo agricolo che in quello commerciale. Il fiorire di nuove iniziative aveva bisogno del ricorso al credito per non restare un fuoco di paglia: nel 1855 i Rothschild di Vienna fondarono la banca Creditanstalt, che aveva lo scopo dichiarato di eliminare il piccolo Crédit Mobilier, una società finanziaria di proprietà di ebrei parigini. Il nome dei Rothschild era una calamita, e al Creditanstalt si associarono le famiglie più in vista dell'Austria, gli Schwarzenberg, gli Auersperg e i Furstenberg.
Il successo era assicurato da questa unione dei più bei nomi dell'alta società con il più bel nome della finanza; e se i primi si sentivano sicuri impiegando le loro ricchezze con i banchieri per eccellenza, questi si assicurarono in tal modo l'ingresso ai salotti buoni, fino al salotto buonissimo, quello imperiale. Lo stato era in perenne crisi economica, afflitto da un mastodontico impianto burocratico e da spese militari, aggravatesi con la mobilitazione decisa per la guerra di Crimea. E iniziò una prassi che tutt'oggi ben conosciamo anche noi italiani, ossia l'emissione di prestiti a catena, peraltro brillantemente organizzati dal Creditanstalt. La finanza sosteneva il regime anticipando i prestiti pubblici e assicurandone comunque l'assorbimento, il regime a sua volta non poteva non mostrare la propria gratitudine, mantenendo quelle condizioni di liberalismo in economia che favorivano la finanza. Insomma, quasi per uno storico contrappasso: in un'Europa che aveva conosciuto spesso il mostro delle persecuzioni razziali, in cui gli ebrei erano stati perseguitati, colpevoli solo delle proprie origini, una famiglia ebrea si allargava nelle corti più importanti, assumendo un peso sempre più determinante all'interno dei sistemi politici dell'epoca.
Raccontavamo della fortunata avventura di Nathan alla Borsa di Londra; ma ricordiamoci che il banchiere aveva suoi emissari in Belgio, al seguito delle truppe inglesi, anche perché era già intervenuto a curare le esauste casse di Sua Maestà dopo la perdita delle colonie americane. E i soldati inglesi che valorosamente sconfissero le truppe napoleoniche a Waterloo erano pagati, di fatto, dalla casa Rothschild. Se ne dovrebbe dedurre che il nome Rothschild fosse visto dai Francesi come il fumo negli occhi. Niente di tutto ciò; tanti secoli prima un saggio imperatore romano aveva insegnato che pecunia non olet. E infatti le riparazioni di guerra francesi alla Germania, dopo il disastro militare del 1871, non sarebbero state possibili senza l'intervento di casa Rothschild, che fu determinante anche per la realizzazione di quella che resta una delle più grandi opere di ingegneria moderne, il Canale di Suez, fortemente voluto dal francese Ferdinando De Lesseps. Londra, Parigi, Vienna.
I punti cardine dell'Europa (e quindi, nel secolo scorso, del mondo) erano i luoghi naturali di sviluppo dei grandi banchieri. Ma dicevamo prima che anche il nostro paese fu cliente di questa grande stirpe della finanza. Torniamo un attimo indietro, in questa nostra un po' saltellante narrazione di finanza e politica. Sua Maestà Vittorio Emanuele II, Re di Sardegna, aveva un giovane e brillante ministro delle finanze, tale Camillo Benso, conte di Cavour, che era giunto a tale carica nel 1851, sotto il governo D'Azeglio, dopo una significativa esperienza come ministro dell'agricoltura (carica all'epoca tutt'altro che secondaria, in un paese prevalentemente ad economia agricola). Il predecessore di Cavour alle Finanze, Nigra, aveva ottenuto proprio dalla casa Rothschild di Parigi un prestito per pagare le riparazioni di guerra dovute a Vienna dopo la sfortunata, e scriteriata, avventura militare del predecessore di Vittorio Emanuele.
Potrà far sorridere il fatto che i banchieri di Vienna, tramite la loro casa di Parigi, finanziassero un nemico di Vienna per pagare i soldi dovuti a Vienna. Ma bastava che i soldi girassero, e in fondo erano tutti contenti. Tutti, meno Cavour che, per primo, cercò di stimolare la concorrenza e per far ciò diede mano anzitutto a una prima serie di riforme fiscali, che garantissero un miglior gettito tributario allo Stato, nella convinzione che un governo col bilancio in pareggio aveva le carte in regola per presentarsi come cliente primario alle banche. Non aveva torto: la Banca Hambro di Londra concesse un finanziamento allo Stato Sardo e la cosa non fu presa bene dai Rothschild, che si sentivano messi da parte in una posizione che consideravano come spettante loro di diritto: non erano forse i banchieri per eccellenza? Ma il piccolo ministro del piccolo stato seppe tener duro, anche se i potenti banchieri fecero il possibile per deprimere il corso dei titoli piemontesi quotati alla Borsa di Parigi. Per curiosità, ricordiamo che in questa operazione, con cui in pratica Cavour riuscì a rimborsare parte del debito che lo Stato aveva con i Rothschild, ottenendo denaro a condizioni migliori dalla casa Hambro, fu condotta da un suo uomo di fiducia, il conte Thaon de Revel, che qualche anno dopo sarebbe divenuto uno dei più strenui avversari del grande statista. Cavour non poteva ancora prescindere dal credito privato nella gestione dello Stato, ma continuava nella sua politica di sviluppo della concorrenza, resa possibile dallo sviluppo economico che contraddistinse il Regno di Sardegna, e che era indispensabile anche in vista della politica di espansione che già era delineata nella sua mente, e che avrebbe portato alla guerra vittoriosa del 1859.
Così, quando alla fine del 1852 Cavour arrivò alla vetta del potere con la carica di Primo Ministro, volle mantenere per sé il portafoglio delle Finanze e continuò nella sua linea per un'altra delle grandi opere che si era prefisso: lo sviluppo ferroviario, come supporto indispensabile ad uno sviluppo generale dell'economia. La ferrovia da Torino alle Alpi e la gigantesca opera di traforo del Moncenisio furono finanziate dai banchieri Laffitte e Rothschild di Parigi. E quando la partecipazione alla guerra di Crimea riportò il bilancio dello Stato a livelli di deficit preoccupante, Cavour si rivolse per un primo prestito di venticinque milioni di lire (a cui ne seguì un secondo) direttamente al governo inglese, non volendo legarsi eccessivamente a banchieri privati, e riuscendo a spuntare un tasso del 3%. La conclusione veloce del conflitto in Crimea permise però a Cavour di riprendere a dedicarsi al suo chiodo fisso: lo sviluppo dell'economia, le facilitazioni all'imprenditoria, per creare quel clima di fiducia che favorisse, finalmente, gli investimenti esteri e non solo i finanziamenti. E i fatti gli diedero ragione. Nel decennio 1850 - 1860 affluirono sul Piemonte investimenti dall'estero per oltre un miliardo di lire: il capitale straniero giudicava il Regno di Sardegna meritevole di fiducia e si impegnava quindi anche come capitale di rischio e non solo come finanziatore. I banchieri di Cavour erano ormai numerosi: Rothschild, Laffitte, Hambro, e i fratelli Péreire, gli ebrei francesi proprietari di quel Crédit Mobilier che, come avevamo visto, era il nemico dichiarato dei Rothschild a Vienna.
Insomma, lo staterello del Re Sabaudo, guidato da un politico che aveva idee innovative, apparve nel secolo scorso molto più vivace e aggressivo dei Grandi Stati nella dialettica coi giganti della Finanza, e i Rothschild seppero stare al gioco, sia perché avevano un giro d'affari così ampio che un cliente un po' seccatore non poteva infastidire più di tanto, sia perché non faceva parte del mestiere del banchiere, inteso nello stile Rothschild, fare troppo chiasso o troppe negoziazioni. Un dispiacere però i Rothschild lo diedero a Cavour; quando questi iniziò la ricerca dei finanziamenti necessari per quella che doveva comunque essere l'opera più importante della sua politica, la guerra contro l'Austria. Per quanto le trattative fossero segrete, le intenzioni bellicose del Regno di Sardegna erano note e poco convincenti erano le richieste di un credito di quaranta milioni, necessario per costruire ferrovie e banchine portuali. I Rothschild, anche se la richiesta era rivolta come sempre alla loro sede di Parigi, si ricordarono di essere anche, a Vienna, i banchieri di quell'imperatore contro cui Cavour voleva combattere e, da buoni banchieri, non rifiutarono l'offerta, ma rimandarono semplicemente alle calende greche una risposta. Un atteggiamento che costrinse Cavour a lunghi negoziati con altri banchieri e con lo stesso Napoleone III, e, presumibilmente, anche se nessun documento ufficiale ce lo dice, a concessioni maggiori del previsto all'alleato francese.
Quest'ultima notazione ci porta ad una domanda inevitabile: la strapotenza finanziaria dei Rothschild quanto influenzò nel secolo scorso la politica delle Grandi Potenze? La risposta ci sembra che possa essere una sola: i Rothschild non ebbero mai un interesse specifico alla politica, intesa come esercizio del potere e come influenza sulle decisioni dello Stato. Piuttosto la struttura anomala che lo Stato andava assumendo nell'ottocento faceva sì che l'importanza del banchiere divenisse sempre più forte.
E ci spieghiamo: in questo secolo gli Stati iniziano ad assumere iniziative che ne aumentano enormemente le spese. Ciò accade sia nel bene che nel male: i frequenti conflitti sono spese enormi, ma anche le opere pubbliche, che pur portano beneficio a tutti, lo sono. I grandi progressi scientifici e tecnici che resero possibili anche opere colossali già ricordate, come il canale di Suez o il traforo del Moncenisio, portavano progresso ma stremavano le casse di Stati in cui la leva fiscale era ancora incredibilmente arretrata, se guardata con l'occhio di oggi. Oggi ci pare assolutamente ovvio che si paghi, tutti, un'imposta sul reddito. A metà del secolo scorso Cavour dovette lottare per imporre la tassazione dei proventi dei liberi professionisti, così come l'Inghilterra iniziava, nello stesso periodo, i primi timidi esperimenti di imposta sul reddito. Un altro problema generale degli stati europei era la creazione dei catasti, in mancanza dei quali i grandi proprietari terrieri erano, praticamente, esenti da imposte. Insomma, il vecchio stato, identificato con la Casa Regnante, era troppo cresciuto senza riuscire però ad alimentarsi adeguatamente. E doveva cercare alimento (danaro) all'esterno. E il danaro gli veniva fornito da chi l'aveva, e di mestiere lo imprestava.
E infatti sarebbe stata la Storia stessa a ridimensionare il ruolo del grande banchiere. Il raggiungimento di sistemi fiscali più razionali, ma anche l'istituzione generalizzata, dopo la Grande Guerra, del corso forzoso, avrebbero creato un sistema di finanziamento pubblico del tutto diverso, anche se non esente da difetti, perché le grandi inflazioni (non solo quella catastrofica della Germania di Weimar, ma pensiamo anche a quella di casa nostra negli anni 70 - 80) avrebbero a loro volta portato enormi problemi. E infatti la Casa Rothschild, oggi riunita in una grande holding con sede in Olanda, resta una delle prime banche a livello mondiale, ma non è più la Banca dei Re. E se vogliamo quindi rispondere sinteticamente alla domanda che ci ponevamo prima, ci limiteremo a dire: i Rothschild non avevano nessun interesse a fare politica. Facevano i banchieri.
Ma per le ragioni che abbiamo esaminato, la politica non poteva prescindere dai banchieri.
PAOLO DEOTTO
RIFERIMENTI
BIBLIOGRAFICI
Il culmine della
potenza europea,
in "Storia del
mondo moderno", vol. X - Cambridge University Press
Cavour, di Denis Mack Smith -
Bompiani, 1984
L'Italia del
Risorgimento, di Indro Montanelli -
Rizzoli, 1979
Ringrazio per l'articolo
FRANCO GIANOLA
direttore di
VEDI ANCHE LA VOCAZIONE DEI SAVOIA A FARE LORO I BANCHIERI
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