Il Cristianesimo tra ortodossia ed eresia (XI-XIII secolo)
I VERBI
SBAGLIATI
DEL DOPO CRISTO
di ELENA BELLOMO
Da quando il Verbo si è fatto carne la possibilità del fraintendimento e dell'errore ha insidiato le coscienze. Il messaggio di Cristo, tanto limpido e semplice nella propria enunciazione evangelica, ben preso si sarebbe dovuto cimentare con articolati problemi teologici e teosofici che ne avrebbero reso sempre più complessi i contenuti e le implicazioni morali. Sin dai primordi dell'era volgare l'eresia si è dunque affiancata al credo ortodosso, spesso differenziandosene solo per alcune decisive affermazioni, forse ininfluenti agli occhi dei semplici, ma lungamente dibattute dai sapienti per venire poi duramente condannate.
La lotta contro l'eresia si poneva in realtà alla stregua di quella contro il Maligno. Proprio da questi nasceva l'errore, proprio l'errore vanificava la salvifica opera svolta dal Cristianesimo. Sarebbe stato soprattutto l'incontro tra il messaggio cristiano e la speculazione filosofica di ascendenza greca a generare la necessità di stabilire con precisione i connotati della nuova fede, di chiarire univocamente il mistero della Trinità e del rapporto sussistente tra le sue persone o quello presente tra le diverse nature coesistenti nella unica persona del Cristo. Molteplicità e unità dovevano essere unite e compenetrate, ma ciò risultava oltremodo difficile, soprattutto per quanti vedevano la matrice divina del Salvatore prevalere su quella meramente umana.
I primi secoli dell'era volgare trascorsero quindi nel delineare i caratteri del nuovo giovane credo e in questa opera si impegnò tutta la Cristianità attraverso il solenne strumento dei concili ecumenici, che, spesso indetti dall'autorità imperiale, miravano a riportare uniformità e concordia nella comunità dei fedeli. Tra le prime formulazioni ad essere ritenute eterodosse vi furono quelle che non consideravano in maniera paritetica le due persone, divina e umana, presenti in Cristo. Venne così condannato il monofisismo, che privilegiava la componente divina, e lo seguì poi il monotelismo, che, pur ammettendo l'esistenza di entrambi gli elementi, considerava la volontà del Cristo come esclusivamente improntata a quella divina.
Entrambe queste proposizioni si rifacevano alla difficoltà percepita soprattutto in ambienti greci e orientali di dare forma umana ciò che è ultraterreno. Tale condanna non investiva inoltre solo eminenti teologi o alti prelati, ma ascriveva all'eterodossia intere comunità, che spesso dimoravano in strategiche regioni di confine. Proprio per questo in diversi casi la corte di Bisanzio, vicina a queste posizioni religiose e ben consapevole della strategica importanza di chi le condivideva, si sarebbe posta in contrasto con il papato sino al punto di arrivare ad arrestare un pontefice romano, Vigilio, per la sua avversione a tale politica. Mano a mano che la buona novella si espandeva l'eresia camminava dunque accanto ad essa, insidiandole ogni nuovo proselito. Accadeva così che le popolazioni germaniche fossero guadagnate al Cristianesimo da missionari ariani e che proprio un vescovo ariano, Ulfila, traducesse per essi il testo sacro della Bibbia. Ario, fondatore di questa nuova eresia, era un sacerdote di Alessandria, vissuto tra la seconda metà del III secolo e l'inizio del IV. Egli per mantenere assolutamente pura la nozione monoteistica era giunto ad affermare l'inesistenza della Trinità, aggiungendo poi che Cristo altri non era che la prima creatura alla quale il Padre aveva dato vita, una sorta di superuomo, né vero uomo, né vero Dio.
Pur condannato dal concilio di Nicea, Ario aveva ottenuto protezione presso la corte imperiale di Bisanzio e successivamente la sua dottrina aveva trovato nuovi adepti tra i Germani, ai quali questa nuova figura di Cristo risultava maggiormente affine alle divinità che fino ad allora avevano adorato, se non assimilabile nella propria aurea di trionfatore alle personalità dei sovrani che li avevano condotti nel loro peregrinare sono ai territori dell'impero. Il ritorno di queste popolazioni all'ortodossia sarebbe stato lungo e complesso dato che le parole di Ario avrebbero trovato seguito ancora fino al VI secolo. Sconfitto l'arianesimo, l'ortodossia cattolica avrebbe però dovuto temere numerosi altri avversari. Soprattutto nel corso di tutto il medioevo, la profonda spiritualità che sarebbe arrivata a permeare quest'epoca avrebbe spesso corso il rischio di allontanarsi dalle verità riconosciute per abbandonarsi ad accessi, ma anche ad una genuinità di intenti, che le gerarchie ecclesiastiche avrebbero difficilmente potuto accettare. L'eresia si sarebbe quindi annidata nel permanere di antiche abitudini pagane, appena ammantate di devozione cristiana, ma anche nel tentativo di raggiungere la più perfetta e intransigente sequela Christi.
è proprio nei secoli centrali del Medioevo che il fenomeno ereticale assurge a dimensioni mai raggiunte in precedenza e che la Chiesa appronta dunque nuovi strumenti per agire in modo più incisivo e deciso sulle persone e sulle coscienze. I limiti di libera iniziativa lasciati ai fedeli vanno progressivamente diminuendo. La gerarchia ecclesiastica tende ad assumere un sempre più stretto controllo della vita dei fedeli e la prorompente spiritualità medievale non sempre accetta di essere mortificata e imbrigliata.
La volontà dei fedeli di vivere il Vangelo sine glossa, di imitare perfettamente la vita del Cristo e i suoi insegnamenti li porta infatti a porsi sempre più spesso in una dimensione concorrenziale con i chierici e ad appropriarsi di funzioni, quali soprattutto la predicazione, che gli ecclesiastici consideravano un proprio esclusivo appannaggio. D'altro canto per essere abilitati ad un simile compito non erano necessarie solo fede e buon volontà, ma anche studio e preparazione. Proprio per dimostrare l'inadeguatezza dei laici a tale compito l'alto prelato Walter Map aveva pubblicamente confuso e ridicolizzato i seguaci di Valdo, che, umili e ferventi, avevano richiesto l'approvazione pontificia dei proprio modi di vita.
Nel 1184 con la bolla Ad abolendam papa Lucio III condannava dunque i Valdesi (detti anche poveri di Lione) e altri nuovi gruppi i fedeli come eretici. Essi non avevano infatti ottemperato ai divieti loro formulati dall'autorità ecclesiastiche e, volendo imitare gli Apostoli in tutti i caratteri della loro vita e della loro missione, erano sconfinati in campi d'azione riservati ai chierici. Ma davvero i Valdesi erano pericolosi per l'unità della Chiesa? In realtà la vita e la conversione di Valdo ricalcano meticolosamente l'esperienza di s. Francesco di Assisi, colui che con maggior pienezza avrebbe incarnato l'esigenza di rinnovamento spirituale propria del XII secolo. Purtroppo non è ancora stato appurato con precisione come avvenne la decisiva rottura tra la Chiesa di Roma e i poveri di Lione, che ancora dopo il 1184 si professano cattolici e obbedienti alle gerarchie ecclesiastiche. In realtà proprio nell'esperienza di Valdo era presente un forte impegno alla predicazione in funzione antiereticale e tale prerogativa avrebbe quindi favorito il ritorno di parte dei suoi seguaci in seno all'ortodossia.
Il merito di aver riacquisito alla Chiesa questi gruppi che erano stati bollati come eretici va a un pontefice di straordinaria lungimiranza: Innocenzo III. Proprio sotto il suo pontificato alcuni valdesi, i "Poveri Riconciliati" prima e i "Poveri Cattolici" poi, vengono liberati dalle precedenti sanzioni, mentre anche gli Umiliati, condannati sempre nella Ad abolendam, vedevano i loro propositi di vita approvati ed incoraggiati dall'autorità spirituale. Anch'essi, come sottolineerà Giacomo di Vitry svolgeranno un'indefessa e incisiva azione antiereticale.
L'eresia infatti dilaga e fiorisce. Sempre secondo Giacomo Milano stessa è un covo di eretici, mentre anche il domenicano Stefano di Borbone afferma che presso Milano non solo si trovavano gruppi di Valdesi, ma addirittura ben diciassette diverse sette ereticali tra loro avversarie. Diversi movimenti (dolciniani, guglielmiti, apostolici) vengono condannati e perseguitati fino alla loro estinzione. Proprio per combattere efficacemente contro di essi Domenico da Guzman fonda l'ordine di appartenenza dello stesso Stefano di Borbona appena ricordato, quello dei Predicatori che poi dal suo fondatore avrebbe preso il nome di domenicano. I più temibili avversari di questi zelanti frati non sono però quei fedeli che, pur animati da buoni propositi, si erano allontanati dall'ortodossia per eccesso di devozione, ma piuttosto coloro che avevano ormai formato una chiesa parallela a quella cattolica, fondata su una diversa concezione del mondo.
Si tratta dei Catari. La nascita di questo movimento spirituale, attestato sin dalla prima metà del XII secolo, non è ancora stata rintracciata con sicurezza. Certo è che esso si rifaceva ad una visione dualistica della creazione che vedeva opposti e in continuo conflitto due principi, quello del Bene e quello del Male, dotati di pari forza e influenza sul mondo terreno e sulle coscienze. In tale prospettiva il dovere dei fedeli era quello di astrarsi dalla realtà materiale, creazione del Demonio, per ottenere una progressiva purificazione spirituale. Coloro che maggiormente riuscivano a progredire in questo cammino catartico non a caso erano detti "Perfetti". La chiesa catara, dotata di proprie gerarchie aveva inoltre avuto diversi contatti con le sette eretiche dei Bogomili, che sviluppatesi nei Paesi slavi, erano seguaci di un dualismo moderato che vedeva ancora Dio quale entità superiore al Maligno. Nella visione dei catari i due avrebbero invece raggiunto pari dignità e anzi il Demonio avrebbe ingannato il Signore riuscendo poi a far cadere gli angeli e ad imprigionarli nella materia. In realtà queste assunzioni di base non erano percepite in tutte le comunità catare nella medesima accezione e sarebbe più corretto parlare quindi "catarismi", ovvero di esperienze che, pur rifacendosi ad un dualismo radicale, assumono progressivamente connotati differenti.
Non si sono ancora rintracciate le testimonianze di una possibile derivazione di questo fenomeno dal Manicheismo, un'altra corrente di pensiero dualistico, che già in età antica aveva avuto modo di svilupparsi in Oriente, e non è da escludere che i catarismi traessero anche origine da una lettura estremizzata di determinati passi della Sacra Scrittura. Ormai totalmente screditata è invece la teoria che vuole le eresie medievali, e dunque anche quelle catare, frutto di una ribellione sociale. è stato infatti ampiamente dimostrato che alla radice di queste esperienze si trovano istanze di natura esclusivamente religiosa e non economica o sociale. Il fatto che alcune sette si sviluppassero poi all'interno di determinate classi di lavoratori è da ricondursi al fatto che il lavoro artigianale costituisse un ottimo paravento per coloro che nella clandestinità praticavano l'eterodossia, dedicandosi poi soprattutto alla conversione di coloro che praticavano al loro fianco la medesima professione. I catari, detti anche "albigesi" perché particolarmente presenti in questa città e in tutta la Linguadoca e Provenza, sarebbero stati vittime della prima crociata bandita contro gli eretici. Proprio sotto il pontificato di Innocenzo III l'appello che aveva già più volte mobilitato la cristianità a prendere la croce per combattere contro gli infedeli veniva infatti rivolto per la prima volta contro i seguaci dell'eterodossia.
Già la prima crociata patrocinata da Innocenzo era stata deviata contro la volontà del papa ed era stata combattuta contro altri cristiani, i Bizantini, portando al sacco di Costantinopoli. Nel 1208 tale movimento si indirizzava invece contro coloro che rifiutavano di rientrare in seno alla Chiesa. Era questo il principale presupposto perché l'accusa di eresia divenisse uno strumento politico dal potere senza precedenti. Se più volte in passato i nemici della sede apostolica erano già stati bollati come eretici, da questo momento in poi essi sarebbero potuti diventare oggetto di crociate bandite contro di essi dal papa. Questa sorte sarebbe ad esempio toccata a diversi principi ghibellini, primi tra tutti i Visconti di Milano. Eppure anche il potere laico non avrebbe esitato a classificare come eretici i propri avversari in modo tale da metterli fuori gioco, se non da annientarli. Basti ricordare tra tutte la complessa e astuta manovra di Filippo il Bello contro l'ordine dei Templari.
La lotta antiereticale non era tuttavia destinata a concentrarsi contro movimenti religiosi di esclusiva ascendenza popolare, ma nuovo vigore alla condanna di proposizioni ereticali sarebbe venuta anche dall'esame delle posizioni di diversi pensatori, che si erano formati nelle università medievali. La rinascita del pensiero speculativo portava fatalmente alla formulazione di idee che non sempre nella loro novità trovavano l'approvazione delle gerarchie ecclesiastiche. Emblematici i casi di Wycliff e Huss che avevano progressivamente maturato un pensiero che non solo criticava aspramente il ruolo svolto dalle gerarchie ecclesiastiche, ma che minava anche fin dalle fondamenta il credo cristiano mettendo in dubbio l'essenza sacramentale di alcune pratiche.
Jan Huss avrebbe pagato sul rogo le proprie affermazioni, che coerentemente non aveva voluto ritrattare. Egli non era il primo eretico ad essere giustiziato in tale modo e non sarebbe rimasto l'ultimo. Un nuovo ufficio, esplicitamente creato per combattere l'eresia, non avrebbe mancato di individuare con efficienza nuove vittime. Già sotto il pontificato di Gregorio IX si erano creati stabili tribunali ecclesiastici, presieduti da un giudice inquisitore, che nella propria azione si affiancava al vescovo locale. Già verso la metà del XIII i maggiori Paesi europei erano provvisti di un tribunale inquisitoriale, abilitato dall'autorità pontificia ad avvalersi di vari mezzi coercitivi tra i quali la tortura, per ottenere le confessioni degli incriminati.
Se in alcuni Stati, quali quelli baltici, l'Inquisizione ebbe un'attività discontinua se non sporadica, soprattutto nel corso del XVI secolo essa sarebbe prepotentemente risorta in Spagna, decisivo strumento di potere in mano alla cattolica monarchia iberica. Sin dalla propria nascita il Cristianesimo si era aspramente cimentato nella battaglia per preservare intatta l'essenza della propria fede, scontrandosi e fondendosi con ansia di redenzione, ma anche con prepotenti ambizioni mondane. Lo zelo profuso in questa impresa sarebbe stato parimenti usato per salvare e fortificare le coscienze, ma anche per eliminarle qualora si fossero mantenute indomite e ribelli. L'errore più insidioso si annidava in realtà nell'essenza stessa di questo confronto, non tanto nella volontà di giudicare, quanto nella possibilità di punire materialmente e nella capacità coercitiva che in entrambe queste prerogative risiede e che avrebbe reso rosso di sangue il sottile filo dell'eresia che percorre i secoli della Cristianità.
Bibliografia
Movimenti religiosi e sette
ereticali nella società medievali italiana (secoli XI-XIV), di G. Volpe,
Roma, Donzelli, 1997.
La spiritualità dell'Occidente medievale,
di A.Vauchez, Milano, Vita e Pensiero, 1993.
L'Eresia del Male,
di R. Manselli, Napoli, Morano, 1963
Hérésies et sociétés dans l'Europe
préindustrielle, Xie-XVIIIe, di J. Le Goff, Paris, Monton
1968
Nascita dell'eresia. Gli adepti della povertà volontaria,
di T. Manteuffel, Frenze, Sansobi, 1975
Eretici ed eresie
medievali, di G.G. Merlo, Bologna , Il Mulino, 1989.
Ringrazio per
l'articolo
offerto a Cronologia
il direttore di
STORIA IN NETWORK