Dal 1000 al 1200 e dintorni
LA
SOCIETA FEUDALE
QUADRO POLITICO - LA CRISI - LA NASCITA DEL CAPITALISMO
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Le due istituzioni politiche maggiormente rappresentative, in questo periodo, sono l'Impero romano-germanico e la Chiesa cattolico-romana. La corona imperiale è detenuta prima dalla casa di Franconia (1024-1125) e poi dalla casa di Svevia (1152-1250), entrambe della Germania. Sotto la dinastia francone le vicende politiche più significative, a livello europeo, furono:
1) la lotta dell'impero contro il papato per le investiture del clero (vescovi e abati),
2) il grande scisma tra cattolici e ortodossi,
3) le crociate in Medio Oriente contro i musulmani,
4) l'emanazione da parte dell'impero della Costitutio de feudis (1037).Sotto la dinastia sveva le vicende più importanti furono:
1) la prosecuzione delle crociate,
2) l'annessione imperiale del regno normanno nell'Italia meridionale,
3) la lotta dell'impero contro i Comuni (Milano, Pavia, Genova, ecc.),
4) la lotta dell'impero e della chiesa contro le eresie.A) La lotta per le investiture (1059-1122)
I) Verso la metà dell'XI sec. il papato si era notevolmente rafforzato, superando la profonda crisi in cui era caduto nei secoli IX e X. Le forti proteste contro il concubinato del clero, la simonia, cioè la vendita di funzioni, cariche e beni ecclesiastici per denaro, l'ignoranza e l'indifferenza per la religione, lo costrinsero a prendere posizione.
II) Soprattutto due aspetti avevano contribuito a mettere in crisi la chiesa:
1) il papa, in conseguenza del privilegio che l'imperatore sassone Ottone I aveva preteso, doveva, prima di essere consacrato, ricevere la conferma dell'imperatore, mentre, in conseguenza di un ulteriore decreto voluto da un altro imperatore, Enrico III, doveva ottenere da quest'ultimo la designazione prima di essere eletto;
2) i vescovi, in conseguenza della politica di Ottone I, che li aveva già investito del governo delle città e dei feudi (vescovi-conti), avrebbero dovuto ricevere l'investitura temporale (mediante la spada) dall'imperatore e quella ecclesiastica (mediante l'anello e il pastorale) dal papa, ma l'imperatore, approfittando della subordinazione del papato alla sua volontà, si era col tempo arrogato anche l'investitura ecclesiastica, cioè l'elezione stessa dei vescovi e degli abati.
III) La protesta contro questa situazione critica venne condotta su due piani:
1) quello ereticale delle ribellioni popolari urbane (ad es. la Patarìa) che si richiamavano agli ideali evangelici di povertà, fraternità e comunione dei beni, contro gli abusi e la corruzione dell'alto clero;
2) quello del monachesimo cluniacense: un movimento che. sorto nel monastero francese di Cluny, coinvolse gli ordini regolari dei benedettini, cistercensi, certosini, camaldolesi, ecc., nonché una buona parte del clero secolare e del laicato cattolico.
IV) Il papato optò per la seconda alternativa, senza rinunciare a un'intesa con la Patarìa (dal nome del quartiere milanese ove abitavano i tessitori e i commercianti di panno) per minare l'indipendenza dei vescovi lombardi nei suoi confronti. I monaci di Cluny volevano difendere l'ideale di una chiesa "guida suprema" della cristianità, con a capo il potere indiscusso del pontefice. Gli ordini religiosi che parteciparono a questo movimento chiesero d'essere posti sotto la diretta potestà del papa, per sottrarsi all'autorità del vescovo diocesano o del signore laico locale. La loro riforma morale voleva essere molto rigida e intransigente. Sul piano teologico si servirono delle cosiddette Decretali dello pseudo-Isidoro, un falso documento composto verso la metà del IX sec. Si tratta di una raccolta di testi apocrifi nei quali si parla del potere del vescovo di Roma su tutti gli altri vescovi, si nega il diritto ai sovrani laici d'intromettersi negli affari della chiesa e si parla della loro sottomissione al potere ecclesiastico. Per la prima volta viene avanzata l'idea dell'infallibilità del papa. Questo documento era stato preceduto nell'VIII sec. da un altro falso, fatto passare per autentico: la cosiddetta Donazione di Costantino, in cui si sostiene che l'imperatore Costantino concesse al pontefice le insegne imperiali e tutte le città italiane, Roma compresa, mentre lui si trasferiva a Costantinopoli.
V) Nel 1059 si tenne a Roma il grande Concilio del Laterano, col quale si promulga una serie di decreti per condannare la simonia, il concubinato, ogni forma di lassismo morale e di indisciplina del clero. Si stabiliscono inoltre nuove norme per l'elezione del pontefice: la scelta e l'elezione del candidato viene riservata al Collegio dei cardinali, cioè ai vescovi titolari di diocesi, di chiese o di cariche fondamentali della chiesa di Roma e della campagna romana circostante (la nomina dei cardinali era riservata al papa). Al resto del clero e al popolo romano veniva riconosciuta la facoltà di manifestare il proprio consenso mediante acclamazione. L'elezione del pontefice era così sottratta ad ogni ingerenza della nobiltà romana e dell'imperatore, e venivano altresì rifiutati i suddetti privilegi di Ottone I e di Enrico III. Per affrontare l'inevitabile scontro con l'impero tedesco, il papato si alleò militarmente con la potenza normanna, stanziata nel sud dell'Italia, e minacciò di scomunicare le autorità laiche che avessero continuato a concedere le investiture.
VI) Il conflitto tra papato e impero assunse toni drammatici quando vennero a confronto il papa Gregorio VII e l'imperatore Enrico IV. Il papa, infatti, con i suoi decreti, chiamati Dictatus papae (1075), non voleva solo abolire ogni ingerenza laica nella vita ecclesiastica, ma voleva anche conferire al vescovo di Roma l'esercizio di un primato assoluto su tutte le autorità ecclesiastiche e secolari. Il suo programma teocratico prevedeva:
1) infallibilità della chiesa romana,
2) universalità del pontefice e sua superiorità sui concili (soltanto a lui spettava il potere di nominare i vescovi e di emanare prescrizioni ecumeniche),
3) potere del papa di deporre gli imperatori e di scioglierne dal giuramento di fedeltà i sudditi.VII) Viceversa, Enrico IV faceva leva su una tradizione ben radicata nell'Occidente, secondo cui l'autorità del potere imperiale proviene direttamente da Dio e non dal papa. Oltre a ciò, Enrico IV temeva che l'attuazione della riforma gregoriana lo privasse di tutti i possedimenti ecclesiastici che dipendevano dalla sua corona.
VIII) Le delibere dei Concili ecclesiastici a favore della riforma gregoriana non furono rispettate né da Enrico IV, né dalla maggioranza dell'episcopato di Germania, Francia, Inghilterra e Italia. Enrico IV anzi convocò una Dieta di vescovi tedeschi a Worms per far dichiarare decaduto Gregorio VII. La risposta fu immediata: il papa scomunicò l'imperatore, sciogliendo i sudditi dall'obbligo di fedeltà. Di ciò approfittarono subito molti principi tedeschi ostili a Enrico IV, il quale così si vide costretto a sottoporsi all'umiliazione di mendicare, nella veste di un comune penitente, la revoca della condanna: cosa che ottenne dopo tre giorni di penitenza presso il Castello di Canossa, in Toscana, ove Gregorio VII s'era rifugiato temendo un attacco militare dell'imperatore. Il pontefice cedette anche perché da molte parti gli erano pervenute delle proteste per la scomunica lanciata contro l'imperatore.
IX) Tornato in Germania, Enrico IV soffoca l'opposizione interna, ripristina la prassi delle investiture imperiali del clero e scende in Italia con un forte esercito. A Roma si fa incoronare imperatore da un antipapa che aveva fatto eleggere in precedenza. I Normanni vengono in soccorso di Gregorio VII, ma, dopo aver cacciato l'imperatore, saccheggiano così duramente la città che la cittadinanza costringe il papa a rifugiarsi a Salerno, dove morirà dopo un anno.
X) La lotta per le investiture prosegue con i successori di entrambe le parti e si conclude con il Concordato di Worms (1122), con cui Enrico V riconosce la separazione delle due investiture: l'elezione del pontefice resta riservata al Collegio dei cardinali, quella dei vescovi e degli abati diventa di esclusiva prerogativa del clero; all'imperatore fu riconosciuta la facoltà di concedere l'investitura temporale (o politica) solo a quei vescovi o abati già eletti secondo la legge canonica: solo in Germania l'imperatore poteva concedere l'investitura temporale prima di quella ecclesiastica.
XI) In conclusione:
1) la politica episcopale degli imperatori germanici, iniziata da Ottone I, era definitivamente fallita;
2) una parte dei feudatari (laici ed ecclesiastici) approfittò della debolezza dell'impero per consolidare il proprio dominio, ampliando i confini territoriali: il che diede origine ai cosiddetti "principati territoriali" (territori isolati politicamente ed economicamente in cui poi si frantumerà la Germania);
3) la chiesa cattolica era diventata un organismo centralizzato e autoritario, sovrapposto alla comunità dei credenti e guidato da un monarca eletto dall'apparato dirigente della curia romana, vertice di una gerarchia ecclesiastica disciplinata;
4) in molte città dell'Italia settentrionale, una volta indebolita l'autorità del vescovo-conte, il vuoto di potere viene colmato dagli stessi cittadini, uniti da comuni interessi e resi più forti dallo sviluppo delle loro attività economiche: di qui la formazione dei Comuni.
B) La Costitutio de feudis (1037)
I) Durante il governo della dinastia di Franconia, l'imperatore Corrado II il Salico fu costretto a emanare la Costitutio de feudis, con cui riconosceva anche ai feudatari minori (valvassori o vassalli dei baroni) il diritto di trasmettere ai legittimi eredi i benefici dei quali avevano ottenuto l'investitura. Ciò stava ad indicare che all'interno della classe feudale i contrasti non riguardavano più soltanto le rivalità tra singoli signori, ma si erano anche ampliati alla contrapposizione tra interi settori della feudalità.
II) Il movimento di trasformazione interna del sistema feudale, pur interessando tutto l'Occidente europeo, ebbe come epicentro l'Italia del nord (vedi soprattutto i valvassori di Milano). Corrado II si mise dalla parte di questi valvassori anche per ottenere nuovi appoggi alla corona contro lo strapotere dei grandi feudatari laici ed ecclesiastici. Tuttavia, il decreto non farà che accelerare la disgregazione dei poteri imperiali, in quanto i piccoli feudatari, ottenuto il decreto, si allearono con le grandi signorie contro l'impero. A quel tempo fu proprio questa alleanza, sostenuta dai nuovi ceti mercantili, che riuscì ad impedire a Corrado II di imporre la sua volontà sulla città di Milano. Addirittura la popolazione, cosciente della propria forza, riuscì a liberarsi, poco dopo, anche della presenza dell'arcivescovo, costringendo la grande nobiltà a formare un governo su base comunale, cioè associativa.
C) Lo scisma cattolico-ortodosso (1054)
I) I rapporti tra l'Occidente cattolico e l'Oriente ortodosso (le due correnti principali della cristianità europea medievale) cominciarono a deteriorarsi quando il papato, nell'800, accettò di incoronare Carlo Magno sovrano del Sacro Romano Impero d'Occidente, senza che si chiedesse alcuna autorizzazione all'imperatore di Costantinopoli.
II) Successivamente gli imperatori carolingi e germanici presero ad accusare i greco-ortodossi (bizantini) di eresia, al fine di giustificare il trasferimento dell'impero a Occidente. Lo fecero in una maniera un po' curiosa. Approfittando di una lotta contro l'eresia ariana in Spagna, cominciarono a introdurre nel Credo cristiano l'espressione "Filioque" ("e dal Figlio"), relativa alla processione dello Spirito, che per i cattolici avviene anche "dal Figlio". Questo nel 589. In seguito l'aggiunta si diffuse in tutto l'impero d'Occidente, tanto che nel 1014 l'imperatore Enrico II indusse il papa a inserirla ufficialmente e definitivamente nel Credo. Dopodiché gli imperatori d'Occidente presero ad accusare i bizantini d'essere stati loro a omettere questa formula nel Credo! Naturalmente un'accusa di tal genere faceva leva sull'estraneità che da secoli caratterizzava i rapporti tra le due confessioni. In ogni caso, la questione del "Filioque" servì da premessa ideologica per giustificare la rottura con l'oriente cristiano.
III) Già si è detto che subito dopo il Mille, la chiesa romana cercò con la lotta per le investiture di sottrarsi alla soggezione in cui la costringevano gli imperatori occidentali. Questo mutato atteggiamento trovò un riflesso anche nel suo modo di rapportarsi all'Oriente ortodosso. Infatti, se a partire da Carlo Magno i suoi rapporti con l'Oriente erano mediati dagli interessi dell'impero d'Occidente, ora essa pensa di staccarsi dall'ortodossia in modo autonomo. E cominciò a farlo chiamando in Italia, nel 1016, i Normanni, affinché l'aiutassero nella guerra contro gli arabi e i bizantini nell'Italia meridionale. Ben presto però i Normanni si aggiudicarono il controllo di tutto il sud (incluse le isole), minacciando i territori dello stesso papato. Il quale così decise di inviare una delegazione a Costantinopoli per chiedere due cose: l'aiuto militare dell'imperatore e la subordinazione della chiesa ortodossa a quella cattolica (in tal modo Roma poteva controllare tutte le diocesi bizantine ancora presenti nel Mezzogiorno).
IV) I rapporti, già fin troppo tesi, degenerarono sino alla traumatica rottura. Il patriarca di Costantinopoli prese ad accusare la chiesa romana, rappresentata dalla delegazione, di usare il "Filioque" nel Credo, il pane azzimo nell'eucarestia e di essere incorsa in molte altre deviazioni dal rituale classico. La delegazione rispose appellandosi agli apocrifi decreti isidoriani (sconosciuti a Costantinopoli), che rivendicavano la supremazia papale. La conclusione di questa missione diplomatica si risolse in una reciproca scomunica: in quella della legazione latina vi erano accuse completamente infondate (ad es. si rimproverò ai bizantini di aver omesso il "Filioque" dal Credo, di aver permesso al clero di sposarsi contravvenendo alle tradizioni apostoliche, ecc.).
V) L'imperatore d'Oriente non voleva essere trascinato in quello scambio di ostilità ecclesiastiche, ma, dietro insistenza del patriarca, accettò di convocare un concilio per scomunicare i latini. I Normanni fecero il resto, rendendo impossibile la ripresa di nuovi negoziati. Col tempo le differenze tra cattolici e ortodossi si accentuarono, soprattutto nel campo dell'organizzazione ecclesiastica. L'Occidente vedeva nella chiesa una monarchia sacra e considerava il papa come la fonte assoluta di ogni autorità. Viceversa, i bizantini erano più favorevoli alla dimensione conciliare della chiesa e ritenevano l'imperatore investito di autorità direttamente da Dio.
CRISI DELLA SOCIETA' FEUDALE E NASCITA DEL CAPITALISMO COMMERCIALE
I) Subito dopo il Mille si verifica nella società europea occidentale, un risveglio in ogni forma della vita economica, politica, religiosa e culturale, che durerà almeno sino alla metà del '300 e che riguarderà soprattutto l'Italia settentrionale, la grande pianura europea lungo i fiumi navigabili, le Fiandre (Belgio). Nel Nord-Europa dominava la Lega Anseatica (Colonia, Amburgo, Brema, Lubecca, Danzica, Riga, di lingua tedesca) che commerciava con Russia, Paesi Scandinavi, Polonia, Olanda... Le condizioni che contribuiscono a provocare la crisi della società feudale e a favorire la formazione di nuovi centri organizzativi, come le città, le corporazioni di arti e mestieri, le università, sono le seguenti:
1) Rapido incremento demografico. La popolazione dell'Occidente europeo era andata progressivamente diminuendo dal III-IV sec. fino a toccare la punta massima di depressione nel sec. IX. Nell'XI sec. si ha un'inversione di tendenza, perché verso i centri urbani si dirigono sempre più numerosi i contadini che si liberano dalle condizioni servili del lavoro agricolo (fenomeno dell'urbanesimo). Essi sono richiamati dalle città che chiedono nuove forze lavorative e promettono ai lavoratori di diventare cittadini liberi. Le città, che dopo le grandi incursioni barbariche si erano spopolate (solo poche potevano contare più di 3.000 ab.), si ripopolano quando queste invasioni hanno fine (intorno al 1300 più di 60 città europee superavano i 10.000 ab.) e quando si raggiungono forme di sussistenza meno precarie, grazie allo sviluppo tecnologico e all'espandersi dei commerci. [Lo spopolamento non si era però verificato nell'Europa bizantina e musulmana].
1.1) La popolazione europea passa dai 20-40 mil. circa dell'anno Mille, ai 50-70 mil. del 1300 (prima del 1348 la densità media era di circa 20-30 ab. per kmq). L'Italia, preceduta da Germania e Francia, non supera i 9 milioni di ab. [L'epidemia di peste del 1348 decimerà di 1/3 la popolazione europea]. La durata media della vita si eleva a 35 anni. Ha termine la pratica dell'infanticidio dei neonati di sesso femminile. La mortalità infantile resta però sul 40% in media, anche se viene compensata da una notevole natalità nelle campagne.
2) Evoluzione tecnologica e Sviluppo industriale. Tra l'XI sec. e il XII sec. si moltiplicano i dissodamenti-disboscamenti-bonifiche (dal 70 al 90% della popolazione continua a vivere nelle campagne). Si diffondono innovazioni tecniche molto importanti: aratro pesante a versoio, in grado di lavorare la terra in profondità, rovesciandone le zolle; collare a spalla (e non più sul collo) per il cavallo da traino e giogo frontale con l'attacco in fila per i buoi (il che aumenta la trazione di 4-5 volte); ferratura degli zoccoli; la rotazione triennale delle colture, per evitare l'isterilirsi della terra (prima la rotazione era biennale: un anno si seminava solo una metà del campo, l'anno dopo l'altra metà. Con la rotazione triennale, la parte A, in autunno, produceva frumento e segale, la parte B, in primavera, produceva avena, orzo, piselli, ceci, lenticchie e fave, la parte C era a riposo. L'anno dopo la parte A era seminata con colture primaverili, la parte B era a riposo, la parte C produceva cereali d'autunno. Così aumentava la produzione annuale di circa 1/3. Da notare che l'alimento-base era il pane, rara la carne); i mulini ad acqua e a vento, che impiegavano un'energia praticamente gratuita, anche se molto alti erano i loro costi di costruzione: la loro più importante applicazione fu la macina del grano. La moltiplicazione degli strumenti, specie quelli di ferro, implica la formazione di ceti artigiani che vivono in città (nascono i fabbri specializzati, che producono coltelli, falcetti, vanghe, vomeri...). Il settore industriale trainante è quello edilizio (cattedrali, chiese, castelli, ponti, granai, mercati, case per ricchi). Il legno viene progressivamente sostituito con pietra, mattone e ferro. Nel 1200 cresce notevolmente anche la produzione tessile (cotone, seta).
3) Il progresso della società agraria. Al centro di una grande trasformazione dei rapporti sociali ed economici nelle campagne vi è la grande massa dei contadini, che sono in ascesa perché da un lato migliorano in modo quantitativo e qualitativo le colture agricole, e dall'altro riescono a strappare il riconoscimento di diritti più adeguati ai nuovi ruoli produttivi. Sempre più frequenti si manifestano nelle campagne episodi di congiure o di aperte ribellioni contadine contro gli obblighi feudali. I servi della gleba sono sempre meno disposti a fornire lavoro e prodotti per mantenere le forze armate del signore feudale o per garantirgli un'esistenza agiata da parassita. Questi contadini rivendicano maggiore autonomia produttiva (p.es. la possibilità di vendere i loro prodotti agricoli in città o di gestire la terra pagando un affitto). Se i signori reagiscono con la forza, i contadini spesso fuggono verso le città, diventando operai salariati o artigiani.
3.1) Da un lato dunque tendono a formarsi dei contadini benestanti o piccoli imprenditori agricoli che, pur non avendo la proprietà della terra, riescono a strappare molte concessioni al nobile, organizzando la produzione per il mercato e accumulando capitali (essi pagano un affitto al nobile). Dall'altro però si forma una specie di proletariato agricolo -i braccianti- che in un certo senso viene messo ai margini da questa trasformazione dell'agricoltura. Essi non possono trarre il sostentamento dal proprio fondo agricolo e sono costretti a lavorare a giornata, compensati con un salario in natura o in moneta.
3.2) Le famiglie contadine continuano a vivere prevalentemente nei villaggi, attorno ai quali vi sono le terre arabili, non divise da alcuna recinzione permanente, in quanto, dopo la mietitura, tutti i campi vengono usati per i pascoli. In periferia ci sono i terreni incolti e i boschi, anch'essi sfruttati in comune per la caccia, pesca, legname, miele e frutti selvatici. La collaborazione tra le famiglie permetteva di affrontare i grandi lavori stagionali. L'introduzione dei rapporti capitalistici nelle campagne determinerà, col tempo, la netta separazione delle terre private e una loro gestione individuale, la diminuzione delle terre comuni, la produzione per il mercato, la specializzazione delle colture, l'uso di metodi intensivi di sfruttamento della terra e della manodopera salariata...
3.3) La trasformazione dei rapporti socioeconomici nelle campagne è legata anche all'uso della moneta che sostituisce lo scambio in natura (baratto). Ciò comporta la fine del rapporto personale di dipendenza tra servo e signore, e l'inizio di un rapporto contrattuale, dove i diritti-doveri reciproci vengono precisati e sottoscritti in appositi contratti.
4) I commercianti. Sono loro i promotori principali dei traffici marittimi, che avvengono inizialmente con molte difficoltà (calamità naturali, rapine, pedaggi feudali). I commercianti sono degli sradicati, espulsi dalle campagne per miseria o per insofferenza al servaggio, avventurieri amanti del rischio, con pochi scrupoli e una grande motivazione al profitto economico. Spesso sono di estrazione contadina, talvolta di origine nobile (come i cadetti, spiantati e ambiziosi). Sono loro che reperiscono, trasportano, difendono le merci, creando reti di distribuzione, organizzando flotte e carovane, istituendo mercati urbani e fiere, associandosi in corporazioni di mutuo soccorso e monopolistiche. I mercanti specializzati nel cambio dei soldi (cosa indispensabile nelle fiere, a causa della diversità monetaria), diventeranno i futuri banchieri.
5) Gli artigiani. La produzione agricola è sempre più integrata dai servizi che prestano i fabbri, falegnami, calzolai, tessitori, armaioli..., le cui botteghe si moltiplicano in città, attorno ai mercati. La divisione sociale del lavoro si afferma tra città e campagna e all'interno della stessa città, tra una specializzazione artigiana-professionale e un'altra. Anche gli artigiani si uniscono in Arti o Corporazioni, organizzate secondo una gerarchia professionale. In tal modo gli operai e i garzoni sono maggiormente tenuti sotto controllo. Il maestro era proprietario di una bottega, degli attrezzi, della materia prima e conosceva i segreti del mestiere. Queste associazioni detenevano l'esclusiva delle attività di loro competenza, controllavano gli orari e le condizioni di lavoro, vietavano la concorrenza tra le varie botteghe, impedivano la pubblicità e altre iniziative che potessero favorire una bottega particolare, proibivano adulterazioni e frodi, gestivano i fondi per assistere i lavoratori ammalati o infortunati (incluse le loro vedove e gli orfani).
6) Gli aristocratici. Si recano nelle città per godere le rendite ricavate dai feudi agricoli dati in affitto, per investire i loro redditi in attività produttive, per cercare protezione contro signori più potenti che continuano ad esercitare un dispotico dominio nelle campagne. Mirano anche a confiscare alla chiesa le terre coltivate (le terre del clero raggiungono, in genere, 1/3 del totale), affidandole poi a ricchi contadini, per averne un canone. I cadetti (esclusi dall'eredità) e i piccoli feudatari in rovina diventano mercenari, professionisti della guerra: saranno loro, insieme ai contadini impoveriti e ai mercanti speculatori, che parteciperanno in massa alle crociate. I grandi feudatari detestano profondamente la logica borghese del valore fondata sul lavoro, per cui tollerano certe attività solo perché possono operare su di esse vari prelievi (tasse, pedaggi, dazi...).
7) Ripresa urbana e commerciale nell'Italia centro-settentrionale. Prima in Italia e nei Paesi Bassi, poi nel resto dell'Europa occidentale, il risveglio dei centri cittadini determina la trasformazione delle città da centri amministrativi-militari-religiosi, il cui nucleo essenziale era costituito da una fortezza o da una cattedrale (in quanto dipendevano da un signore feudale o da un vescovo), a centri produttivi-economici, di scambio e di consumo, il cui nucleo essenziale è il mercato. In Italia, le città più importanti, all'inizio, sono quelle marinare o quelle poste lungo le vie fluviali: Pisa, Venezia, Genova. Esse divengono centri di un traffico di transito su lunghe distanze, aiutate, in questo, anche dall'espansione euroccidentale verso Oriente, con le Crociate (importano spezie, seta, tessuti pregiati, gioielli...ed esportano manufatti europei).
7.1) Venezia e Genova (in parte Pisa), sino alla fine del XIII sec. controlleranno quasi tutti gli scambi dell'Europa occidentale con il Levante, il Nord-Africa (soprattutto l'Egitto) e il Mar Nero: Genova garantiva i contatti del Mediterraneo con l'Europa nordoccidentale; Venezia con l'Europa centro-orientale. Pisani, genovesi e veneziani sono presenti in tutta Europa come amministratori delle finanze pubbliche, esattori delle imposte, direttori di zecche, gestori di uffici doganali e di miniere, fornitori dell'esercito e della corte, ma anche come manifatturieri, capitani di navi, mercanti, marinai... Essi incentivano tutte le classi sociali a ricorrere al prestito, diffondono le operazioni di cambio della valuta estera e le pratiche del credito, istituiscono il sistema bancario e del debito pubblico, introducono le lettere di cambio, con le quali si poteva pagare in qualunque moneta, senza le spese e i rischi del trasporto in contanti, sperimentano la vendita a rate. Verso il 1300 sono i primi a diffondere l'uso dell'orologio meccanico per regolare la giornata lavorativa. A garanzia dei loro crediti, ottenevano concessioni commerciali, esenzioni fiscali e doganali, diritti di monopolio. Crearono praticamente il capitalismo commerciale europeo. Vittime principali di questo successo furono gli ebrei, ma anche, per un certo periodo, tutti i mercanti stranieri che volevano penetrare nel Mediterraneo. Il declino dei borghesi italiani inizierà coll'emergere degli Stati nazionali, che vorranno gestire in proprio i commerci; proseguirà con la caduta di Costantinopoli nel 1453 ad opera dei feudali turchi; e si concluderà in seguito alla scoperta dell'America, la quale sposterà il baricentro dei traffici mondiali dal Mediterraneo all'Atlantico.
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(vedi anche "LO STATO MODERNO")
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