Caro Badoglio,
sento di doverle scrivere perché temo che l'Italia possa precipitare
più giù nell'abisso. Alludo a ben altro che a difficoltà
per sottosegretari o ministri; non alludo neppure alla fame crescente
che può provocare disordini gravi (di cui vedo ovunque i prodromi)
. Penso, soprattutto, a una sorta di cospirazione invisibile di generali
ed ufficiali che hanno trovato nel Re il simbolo e l'alibi della loro
colpa: donde la necessità morale di Croce, mia e di tanti altri,
di insistere sulla abdicazione, solo mezzo, con Lei Reggente, di salvare
la monarchia liberale.
Già il fascismo regio comincia. Ad Avellino e a Napoli degli
ufficiali hanno schiaffeggiato dei fautori del Fronte nazionale di
liberazione. Questi ufficiali e i loro capi odiano in LEI l'uomo che
ha imposto al Re riluttante la guerra alla Germania. Lo strano paradosso
è che fra gli Alleati circola un certo crescente rispetto per
costoro perché, colla cecità abituale, credono siano
nell'ordine.
Da ciò a un colpo regio contro di lei non c'è, in certa
eventualità, che un passo.
Quando il Re mi mandò a offrire di divenire Capo del Governo
e io rifiutai per dovere morale e anche per riguardo verso di lei,
io aggiunsi ad Acquarone, congedandolo: "E ora voglio rendere
al Re un ultimo servizio; gli dica che ha commesso tutti gli errori
per rovinare l'Italia; gliene resta ora uno contro se stesso, contro
la dinastia: questo errore si chiama la ripetizione della tragedia
"Bava Beccaris, e quella di Umberto I".
Molti sintomi fan credere che si va verso questa avventura. Quale
sarebbe la sua responsabilità verso la storia? Mi pare un dovere
sacro di far capire agli Alleati che tutto ciò che si complotta
sotto i loro occhi viola le decisioni della Conferenza di Mosca, rende
impossibile lo sforzo di guerra italiano e spinge le nostre masse
al comunismo come supremo rifugio.
lo ho già parlato a Londra. Ma possono credere che la mia è
un'idea fissa. Eppure la salvezza è in un governo serio riunito
attorno a Lei
come Reggente (e, fino che c'è la guerra, capo militare).
Come le dissi a Brindisi, io sono pronto ad ogni viaggio e messaggio,
ma purché lei faccia sapere a Londra e a Washington che io
parlo anche e soprattutto a suo nome. Perché io riparli in
modo utile, occorre che consti solennemente che io parlo per lei questa
volta.
Ma certo, una sua rapida gita a Londra, motivata qui per altre ragioni
(pane, esercito), potrebbe essere molto utile.
Ci pensi seriamente. Anche là si agisce da taluno contro di
lei.
Se non si fa qualcosa e presto, si rischia di far cadere l'Italia
in nuove e atroci avventure, che in pochi anni (sciagurato Re) non
lasceranno forte che il comunismo.
Vuol farmi sapere che cosa conta fare? E se io posso fare qualcosa?
« Suo aff. Sforza. »
17 Novembre 1943