DOC.124

DISCORSO DI BADOGLIO AGLI UFFICIALI
"...usciamo da questo fango"

Agro S.Giorgio Ionico - 18 ottobre 1943


Signori ufficiali
Non vi dovete meravigliare se mi presento a voi in questo abito borghese; sono necessità del momento, ma io sono sempre il maresciallo Badoglio, il vostro generale del Sabotino, di Vittorio Veneto, di Addis Abeba.

Non vi farò un discorso perché i discorsi sono antipatici per chi li dice e per chi li ascolta. Io voglio prospettarvi ed illustrarvi in questo momento solamente due fatti: la caduta del fascismo e l'armistizio.

Il fascismo è caduto non per forza esterna, ma per crisi interna e per volontà degli stessi membri componenti il gran consiglio. La sera del 24 luglio il gran consiglio votò a maggioranza contro Mussolini.
La mattina del 25 Mussolini si presentò a villa Savoia a S. M. il Re e comunicò la mozione del gran consiglio dicendo che la mozione stessa era nulla. S. M. il Re gli fece presente che ciò non era vero in quanto il gran consiglio era un organo riconosciuto dallo Stato e perciò la mozione era valida. A questo punto Mussolini domandò a S. M. il Re: «Questo significa che dovrei andarmene». S. M. il Re gli rispose: «Appunto, voi ve ne andrete».

Così uscì da villa Savoia, dove venne preso e condotto da CC. RR. in una caserma dei Carabinieri, e questo fu fatto per non lasciare che egli cadesse in Roma in balìa della furia popolare, perché lo avrebbero fatto a pezzi e magari lo avessero fatto! A questo punto vi dirò che io conservo una lettera scritta da Mussolini la notte del 25 luglio con la quale egli mi ringraziava di averlo così salvato.

S. M. il Re mi chiamò subito ad assumere il Governo.
Voi sapete che alla mia età, ed alla mia condizione, non avevo ancora bisogno di gloria: ma fu una necessità, per salvare ancora, fin dove era possibile, questo nostro povero e disgraziato paese.

Io non vi dirò tutto quello che ho potuto vedere in questo breve periodo di governo; però avendo voluto sondare in molti rami, vi dirò solo pochi fatti salienti.

L'A.G.I.P. che voi sapete, quella famosa agenzia di petrolio, organo parastatale, aveva un deficit di « 90» milioni di lire e non si sono nemmeno trovati i documenti contabili. La G.I.L. costava allo Stato un miliardo e 700 milioni, l'O.N.D. un miliardo e 200 milioni.
Il Ministero della cultura popolare era diventato un vero e proprio lupanare: aveva alle sue dipendenze un numero infinito di signore romane con stipendi che talvolta oscillavano dalle 8 alle 10 mila lire al mese e con incarico... lascio intendere a voi.
Ma vi dirò di più: quelle signore non si permettevano nemmeno il fastidio di andare a riscuotere lo stipendio, perché bastava che mandassero le loro persone di servizio per farlo.

Ecco perché noi ci siamo trovati in guerra coi fucili 1891.
Il Ministro delle finanze ha riferito che noi avevamo un « deficit » di 650 miliardi, mentre avremmo dovuto avere in circolazione 14 miliardi di carta, noi avevamo invece in circolazione 150 miliardi.
I Ministeri avevano nel proprio bilancio una voce chiamata « spese riservate » e delle quali non dovevano dare alcun conto. Tutto il supero delle spese dei bilanci che non si doveva conoscere venivano trasportate nella voce « spese riservate ».

Non vi so dire quante decine di miliardi venivano così a disperdersi senza che fosse necessaria alcuna giustificazione. Non abbiamo trovato alcuna contabilità di queste spese. Ma ora basta e usciamo da questo fango...

Al convegno di Feltre il 10 luglio Mussolini si recò con la intenzione di far presente a Hitler la reale situazione dell'Italia e di chiedere l'armistizio, ma, presente il ministro degli esteri Bastianini, non ebbe il coraggio di parlare, anzi, vi dirò di più: Hitler non lo fece parlare.

Ritornato a Roma, Mussolini fece presente a S. M. il Re che per il 15 settembre intendeva sganciarsi dalla Germania. Oggi che questo l'ho fatto io, mi si accusa di tradimento. Io ho dovuto accettare questo stato di cose per il grave per il grave stato nel quale eravamo venuti a trovarci.

Prima di tutto, la rete ferroviaria era quasi del tutto interrotta e spezzata, i viveri del settentrione non potevano affluire al meridione, le città, per la maggior parte, devastate dai bombardamenti.

Nell'assumere il governo telegrafai a Hitler dicendo che avrei mantenuto l'impegno e continuata la guerra. Hitler a questo telegramma non rispose, ma dopo questo si verificarono due fatti importanti. Mandò truppe in Italia, non richieste.

Voi sapete che la Germania era con noi impegnata a mandarci un milione e 200 mila tonnellate di carbone, che noi regolarmente pagavamo. Questo venne di colpo ridotto a 300 mila tonnellate. Voi sapete che la Germania ci forniva di tutto, compreso il petrolio di cui avevamo bisogno e questo di colpo ci venne a mancare, con la scusa dei bombardamenti di Lilla. Noi rimanemmo senza una goccia di benzina.
Più grave ancora: si appropriò del nostro grano già pagato alla Romania. I treni dalla Romania furono fatti deviare verso la Germania e invece immediatamente divisioni tedesche vennero in Italia.

Non c'era più da dubitare, i tedeschi volevano prenderci alla gola, costringerci ad ubbidire. In questo momento pensai che non c'era tempo da perdere e chiesi l'armistizio al generale Eisenhower che fu senz'altro accettato. Qui avvennero dei fatti un po' imbrogliati che non sto a chiarirvi. L'armistizio doveva essere pubblicato il giorno 15 o 16. Gli alleati all'ultimo momento ci imposero di pubblicarlo il giorno 8. Dovetti immediatamente provvedere a salvare la persona di S. M. il Re, la regina e la famiglia reale, altrimenti quei ladroni li avrebbero presi in ostaggio e portati in Germania.

Adesso sono qui con una parte di Governo e cerchia
mo con ogni mezzo di mutare, a nostro favore, la situazione, la quale effettivamente ha subìto un rovescio. Noi non siamo più la nazione vinta, ma con un termine un po' difficile, siamo con gli inglesi e gli americani in "cobelligeranza". Ma io spero andare ancora oltre e cioè a dire: alla pari, ad uno stato di alleanza. Io chiesi al generale Eisenhower un ufficiale che facesse, come dire, di tratto d'unione tra noi e loro. Il mio desiderio è stato accettato e il gen. Eisenhower mi ha mandato un generale che resta con noi a Brindisi. Io spero in questo modo di salvare con tutto il nostro possibile la nostra povera Patria, ed alla fine di questa guerra otterremo dai nostri alleati i mezzi di provvedere alla sua ricostruzione.

Signori ufficiali,
Bisogna che non vi sia tra di voi alcun dubbio dell'affetto verso l'Italia e la volontà fermissima di scacciare lo straniero: il nemico dalle nostre case.
Dopo il 1935, nel 1936 l'Italia aveva raggiunto il massimo delle sue aspirazioni, aveva conquistato l'Impero, e, se noi fossimo rimasti neutrali, saremmo stati uno dei popoli più potenti e più rispettati, e d'altronde ne avevamo bisogno, dopo varie guerre combattute.

Quando il 2-giugno Mussolini mi chiamò dicendomi che il 10 giugno noi saremmo entrati in guerra, io gli gridai: "Ma lei non sa che noi non abbiamo nemmeno le camicie per i nostri soldati, non dico le divise, ma nemmeno le camicie? ». Egli mi rispose: «Lo so, io ho solo bisogno di avere alcune migliaia di morti per sedermi al tavolo della pace accanto ai vincitori ».

Ecco la profezia del grande uomo, del grande statista che aveva preveduta la vittoria in due o tre mesi...

La Germania, signori ufficiali, è stata sempre nostra nemica, d'altronde noi abbiamo combattuto contro di essa al Piave.
I tedeschi ci volevano offendere nel nostro onore di ufficiali; volevano per la resistenza in Italia imporci il comando tedesco, senza alcuna consultazione dei nostri generali, del nostro stato maggiore, essi volevano imporci il comando unico di quel famoso generale Rommel, che è stato fonte di tutte le nostre disgrazie in Africa. Io mi sono ribellato ed eccomi qua tra voi e con il nostro popolo il quale ha risposto ad unanimità.

In questo momento si combatte ovunque contro i tedeschi. A Torino ed a Milano gli operai hanno impugnato le armi
e combattono a fianco dei nostri soldati contro i tedeschi ed i fascisti. La IV armata al completo combatte vittoriosamente contro di essi.
Noi dobbiamo scacciare questi ladroni ed assassini. Sì! Ladroni!:'! L'altro giorno a S. Severo hanno svaligiato la Banca Nazionale, trasportando tutti i valori ed i titoli di Stato compresi quelli depositati dai privati.

Io sono un vecchio che ho raggiunto i miei 72 anni e non credevo di finire i miei giorni vedendo cadere la Patria in questo disastro.
Adesso è stato formato in Italia un governo detto: « Governo fascista repubblicano » agli ordini dei tedeschi; ma non crediate che Mussolini sia con loro e si arrischi a venire in Italia. Egli è al sicuro lontano, in Germania. Ma ve lo giuro, noi li ricacceremo e li raggiungeremo ovunque. Io vi prego di trasfondere nei nostri soldati questo sentimento che deve portare le nostre truppe alla rivincita e alla vittoria ».

Il testo fu pubblicato per propaganda in un manifestino. Crabevari in "Graziani mi ha detto", lo pubblica a pag. 282-285. Degli Espinosa, a pagina 134, nota e dichiara di non averlo, ma offre un riassunto, che corrisponde a quella pubblicazione volante. Attilio Tamaro, in Due anni di storia. 1943-45, invece lo pubblica a pag 117 del II volume (noi da quest'ultimo lo abbiamo riprodotto).
Secondo Degli Spinosa il discorso fu tenuto il 18 ottobre
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