
discorso dell'accensione- croologia.it
Discorso del 26 maggio 1927
Pronunciato alla Camera dei Deputati, che sarĂ ricordato come il
“Discorso dell’ Ascensione”
Gli argomenti trattati da Mussolini in questo suo discorso furono molti:
per individuarli piĂ¹ facilmente nelle sottostanti pagine -fra parentesi- gli abbiamo dato questi titoli:
Sulla salute del popolo italiano – La frustata demografica – Sull’urbanesimo delle nostre cittĂ – La ruralizzazione dell’Italia – Le province di confine – L’Alto Adige – L’ordinamento podestarile – La Polizia – Le epurazioni – La mafia – La milizia confinale – Sul mio attentato e le severe leggi speciali – I confinati politici – Le opposizioni e il terrore – Regime, prefetti, partito – L’ordine morale e l’ordine pubblico – Un bilancio di cinque anni – I sindacati – Il consenso – L’atto politico di Locarno – Sulla battaglia economica – I disfattisti del rialzo della Lira – Lo stato corporativo – Lo Stato unitario – Il nostro futuro
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Camera dei Deputati, 26 maggio 1927
“Il mio discorso si divide in tre parti:
primo, esame della situazione del popolo italiano dal punto di vista della salute fisica e della razza;
secondo, esame dell’assetto amministrativo della Nazione;
terzo, direttive politiche, generali, attuali e future dello Stato.
(Sulla salute del popolo italiano)
Qualcuno, in altri tempi, ha affermato che lo Stato non doveva preoccuparsi della salute fisica del popolo. Anche qui doveva valere il manchesteriano «lascia fare, lascia correre». Questa è una teoria suicida. Ăˆ evidente che, in uno Stato bene ordinato, la cura della salute fisica del popolo deve essere al primo posto. Come stiamo a questo proposito? Quale è il quadro? La razza italiana, cioè il popolo italiano nella sua espressione fisica, è in periodo di splendore, o vi sono dei sintomi di decadenza? Se lo sviluppo retrocede, quali sono le possibili prospettive per il futuro? Questi interrogativi sono importanti non solo per coloro che professano le dottrine della sociologia.
Le malattie cosiddette sociali segnano una recrudescenza. Bisogna preoccuparsene, e preoccuparsene in tempo. Intanto, che cosa ha fatto la Direzione generale di SanitĂ ? Moltissime cose, che io vi leggo, non foss’altro per la documentazione necessaria. Si è, prima di tutto, intensificata la difesa sanitaria alle frontiere marittime e terrestri della Nazione. Sotto la diretta sorveglianza degli organi della SanitĂ pubblica si sono derattizzati novemila bastimenti, cioè si sono uccisi quei roditori che portano dall’Oriente malattie contagiose: quell’Oriente donde ci vengono molte cose gentili, febbre gialla e bolscevismo. Ci siamo occupati della professione sanitaria, dell’assistenza sanitaria, dell’igiene scolastica, dei servizi antitubercolari, della lotta contro i tumori maligni, della vigilanza sugli alimenti e bevande, delle opere igieniche – acquedotti e fognature – delle sostanze stupefacenti, delle specialitĂ medicinali e finalmente dei consorzi provinciali antitubercolari.
Tutto questo, probabilmente, non vi dice gran che. Ma passiamo alle cifre, che sono sempre interessanti. Intanto si puĂ² oggi annunciare che una malattia sociale, la quale gravava sulla popolazione italiana da almeno un quarantennio, è totalmente scomparsa: parlo della pellagra. Nel Veneto, che era la regione piĂ¹ colpita, si ha 1,3 morto per ogni 100.000 abitanti; si puĂ² quindi dire, oggi, che la Nazione italiana ha vinto definitivamente questa battaglia.
Ma non altrettanto puĂ² dirsi per la tubercolosi. Questa miete ancora abbondantemente. Sono cifre terribili, che debbono far riflettere. Vanno da un minimo di 52.293 nel 1922, a 59.000 nel 1925. La regione piĂ¹ colpita è la Venezia Giulia; quella che è meno colpita è la Basilicata.
Altrettanto notevole è il numero di coloro che sono colpiti dalle infermitĂ dovuti ai tumori maligni. Qui la regione piĂ¹ colpita è la Toscana; la meno colpita, fortunatamente è la Sardegna, la quale Sardegna paga perĂ² un tributo tristissimo e amplissimo alla malaria.
Le cifre assolute dei morti per malaria non sono gravi e segnano una diminuzione.Vanno da 4.085 nel 1922 a 3.588 nel 1925. Qui la Sardegna ha il primato: 99 morti ogni 100.000 abitanti.
Un altro fenomeno sul quale bisogna richiamare l’attenzione dei cittadini consapevoli, è quello della mortalitĂ per alcoolismo. Non vorrei, a questo punto, che gli organizzatori del recente Congresso antiproibizionista temessero alcunchĂ© dalle mie parole. Io, non solo non credo all’astinenza assoluta; penso, anzi, che, se ragionevoli dosi di alcool avessero fatto molto male al genere umano, a quest’ora l’umanitĂ sarebbe scomparsa o quasi, perchĂ© liquidi fermentati si bevono fin dai tempi preistorici. PerĂ² non vi è dubbio che in Italia si comincia a bere troppo egregiamente. Il Mortara, nelle sue «Prospettive economiche» ci fa sapere che l’Italia ha 3 milioni di ettari dedicati a vigna; un milione di piĂ¹ di quello che non ne abbiano la Francia e la Spagna, che sono, come sapete, paesi produttori mondiali di vino.
I morti per alcolismo non sono una cifra eccessiva; si va da 664 nel 1922 a 1.315 nel 1925; e i quozienti piĂ¹ alti sono nelle Marche, nella Liguria, nel Veneto, nell’Umbria, nel Piemonte, negli Abruzzi, nell’Emilia.
Qui si è affacciato il problema della riduzione degli spacci, che erano moltissimi: 187.000 osterie in Italia! Ne abbiamo chiuse 25.000, e procederemo energicamente in questa direzione anche perchĂ© noi lo possiamo fare. Siccome noi, probabilmente, non avremo piĂ¹ occasione di sollecitare voti dagli osti e dai loro clienti, come accadeva durante il Medio-Evo democratico-liberale, possiamo permetterci il lusso di chiudere questi spacci di rovinosa felicitĂ a buon mercato.
Anche la mortalità per pazzia è in aumento, ed è in aumento il numero di suicidi.
Voi vedete da queste cifre che il quadro, pur senza essere tetro e tragico, merita una severa attenzione. Bisogna quindi vigilare il destino della razza, bisogna curare la razza, a cominciare dalla maternitĂ e dall’infanzia. A questo tende l’Opera nazionale per la protezione della maternitĂ e dell’infanzia, voluta dall’onorevole Federzoni (e non è questo uno dei suoi ultimi meriti durante il suo passaggio al ministero dell’Interno); Opera nazionale che oggi è diretta, con un fervore che ha dell’apostolato, dal nostro collega Blanc. Fatta la legge, organizzata l’Opera per la MaternitĂ e l’Infanzia nel suo Comitato centrale, – che era troppo numeroso, ragione per cui venne sciolto, – e nei suoi Comitati provinciali, bisogna finanziare quest’Opera.
Esistono nel paese 5.700 istituzioni che si occupano della maternitĂ e dell’infanzia, ma non hanno denaro sufficente.
(La frustata demografica)
Di qui la tassa sui celibi, alla quale forse in un lontano domani potrebbe fare seguito la tassa sui matrimoni infecondi. Questa tassa dĂ dai 40 ai 50 milioni; ma voi credete realmente che io abbia voluto questa tassa soltanto a questo scopo? Ho approfittato di questa tassa per dare una frustata demografica alla Nazione. Questo vi puĂ² sorprendere; qualcuno di voi puĂ² dire: «Ma come, ce n’era bisogno?» Ce n’è bisogno. Qualche inintelligente dice: «Siamo in troppi». Gli intelligenti rispondono: «Siamo in pochi». Affermo che, dato non fondamentale ma pregiudiziale della potenza politica, e quindi economica e morale delle Nazioni, è la loro potenza demografica. Parliamoci chiaro: che cosa sono 40 milioni d’Italiani di fronte a 90 milioni di Tedeschi e a 200 milioni di Slavi? Volgiamoci a Occidente: che cosa sono 40 milioni di Italiani di fronte a 40 milioni di Francesi, piĂ¹ i 90 milioni di abitanti delle Colonie, o di fronte ai 46 milioni di Inglesi, piĂ¹ i 450 milioni che stanno nelle Colonie?
Signori, l’Italia, per contare qualche cosa, deve affacciarsi sulla soglia della seconda metĂ di questo secolo con una popolazione non inferiore ai 60 milioni di abitanti. Voi direte: Come vivranno nel territorio? Lo stesso ragionamento, molto probabilmente, si faceva nel 1815, quando in Italia vivevano soltanto 16 milioni di Italiani. Forse anche allora si credeva impossibile che nello stesso territorio avessero potuto trovare, con un livello di vita infinitamente superiore, alloggio e nutrimento i 40 milioni di Italiani di oggidì. Da cinque anni noi andiamo dicendo che la popolazione italiana straripa. Non è vero! Il fiume non straripa piĂ¹, sta rientrando abbastanza rapidamente nel suo alveo.
Tutte le Nazioni e tutti gli imperi hanno sentito il morso della loro decadenza, quando hanno visto diminuire il numero delle loro nascite. Che cosa è la pace romana di Augusto? La pace romana di Augusto è una facciata brillante, dietro la quale giĂ fermentavano i segni della decadenza. Ed in tutto l’ultimo secolo della seconda Repubblica, da Giulio Cesare, che mandĂ² i suoi legionari muniti di tre figli nelle terre fertili del Mezzogiorno, alle leggi di Augusto, agli ordines maritandi, l’angoscia è evidente. Fino a Traiano tutta la storia di Roma, nell’ultimo secolo della Repubblica e dal primo al terzo secolo dell’Impero è dominata da questa angoscia: l’Impero non si teneva piĂ¹, perchĂ© doveva farsi difendere dai mercenari.
Problema: queste leggi sono efficaci? Queste leggi sono efficaci, se sono tempestive. Le leggi sono come le medicine: date ad un organismo che è ancora capace di qualche reazione, giovano; date ad un organismo vicino alla decomposizione, ne affrettano, per le loro congestioni fatali, la fine. Non si puĂ² discutere se le leggi di Augusto abbiano avuto efficacia. Tacito diceva di no; Bertillon, dopo 20 secoli, diceva di sì, in un suo libro molto interessante, dedicato allo spopolamento della Francia. Comunque, sta di fatto che il destino delle Nazioni è legato alla loro potenza demografica. Quand’è che la Francia domina il mondo? Quando poche famiglie di baroni normanni erano così numerose che bastavano a comporre un esercito. Quando, durante il periodo brillante della Monarchia, la Francia aveva questa orgogliosa divisa: «Égale Ă plusieurs» e quando, accanto ai 25 o 30 milioni di Francesi, non c’erano che pochi milioni di Tedeschi, pochi milioni di Italiani, pochi milioni di Spagnoli. Se vogliamo intendere qualche cosa di quello che è successo negli ultimi 50 anni di storia europea, dobbiamo pensare che la Francia, dal ’70 ad oggi è aumentata di 2 milioni di abitanti, la Germania di 24, l’Italia di 16.
Andiamo ancora nel profondo di questo problema che mi interessa. Qualcuno ritiene, – altro luogo comune che oggi si demolisce, – che la Francia sia la Nazione a piĂ¹ basso livello demografico che vi sia in Europa. Non è vero. La Francia si è stabilizzata sul 18 per mille di natalitĂ da circa 15 anni. Non solo, ma in certi dipartimenti francesi vi è un risveglio della natalitĂ . La nazione che tiene il primato in questa triste faccenda è la Svezia, che è al 17 per 1000, mentre la Danimarca è al 21, la Norvegia al 19 e la Germania è in piena decadenza demografica; dal 35 per 1000, è discesa al 20. Mancano due punti e sarĂ al livello della Francia.
Anche l’Inghilterra non è in condizioni brillanti. Nel 1926 il suo livello di natalità è stato il piĂ¹ basso d’Europa: 16,7 per 1000. Delle nazioni europee, quella che tiene la palma è la Bulgaria, coi 40 per 1000, poi vengono altre nazioni con livelli diversi, e finalmente vale la pena di occuparsi d’Italia. Il quinquennio di massima natalitĂ fu tra il 1881 e il 1885, con 38 nati vivi su 1000; il massimo fu nel 1886, con 39. Da allora siamo andati discendendo, cioè dal 39 a 35 per 1000 siamo discesi oggi al 27. Ăˆ vero che di altrettanto sono diminuite le morti; ma l’ideale sarebbe: massimo di natalitĂ , minimo di mortalitĂ . Molte regioni d’Italia sono giĂ al disotto del 27 per 1000. Le regioni che stanno al disopra sono la Basilicata, ed io le tributo il mio plauso sincero, perchĂ© essa dimostra la sua virtĂ¹ e la sua forza. Evidentemente la Basilicata non è ancora sufficientemente infetta da tutte le correnti perniciose della civiltĂ contemporanea. Vengono poi la Puglia, la Sardegna, le Marche, l’Umbria, il Lazio. Ma le regioni che si tengono sul 27 per 1000 sono l’Emilia e la Sicilia; al disotto la Lombardia, la Toscana, il Piemonte, la Liguria, le Venezie Tridentina e Giulia.
(Sull’urbanesimo delle nostre cittĂ )
Questo ancora non basta. C’è un tipo di urbanesimo che è distruttivo, che isterilisce il popolo, ed è l’urbanesimo industriale. Prendiamo le cifre delle grandi cittĂ , delle cittĂ che si aggirano e superano il mezzo milione di abitanti. Non sono brillanti, queste cifre: Torino, nel 1926, è diminuita di 538 abitanti. Vediamo Milano: è aumentata di 22 abitanti. Genova è aumentata di 158 abitanti. Queste sono tre cittĂ a tipo prevalentemente industriale. Se tutte le cittĂ italiane avessero di queste cifre, tra poco saremmo percossi da quelle angosce che percuotono altri popoli. Fortunatamente non è così: Palermo ha 4177 abitanti di piĂ¹ – parlo di quelli che nascono, non di quelli che ci vanno, perchĂ© questo è spostamento, non aumento -; Napoli 6695 e Roma tiene il primato con 7925. CiĂ² significa che, mentre Milano, in 10 anni, crescerĂ di 220 abitanti, Roma crescerĂ di 80.000.
(La ruralizzazione dell’Italia)
Ma voi credete che, quando parlo della ruralizzazione dell’Italia, io ne parli per amore delle belle frasi, che detesto? Ma no! Io sono il clinico che non trascura i sintomi, e questi sono sintomi che ci devono far seriamente riflettere. Ed a che cosa conducono queste considerazioni? primo, che l’urbanesimo industriale porta alla sterilitĂ le popolazioni; secondo che altrettanto fa la piccola proprietĂ rurale. Aggiungete a queste due cause d’ordine economico la infinita vigliaccheria morale delle classi cosiddette superiori della societĂ .
Se si diminuisce, signori, non si fa l’Impero, si diventa una colonia! Era tempo di dirle queste cose; se no, si vive nel regime delle illusioni false e bugiarde, che preparano delusioni atroci. Vi spiegherete quindi che io aiuti l’agricoltura, che mi proclami rurale; vi spiegherete quindi che io non voglia industrie intorno a Roma; vi spiegherete quindi come io non ammetta in Italia che le industrie sane, le quali industrie sane sono quelle che trovano da lavorare nell’agricoltura e nel mare.
Da questa digressione d’ordine demografico, che mi farete il piacere di meditare e di rileggere fra le righe, passo alla seconda parte del mio discorso, quella che concerne l’assetto amministrativo del Paese, che è legato per una piccola passerella a questo capitolo del mio discorso. PerchĂ© ho creato 17 nuove provincie? Per meglio ripartire la popolazione; perchĂ© questi centri provinciali, abbandonati a se stessi, producevano un’umanitĂ che finiva per annoiarsi, e correva verso le grandi cittĂ , dove ci sono tutte quelle cose piacevoli e stupide che incantano coloro che appaiono nuovi alla vita. Abbiamo trovato, all’epoca della Marcia su Roma, 69 provincie del Regno. La popolazione era aumentata di 15 milioni, ma nessuno aveva mai osato di toccare questo problema, e di penetrare in questo terreno, perchĂ© nel vecchio regime l’idea, l’ipotesi di diminuire od aumentare una provincia, di togliere una frazione ad un comune o, putacaso, l’asilo infantile di una frazione comunale, era tale problema da determinare crisi ministeriali gravissime.
Noi siamo piĂ¹ liberi in questa materia, e allora, fin dal nostro avvento, abbiamo modificato quelle che erano le piĂ¹ assurde incongruenze storiche e geografiche dell’assetto amministrativo dello Stato italiano. Ăˆ allora che abbiamo creato la provincia di Taranto e quella della Spezia, che abbiamo restituito la Sabina a Roma, perchĂ© i Sabini questo desideravano, e il circondario di Rocca San Casciano alla provincia di Forlì, per ragioni evidenti di geografia. Ci sono state quattro provincie particolarmente mutilate, che hanno accettato queste mutilazioni con perfetta disciplina: Genova, Firenze, Perugia e Lecce. C’è stata una provincia soppressa, che ha dato spettacolo superbo di composta disciplina: Caserta. Caserta ha compreso che bisogna rassegnarsi ad essere un quartiere di Napoli. La creazione di queste provincie è stata senza pressioni degli interessati; è stato perfettamente logico che i segretari federali siano stati festeggiati, ma non ne sapevano nulla.
(Le province di confine)
Abbiamo creato delle provincie di confine. Le abbiamo create adesso perchĂ© sono scomparse le condizioni per cui noi non le creammo quattro anni fa. Provincie di confine che non sono comparabili l’una all’altra: Aosta, italianissima, fierissima di patriottismo, Aosta non ha niente a che fare con Bolzano o Bolgiano, e lo vedremo tra poco. Di tutte le provincie, delle quali non tesserĂ² l’elogio per non mortificare la modestia dei deputati che le rappresentano qui, una particolarmente m’interessa: quella di Bolzano.
Ăˆ tempo di dire che Bolzano per molti secoli s’è chiamata Bolgiano; è tempo di dire che Bolgiano è stata sempre una cittĂ italianissima, è tempo di dire che l’intedescamento di Bolgiano è dell’ultima metĂ del secolo scorso, e precisamente di dopo che l’Austria, perduta Venezia, volle intedescare ferocemente l’Alto Adige ed il Trentino, per avere un cuneo sicuro da piantare fra due regioni italiane. Tutto ciĂ² non ha niente a che vedere col confine del Brennero. Anche se, per avventura, ci fossero nell’Alto Adige centinaia di migliaia di tedeschi puri al 100 per 100, il confine del Brennero è sacro e inviolabile. E lo difenderemmo, se fosse necessario, anche con la guerra, anche domani.
(L’Alto Adige)
LassĂ¹ non c’è che una minoranza di italiani che parlano un dialetto tedesco come lingua d’uso, e lo parlano solo da mezzo secolo. Nel resto il problema delle minoranze allogene è irrisolubile. Lo si capovolge, ma non lo si risolve. Da un archivio, che era tenuto gelosamente segreto, risulta che tutti gli atti del magistrato mercantile di Bolgiano, che è stato per alcuni secoli l’autoritĂ piĂ¹ importante di quel paese, erano scritti in lingua italiana. I privilegi, le confirmazioni, decine e decine di codici interessantissimi sono in lingua italiana. In lingua italiana erano redatti atti di commercio, registrazioni contabili, petizioni giuridiche, ricorsi al magistrato mercantile, bollettini commerciali, elencazioni nominative di commercianti e persino suppliche alla maestĂ dell’Imperatore.
Documentiamo. Ecco una supplica alla MaestĂ dell’Imperatore. Udite in quale lingua fu scritta:
“Monarca, l’inalterabile meta dell’ ardentissimo nostro voto è di collocare la statua dell’immortale nostro Monarca in questo palazzo mercantile. L’aquila imperiale, segno caratteristico del Dio de’ Dei, siede ai suoi piedi. Avanti al suo maestoso aspetto giace Mercurio sulle ginocchia carico di catene e chino al quale l’aquila scioglie i ceppi e l’ottimo nostro Giove ridona il suo caduceo.
Sì, clementissimo Monarca, questa è l’immagine impressa dal piĂ¹ vivo sentimento di gratitudine dei nostri animi.
Augustissimo Monarca, mai e poi mai si avrĂ a pentire la MaestĂ Vostra della clementissima risoluzione notificatasi in data del 20 passato agosto e della Sovrana grazia mediante questo onore al nostro commercio concesso. Questa è la voce, clementissimo Principe, dei nostri cuori penetrati dal piĂ¹ efficace spirito di gratitudine, di fedeltĂ e di sommisione, col quale ci prostriamo ai piedi della MaestĂ Vostra; fedelissimi e ossequiosissimi consoli e consiglieri dello Stato mercantile di Bolgiano, insieme ai contrattanti e fieranti.”
Raccomando quel “fieranti”, bellissimo, che sa di buono, come il buon pane campagnolo che si faceva prima dell’invenzione dei forni elettrici.
Ebbene, questi sono documenti di singolare valore storico. Ne risulta che mal si apponevano coloro, i quali pensavano che la posizione della provincia di Bolgiano costituisse un regalo o una concessione all’elemento tedesco, specialmente a quello piĂ¹ turbolento di oltre Brennero. Niente di ciĂ²: si è fatta la provincia di Bolgiano per piĂ¹ rapidamente italianizzare quella regione. Nessun’altra politica puĂ² essere adottata. Questo non significa che si debbano vessare gli abitanti dell’Alto Adige, che noi consideriamo come cittadini italiani che si sono ignorati e che devono ritrovarsi.
Non appena fu pubblicato sui giornali l’elenco delle nuove provincie, sorsero dei desideri. Alcune cittĂ , che si ritenevano degne di questo onore, lo sollecitarono. Ma io risposi con un telegramma ai notabili di Caltagirone, dicendo che fino al 1932 di ciĂ² non si sarebbe parlato. PerchĂ© nel 1932? Perchè nel 1932 sarĂ finito il censimento che noi stiamo preparando sin da questo istante. Mancano quattro anni, ma io ho deciso che entro sei mesi si devono conoscere i risultati del censimento del 1931. Ed allora molto probabilmente ci sarĂ una nuova sistemazione delle provincie italiane, ci saranno cittĂ che diventeranno provincie, se le popolazioni saranno laboriose, disciplinate, prolifiche.
(L’ ordinamento podestarile)
Intanto abbiamo realizzato l’ordinamento podestarile in tutti i Comuni del Regno. Quando si parlĂ² del podestĂ , non pochi furono coloro che versarono delle lacrime sul vecchio elezionismo che tramontava nelle competizioni amministrative. Ebbene, la nomina dei podestĂ si è svolta in tutta Italia senza quegli incidenti, senza quei disordini che taluni profetizzavano. Poche beghe, mediocri, e limitate a piccoli paesi. E si capisce che, trattandosi del primo magistrato cittadino, del primo della serie, si potesse battagliare per vedere quale dei pretendenti fosse dotato delle superiori virtĂ¹. Questo è umano, è naturale. Ma il fatto è che tutti i podestĂ insediati, o quasi tutti, amministrano col pieno, e spesso entusiastico consenso delle popolazioni.
Devo dire ai podestĂ d’Italia, da questa tribuna, una parola: adagio con le spese! Io comprendo perfettamente che il primo podestĂ della serie voglia far qualche cosa per cui si dica: Questo è il Colosseo, questa è la fontana, la scuola, ecc. Ma, adagio, bisogna che tutto sia adeguato alla politica del Governo, perchĂ© altrimenti avremo degli squilibri ed i Comuni andranno ad indebitarsi. Non potranno pagare i debiti e metteranno delle tasse, ricorreranno allo Stato, che metterĂ delle altre tasse, perchĂ© lo Stato fascista non vuole stampare moneta. Adagio anche con le municipalizzazioni. Questo è un residuo del vecchio socialismo amministrativo. Adagio anche con le cerimonie, i banchetti e le manifestazioni e possibilmente anche con i discorsi.
Intanto, con tutta calma, procederemo al riordinamento delle circoscrizioni municipali: novemila Comuni in Italia sono troppi, vi sono dei Comuni che hanno 200, 300, 400 abitanti. Non possono vivere, devono rassegnarsi a scomparire e fondersi in piĂ¹ grandi centri.
Un servizio ha dato risultati eccellenti: è il servizio ispettivo. Come voi sapete, vi sono nelle Prefetture dei funzionari che hanno il compito di andare ad ispezionare le gestioni amministrative municipali. Vediamo i risultati: ispezioni che hanno accertato delle irregolarità gravi, le quali hanno portato alla adozione di particolari provvedimenti, 238; ispezioni che hanno rilevato piccole manchevolezze di ordine contabile e senza nessuna conseguenza pratica, 2041; ispezioni che hanno accertato il regolare funzionamento amministrativo, 176. Totale delle ispezioni, 2455. Dal che vedete che il servizio funziona ed è assolutamente necessario.
Così sarĂ necessario, ad un certo momento, addivenire alla nomina delle consulte, e questo rientrerĂ nel piano generale dell’ordinamento corporativo.
Sempre su questo argomento dovremo finalmente delineare i confini giuridici, amministrativi e morali della provincia. Affronteremo anche la riforma del Consiglio di Stato, ma non è urgente.
Il Consiglio di Stato puĂ² essere riformato anche nel 1928: abbiamo molto tempo innanzi a noi.
(La Polizia)
Veniamo alla Polizia. Fortunatamente, gli Italiani stanno liberandosi dei residui lasciati nei loro spiriti dai ricordi delle dominazioni straniere: absburgiche, borboniche, del granducato, per cui la Polizia rappresentava una funzione odiosa, abominevole, da evitare.
Signori! è tempo di dire che la Polizia va, non soltanto rispettata, ma onorata. Signori: è tempo di dire che l’uomo, prima di sentire il bisogno della cultura, ha sentito il bisogno dell’ordine. In un certo senso si puĂ² dire che il poliziotto ha preceduto, nella storia, il professore, perchĂ© se non c’è un braccio armato di salutari manette, le leggi restano lettera morta e vile. Naturalmente ci vuole il coraggio fascista per parlare in questi termini. L’onorevole Federzoni ha lasciato una legge di Pubblica Sicurezza. Abbiamo in Italia 60.000 carabinieri, 15.000 agenti di polizia, 5.000 metropolitani, 10.000 appartenenti alle Milizie, diremo così, tecniche: la Milizia Ferroviaria, la Portuale, la Postelegrafonica, la Stradale; tutte Milizie e Polizie che compiono un servizio regolare, perfetto ed utile. Poi abbiamo la Milizia Confinaria e finalmente la Milizia Forestale. Io calcolo che il regime ha un complesso di 100.000 uomini come forza di Polizia. Ăˆ un numero imponente.
Bisogna epurare la Polizia, specie quella in borghese. Io non ho voluto aumentare il numero delle divise, non ho voluto cioè che i 15.000 agenti in borghese avessero la divisa.
Ma quando la polizia è in borghese e non controllabile attraverso l’uniforme, deve essere scelta, cioè deve essere composta di cittadini irreprensibili, zelanti e silenziosi. Tutti coloro che non hanno questi attributi, io li mando a spasso senza pietĂ . Così, in questi mesi, ho allontanato sette questori, quattro vice-questori, venti commissari, sei commissari aggiunti, cinque vice-commissari, ed ho fatto una rapida pulizia, ho dato un colpo di «ramazza» in quella Questura di Milano che non mi è mai piaciuta. Sono in corso altri 52 collocamenti a riposo di funzionari e di 37 impiegati del gruppo C.
Ma questo è il principio dell’epurazione. DovrĂ essere continuata. Poi bisogna dare i mezzi alla Polizia. La delinquenza moderna è avanzatissima, come progresso! Conosce la chimica, la fisica, la balistica, adopera tutti i mezzi piĂ¹ veloci. La Polizia italiana aveva ancora le vecchie automobili, che col rumore della loro incomposta ferraglia si annunziavano di lontano al delinquente, che faceva in tempo a fuggire. Abbiamo portato le autovetture della Questura da 161 a 611. Tutti i comandi di legione dei carabinieri hanno un’automobile. Altrettanto dicasi di tutti i comandi di legione della Milizia volontaria. La polizia dispone oggi, quindi, di 774 autovetture, di 290 camions, di 198 motocicli, di 48 natanti e motoscafi, e di 12.000 biciclette.
Da una Polizia così epurata, così organizzata, così attrezzata, io esigo molte cose. E le sta facendo. Vi parlerĂ² di tre operazioni della Polizia italiana: la lotta contro i falsi monetari, la lotta contro la delinquenza dei Mazzoni, la lotta contro la mafia.
La lotta contro i falsi monetari è una lotta contro il falso nummario, per il qual falso nummario sono stati arrestati nell’anno decorso 824 individui. Ăˆ pericoloso falsificare la valuta dello stato Fascista!
Veniamo ai Mazzoni. I Mazzoni sono una plaga che sta tra la provincia di roma e quella di Napoli, ex-Caserta: terreno paludoso, stepposo, malarico, abitato da una popolazione che fin dai tempi dei romani aveva una pessima reputazione, ed era chiamata popolazione di latrones.
Vi do un’idea della delinquenza di questa plaga. Nei cinque anni che vanno dal 1922 al 1926, furono commessi i seguenti delitti principali, trascurando i minori: oltraggi alla forza pubblica 171; incendi 378; omicidi 169; lesioni 918; furti e rapine 2.082; danneggiamenti 404.
Questa è una parte di quella plaga. Veniamo all’altra parte, quella dell’Aversano: oltraggi 81; incendi 161; omicidi 194; lesioni 410; furti e rapine 702; danneggiamenti 193.
Ho mandato un maggiore dei Carabinieri con questa consegna: Liberatemi da questa delinquenza con ferro e fuoco! Questo maggiore ci si è messo sul serio. Difatti, dal dicembre ad oggi, sono stati arrestati, per delitti consumati e per misure preventive, nella zona dei Mazzoni 1.699 affiliati alla malavita, e nella zona di Aversa 1.278.
I podestĂ di quella regione sono esultanti, i combattenti di quella regione altrettanto. Io ho qui un plico di telegrammi, di lettere, di ordini del giorno, documenti con i quali la parte sana di quella popolazione ringrazia le autoritĂ costituite, le autoritĂ del regime fascista per l’opera necessaria di igiene che sarĂ continuata fino alla fine.
(Sulla mafia)
Vengo alla mafia. Signori deputati! Anche qui parlerĂ² chiaro: non m’importa nulla se domani la stampa di tutto il mondo si impadronirĂ delle mie cifre. La stampa di tutto il mondo, perĂ², dovrĂ ammettere che la chirurgia fascista è veramente coraggiosa, è veramente tempestiva.
Di quando in quando giungono fino al mio orecchio delle voci dubitose, le quali vorrebbero dare ad intendere che in Sicilia attualmente si esageri, che si mortifica un intiera regione, che si getta un’ombra sopra un’isola dalle tradizioni nobilissime. Io respingo sdegnosamente queste voci, che non possono partire che da centri malfamati.
Signori! Ăˆ tempo che io vi riveli la mafia. Ma prima di tutto, io voglio spogliare questa associazione brigantesca da tutta quella specie di fascino, di poesia, che non merita minimamente. Non si parli di nobiltĂ e di cavalleria della mafia, se non si vuole veramente insultare tutta la Sicilia!
Vediamo. PoichĂ© molti di voi non conoscono ancora l’ampiezza del fenomeno, ve lo porto io come sopra un tavolo clinico: ed il corpo è giĂ inciso dal mio bisturi.
Nei comuni di Bolognetta, Marineo e Misilmeri (Palermo), sin dal 1920 si era costituita un’associazione a delinquere composta da circa 160 malfattori, che si erano resi responsabili di 34 omicidi, 21 mancati omicidi, 25 rapine, furti ecc.
A Piana dei Greci – e molti di voi ricordano quell’ineffabile sindaco che trovava modo di farsi fotografare in tutte le occasioni solenni, e che ora è dentro, e ci resterĂ per un pezzo – , a Piana dei Greci. Santa Cristina, Gelo e Parco venne arrestata una comitiva di 43 malviventi che avevano consumato 12 omicidi, 6 rapine ecc.
Nel circondario di Termini Imerese, fra il 1° e il 31 marzo, sono stati arrestati 278 delinquenti associati, che devono rispondere di 50 omicidi, 9 mancati omicidi, 26 rapine, trascuro la minutaglia minore.
Un’altra vasta associazione a delinquere venne scoperta nei circondari di Mistretta e Patti. Degli associati, 40 vennero arrestati, e vennero sequestrati grandi quantitĂ di animali e derrate per un valore di due milioni.
Un’altra comitiva di malviventi, a Belmonte ed a Mezzoluso, aveva commesso 5 omicidi, 7 rapine, ecc. A Piana dei Colli un’altra comitiva di gentiluomini, 37 omicidi; 31 mancati omicidi.
A Bisacquino, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Corleone, Campofiorito, 72 delinquenti, 14 omicidi e reati minori. A Casteldaccia, Baucina e Ventimiglia (Palermo) si poté stabilire che 179 malfattori, in epoche varie, si erano resi responsabili di 75 omicidi, 14 mancati omicidi, ecc.
Nei comuni di Bagheria, Ficarazzi, Villabate, Santaflavia (Palermo) si era composta un’associazione di 330 individui, che, in epoche diverse si sono resi responsabili di 111 omicidi, 31 mancati omicidi, 19 rapine, ecc.
A Santo Stefano Quisquina, provincia di Girgenti, 42 individui, 12 omicidi, ecc. A Roccamena (Palermo), altra comitiva di 42 delinquenti, con 7 omicidi, ecc.
A quest’opera, che è stata fatta in gran parte dai carabinieri, si è associata anche la Milizia. In tutte le grandi battute contro la delinquenza della mafia, la Milizia è stata al suo posto.
Ma non crediate che tutto ciĂ² non abbia costato qualche cosa. Ecco qui l’ordine del giorno, che torna a onore dell’Arma fedele dei Reali Carabinieri. Dopo un anno di lavoro, l’Arma puĂ² fare questo rendiconto morale: 10 militari uccisi in conflitto con malviventi, 1 morto nel compimento del proprio dovere, 350 feriti con lesioni guaribili oltre i 10 giorni, 14 premiati con medaglia d’argento al valor militare, 47 con medaglia di bronzo al valor militare, 6 con medaglia al valor civile, 10 attestati di pubblica benemerenza, 50 encomi solenni. Bisogna che tutti i fascisti sappiano che l’Arma dei Reali Carabinieri è una delle colonne del regime fascista.
Quali sono i risultati di quest’opera contro la delinquenza? Notevoli.
Ecco un bollettino del prefetto Mori, al quale mando il mio saluto cordiale.
Ecco il suo bollettino: è il bollettino complessivo per tutta la Sicilia.
Nel 1923, 696 abigeati, nel 1926, 126: le rapine, da 1.216, sono discese a 298; le estorsioni, da 238 a 121; i ricatti, da 16 a 2; gli omicidi, da 675 a 299; i danneggiamenti, da 1327 a 815; gli incendi dolosi, da 739 a 469.
Questo è il miglio elogio che si puĂ² fare a quel prefetto e a un altro funzionario che collabora con lui molto egregiamente: parlo del magistrato Giampietro, il quale, in Sicilia, ha il coraggio di condannare i malviventi.
Qualcuno mi domaderĂ : quando finirĂ la lotta contro la mafia?
FinirĂ , non solo quando non ci saranno piĂ¹ mafiosi, ma quando il ricordo della mafia sarĂ scomparso definitivamente dalla memoria dei siciliani.
(La milizia confinale)
Parliamo della Milizia Confinale. Voi sapete che il confine è vigilato dalle camicie nere, dai carabinieri e dagli agenti e dalle guardie di finanza in questa proporzione: 55 funzionari, 224 agenti, 1.626 carabinieri, 2806 camicie nere e 4417 guardie di finanza. Perché dico queste cifre? Per una ragione molto semplice: per snebbiare i cervelli di oltre frontiera.
Quando le camicie nere sono arrivate alla frontiera occidentale, qualcuno ha sentito il passo delle legioni che andavano oltre il Colle dell’Argentera e il Passo di tenda in terra altrui. Ăˆ ridicolo. Su tutto il confine occidentale non ci sono che 900 camicie nere, le quali camicie nere si occupano, purtroppo, soltanto dei cattivi italiani che vogliono uscire e dei cattivi italiani che vorrebbero entrare.
(Sul mio attentato, e le severi leggi)
Vengo alla terza. parte del mio discorso. L’azione politica dello Stato fascista. Voi ricordate in quale circostanza io assunsi il Ministero dell’Interno. Ricordate la grande giornata del 31 ottobre, a Bologna: uno spettacolo incomparabile ed insuperabile, che non sarĂ mai dimenticato da coloro che lo hanno visto e vissuto.
Ricordate il trascurabile incidente della sera. Ci fu una emozione profonda in Italia, e bisognava prendere delle misure. Bisognava che la rivoluzione puntasse i piedi contro l’antirivoluzione. Fu allora che su questo foglio di carta scritto di mio pugno, a lapis, come vedete, dettai le misure che si dovevano prendere: ritiro e revisione di tutti i passaporti per l’estero; ordine di far fuoco senza preavviso su chiunque sia sorpreso in procinto di valicare clandestinamente la frontiera; soppressione di tutte le pubblicazioni antifasciste quotidiane e periodiche; scioglimento di tutte le associazioni, organizzazioni e gruppi antifascisti o sospetti di antifascismo; deportazione di tutti coloro che siano sospetti di antifascismo, o che esplichino una qualsiasi attivitĂ controrivoluzionaria, e di chiunque porti abusivamente la camicia nera; creazione di una polizia speciale in tutte le regioni, e creazione di uffici di polizia e di investigazione e di un tribunale speciale.
L’onorevole Federzoni che è un soldato fedele alla consegna, volle ritornare al ministero delle Colonie; ma volle, prima di ritornare al ministero delle Colonie, elaborare queste misure e presentarle con la sua elaborazione al Consiglio dei Ministri. Questo va notato e ricordato. Queste misure sono state applicate. Sono state applicate con intelligenza, perchĂ© bisogna essere molto intelligenti nel fare opera di repressione.
Tutti i giornali d’opposizione sono stati soppressi; tutti i partiti antifascisti sono stati sciolti, si è creata la Polizia speciale per regioni, che rende giĂ segnalati servizi; si sono creati gli uffici politici di investigazione; si è creato il Tribunale speciale, che funziona egregiamente e non ha dato luogo ad inconvenienti, e meno ne darĂ , specialmente se si adotterĂ la misura di escludere dalle sue mura l’elemento femminile, il quale spesso porta nelle cose serie il segno incorreggibile della sua frivolezza. Ăˆ stata applicata la pena del confino.
PerchĂ© ho detto che in quest’opera bisogna essere intelligenti? PerchĂ© la opposizione, in Italia, non bisogna esagerarla, come è forse stato fatto. Ăˆ stata piĂ¹ bagolistica che altro: ha versato molto inchiostro; ma, in realtĂ , in questi cinque anni di regime fascista non vi è stata che la manifestazione collettiva del cosiddetto «soldino», e bastĂ² l’apparire di poche autoblindate tra Messina e Palermo per farla finire. Poi c’è stata la grande carnevalata dell’Aventino, nella seconda metĂ del 1924; ma gli oppositori non sono usciti mai dalle trincee giornalistiche e, del resto, io li avrei aspettati nelle altre trincee. C’è stata poi la serie fastidiosa degli attentati, fastidiosa per voi.
Quanti sono questi confinati? SarĂ tempo di dirlo, poichĂ© all’estero si è parlato di 200.000 confinati e nella sola Milano ne sarebbero stati rastrellati 26.000. Ăˆ stupido, prima di essere vile. Distinguiamo intanto i confinati nelle loro due categorie: i confinati comuni e i confinati politici. Spero che per i confinati comuni nessuno vorrĂ impietosirsi. Si tratta, in generale, di autentiche canaglie, ladri, sfruttatori di donne, venditori di stupefacenti, che devono essere tolti rapidamente dalla circolazione, strozzini, ecc. Sono in tutto 1527.
Sono appena cinque mesi che il confino funziona.
Veniamo ai politici. Sono stati diffidati 1541 individui; ne sono stati ammoniti 959; sono alle isole 698. Sfido chiunque a smentire l’attendibilitĂ di queste cifre, che, come vedete, sono modeste. Ma nessuno di questi confinati vuol essere antifascista e qualcuno ha l’aria di essere fascista.
Difatti, al 21 maggio dell’anno in corso, su 698 confinati hanno dichiarato di non aver svolto alcuna attivitĂ politica, 61; da aver da tempo cessato ogni attivitĂ politica, 286; di non aver svolto attivitĂ sovversiva, 175; di aver da tempo cessato ogni attivitĂ sovversiva, 182; di non aver appartenuto a partiti politici, 69; hanno fatto atto di sottomissione al regime, 29; hanno confermato le proprie idee politiche, 21; non hanno fatto affermazione di carattere politico, 52.
Ma qui c’è un carteggio interessante dal punto di vista umano. Non dirĂ² il nome di coloro che mi hanno mandato queste missive, che sono interessanti. Il fatto che quasi tutti i confinati si sono rivolti a me, deve essere considerato come uno dei piĂ¹ grandi successi del regime fascista; prima di tutto, perchĂ© nessuno di costoro voleva avere la taccia di essere antifascista, e, in secondo luogo, perchĂ© tutti, nonostante i loro precedenti, sapevano che potevano rivolgersi a me se erano meritevoli di giustizia.
«Io credo – dice uno – che l’avere professato idee massimaliste e l’avere esercitato un mandato parlamentare nell’ambito delle vigenti leggi non possa costituire una legittima ragione di provvedimento verso di me».
«Ho militato nel partito comunista fino a ieri – dice un altro -; non essendo piĂ¹ il Partito riconosciuto come organismo politico del paese, mi dimetto».
Il signor X dichiara di essere deciso a rinunciare ad ogni attivitĂ politica.
Il signor Y scrive che «l’aver seguito idealitĂ politiche non ortodosse, non stabilisce ” sic et simpliciter” l’opportunitĂ di adottare così grave misura come quella decisa nei miei confronti».
Un altro promette «di lasciare ogni forma di attivitĂ politica e di ritirarmi a Santa Margherita Ligure». Ăˆ un bel posto!
«Io predicai il marxismo – dice un altro – secondo la legge della evoluzione intesa dialetticalmente».
Il signor Z si era adoperato, per quanto gli era stato possibile, per ottenere che il partito mutasse tattica. Non c’è riuscito.
«Riaffermo il mio patrimonio ideale; ma mi sono ritirato da tempo a vita privata. Fu solo in questi ultimi tempi che si delineĂ² l’ordinamento corporativo che mi ha chiarito le idee».
Qui c’è un altro che ama i sospensivi e dice che sospenderĂ ogni attivitĂ per tutto il tempo del regime fascista.
Questi documenti hanno un interesse vivo dal punto di vista dell’umanitĂ .
Ora, questi confinati non si trovano certamente in una posizione brillante, ma non esageriamo. Ricevono intanto 10 lire al giorno rivalutate; sono stati divisi dai detenuti comuni; sono stati concentrati in due isole. Taluno ha parlato di amnistia. No, signori, niente amnistia, non se ne parla di amnistia fino al 1932, e se ne parlerĂ nel 1932, se, come mi auguro, non sarĂ necessario prorogare le leggi speciali. Ma il diniego dell’amnistia collettiva non impedisce di fare i condoni individuali, sopra tutto quando sono raccomandati dai fascisti, e qualche volta anche da interi direttori fascisti. Con quali criteri io procedo quando si tratta di condonare? Tengo prima di tutto conto del passato di guerra del confinato. Evidentemente, se è un mutilato, un decorato, un combattente, esso ha il titolo superiore agli altri; poi delle condizioni di famiglia e di salute; poi anche delle dichiarazioni che il ricorrente fa. Terrore, signori, questo? No, non Ă© terrore, è appena rigore. E forse nemmeno; è igiene sociale, profilassi nazionale.
Si levano questi individui dalla circolazione come un medico toglie dalla circolazione un infetto.
(Le opposizioni e il terrore)
Ma poi, chi sono coloro che rimproverano alla piĂ¹ umana delle rivoluzioni il terrore? Ma qui non si ha piĂ¹ l’idea di quello che sia stato il Terrore? Il Terrore delle altre rivoluzioni, il Terrore, ad esempio, della rivoluzione dalla quale scaturirono i cosiddetti immortali principi! Quale Terrore era quello che ghigliottinava venti teste in media ogni mattina in piazza della Maddalena? Ma quale Terrore era quello che ha annegato migliaia di persone nei fiumi, che ha scannato migliaia di persone in prigione, che ha mandato alla ghigliottina un chimico come Lavoisier, un poeta come ChĂ©nier, decine di giuristi, che ha distrutto regioni intere, che ha seminato la devastazione e la morte dovunque, che non ha rispettato nĂ© giovani, nĂ© vecchi, nĂ© donne, nĂ© bambini, nĂ© civili, nĂ© sacerdoti, che aveva per massima che per fare una rivoluzione bisogna tagliare molte teste? C’è bisogno che vi dia la bibliografia del Terrore? No, voi la conoscete, ma io vi consiglio di leggere un libro, che è un «vient de paraĂ®tre» ed è intitolato: «Le suppliziate del Terrore». Ăˆ la storia delle 2000 ghigliottinate, spesso la madre insieme con le figlie, spesso l’intera famiglia, e spesso, quello che piĂ¹ conta, non si trattava di aristocratici: si trattava di povera gente sorpresa con un Cristo sul petto. Sepolcri imbiancati! Sepolcri pieni di fetido elemento, non parlate di Terrore quando la rivoluzione fascista fa semplicemente il suo dovere: si difende!
Ăˆ accaduto che si è devastato qualche studio di avvocato, o qualche biblioteca di professore. Lo deploro. Ma tra il 1789 e il 1793 – badate bene che non voglio fare un ridicolo processo alla rivoluzione francese; documento soltanto il periodo storico, perchĂ© la storia si giustifica sempre in se stessa – ci fu la caccia all’ingegno. Condorcet, nel suo progetto di Costituzione, aveva detto che i popoli liberi non conoscono altri meriti di preferenza all’infuori dell’ingegno e della virtĂ¹; d’Herbois, uno dei collaboratori di Robespierre, rispondeva che solo gli intriganti parlano ancora di ingegno. Garnier, a Nantes, prometteva di uccidere tutti gli uomini di ingegno. Nei clubs di Parigi si diffidava di chiunque avesse scritto un libro!
Certo è che, da allora, tutte le opposizioni in Italia sono franate, sono disperse, sono finite: polvere. Un gruppo importante come quello dell’Azione cattolica ha fatto atto di adesione al Regime. Poi c’è stato il movimento dei confederali. Parliamo anche di questo episodio. Si è esagerata la portata di questo fatto. Quando fu pubblicata la circolare a firma Rigola, io pregai i giornali di non stamburlarla, di accettarla come un riconoscimento, perchĂ© non vogliamo evidentemente impiccare tutti gli uomini al loro passato. Ci sarebbero troppi uncini in giro. Doveva essere interpretata come un segno dei tempi, come un segno della forza adesiva del regime. E così è in realtĂ . Si puĂ² dubitare di qualcuno di coloro che stanno intorno a Rigola; ma Rigola è un galantuomo, per lo meno, ed è certamente un uomo d’ingegno e di cultura, e la dichiarazione conteneva cose utili a sapersi, anche dal punto di vista fascista.
Qui sorge il problema: ma come fate a vivere senza un’opposizione? L’opposizione ci vuole, perchĂ© sta bene nel quadro. Noi respingiamo nella maniera piĂ¹ perfetta e sdegnosa questo ordine di ragionamento. L’opposizione non è necessaria al funzionamento di un sano regime politico. L’opposizione è stolta, superflua in un regime totalitario come è il regime fascista. L’opposizione è utile in tempi facili, di accademia, come avveniva prima della guerra, quando si discuteva alla Camera, se, come e quando si sarebbe realizzato il socialismo, e si fece un contraddittorio, che evidentemente non era serio, malgrado gli uomini che vi partecipavano.
Ma l’opposizione l’abbiamo in noi, cari signori; noi non siamo dei vecchi ronzini che hanno bisogno di essere pungolati. Noi controlliamo severamente noi stessi. L’opposizione sopra tutto la troviamo nelle cose, nelle difficoltĂ obiettive, nella vita, la quale ci dĂ una vasta montagna di opposizioni, che potrebbe esaurire spiriti anche superiori al mio. Quindi, nessuno speri che, dopo questo discorso, si vedranno dei giornalisti antifascisti, no: o che si permetterĂ la resurrezione di gruppi antifascisti: neppure. Si ritorna al mio discorso tenuto prima della rivoluzione in un piccolo circolo rionale di Milano, l’«Antonio Sciesa»; in Italia non c’è posto per gli antifascisti; c’è posto solo per i fascisti e per gli afascisti, quando siano dei cittadini probi ed esemplari.
Ora, non si deve pensare che la rivoluzione fascista, – poichĂ© ormai anche i nostri piĂ¹ feroci avversari sono convinti che noi stiamo rimpastando l’Italia da cima a fondo, e siamo appena all’inizio, – possa convivere con la controrivoluzione. Che cosa succederĂ ? SuccederĂ che gli antifascisti si ridurranno al lumicino; vivranno di sante memorie; non potranno fare altro. Sapete voi che fino al 1914 ci fu a Napoli un gruppo borbonico? Lo sapete che fino al 1914 si stampava anche un giornale che si chiamava il Neoguelfo? Chi erano? Erano dei vecchi funzionari dell’epoca borbonica, i quali tutte le volte che vedevano i crachats delle decorazioni, o i papiri del loro Regime, si commuvevano. Finalmente venne la guerra, si riunirono, collocarono una lapide sul Circolo e non se ne parlĂ² piĂ¹. Così sarĂ di tutti gli altri antifascisti; ad un certo momento riconosceranno che è veramente stupido cozzare contro i macigni.
(Regime, prefetti, partito)
Vengo ad un altro punto: Regime, prefetti, partito. Coloro che ricordano il Gran Consiglio, il primo Gran Consiglio che si tenne al Grand HĂ´tel in data 11 gennaio 1923, e che fu importantissimo, perchĂ© creĂ² il Gran Consiglio e la Milizia, ricordano che io dissi al Partito: datemi 76 prefetti fascisti e 76 questori. Parve un’eresia fare il prefetto e soprattutto fare il questore. Pareva che avessi fatto una proposta oscena; tuttavia ci furono degli eroi che accettarono di fare il prefetto uscendo dal Partito, e due di costoro hanno funzionato egregiamente. Quindi non è vero che solo nel novembre si siano presi dei prefetti dal Partito. L’esperimento era stato fatto prima, solamente con una aliquota ridotta. Devo dire che i prefetti presi dal Partito funzionano splendidamente. Aggiungo che quando mi deciderĂ² a fare un movimento di prefetti (e adesso avete notato che i movimenti sono rari, distanziati: i prefetti non devono viaggiare continuamente nella tradotta del trasloco, perchĂ© altrimenti finiscono col non capire piĂ¹ nulla della situazione provinciale) quando mi deciderĂ², dicevo, a fare un movimento di prefetti, chiederĂ² al partito un’altra aliquota di prefetti fascisti, possibilmente della prima ora.
La Circolare ai Prefetti è un documento fondamentale, perchĂ© ha stabilito la posizione netta del Partito nel Regime, in maniera che non tollera piĂ¹ equivoci. Dico subito che dai colloqui che ho avuto con ben 90 Prefetti, ho avvertito che solo in una decina di provincie, o signori, la situazione non era chiara, c’era cioè quello che ho chiamato lo slittamento dell’autoritĂ , la mezzadria del potere. Ma in tutte le altre provincie debbo dichiarare solennemente che tutti i segretari federali erano, come devono essere, degli organi subordinati al capo della provincia. Così come al centro il Segretario del Partito viene tutte le mattine da me a prendere ordini, altrettanto è logico, e non per semplice analogia formale, che nelle provincie accada altrettanto. Chiarita così la posizione, ci potranno ancora essere delle frizioni, perchĂ© la natura umana non è facilmente addomesticabile; ma queste frizioni diminuiranno e, ad ogni modo, io non darĂ² mai la testa di un prefetto a nessun Segretario federale, soprattutto se questo prefetto viene dal Partito nazionale fascista, e se è, come deve essere, un probo funzionario, servitore devoto del Regime.
Poi, in quella circolare mi occupavo di un altro fenomeno. Ormai questo discorso ha un valore puramente retrospettivo, perchĂ© molti di quei fenomeni sono in via di esaurimento o definitivamente scomparsi. Mi occupavo dello squadrismo, che è stato una grande cosa, come strumento dell’attivitĂ fascista, ma è semplicemente assurdo, ridicolo e stupido di farne qualche cosa a sĂ©. Lo squadrismo deriva da squadra: così noi potremmo fare anche il battaglionismo ed il reggimentismo. PuĂ² una semplice formazione tattica, di battaglia, dare motivo ad un ordine, a qualche cosa? No. E poi, o signori, lo squadrismo va da Torino a Trieste, nella valle padana, nella Toscana e nell’Umbria; piĂ¹ in giĂ¹ non ce n’è stato, salvo nelle Puglie o in pochi altri centri. Poca roba. Quindi è semplicemente assurdo lo squadrismo fatto in ritardo. I fascisti devono essere tempisti. Io non posso soffrire fisicamente coloro che sono ammalati di nostalgia, che ad ogni minuto traggono dai loro petti sospiri e respiri profondi: «Come erano belli quei tempi!». Tutto ciĂ² è semplicemente idiota! La vita passa, o signori, e continuamente si ha di fronte la realtĂ vivente. Lo squadrismo, quando porta il grigio-verde, è esercito che deve combattere.
E vi è una distinzione profonda per quello che concerne l’illegalismo. Anche qui il discorso ha un valore retrospettivo. Io ho fatto l’apologia della violenza per quasi tutta la mia vita; io l’ho fatta quand’ero a capo del socialismo italiano, e allora spaventavo il ventre, talvolta esuberante, dei miei compagni di tessera, con molte previsioni guerriere: il “bagno di sangue”, le “giornate storiche”.
Volevo provare la capacitĂ combattiva di questa entitĂ mitica, intangibile che si appellava il proletariato italiano. Ma ho sempre distinto la violenza dalla violenza, sin dal congresso di Udine, sino ai discorsi nei circoli rionali, e ho sempre detto che c’è la violenza tempestiva, cavalleresca di uno contro uno, nobile, migliore del compromesso e della transazione. Ma le violenze che servono agli interessi personali, quelle non sono fascismo. E sono finite da quando il regime ha riassunto in sĂ© tutte le forze e in una sola tutta l’autoritĂ .
Altro punto, di carattere retrospettivo: quando un regime, quando un partito ha assunto la terribile e grave responsabilitĂ del potere, allora è responsabile in toto, ed anche l’ultimo gregario dell’ultimo Fascio d’Italia ha la sua parte di responsabilitĂ . Il Regime è giudicato da lui come è giudicato da me, e il popolo ha perfettamente il diritto di giudicare il Regime dai campioni che esso gli offre. E se quei campioni non sono all’altezza della situazione, il popolo ha diritto di manifestare il suo severo giudizio. PerchĂ©? PerchĂ© siamo e ci vantiamo di essere un regime autoritario e non si deve nemmeno pensare, nemmeno dubitare che abbiamo adottato questa severa disciplina semplicemente per nascondere qualche cosa che non sia purissima e cristallina.
(L’ordine morale e l’ordine pubblico)
Ma poi c’era una distinzione piena di dottrina e piena di vita in quella circolare: la distinzione tra l’ordine morale e l’ordine pubblico. Non è la stessa cosa. Ci puĂ² essere un ordine pubblico perfetto, e ci puĂ² essere un disordine morale profondo. Dobbiamo preoccuparci dell’ordine morale, non dell’ordine pubblico, perchĂ© per l’ordine pubblico, nel senso poliziesco della parola, abbiamo forze sufficienti; dobbiamo invece preoccuparci dell’ordine morale e dobbiamo volere, lavorando in profondo, che l’adesione tra le masse ed il regime sia sempre piĂ¹ vasta, sempre piĂ¹ sana, sempre piĂ¹ vitale.
Ma intanto quale è stato il risultato di questa politica? Un senso di pace diffuso in tutto il Paese; le piccole prepotenze locali sono finite, gli illegalismi anche. Tutti gli elementi di parte sono inquadrati: del resto, quando non lo sono, li colpisco. Nessuno si illuda di pensare che io non sappia quello che succede nel Paese fino nell’ultimo villaggio d’Italia. Lo saprĂ² un po’ tardi, ma alla fine lo so. Ed allora arriva la mia spada, come arrivĂ² di recente in una grande cittĂ , dove ho sceverato i fascisti che lavorano e che dimostrano come lavorano, da quelli che non possono fare questa brillante, questa ardua dimostrazione. Vi dirĂ² che in questi primi quattro mesi del 1927 gli incidenti seguiti da ferimenti sono stati 11 in tutta Italia. In quattro mesi, l’anno scorso, furono 99. Questo dimostra che il senso della disciplina e dell’ordine sono ormai diffusi in tutte le classi di cittadini.
(Un bilancio di cinque anni)
On. Colleghi! Siamo ormai alla fine dell’anno V del regime. Voi sapete che io sono sempre un po’ malcontento; perĂ², se mi guardo attorno, se guardo quello che abbiamo fatto in questi cinque anni, ho qualche motivo di soddisfazione. Vi dirĂ² tra poco quale è la ragione piĂ¹ profonda della mia soddisfazione; voi forse non la intuite in questo momento. Le forze del regime sono compatte, salde, incrollabili. Quali sono queste forze? In primo luogo, il Governo. Ci sono ancora degli sfaccendati, i quali ad ogni Consiglio di Ministri ricadono negli antichi peccati, perchĂ© la forza dell’abitudine, qualche volta, e pericolosissima, e parlano di rimpasto, ed il mio orecchio deve essere ferito da questa terminologia che mi ricorda l’epoca di Carlo Magno. No, il Governo è compatto, solido, affiatato. E dovete considerare che nel Governo fascista tutti i ministri e tutti i sottosegretari di Stato sono dei soldati: essi vanno lĂ dove il loro capo indica che devono andare e stanno, se io dico loro di stare. Non c’è nulla di quelle che ricorda la vecchia cucina dei vecchi tempi! C’è la rigida disciplina militare del regime fascista!
Accanto al Governo, il Partito. Il Partito ha migliorato la sua compagine in questi ultimi tempi. Intanto ha chiuso le porte; quelli che sono stati fascisti nel 1925, 1924, 1923 benissimo; adesso non si diventa piĂ¹ fascisti. Tanto peggio per i ritardatari. I nostri treni non li aspettano! Ma come nutriremo il Partito di linfe vitali? Con la giovinezza. Io spero che voi avrete riflettuto sul significato straordinariamente simbolico e profondamente vitale della cerimonia del 28 marzo; questa leva in massa della gioventĂ¹, che entra nel Partito e riceve una tessera, che è qualche cosa come ricevere un moschetto, che infinitamente è di piĂ¹.
Accanto al Partito, la Milizia: la Milizia che, in questi ultimi tempi, è diventata un organismo anche piĂ¹ importante di quello che non fosse e che, intanto, ha avuto la soddisfazione di avere la guardia ai confini, di dare i suoi ufficiali al Tribunale speciale, di costituire gli uffici politici di investigazione, di ottenere, 6000 moschetti ogni mese. Le legioni sono state dotate dei mezzi necessari. Si sta studiando per utilizzarle in caso di guerra, poichĂ© il problema della Milizia è un problema organico. Intanto a quelli che hanno piĂ¹ di 40 anni sarĂ data la difesa antiaerea e la difesa costiera. Ma soprattutto la Milizia ha avuto l’educazione premilitare, che ha dato risultati superbi. Così si forma l’esercito fascista: dal basso; così si fanno le generazioni guerriere: non soltanto di soldati che obbediscono, ma di generazioni di soldati che si battono, perchĂ© tale è il loro desiderio; perchĂ© questa è la loro passione, perchĂ© sentono di portare un’idea.
Gli eserciti che hanno vinto erano eserciti che portavano sulla loro bandiera un’idea. E noi, oggi, portiamo l’idea dell’ordine, della gerarchia, dell’autoritĂ dello Stato contro la teoria suicida dei disordine, della indisciplina, della irresponsabilitĂ .
(I sindacati)
I Sindacati vanno bene. Non bisogna perĂ² farsi illusioni eccessive per quello che concerne il cosiddetto proletariato urbano: è in gran parte ancora lontano, e, se non piĂ¹ contrario come una volta, assente. Ăˆ evidente che noi dovremo essere aiutati anche dalle leggi fatali della vita. La generazione degli irriducibili, di quelli che non hanno capito la guerra e non hanno capito il fascismo, ad un certo momento si eliminerĂ per legge naturale. Verranno su i giovani, verranno su gli operai ed i contadini che noi stiamo reclutando nei Balilla e negli Avanguardisti. Potenti istituzioni, potenti organismi, che ci danno modo di controllare la vita della Nazione dai 6 ai 60 anni, che creano l’Italiano nuovo, l’Italiano fascista.
Poi, accanto ai Sindacati, abbiamo oggi tutte le forze vive della coltura, dello spirito, dell’economia, delle banche. Il regime è totalitario, ma è il regime che ha il piĂ¹ vasto consenso. L’hanno gli altri regimi? Come si forma il loro Governo? Attraverso un voto di maggioranza. Ma come è creata la maggioranza? Attraverso una consultazione elettorale. ParlerĂ² tra poco delle consultazioni elettorali. Questo regime, invece, è regime che si appoggia sopra un partito di un milione di individui, su un altro milione di giovani, su milioni e milioni d’Italiani che vanno perfezionandosi, raffinandosi, organizzandosi. Nessun altro Governo, di nessun’altra parte del mondo ha una base piĂ¹ vasta e piĂ¹ profonda di quella del Governo italiano.
(Il consenso)
Un problema. Il consenso del popolo c’è. Difatti l’opposizione si riduce a qualche conato vociferatorio, ma così fantastico e pacchiano, che lo stesso popolo ne fa giustizia. La classe dirigente comincia ad esserci. Ci sono, infatti, 9000 podestĂ , 2000 ufficiali della Milizia, migliaia di organizzatori fascisti, che domani possono assumere una funzione di comando. Cinque anni fa io credevo che dopo cinque anni, non dico che avrei potuto prendermi un riposo, – queste sono parole che repugnano profondamente al mio spirito, – ma ritenevo di aver compiuto gran parte della mia fatica. Signori, mi accorgo che non è così. Lo constato, come constato che questo è un libro: non ci metto nessuna simpatia e nessuna antipatia. Mi sono convinto, che, malgrado ci sia una classe dirigente in formazione, malgrado ci sia una disciplina di popolo sempre piĂ¹ consapevole, io debbo assumermi il compito di governare la Nazione italiana ancora da 10 a 15 anni. Ăˆ necessario. Non è ancora nato il mio successore.
PerchĂ©? Ăˆ dunque una libidine di potere che mi tiene? No. Credo, in coscienza, che nessun italiano pensi questo. Nemmeno il mio peggiore avversario. Ăˆ un dovere preciso verso la rivoluzione e verso l’Italia. E poi abbiamo ancora dei grandi compiti, dei grandissimi compiti. Ve ne cito tre. Sono fondamentali: la messa a punto di tutte le forze armate dello Stato; la battaglia economico-finanziaria; la riforma costituzionale.
(L’atto politico di Locarno)
Voi ricordate che io andai a Locarno. Locarno è un paese che sta sul Lago Maggiore. Andai perchĂ© si trattava di compiere un atto politico e diplomatico d’importanza fondamentale. Notate che io non voglio fare una digressione di politica estera; parlerĂ² di politica estera al Senato, ma fra qualche tempo, perchĂ© mi riterrei disonorato per sempre se infliggessi due discorsi alla Nazione nello stesso periodo di tempo. L’architettura di Locarno è la seguente: Francia e Germania prendono l’impegno di non aggredirsi reciprocamente. E ci sono, a lato, un paio di carabinieri che vigilano perchĂ© questo impegno non sia violato: l’Inghilterra e l’Italia. Era importante che l’Italia, in quel momento, si mettesse sullo stesso piano dell’Inghilterra e si rendesse garante di quella pace sul Reno, che, in realtĂ , è la pace dell’Europa.
Ma a Locarno si fece qualche cosa di piĂ¹ e di meglio: si fece un’operazione di chimica pura, di distillazione; si fabbricĂ² lo «spirito di Locarno». Signori, lo «spirito di Locarno », oggi, a due anni appena di distanza, è straordinariamente decolorato. Lo constato qui, senza nessuna intenzione di polemica; mi dĂ l’impressione del rapporto che puĂ² intercedere tra il murmure che si sente in una conchiglia messa vicino all’orecchio ed il rombo dell’Oceano. Non è la stessa cosa, evidentemente. Che cosa è accaduto? Ăˆ accaduto che le Nazioni, diremo così locarniste, si armano furiosamente per terra e per mare; è accaduto che in alcune di queste Nazioni si è osato perfino parlare di una guerra di dottrine che doveva essere mossa dalla democrazia degli immortali principi contro questa irriducibile Italia fascista, antidemocratica, antiliberale, antisocialista ed antimassonica.
Poi ci sono state delle manifestazioni davanti alle quali sarebbe criminoso chiudere gli occhi, poichĂ© quello che io rimprovero alla democrazia è questo: di foggiarsi un tipo di uomo e credere realmente che questo uomo esista. Di qui gli atroci disinganni, le tragedie ed i macelli della storia. Signori, è dell’altro giorno la grande parata berlinese degli elmi a chiodo. Erano 120.000, e questo ci potrebbe interessare mediocremente, ma una delle loro tabelle aveva questa dicitura: «Da Trieste a Riga». Pazzesca, paradossale, gaffeuse, se volete: ma è un fatto.
Allora? Allora il dovere preciso, fondamentale e pregiudiziale dell’Italia fascista è quello di mettere a punto tutte le sue forze armate della terra, del mare e del cielo. Bisogna potere, ad un certo momento, mobilitare cinque milioni di uomini, e bisogna poterli armare: bisogna rafforzare la nostra Marina e bisogna che l’aviazione, nella quale credo sempre di piĂ¹, sia così numerosa e così potente che l’urlio dei suoi motori copra qualunque altro rumore nella penisola e la superficie delle sue ali oscuri il sole sulla nostra terra. Noi potremo allora, domani, quando tra il 1935 e il 1940 saremo a un punto che direi cruciale della storia europea, potremo far sentire la nostra voce e vedere finalmente riconosciuti i nostri diritti.
(Sulla battaglia economica)
Questa preparazione richiede ancora alcuni anni. E c’è, poi la battaglia economica e finanziaria. Io non voglio anticipare il discorso che il Ministro delle Finanze pronuncerĂ giovedì prossimo in quest’assemblea; ma tuttavia è necessario che qualche cosa dica. E qui la mia polemica diventerĂ pungente e qui suonerĂ con sei chiavi, di violino, naturalmente.
Voi ricordate che l’estate scorsa, quando la sterlina, – parliamo della sterlina a paritĂ col dollaro, perchĂ© ciĂ² volle l’Inghilterra, come fanno i popoli forti, – andava a 140 ed a 150, c’erano dei risolini in giro. Tutti gli antifascisti pareva che avessero una parola d’ordine comune: «Bella cosa il Fascismo, grand’uomo il Duce, perĂ², non si sa come, guardate i cambi: la sterlina è a 140. Ci vuol altro, signori! I banchieri di Wall Street e della City non sono «ricinati ». Il manganello non fa salire il termometro dei cambi!».
Ebbene, venne il mio discorso di Pesaro: il mio discorso di Pesaro che fu improvvisato, naturalmente. BisognerĂ perĂ² che dica che lo avevo meditato da tre mesi e che in data 8 agosto scrissi una lettera di ben 16 pagine al ministro delle Finanze. Le mie improvvisazioni sono di questo genere! Che cosa dicevo? Che il regime fascista non ammette la sconfitta sul terreno finanziario. La puĂ² subire se domani le forze saranno inferiori alla sua volontĂ , ma certo non puĂ² accettarla. Allora, dopo il mio discorso di Pesaro – che pronunciai a Pesaro semplicemente perchĂ© vi ero di passaggio nel pomeriggio, perchĂ© è una bella cittĂ che mi è simpatica, ma che potevo pronunciare anche a Sassoferrato, perchĂ© non ho mai creduto che per fare un discorso interessante ci sia bisogno di salire su una bigoncia brillante – i risolini ironici e sarcastici sono scomparsi.
(I disfattisti del rialzo della Lira)
Ma adesso, che cosa succede? Quando l’altro giorno la sterlina andĂ² ad 85, pareva che ci fosse in vista una catastrofe nazionale: si vedevano in giro delle facce ancor piĂ¹ grigie, come se si trattasse di impiantare delle succursali di Raveggi. «Ma è una rovina; ma è una catastrofe nazionale», dicevano i manipolatori dei titoli e dei cambi. Costoro io li stimo abbastanza, ma qualche volta, quando li vedo col distintivo all’occhiello, mi danno la nausea. E non è facile, dato il mio regime dietetico. Ma dove poi è questa catastrofe, signori? Ma non piangete prima del tempo! Non fasciatevi la testa prima di averla scassata! Adagio! Calma, signori disfattisti del rialzo, che prima eravate disfattisti del ribasso.
Per me la storia comincia nell’ottobre 1922. Se voi prendete il punto culminante della sterlina, allora sì, abbiamo un miglioramento di 60 punti; ma se prendete la quotazione media di 120, il miglioramento si riduce a 30 punti, e se tornate alla quotazione della marcia su Roma, il miglioramento si riduce a 15, perchĂ© all’epoca della marcia su Roma la sterlina era a 105 e 110. Ma allora, o signori, avevamo un bilancio in deficit, avevamo i debiti esteri non pagati, un Regime che cominciava e che quindi poteva anche supporsi non duraturo; avevamo una bilancia dei pagamenti passiva. Ed allora che cosa è questo miglioramento di 15 punti, oggi che abbiamo sistemalo il debito interno e il debito estero, che abbiamo il bilancio in pareggio ed in avanzo, che abbiamo contenuto la circolazione? Ăˆ il premio, il modesto premio che il popolo italiano si merita dopo cinque anni in cui ha lavorato come un negro o, se volete, come un eroe e come un santo.
D’altra parte, si plachino queste preoccupazioni: non abbiamo conquistato nulla; abbiamo ripreso le posizioni che avevamo nel 1922. Le chiameremo «la quota 90» e su questa quota aspettiamo tutto il grosso dell’esercito. Ci staremo il tempo sufficiente e necessario perchĂ© tutte le forze dell’economia a questa quota si adeguino; le quali forze perĂ² si adeguavano rapidamente, volonterosamente, quando i cambi, scendendo in giĂ¹, facevano i salti del canguro. Oggi trovano difficoltĂ insormontabili perchĂ© procediamo col passo del grillo verso il miglioramento. Tutto ciĂ² è miserabile.
(Lo stato corporativo)
Abbiamo creato lo Stato corporativo. Questo Stato corporativo ci pone dinanzi il problema istituzionale del Parlamento. Che cosa succede di questa Camera? Intanto, questa Camera, che ha egregiamente, nobilmente e costantemente servito la causa del regime, durerĂ per tutta intera la Legislatura. Tutti coloro che volevano liquidarla e sopprimerla, quasi per punirla, saranno certamente delusi. Ma è evidente che la Camera di domani non puĂ² rassomigliare a quella d’oggi. Oggi, 26 maggio, noi seppelliamo solennemente la menzogna del suffragio universale democratico. Ma che cosa è questo suffragio universale? Noi l’abbiamo visto alla prova. Sopra 11 milioni di cittadini che avevano il diritto di votare, ce n’erano 6 milioni che periodicamente se ne infischiavano.
E gli altri, che valore potevano avere, quando il voto è dato al cittadino semplicemente perchĂ© ha compiuto i 21 anni, e quindi il criterio discriminativo della capacitĂ del cittadino è legato a una questione di cronologia o di stato civile? Ci sarĂ anche domani una Camera, ma questa Camera sarĂ eletta attraverso le organizzazioni corporative dello Stato. Molti di voi ritorneranno in questa Camera, molti di voi troveranno il seggio naturale nel Senato, alcuni nel Consiglio di Stato, alcuni nelle Prefetture, nella carriera diplomatica e consolare, dove si puĂ² servire egregiamente il Regime, qualche altro si ritirerĂ a vita privata. Non si puĂ² pensare che tutti siano gerarchi. Ci vogliono anche i gregari.
Del resto, la Nazione sente forse il bisogno elettorale? Lo ha dimenticato, ed è proprio necessario per noi di avere, attraverso un bollettino di voto, l’attestazione del consenso del popolo? Lasciatemi pensare che questo non è assolutamente necessario. Verso la fine di quest’anno, nell’anno prossimo, noi stabiliremo le forme con cui sarĂ eletta la Camera corporativa dello Stato italiano.
(Lo Stato unitario)
Ma intanto vengo ad un punto essenziale del mio discorso: forse al piĂ¹ importante. Che cosa abbiamo fatto, o fascisti, in questi cinque anni? Abbiamo fatto una cosa enorme, secolare, monumentale. Quale? Abbiamo creato lo Stato unitario italiano. Pensate che dall’Impero in poi, l’Italia non fu piĂ¹ uno Stato unitario. Noi qui riaffermiamo solennemente la nostra dottrina concernente lo Stato; qui riaffermo non meno energicamente la mia formula del discorso alla Scala di Milano, «tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato».
Non so nemmeno pensare nel secolo XX uno che possa vivere fuori dello Stato, se non allo stato di barbarie, allo stato selvaggio. Ăˆ solo lo Stato che dĂ l’ossatura ai popoli. Se il popolo è organizzato, il popolo è uno Stato, altrimenti è una popolazione che sarĂ alla mercĂ© del primo gruppo di avventurieri interni o di qualsiasi orda di invasori che venga dall’estero. PerchĂ©, o signori, solo la Stato con la sua organizzazione giuridica, con la sua forza militare, preparata in tempo utile, puĂ² difendere la collettivitĂ nazionale se la collettivitĂ umana si è ridotta al nucleo familiare, basteranno cento normanni per conquistare la Puglia.
Che cosa era lo Stato, quello Stato che abbiamo preso boccheggiante, roso dalla crisi costituzionale, avvilito dalla sua impotenza organica? Lo Stato che abbiamo conquistato all’indomani della Marcia su Roma era quello che c’è stato trasmesso dal ’60 in poi. Non era uno Stato; ma un sistema di Prefetture malamente organizzate, nel quale il prefetto non aveva che una preoccupazione, di essere un efficace galoppino elettorale. In questo Stato, fino al 1922 il proletariato – che dico?! – il popolo intero, era assente, refrattario, ostile. Oggi preannunziamo al mondo la creazione del potente Stato unitario italiano, dall’Alpi alla Sicilia, e questo Stato si esprime in una democrazia accentrata, organizzata, unitaria, nella quale democrazia il popolo circola a suo agio, perchĂ©, o signori, o voi immettete il popolo nella cittadella dello Stato, ed egli la difenderĂ , o sarĂ al di fuori, ed egli l’assalterĂ .
Un discorso come questo non tollera perorazioni. Solo io vi dico che, tra dieci anni, l’Italia, la nostra Italia sarĂ irriconoscibile a se stessa ed agli stranieri, perchĂ© noi l’avremo trasformata radicalmente nel suo volto, ma soprattutto nella sua anima”.