Albert
Einstein
Autore: Giovanni Esposito
"TEORIE
DI PRINCIPI" E "TEORIE COSTRUTTIVE"
IN EINSTEIN:
UNA REINTERPRETAZIONE
A PROPOSITO DI QUESTE PAGINE, RICEVIAMO:
* * A Voi di Cronologia Buongiorno! Sono un ricercatore in fisica presso il centro di ricerca dell'ENEA di Frascati. Mi son imbattuto nel vostro sito attraverso l'articolo sulla visione di Einstein a proposito di teorie di principi e teorie costruttive, che ho trovato navigando. E' un lavoro molto interessante. Rispondendo al vostro invito, vi invio i miei saluti e il mio "Grazie!". Inoltre, visto che la prossima settimana farò una lezione sulla relatività di Einstein presso i Laboratori del Gran Sasso, nei riferimenti bibliografici del documento che ho preparato per l'occasione ho ovviamente inserito l'articolo indicando il vostro sito "Cronologia".
Ancora grazie e buon lavoro. (e-mail in archivio)
1) Introduzione
M.J. Klein ha insistito più di una volta sul fatto che la distinzione di Einstein tra "teorie di principi" e "teorie costruttive" ha avuto un ruolo cruciale nel pensiero di questi, tanto da fungere da suo "pensiero inconscio".
Qui si studiano gli scritti di Einstein sull'argomento, cercando di ottenere la massima precisione su un tema che Einstein tratta più volte, ma in maniera disomogenea. Poi si confronta questa distinzione con un concetto analogo illustrato da Poincaré. Si nota che non solo Poincaré ha preceduto Einstein, senza che questi lo citi mai; ma è anche più preciso di Einstein, il quale lascia indecisa la caratterizzazione della teoria dell'elettromagnetismo, che pure ha avuto un ruolo cruciale per la nascita della relatività. Inoltre si reinterpreta questa distinzione, sia nella versione di Einstein che in quella di Poincaré, secondo le due opzioni dei fondamenti di una teoria scientifica, suggerita da A. Drago. Infine su questa base si interpreta la memoria originaria di Einstein del 1905.
2) Riflessioni di Einstein sulle teorie fisiche.
In questo lavoro ci proponiamo di interpretare gli scritti di Einstein sulla teoria della relatività ristretta, in modo da ricavarne indicazioni ulteriori sui fondamenti della stessa. A differenza delle interpretazioni precedenti, qui non ci baseremo su concetti fisici particolari (spazio, tempo, particella, sistema di riferimento, ecc.), nè su particolari concetti solo filosofici ( causalità, determinismo, ecc.), ma su quanto Einstein stesso ha suggerito come punto più elevato della sua riflessione sulla teoria che lui ha creato.
Studieremo per prima cosa la concezione di Einstein sulle teorie fisiche in generale; faremo ciò selezionando, tra le sue tante riflessioni, quelle specifiche sull'argomento e componendole in un complesso organico coerente e il più possibile completo.
In vari passi Einstein dichiara che una teoria fisica è organizzata al meglio quando riceve un'organizzazione deduttiva, le cui deduzioni derivano da pochi principi che sarebbero universali, cioè racchiuderebbero in potenza tutta la realtà (Einstein dice addirittura "l'universo"). Questa è una chiara presa di posizione a favore della organizzazione deduttiva di tutta la teoria fisica. In seguito (par. 3) vedremo però che Einstein ammette un'alternativa.
Iniziamo allora lo studio dalle riflessioni di Einstein sulla teoria intesa deduttivamente anche perché questa organizzazione è quella che viene considerata più comunemente, e perché le sue riflessioni in proposito sono le più numerose e le più organiche. In questo paragrafo incominciamo a delineare gli elementi costitutivi di una teoria e le loro relazioni. Per questo scopo ci riferiremo provvisoriamente allo schema esemplificativo utilizzato da Einstein in una famosa lettera del 1952, scritta all'amico M. Solovine (v. ad es. [3] p.741-744 oppure [2] p.53 e seg.). Tale schema raffigura una teoria su due livelli, così come segue:
il punto di partenza è dato dall'insieme delle esperienze sensibili, o fatti empirici, rappresentate dal piano E; da questo si passa al piano A, che rappresenta l'insieme degli assiomi o principi sui quali si basa una teoria; e da questi, tramite la derivazione di teoremi, si ritorna al piano E.
Diceva Einstein che il passaggio E-A non viene realizzato dal ricercatore tramite un metodo logico, ma piuttosto con un salto connesso alla sua sfera "intuitiva" o "psicologica". Al riguardo egli osservava che la costruzione del sistema di assiomi o di principi di una teoria è una "libera invenzione dell'intelletto umano"([4] p.26).
Poi ancora nel suo saggio del 1933 <<On the method of theoretical physics>>: "Il puro pensiero logico di per sé non è atto a fornirci una conoscenza del mondo empirico: ogni conoscenza della realtà ha origine dall'esperienza e nell'esperienza si conclude. Le proposizioni puramente logiche sono vuote davanti alla realtà. E' merito di Galileo l'avere scoperto e aver diffuso questa idea nel mondo scientifico: perciò egli è considerato il padre della fisica moderna, o meglio della scienza moderna."([5] p.255)
Qui Einstein appare in polemica con la concezione dominante della scienza negli anni 1920-1930, il neopositivismo logico, i cui esponenti maggiori sono stati Carnap, Nagel, Hempel. Questi ultimi lanciarono il programma di ricostruire tutta la scienza sulla base dei soli risultati dell'esperienza (neo-positivismo) organizzati solamente con la logica matematica la quale nei fondamenti della matematica sembrava finalmente chiarire i fondamenti di tutta la scienza. In definitiva, secondo loro, tutto ciò che poteva apparire "filosofico" in una teoria fisica (legge, principio, complesso della teoria) o doveva essere ricostruito dai dati sperimentali o rigettato. Einstein non li cita mai; piuttosto si riferisce qualche volta ai positivisti dell'800,[584] dalla cui scuola derivano i neopositivisti logici (~1930).
Una critica precisa di Einstein ai positivisti si può trovare nelle sue <<Note autobiografiche>> in riferimento al rigetto della teoria quantistica della materia di Planck, da parte di un nutrito gruppo di studiosi tra cui Otswald, Mach, e altri: "L'antipatia di questi studiosi verso la teoria atomica può farsi indubbiamente risalire al loro atteggiamento filosofico positivistico. E questo è un interessante esempio del fatto che anche studiosi dallo spirito audace e dall'intuito sottile possono essere ostacolati da pregiudizi filosofici nell'interpretazione dei fatti. Il pregiudizio, che a tutt'oggi non è affatto sparito, consiste nella convinzione che i fatti possano e debbano tradursi in conoscenza scientifica di per sé, senza libera costruzione concettuale."([4] p.26)
Ancora su questioni filosofiche-epistemologiche, nella sua <<Replica alle osservazioni dei vari autori>>, Einstein affronta il problema della connessione tra scienza ed epistemologia, assegnando un posto di rilievo al lavoro dell'epistemologo e nel contempo individuando i limiti che questo deve avere nella produzione scientifica. All'uopo: "E' inevitabile, quindi, che (lo scienziato; n.a.) appaia all'epistemologo sistematico come una specie di opportunista senza scrupoli: che egli appaia come un <<realista>>, poiché cerca di descrivere il mondo indipendentemente dagli atti della percezione; come un <<idealista>>, perché considera i concetti e le teorie come libere invenzioni dello spirito umano (non deducibili logicamente dal dato empirico); come un <<positivista>>, poiché ritiene che i suoi concetti e le sue teorie siano giustificati soltanto nella misura in cui forniscono una rappresentazione logica delle relazioni fra le esperienze sensoriali. Può addirittura sembrargli un <<platonico>> o un <<pitagorico>>, in quanto considera il criterio della semplicità logica come strumento indispensabile ed efficace per la sua ricerca."([2] p.630)
Pur non seguendo il pensiero neopositivista, che non attribuiva valore decisivo ai principi della fisica teorica, anche Einstein li riteneva quasi indipendenti dalla esperienza, e li chiamava "fittizi". Invece, egli diceva, la maggior parte degli studiosi dell'era prerelativistica, "era fermamente convinta che i concetti e le leggi fondamentali della fisica non sono, dal punto di vista logico, semplici invenzioni del nostro cervello, bensì il risultato, per via di <<astrazioni>>, di una deduzione dall'esperienza". Ma poi, "Soltanto la teoria della relatività ha permesso di mettere in luce gli errori contenuti in quella concezione. La teoria della relatività ha dimostrato che si poteva, su basi (leggi: principi; n.a.) molto dissimili da quelle di Newton, essere d'accordo in modo più soddisfacente e completo di quanto era consentito dai principi newtoniani, con tutti i fatti correlativi nel campo dell'esperienza. Ma anche trascurando la questione della superiorità di una teoria rispetto all'altra (della relatività sulla meccanica newtoniana; n.a.), il carattere fittizio dei principi è dimostrato una volta per tutte dal fatto che si possono dare due principi tra loro diversi (ad es. quelli della relatività e quelli della meccanica newtoniana; n.a.) e, ciò nondimeno, si ricavano due teorie concordanti in larga misura con la esperienza."([5] p.256-257)
Da ciò Einstein concludeva che "ogni tentativo di dedurre logicamente dalle esperienze elementari i concetti e le leggi fondamentali della meccanica (e più in generale di tutta la fisica; n.a.) è destinato a fallire."([5] p.257)
A questo punto Einstein pone una questione fondamentale che riguarda il passaggio dal piano delle esperienze a quello dei principi: "Ora, stabilito che il fondamento assiomatico della fisica teorica non è deducibile dall'esperienza, ma è viceversa creato liberamente dall'intelletto, sussiste la speranza di trovare la strada giusta? O questa strada esiste soltanto nella nostra immaginazione? E, soprattutto, possiamo sperare di trovare nell'esperienza una guida sicura, considerato che vi sono teorie (per es. la meccanica classica) che danno largamente ragione ad essa (l'esperienza; n.a.), peraltro senza pervenire ad afferrare il fondo della questione ?"([5] p.257)
A ciò Einstein dava una risposta, diciamo, rassicurante ma in definitiva ben lungi dall'essere definitiva: "La mia risposta è che, a mio avviso, la strada giusta esiste e che è possibile trovarla. Sulla base della esperienza fin qui raccolta, abbiamo il diritto di credere che la natura sia la realizzazione di ciò che di più matematicamente semplice è immaginabile. Io sono convinto che per mezzo di costruzioni puramente matematiche è possibile scoprire quei concetti che ci danno la chiave per comprendere i fenomeni naturali e i principi che li legano tra loro. I concetti matematici possono essere suggeriti dall'esperienza, ma mai dedotti da questa. L'esperienza resta, naturalmente, unico criterio per utilizzare una costruzione matematica per la fisica, ma è nella matematica che risiede il principio creatore. Io sono portato a credere nella capacità, in un certo senso, del pensiero puro a dominare la realtà, proprio come pensavano gli antichi."([5] p.257)
Questo passo è molto interessante. Einstein non condivide affatto la fiducia dei neopositivisti logici nella capacità della logica matematica di ricostruire formalmente tutta la teoria fisica. Egli dichiara piuttosto una fiducia nella matematica per riuscire a superare i salti logici che il fisico teorico deve affrontare nel costruire la teoria fisica. Inoltre lui stesso attribuisce alla matematica una creatività intrinseca ("è nella matematica il principio creatore"), la quale si proietta, attraverso l'opera del fisico teorico, nel suggerire come costruire creativamente le teorie fisiche; quindi la matematica è solo "suggerita" dall'esperienza. Una posizione di questo tipo di solito viene definita come "platonismo matematico" in quanto ai concetti matematici viene attribuita una realtà superiore a quella della operatività sperimentale, proprio così come Platone la attribuiva a tutte le idee.
Notiamo ancora che, in una conferenza del 1918, alla stessa questione Einstein aveva dato una risposta che è simile alla precedente, pur di intendere in ciò che segue la "intuizione" come "intuizione matematica": "Il fine più alto del fisico è quello di pervenire a leggi elementari universali che permettano la ricostruzione dell'universo per via deduttiva. Nessuna via logica conduce a queste leggi universali: soltanto l'intuizione, fondata sull'esperienza, può condurre a esse. Una tale incertezza metodologica potrebbe far credere alla possibilità di un numero imprecisato di sistemi di fisica teorica, tutti ugualmente giustificati: opinione senza dubbio corretta dal punto di vista teorico.
Lo sviluppo della fisica ha però dimostrato che, di tutte le costruzioni possibili, una soltanto, almeno per il momento, si è dimostrata decisamente superiore a tutte le altre ( qui chiaramente si riferisce alla relatività; n.a.)".
Continuando: "Nessuno di coloro che hanno studiato il problema, potrà negare che il mondo empirico determina praticamente il sistema teorico, nonostante il fatto che non esista alcun ponte logico tra i fenomeni e i loro principi teorici; ciò che Leibniz così felicemente chiamava <<armonia prestabilita>>."([5] p.215)
In definitiva Einstein, ammette anche la pluralità di teorie deduttive sullo stesso campo di fenomeni, evidentemente diverse solo per i loro principi (perciò i principi sono "fittizi"); salvo poi distinguerle per la loro semplicità matematica o meglio per la loro migliore funzionalità, da intendersi, in base a quanto visto fin qui, sia come funzionalità rispetto alla matematica che come funzionalità esplicativa dei risultati degli esperimenti.
Da quanto visto il pensiero di Einstein appare molto coerente sull'arco di vari decenni. Questa durevolezza della sua direzione di pensiero, assieme alla profondità del suo lavoro teorico, danno conto di quella grande autorità che Einstein ha avuto in questo secolo nell'orientare non solo la ricerca scientifica, ma anche la riflessione sulla ricerca scientifica. Notiamo anche che la sua posizione idealizzante verso la matematica si estende pure ai principi di una teoria fisica (il che è del tutto naturale, dato che proprio con i principi di solito si stringe il rapporto tra la matematica e la fisica).
Tornando allo schema esemplificativo iniziale, notiamo che il passaggio di ritorno A--->E è anch'esso delicato; esso viene scomposto in due passaggi da Einstein, nella già citata lettera a M. Solovine (cit. p. 3), così come segue:
dall'insieme degli assiomi si passa, per via logica o deduttiva, a una serie di di conseguenze o previsioni teoriche rappresentate dal piano S, e poi si devono collegare queste con il piano delle esperienze E. I piani A e S formano la teoria vera e propria, e questa non deve contraddire i fatti empirici (in seguito chiariremo meglio come Einstein intendeva questa non contraddizione).
Sempre nella stessa lettera si legge: "Dagli A si ricavano, con procedimento deduttivo, enunciati particolari S che possono pretendere di essere veri." A e S formano, in altri termini, quella che potremmo chiamare la "parte logica" della teoria in contrapposizione alla parte intuitiva, quindi "extralogica", E--->A discussa precedentemente.
Sia da quanto già visto che dalla citazione che segue, è chiaro che questa "parte logica", va intesa come la parte logico-deduttiva e quindi, nell'opinione comune dei fisici, come la parte matematica della teoria.
In genere in un libro di testo questa parte occupa lo spazio maggiore; cosicché, a una prima lettura, si è portati a pensare che questa parte costituisca l'intera teoria. Su questo argomento, nel saggio <<On the method of theoretical physics>> (1933), Einstein diceva: "La struttura di un sistema di fisica teorica è data da una serie di concetti, di leggi fondamentali in armonia con quei concetti; e di conclusioni logicamente dedotte. Tali condizioni devono corrispondere alle nostre esperienze particolari: in ogni trattato teorico la parte riservata alla deduzione logica occupa pressoché l'intero volume."([5] p.255)
Poi definisce l'insieme dei principi A come gli "elementi primi" di una teoria e li caratterizza come la parte "razionalmente imperscrutabile" della teoria perché essi non sono soggetti a una ulteriore riduzione logica; egli dice: "Il grande obiettivo di tutta la teoria è di ridurre gli elementi primi al più piccolo numero e alla maggiore semplicità possibile senza dover rinunciare alla adeguata rappresentazione di ogni fatto empirico."([5] p.256)
A questo punto possiamo ritenere di aver descritto, tramite lo schema utilizzato e le riflessioni di Einstein, tutte le parti di una teoria fisica secondo il suo punto di vista. Sintetizzando con le parole di Einstein: "L'esperienza è l'alfa e l'omega di tutto il nostro sapere intorno alla realtà (con quanto visto fin qui; n.a.) abbiamo assegnato alla ragione e all'esperienza il loro posto in un sistema di fisica teorica. La ragione assicura la struttura al sistema; i contenuti empirici e le loro relazioni reciproche, grazie alle proposizioni conseguenti della teoria, devono trovare la loro rappresentazione. Nella possibilità di una tale rappresentazione consiste unicamente il valore e la giustificazione dell'intero sistema e, in particolare, dei concetti e dei principi che ne stanno alla base."([5] p.255) Passiamo adesso alla analisi critica di una teoria fisica.
Per Einstein questa analisi critica era basata essenzialmente su due criteri: la "perfezione interna" e "la conferma esterna" ([4] p.13). Il criterio della "perfezione interna" riguarda il complesso A-S: una teoria deve avere una sua coerenza logica interna, a partire da premesse che siano il più possibile semplici. Riguardo al primo criterio, nelle sue << Note autobiografiche >>, diceva: "Questo non ha per oggetto il rapporto tra teoria e materiale di osservazione, bensì le premesse della teoria stessa o, ciò che brevemente, se pur vagamente, potrebbe definirsi <<naturalezza>> o <<semplicità logica>> delle premesse; ossia di quei concetti fondamentali e di quelle corrispondenti relazioni reciproche che sono poste a base di essi."([4] p.13)
Inoltre, sempre dalle sue <<Note autobiografiche>>, si può notare che la <<semplicità logica>> delle premesse, per Einstein, deve essere considerata come un criterio per valutare la bontà di una singola teoria e soprattutto per valutare la scelta fra teorie diverse riguardanti lo stesso campo di fenomeni naturali.
Continuando la precedente citazione: "Non si tratta qui semplicemente di enumerare le premesse logicamente indipendenti, ammesso che sia possibile fare qualcosa del genere in modo assolutamente inequivoco, ma di soppesare, in una sorta di raffronto valutativo, qualità incommensurabili."(ibidem) Dall'ultima parola traspare tutta la difficoltà di questo compito. "Incommensurabile" significa letteralmente che non ci sono metri di misura comuni tra diversi principi. Allora è chiaro che resta solo il raffronto di tipo soggettivo; per questo motivo, Einstein esclude che esso sia "assolutamente inequivoco" e lo qualifica come una "sorta di raffronto valutativo" compiuto sulla base di valori soggettivi. Perciò su questo punto Einstein non si aspetta che si possa giungere a una visione unanime.
La "conferma esterna" invece riguarda la relazione tra S e E, ovvero la non contraddizione tra teoria e fatti empirici. Al riguardo egli diceva: "Questo criterio ha per oggetto la conferma dei fondamenti teorici per mezzo dei fatti empirici a disposizione." ([4] p.13) In un articolo del 1922: <<L'esperimento è un giudice inflessibile e poco gentile del lavoro del fisico teorico. Non dice mai "sì" ad una teoria, nel migliore dei casi "forse" e nella maggior parte dei casi "no".>>([6] p.98, [19] p.429) Ancora nell'articolo << On the generalized theory of gravitation>>: "una volta che si è arrivati a un'idea teorica, si fa bene a conservarla fino a che essa non conduca a una conclusione insostenibile."([5] p.320)
Queste opinioni di Einstein vengono generalmente interpretate non nel senso della verifica sperimentale delle previsioni di una teoria, ma nel senso di un criterio di falsificazione o di sconferma. Ciò è in accordo col criterio sostenuto da Popper per decidere la scientificità di una teoria: non la sua verifica, ma la sua falsificabilità ci assicura che una teoria non sia metafisica. Un'interpretazione di questo genere si trova sia nel saggio di Holton ([1] p.70-71) che nell'articolo di de Ritis-Guccione ([6] p.98-99).
Comunque questo criterio di falsificazione o di sconferma non vuol dire che le verifiche sperimentali non siano bene accette; anzi, la loro accumulazione aumenta la plausibilità della teoria. Ma d'altra parte bisogna sempre tenere presente che esse non la confermano in modo definitivo, una volta per tutte; questo perché bisognerebbe confrontare le previsioni S con un'infinità di fatti sperimentali; infatti con il tempo si ottengono sempre nuovi fatti sperimentali e quindi il confronto non ha sicuramente mai un termine. Detto in breve, questo criterio non comporta che una teoria debba essere considerata valida solo se i fatti sperimentali confermano le previsioni teoriche, ma piuttosto che una teoria debba essere considerata valida fino a quando le previsioni teoriche sono plausibili o vere, se viste da un punto di vista sperimentale; in altri termini, dobbiamo vedere, per quanto materialmente possibile, se tra gli innumerevoli dati osservabili vi sono dati che falsificano le previsioni.
Dunque in relazione alla "conferma esterna" una teoria è sempre provvisoria; o, per usare le parole di Einstein: una teoria, e in particolare i principi su cui essa si fonda sono validi "sino a nuovo ordine", come si legge nella lettera a M.Solovine (cit.p.3).
Inoltre nella stessa lettera si legge: "Gli S sono messi in relazione con le E (verifica per mezzo dell'esperienza). Questa procedura, a ben vedere, appartiene essa stessa alla sfera extralogica,intuitiva (non matematica; n.a.),non essendo di natura logica la relazione tra i concetti che intervengono negli enunciati (in S; n.a.) e le esperienze immediate. Questa relazione tra S e E è tuttavia (pragmaticamente) molto meno incerta di quella che sussiste tra A e E (in riferimento al primo passaggio E--->A; n.a.). Se una tale corrispondenza, pur restando inaccessibile alla logica, non potesse essere stabilita con un elevato grado di certezza, tutto l'armamentario logico non avrebbe alcun valore ai fini della <<comprensione della realtà>>. L'aspetto essenziale è qui il legame, eternamente problematico, fra il mondo delle idee e ciò che può essere sperimentato (l'esperienza sensibile)."([3] p.743)
Qui si vede ancora meglio che Einstein parla di una verifica sperimentale non come essa viene intesa comunemente (ovvero l'accordo tra le previsioni teoriche e i fatti sperimentali implica che la teoria è esatta; e quindi anche i principi su cui essa si basa sono validi), ma la dichiara addirittura al di fuori della portata di una formalizzazione logica. Come già notato, per Einstein, un procedimento logico è un procedimento deduttivo, magari un procedimento matematico, che porta a risultati sicuri. Allora attribuire alla verifica sperimentale una caratteristica non logica, significa che essa non può produrre alcuna certezza e men che mai può servire come prova conclusiva per una teoria.
Dunque se una teoria deve in qualche modo realizzare una corrispondenza tra i suoi concetti e il mondo reale, quest'ultimo non può mai giustificare pienamente i concetti della teoria stessa. Da qui l'eterno conflitto tra il mondo delle idee e l'esperienza sensibile. (Sarà stata la sua poca fiducia nella verifica sperimentale a portare Einstein alla continua ricerca dei suoi famosi esperimenti ideali, i Gedankenexperimenten) ?
Infine nelle sue <<Note autobiografiche>>, Einstein osservava che entrambi i criteri suddetti, che dovevano servire a valutare la bontà di una teoria, avevano dei limiti: riguardo al primo criterio egli notava che era molto difficile scegliere tra due teorie riguardanti gli stessi fatti sperimentali e ugualmente coerenti internamente; riguardo al secondo, egli notava che, una volta costruita una teoria, si poteva sempre fare in modo che questa fosse aderente ai fatti sperimentali, proponendo ulteriori ipotesi ad hoc.([4] p.13)
3) "Teorie di principi" e "Teorie costruttive" secondo Einstein.
Nel precedente paragrafo abbiamo ottenuto una descrizione della teoria fisica come nessun altro prima di Einstein era stato capace di ottenere, nemmeno lo stesso Mach che pure rappresenta il suo iniziale ispiratore sulla epistemologia scientifica. Epperò il pensiero di Einstein contiene in proposito un'ambivalenza. Quanto detto in precedenza costituisce una parte, la più approfondita e dettagliata, della sua riflessione. Ma egli ha sostenuto anche una visione profondamente differente dei fondamenti di una teoria fisica.
Già nella citazione di pag.8 egli ammetteva una pluralità di un "numero imprecisato di sistemi di fisica teorica", tutti "ugualmente giustificati"; anche se limitava questa pluralità col fatto che "almeno per il momento", una teoria soltanto si è dimostrata superiore a tutte le altre, cioè la relatività.
Però, quando egli ha riflettuto sul complesso delle teorie fisiche, ha distinto due tipi diversi di teorie: quelle da lui dette di "principi", delle quali dava come esempio la termodinamica, e quelle da lui dette "costruttive", delle quali dava come esempi la meccanica classica e la teoria cinetica dei gas.
Siccome Einstein stesso non ha dedicato molto spazio alla caratterizzazione di questi due tipi di teorie, in seguito, per migliorare questa caratterizzazione, ci avvarremo anche della opera di altri studiosi tra i quali Klein, Miller, ecc. .
Per quanto riguarda le "teorie costruttive" Einstein le definisce nell'articolo <<My theory>> (1919) come segue: "Per mezzo di un sistema di formule relativamente semplici, situato alla base, esse cercano di costruire un'immagine di fenomeni relativamente complessi. E' così che la teoria cinetica dei gas cerca di ricondurre i fenomeni meccanici, termici, e di diffusione a movimenti di molecole, vale a dire a costruirli partendo dall'ipotesi del movimento molecolare. Quando si dice che si è riusciti a comprendere un gruppo di fenomeni naturali, significa sempre che si è trovata una teoria costruttiva che abbraccia i fenomeni in questione . I vantaggi di una teoria costruttiva sono la completezza, la adattabilità e la chiarezza." ([7] p.74, [5] p.216-217)
In altri termini una "teoria costruttiva" dà una spiegazione delle proprietà osservabili riguardanti un campo di fenomeni naturali a partire da assunzioni che hanno un carattere speculativo perché non sempre hanno un riscontro sperimentale diretto; usualmente queste assunzioni sono fatte sui costituenti fondamentali degli oggetti coinvolti. Per dirla con lo storico di Einstein, Miller: <<una teoria di questo tipo è caratterizzata dal fatto che, relativamente a un fenomeno, si fanno assunzioni su "ipotetici costituenti" della materia di osservazione >>.([8] p.510)
Ricordiamo le riflessioni di Einstein riportate nel paragrafo precedente a proposito di A (l'insieme degli assiomi o principi di una teoria); ora A viene caratterizzato fortemente: la sua natura è sostanzialmente di una ipotesi a priori rispetto ai dati sperimentali, che sembra avere la funzione di scomporre la complessità del sistema in esame in ipotetici elementi costitutivi semplici. Qui il pensiero di Einstein sembra dominato dall'esempio di una teoria di fisica classica che fu decisiva per il suo successo, ma che servì anche ad introdurre i fisici nella teoria fisica del 900, la meccanica statistica. Meno facile è vedere la meccanica classica sotto questa luce: casomai bisogna ricordare tutti i calcoli che riducono ogni sistema meccanico a punti materiali, o di dimensioni infinitesime (come ad es. nei calcoli del momento di inerzia), o di dimensioni atomiche.
Questa caratterizzazione potrebbe valere anche per l'elettromagnetismo pensando ogni sistema composto da cariche, dipoli magnetici e dipoli elettrici infinitesimi. Ma qui la caratterizzazione sforza un pò: erano Coulomb, Ampère, e Weber che vedevano così l'elettromagnetismo; ma non Faraday, il quale introdusse il concetto di campo. Questo concetto non riguarda la costituzione della materia, ma la spiegazione delle interazioni elettromagnetiche, un aspetto della teoria che è più generale che la costituzione della materia stessa. Un altro caso chiaro appare la teoria della luce, la quale è ipotizzata come composta da particelle (massive: Newton, con m=0: Einstein, o da onde: Huygens).
Sempre nell'articolo <<My theory>> Einstein definisce le altre teorie, le "teorie di principi" come segue: " Qui il punto di partenza e la base non sono costituiti da elementi di costruzione ipotetica, ma da proprietà generali di fenomeni naturali, determinate empiricamente, dalle quali derivano in seguito criteri matematicamente formulati ai quali i fenomeni particolari o le loro immagini teoriche devono soddisfare. E' così che la termodinamica partendo dal risultato generale della esperienza secondo il quale il moto perpetuo è impossibile, cerca di determinare, per via analitica, le relazioni alle quali i fenomeni particolari devono uniformarsi. I vantaggi di una teoria di principi sono la perfezione logica e la certezza degli stessi principi fondamentali."([7] p.74, [5] p.216-217) Quindi queste teorie, non fanno assunzioni sulla costituzione interna degli oggetti coinvolti in un fenomeno.
In un altro contesto[585] Einstein dice a proposito dei principi di una teoria fisica,"essi hanno la pretesa di essere validi per tutti i fenomeni naturali"([5] p.214), e ciò, a nostro avviso, è a maggior ragione vero nel caso di una "teoria di principi". Comunque in questo caso Einstein sembra aver perso le riflessioni sul carattere "fittizio" dei principi: questi, nelle "teorie di principi", vengono direttamente dalla esperienza, e c'è quindi da pensare, col massimo grado di sicurezza. Invece della intuizione del ricercatore (quella che prima veniva invocata per formulare delle ipotesi), ora sembra di avere a che fare con un accumulo così grande di fatti sperimentali convergenti nel principio, tale che questo appare godere della stessa evidenza sperimentale di ogni legge fisica sperimentale. Infatti egli dice che la "certezza" di questo tipo di principi è uno dei vantaggi della "teoria di principi".
Che cosa poi Einstein intenda per l'altro vantaggio, la "perfezione logica", è da interpretare. Se anche qui è vero lo schema di prima, allora Einstein direbbe che il rapporto tra E (insieme delle esperienze) e A nelle "teorie di principi" è diretto e certo. Ma allora, all'inverso, le applicazioni della teoria non sarebbero più così incerte e mediate da un ulteriore livello teorico (vedi la critica sulla "conferma esterna", p.12 e seg.) come nel caso delle "teorie costruttive". In questo senso la "intuizione" del fisico avrebbe poco gioco e la teoria sarebbe molto aderente ai fatti sperimentali. Notiamo che nello stesso articolo del 1919, Einstein annovera la relatività ristretta tra le "teorie di principi". Approfondiremo questo punto nell'ultimo paragrafo. Abbiamo già detto che la termodinamica costituisce, per Einstein, un altro importante esempio di "teoria di principi"; a questa teoria dedicheremo il paragrafo successivo per chiarire il più possibile su questo esempio il concetto di "teoria di principi". Su questo tipo di teorie, interessanti sono anche le considerazioni dell'altro storico di Einstein, Miller. Egli dice che una "teoria di principi" è basata su principi dai quali si ricava "la forma che le leggi della fisica devono avere affinché siano proibiti alcuni fenomeni naturali."([10] p.134) Possiamo dire in maniera più esplicita, che questi principi hanno un carattere limitativo rispetto a ipotetici fenomeni che possono avvenire o meno in natura (come fa ad es. il secondo principio della termodinamica).
Questa caratteristica dei principi, nell'articolo di de Ritis e Guccione, è collegata al criterio di falsificazione visto in precedenza, in quanto: " più una legge (derivata dai principi) proibisce, più essa è falsificabile dal piano delle esperienze."([6] p.100)
A questo punto possiamo così riassumere il pensiero di Einstein. La teoria deduttiva è quella che attira di più la sua riflessione. Comunque egli vede due tipi di organizzazione, una "costruttiva" che esalta il carattere deduttivo della teoria fino a farla discendere in maniera assiomatica da ipotesi che sono concepite a priori dalla realtà. Dall'altra parte abbiamo invece dei principi ben sperimentati direttamente, i quali, per questa proprietà, danno un carattere molto diverso alla organizzazione della teoria; molto più fenomenologica e aderente alle sue stesse applicazioni.
Infine ci sembra opportuno notare di passaggio che Einstein asseriva (sempre nell'articolo del 1919) che le "teorie costruttive" seguono il metodo da lui detto "sintetico", in contrapposizione a quello da lui detto "analitico", seguito invece dalle "teorie di principi". Qui notiamo la comparsa di un dualismo metodologico che caratterizza i due tipi di teorie fisiche.
Einstein non li descrive più di quanto già detto (il che è veramente poco) e nella storia della scienza (e anche della filosofia) questi due metodi sono stati caratterizzati nelle maniere più varie; anche in autori come Cartesio e Leibniz, essi hanno significati diversi; il che non aiuta la nostra comprensione. Dalla tradizione più antica e da quel poco che Einstein ha scritto sembra verosimile che per "metodo sintetico" si debba intendere il metodo deduttivo. Invece il "metodo analitico", anche per contrapposizione, dovrebbe significare un metodo induttivo che è in grado di risolvere dei problemi. Ma notiamo che non era Einstein che doveva chiarire tutto ciò, quando già le considerazioni precedenti gli davano una posizione unica nella storia della epistemologia.
Con questo abbiamo esaurito le sue riflessioni sui due tipi di teorie in generale. Per il nostro obiettivo di chiarire ulteriormente il suo pensiero, ci resta la sola possibilità di farlo attraverso la sua esemplificazione della teoria termodinamica.
4) Considerazioni di Einstein sulla termodinamica come teoria di principi.
In questo paragrafo esamineremo la termodinamica come esempio di teoria diversa da quelle "costruttive".
Da quanto visto in precedenza (v. cit. p.17) Einstein considerava la termodinamica come una "teoria di principi", il cui principio fondamentale riguarda le macchine termiche; esso è l'impossibilità del moto perpetuo. La termodinamica come teoria è stata sviluppata in modo da non contraddire questo assunto di evidenza sperimentale; e nello studio di un particolare fenomeno non fa nessuna ulteriore assunzione riguardo alle entità elementari (per es. le molecole) che compongono il sistema in esame. Infatti, come è noto, essa è una teoria solo macroscopica che attraverso i suoi principi non fornisce alcuna previsione sugli aspetti microscopici dei fenomeni naturali.
Invece la teoria cinetica dei gas e poi la meccanica statistica (a cui Einstein ha dato grossi contributi) partono da ipotesi costitutive e hanno prodotto precise valutazioni sulle grandezze delle molecole e degli atomi.
Sulla grande importanza data alla termodinamica, riportiamo le testuali parole di Einstein: "Una teoria è tanto più convincente quanto più semplici sono le sue premesse, quanto più varie sono le cose che essa collega, quanto più esteso è il suo campo di applicazione. Per questo la termodinamica classica mi fece un'impressione così profonda. E' la sola teoria fisica di contenuto universale che, sono certo, non sarà mai sovvertita entro i limiti in cui i suoi concetti fondamentali sono applicabili."([8] p.509, [4] p.18)
La termodinamica, come esempio di "teoria di principi", indica una aspirazione originaria che caratterizzò la nuova teoria (la relatività ristretta), e un punto fermo della riflessione di Einstein. Ma il suo ruolo non è caratterizzato molto di più di quanto abbiamo già visto nel par.3. Per proseguire la nostra indagine non ci resta che approfondire la concezione della teoria scientifica secondo altri autori al fine di trovare una caratterizzazione precisa del dualismo che Einstein ha intuito. Con essa potremo rivedere l'opera di Einstein sotto una nuova luce che potrà precisare la sua strategia di ricerca.
Per capire meglio come la termodinamica abbia condizionato il pensiero di Einstein nella stesura dei suoi primi lavori e nella costruzione della relatività ristretta, possiamo avvalerci delle considerazioni che Klein ha scritto in un articolo specifico su questo argomento.(rif.[8]) <<In questo articolo analizzo la natura di quella "profonda impressione" esercitata dalla termodinamica sulla mente di Einstein e traccio il ruolo che la termodinamica ha avuto nello sviluppo dei suoi primi lavori. Tutti gli attacchi audacemente originali di Einstein su quelli che egli vedeva come problemi critici della fisica dell'inizio del xx secolo, sono,intimamente connessi alla sua concezione della termodinamica>> ([8] p.509).
I primi lavori di Einstein riguardano un'ampia varietà di problemi (fenomeni di fluttuazione, la radiazione di un corpo nero, effetto fotoelettrico, e poi la relatività ristretta) che però sono legati tra loro, secondo Klein, da un obiettivo che caratterizza l'intera opera di Einstein: "la ricerca di un fondamento unitario per tutta la fisica"(ibidem).
Secondo Klein la "profonda impressione" esercitata dalla termodinamica sulla mente di Einstein sta proprio nella sua natura non "costruttiva", ovvero nella sua indipendenza da particolari modelli o fenomeni; e per questo gli fece da guida, assolutamente sicura, per affrontare le altrimenti inesplicabili difficoltà della fisica del '900.
Quando, nel passaggio visto prima, egli espresse la sua con-vinzione che la termodinamica non sarebbe "mai stata sovvertita", egli sapeva esattamente che cosa intendeva poiché aggiungeva la specificazione "entro i limiti in cui i suoi concetti fondamentali sono applicabili"; d'altra parte, egli più di altri, ha stabilito questi limiti studiandoli nei fenomeni della meccanica statistica, in particolare le fluttuazioni.
Secondo Klein, poi, i lavori di Einstein sulla teoria dei quanti di luce e sulla relatività ristretta nascono dalle medesime difficoltà: l'incompatibilità delle due strutture concettuali fondamentali della fisica di quell'epoca, cioé la meccanica di Newton e l'elettromagnetismo di Maxwell (ovvero le particelle da una parte e i campi dall'altra). "Ad Einstein sarebbe piaciuto superare direttamente queste difficoltà trovando subito la teoria unificata che sostituisse quelle incompatibili già esistenti."([8] p.515)
In proposito, Einstein stesso dice: "A poco a poco incominciai a disperare di riuscire a scoprire, attraverso tentativi basati su fatti già noti, le vere leggi. Quanto più a lungo e disperatamente provavo, tanto più mi convincevo che solo la scoperta di un principio formale universale avrebbe potuto portarci a risultati sicuri. Davanti a me avevo l'esempio della termodinamica. Il principio generale era tutto in questo enunciato: le leggi della natura sono tali che è impossibile costruire un perpetuum mobile."([4] p.28)
Dunque, il modello che Einstein aveva già pronto e a portata di mano di questo nuovo principio formale universale era costituito dai principi della termodinamica. A proposito di questo nuovo principio universale che ad Einstein ispirò il principio di relatività, Klein riporta una discussione tra Ehrenfest ed Einstein del 1907, in cui Einstein sottolineava quanto segue: <<Il principio di relatività, o più precisamente il principio di relatività insieme con il principio della costanza della velocità della luce, non va interpretato come un "sistema chiuso", anzi veramente non è affatto un sistema, ma piuttosto è solamente un principio euristico che, considerato di per sé, contiene solo affermazioni (metodologiche ? n.a.) riguardanti corpi rigidi, orologi e segnali di luce. Oltre a queste, ogni altra cosa che la teoria della relatività suggerisce è la richiesta di connessioni tra leggi che altrimenti apparirebbero essere indipendenti l'una dall'altra >>. Allora, egli concluse: <<Noi qui non ci stiamo occupando affatto di un "sistema", un "sistema" in cui (tutte; n.a.) le singole leggi sarebbero già contenute implicitamente e da cui esse potrebbero essere ottenute semplicemente per deduzione, ma piuttosto solo di un principio che ci permette di ridurre (meglio ricondurre; n.a.) certe leggi da altre, analogamente al secondo principio della termodinamica>>.([8] p.515-516) Da queste ultime citazioni si può comprendere che cosa Einstein intenda per "sistema" e in particolare per "sistema chiuso": egli indica, secondo noi, il modello di teoria scientifica puramente deduttiva, costituita al vertice da principi da cui si ricavano deduttivamente tutte le leggi della teoria. Quindi in questo caso i principi sarebbero dei principi-assiomi e non euristici come sono i due principi della relatività ristretta. Inoltre da queste citazioni si vede chiaramente che il legame tra la termodinamica e la relatività ristretta è un legame prettamente metodologico: entrambe le teorie non sono "sistemi chiusi" in quanto si basano su principi di carattere metodologico-problematico che permettono lo sviluppo delle teorie in maniera non assiomatica.
A questo punto abbiamo una caratterizzazione più precisa dei due tipi di teorie intuite da Einstein. Possiamo ipotizzare <<Il principio di relatività, o più precisamente il principio di relatività insieme con il principio della costanza della velocità della luce, non va interpretato come un "sistema chiuso", anzi veramente non è affatto un sistema, ma piuttosto è solamente un principio euristico che, considerato di per sè, contiene solo affermazioni (metodologiche ? n.a.) riguardanti corpi rigidi, orologi e segnali di luce. Oltre a queste, ogni altra cosa che la teoria della relatività suggerisce è la richiesta di connessioni tra leggi che altrimenti apparirebbero essere indipendenti l'una dall'altra>. Allora egli concluse: <<Noi qui non ci stiamo occupando affatto di un "sistema", un "sistema" in cui (tutte; n.a.) le singole leggi sarebbero già contenute implicitamente e da cui esse potrebbero essere ottenute semplicemente per deduzione, ma piuttosto solo di un principio che ci permette di ridurre (meglio ricondurre; n.a.) certe leggi da altre, analogamente al secondo principio della termodinamica >>.([8] p.515-516)
Da queste ultime citazioni si può comprendere che cosa Einstein intenda per "sistema" e in particolare per "sistema chiuso": egli indica, secondo noi, il modello di teoria scientifica puramente deduttiva, costituita al vertice da principi da cui si ricavano deduttivamente tutte le leggi della teoria. Quindi in questo caso i principi sarebbero dei principi-assiomi e non euristici come sono i due principi della relatività ristretta. Inoltre da queste citazioni si vede chiaramente che il legame tra la termodinamica e la relatività ristretta è un legame prettamente metodologico: entrambe le teorie non sono "sistemi chiusi" in quanto si basano su principi di carattere metodologico-problematico che permettono lo sviluppo delle teorie in maniera non assiomatica.
A questo punto abbiamo una caratterizzazione più precisa dei due tipi di teorie intuite da Einstein. Possiamo ipotizzare che le "teorie costruttive" siano quelle teorie che si basano su ipotesi a priori ovvero su principi-assiomi da cui si ricava l'intera teoria in maniera deduttiva, assumendo così il carattere di un "sistema" come detto da Einstein. Tutto ciò è in accordo con quanto si diceva sul significato delle parole sintetico e analitico in Einstein. Invece le "teorie di principi" si baserebbero su principi di evidenza sperimentale, come il secondo principio della ter-modinamica, che funzionano come principi euristici.
Concludiamo questo paragrafo con alcune considerazioni sulla meccanica classica. Questa teoria viene sintetizzata da Einstein nell'articolo del 1940 <<Considerations concerning the fundamentals of theoretical physics>> ([11]), come segue: "Il primo tentativo di costruire una base teorica uniforme è rappresentato dall'opera di Newton. Nel suo sistema ogni cosa viene ridotta ai seguenti concetti: 1) punto materiale con massa invariabile, 2) azione a distanza fra una coppia qualsiasi di punti materiali, 3) legge del moto per il punto materiale. Non vi era, a rigore, un fondamento onnicomprensivo, in quanto una legge esplicita veniva formulata soltanto per le azioni a distanza della gravitazione, mentre per le altre azioni a distanza nulla veniva stabilito a priori, salvo una legge di uguaglianza fra azione e reazione."([3] p.565-566)
Da questo passaggio si evince che la meccanica classica può essere considerata una "teoria costruttiva", anche se non abbiamo trovato traccia di una dichiarazione esplicita di questo fatto da parte di Einstein. Si noti che al riguardo gli storici G. Holton e V.F. Lenzen fanno risalire il carattere "costruttivo" della meccanica classica alla legge di gravitazione di Newton che sarebbe solo un'ipotesi a priori. L'uno dice: "la scelta del valore 2 per l'esponente che compare nell'inverso del quadrato nella legge di gravitazione, proprio il fulcro dell'eccezionale scoperta di Newton, era ad hoc, nel senso che poteva essere sostenuta solo perché funzionava." ([1] p.79) L'altro: "la legge di gravitazione di Newton fu scelta fra tutte le leggi di forza possibili per il suo successo nella previsione."([2] p.321) Quanto visto in questo paragrafo e nel precedente, al fine di chiarire il pensiero di Einstein sui due tipi di teorie, può essere rappresentato dal seguente schema riassuntivo:
(*) Notiamo che Einstein ha pure detto che i principi sono "fittizi" (cit.p.5)
Notiamo che prima di Einstein, anche Poincaré ha sostenuto un punto di vista simile su due modi di organizzare una teoria fisica ([20] p. ). Einstein non ha mai citato questo lavoro di Poincaré, né lo ha tenuto in conto benché esso, per certi aspetti (p. es. la caratterizzazione dell'elettromagnetismo di Maxwell non viene fatta da Einstein) è più profondo di quanto scritto da lui. Il punto di vista di Poincaré è riassunto nella seguente tabella:
La questione dell'organizzazione di una teoria scientifica è stata ripresa recentemente da A. Drago (v. [12] e [13]). I due modi contrapposti per organizzare una teoria scientifica hanno le caratteristiche (ricavate da quest'ultimo dall'analisi comparata delle teorie suddette e dallo studio di Leibniz) che sono riportate nella tabella che segue. TABELLA Caratteristiche dei due modi di organizzare una teoria scientifica
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Notiamo che la distinzione netta tra i due tipi di teorie può essere riassunta anche con la caratteristica tipica dei principi che ne stanno alla base:
a) principi-assiomi per le teorie ad organizzazione aristotelica
b) principi metodologici per le teorie ad organizzazione problematica.
La frequente soppressione dell'aggettivo qualificativo rende la parola "principio" ambigua. Da qui la confusione spesso riscontrata nei testi e la difficoltà a chiarire la natura dei principi in fisica (anche Einstein, quando parla di "teorie di principi", cambia il significato dominante di "principio-assioma" in quello di "principio euristico" o metodologico).
Si è notato, inoltre, che una teoria ad organizzazione problematica comincia enunciando il suo problema fondamentale con una doppia negazione; ciò può servire come preciso elemento di distinzione tra i due tipi di teorie trattati ([12]par.5).
Da un punto di vista logico, i principi di una teoria ad organizzazione aristotelica, essendo tanto generali da essere quasi indipendenti dalla realtà, seguono sicuramente la logica classica ([12] par.3), nella quale la deduzione non dà una terza possibilità tra vero o falso, nè due negazioni sono diverse dall'affermazione.
Invece in una teoria ad organizzazione problematica, l'essere alla ricerca di un metodo di soluzione di un problema cruciale ed universale esclude il caso che tutto sia già deciso tra vero o falso. Infatti in una teoria ad organizzazione problematica gli enunciati del problema e/o le affermazioni di principio possono seguire la logica non classica ( --A = A ).
Ciò significa che la doppia negazione non è equivalente dal punto di vista della verifica sperimentale alla enunciazione ottenuta sopprimendo le due negazioni ([12] par.3). Consideriamo ad esempio il principio metodologico della meccanica di L. Carnot che è anche la vecchia versione del secondo principio della termadinamica: "è impossibile un moto perpetuo "; ovvero "non è possibile un moto che non abbia fine " (Stevino). Quando la doppia negazione dell'enunciato è eliminata, otteniamo: "tutti i moti hanno una fine".
I due enunciati non sono equivalenti dal punto di vista sperimentale: infatti il primo non è un enunciato di inizio di una teoria sviluppata deduttivamente, ma è un principio del metodo da inventare (si verifica tramite i risultati della ricerca e non con le sue deduzioni analitiche). Invece per la seconda versione (quella affermativa) bisognerebbe esaminare tutti i moti esistenti in natura e stabilire scientificamente quando essi abbiano una fine; il che è impossibile perché, tra l'altro, richiederebbe la conoscenza a priori di ogni attrito su tutto il cammino da percorrere. Oppure si consideri l'altro enunciato metodologico della meccanica di L. Carnot: "... c'è una quantità che non è affatto alterata dall'urto "; questa è una frase doppiamente negata che non è equivalente a dire: "c'è una quantità costante nell'urto", perché la verifica di quest'ultima richiederebbe delle impossibili misure durante l'urto.
Adesso possiamo confrontare le riflessioni di Einstein sulle teorie fisiche con gli studi visti precedentemente. E' chiaro che una "teoria costruttiva" per Einstein è una teoria ad organizzazione aristotelica o assiomatica. Essa si basa su ipotesi costitutive che sono principi assiomi tra loro indipendenti; ognuno di essi è di per sé evidente e da essi si ricava l'intera teoria in modo necessariamente deduttivo.
Certamente era ben nota ad Einstein la pretesa che alcuni principi fossero considerati autoevidenti; si pensi per esempio ai cinque principi-postulati di Euclide dai quali si ricava tutta la geometria euclidea; oppure ai principi di Newton dai quali, insieme ad altre assunzioni pure ritenute autoevidenti (come ad es. lo spazio e il tempo assoluti, la possibilità di considerare un corpo rigido come composto da un insieme di punti materiali, l'azione a distanza tra i corpi,...), si ricava tutta la meccanica classica.
In alternativa una "teoria di principi" secondo Einstein, è invece da vedere come una intuizione approssimativa della teoria ad organizzazione problematica, giacché questa si basa su principi che non sono autoevidenti, ma suggeriti direttamente dalla esperienza (per es. l'impossibilità del moto perpetuo). Allora completando il pensiero (che ora appare semplicemente tentativo) di Einstein, questi principi (che non fungono da assiomi da cui ricavare in modo deduttivo tutta la teoria) sono da pensare come principi metodologici in funzione di un problema cruciale da risolvere; per cui la teoria corrispondente risulta essere incentrata su un problema e gli sviluppi della teoria, ovvero le leggi, arrivano a spiegare una certa quantità di fenomeni naturali, in quanto costruiscono il metodo che risolve il problema posto all'inizio.([13] p.13-14)
In altri termini una "teoria di principi" viene ad essere nel suo complesso una teoria a ciclo chiuso [ (*1) ] nel senso che lo schema è:
(principi empirici)---->(teoria)---->(verifica e precisazione dei principi).
Invece lo schema complessivo di una "teoria costruttiva", in quanto teoria ad organizzazione aristotelica, è quello piramidale, in cui i principi stanno al vertice della piramide e le leggi ricavabili "discendono" verso la base senza mai tornare al vertice, cioè ai principi. Per questo una teoria costruttiva viene ad essere una teoria che si sviluppa indefinitamente (ibidem).
5) Analisi critica della memoria del 1905.
Dopo l'analisi fatta fin qui, quella che segue vuole chiarire un ulteriore problema: se lo scritto del 1905 ([14]) è assimilabile a una "teoria di principi" o a una "teoria costruttiva". Gli storici di Einstein, salvo due, hanno trascurato questa distinzione.
Il primo che l'ha presa in considerazione è M.J. Klein, che però non ha studiato lo scritto del 1905, essendo lui specializzato sugli scritti di Einstein sulla meccanica statistica.
Sulla questione dell'organizzazione della teoria ha scritto un altro storico recente che è, per la relatività, molto importante: A.Miller. Questi coscienziosamente cita vari passi degli scritti di Einstein sui fondamenti delle teorie fisiche; ma poi, quando deve applicarne il contenuto al lavoro del 1905, parla di "assiomatica", parola che Einstein non ha mai detto; e quando deve precisare la "strana" organizzazione di quel lavoro, propone una mistura incredibile di atteggiamenti filosofici ([16] p.392). Su questi suoi giudizi critici rivolti alla memoria di Einstein non ci soffermeremo oltre. Comunque osserviamo che questi suoi giudizi sul lavoro del 1905, di chiaro hanno solo la esclusione della deduttività classica, e quindi, in accordo con Einstein, la esclusione dell'organizzazione "costruttiva" della teoria.
Per questo motivo noi ora continueremo ad esaminare lo scritto di Einstein ex novo, sulla base delle caratteristiche riportate nella tabella di pag. 26. Nell'articolo di Einstein si può notare, a nostro avviso, una prima caratteristica (anche se lui non la dichiara esplicitamente in quell'articolo): l'organizzazione non per principi-assiomi della sua teoria. Questo fatto è evidenziato dalle citazioni di pag.24, dove Einstein caratterizza i principi della relatività ristretta come "principi euristici"; quindi questi non sono principi-assiomi da cui sviluppare la teoria per deduzione, ma sono principi metodologici che servono a risolvere dei problemi concreti come ad esempio la misura della lunghezza di un'asta in movimento, la definizione di un tempo universale per un dato sistema, ecc... Inoltre possiamo dire con certezza che, al livello dei fondamenti, la sua teoria è in opposizione alla meccanica di Newton, presumibilmente pensata da lui come una "teoria costruttiva", cioè basata su principi-assiomi da cui ricavare la teoria in maniera deduttiva.
Invece la relatività ristretta è definita da Einstein stesso come una "teoria di principi"([5] p.17), quindi basata su principi euristici di chiara evidenza sperimentale. Qui forse vi è una grande novità storica: la relatività ristretta introduce definitivamente il modello di una "teoria di principi", non più come semplice induzione da una realtà fenomenologica-ingegneristica (così come è avvenuto con la termodinamica), ma dalla riflessione più elevata sui fondamenti della fisica teorica.
Come già visto nel lavoro di Klein, anche per Hirosige ([17] p.57) la direzione della ricerca di Einstein nella memoria del 1905, non era in realtà il confronto di singole leggi o di due singoli principi (quello di relatività e quello della costanza della velocità della luce); ma in effetti egli comparava i diversi fondamenti di due (o, includendo anche la termodinamica, tre) teorie della fisica classica: la meccanica di Newton e l'elettromagnetismo.
Probabilmente per semplificare e fors'anche per mantenersi il più possibile aderente a ciò che a tutti i fisici è ben noto e indiscutibile, Einstein ha riassunto sinteticamente due diversi fondamenti a due soli principi. Ciò gli ha permesso di affrontare in poche pagine un problema che è molto grande (così come è dimostrato dalla successiva ricerca di chiarificare i fondamenti della relatività ristretta); ma questa sua sinteticità gli ha anche limitato riduttivamente la sua riflessione a ciò che era sufficiente per un risultato immediato, la relatività ristretta, lasciando a metà la riflessione fondazionale.
In proposito notiamo che, nello sviluppo della relatività ristretta, la termodinamica, che non ha geometria, è stata totalmente dimenticata; così pure tutta la problematica delle "teorie costruttive" e delle "teorie di principi" non viene presa in considerazione nello scritto del 1905. E' probabile che qui sia la incompiutezza della riflessione di Einstein, più che in quello che gli rimprovera Bridgman ([18]) che lo vorrebbe completare estendendo la critica operativa dello spazio e del tempo a tutte le grandezze fisiche. Infatti Bridgman completerebbe una parte sola dello scritto di Einstein (quella metodologica), non tutta l'impostazione teorica dello scritto.
Se però si approfondisce la sua caratterizzazione tentativa delle teorie fisiche, si può notare un'ambivalenza quando si cerchi di applicare il pensiero di Einstein alle teorie che precostituiscono la relatività. Da una parte abbiamo una chiara "teoria di principi", la termodinamica, senza la quale egli non avrebbe avuto l'idea metodologica cruciale per la fondazione del suo programma di ricerca; dall'altra abbiamo una "teoria costruttiva", quella di Newton. Ma la teoria di Maxwell, Einstein non la qualifica mai, se sia di "principi" o "costruttiva"; anche se di certo non è di "principi".
Questa teoria purtuttavia ha avuto un ruolo cruciale nella fondazione della relatività, perché senza di essa egli non avrebbe avuto quel formalismo matematico (gruppo di Lorentz) col quale fondare una nuova teoria. Nel complesso notiamo allora una tensione intellettuale in Einstein tra una "teoria di principi", la termodinamica, e una "teoria costruttiva", la meccanica di Newton, tensione che coinvolge la teoria di Maxwell; quest'ultima però non essendo caratterizzata da Einstein, non fa capire la natura della tensione stessa: semplice diversità filosofica extra-scientifica, o radicale alternativa tra i fondamenti delle teorie indicate e le loro metodologie ? Appare ancor di più questa ambiguità, quando si nota che la "teoria di principi" che sicuramente lo ha ispirato, la termodinamica, poi non gioca nessun ruolo nella fondazione formale della relatività ristretta (tanto che Einstein neanche studia le trasformazioni delle grandezze termodinamiche); quasi che quella teoria classica debba essere relegata, dalla teoria relativistica ottenuta, tra le teorie sorpassate, essendo stata utile solo per ricavarne qualche indicazione di metodo. Ciò contrasta con la forza con cui Einstein afferma che la termodinamica non sarà mai "sovvertita".
Quindi, o la sua caratterizzazione delle teorie, di "principi" o "costruttive", era una sovrastruttura ideologica; ma allora la sua analogia con la termodinamica diventerebbe una pura coincidenza; e ciò appare poco realistico storicamente; oppure, quella caratterizzazione è costitutiva della fisica teorica; ma allora lui non conclude il suo discorso perché resta impreciso su una teoria che è cruciale per la sua proposta, l'elettromagnetismo. Su questa invece era stato chiaro Poincaré, che infatti assimila l'elettromagnetismo alla meccanica; e allora l'elettromagnetismo è caratterizzato come una " teoria costruttiva ". Nel secondo caso, la riflessione di Einstein merita un approfondimento e un completamento che può essere trovato nel lavoro di A. Drago relativo ai due modi di organizzare una teoria scientifica: l'organizzazione problematica e l'organizzazione assiomatica.
Un altro aspetto caratteristico della memoria del 1905 è la totale mancanza di ipotesi riguardanti la costituzione interna dei corpi. Infatti nella prima parte dello scritto, che è specificata come la parte cinematica, Einstein ricava i risultati più importanti della relatività ristretta (trasformazioni di Lorentz, contrazione delle lunghezze, dilatazione dei tempi, ecc.) usando solo sistemi rigidi, orologi e raggi di luce, senza mai specificare i sistemi fisici (ad es. non parla di fotoni). Poi ancora dall'analisi dello scritto del 1905 si può vedere che i principi della relatività ristretta hanno una loro evidenza sperimentale (anche se Einstein trascura questo punto). Tutte queste caratteristiche dei principi (che non sono assiomi, ma di evidenza sperimentale) e la totale mancanza di ipotesi relative alla costituzione interna dei corpi fanno decidere che la teoria della relatività ristretta di Einstein è effettivamente una "teoria di principi".
Infine notiamo che fin dall'inizio dell'articolo, Einstein pone un problema di compatibilità tra i due principi; e questi principi sono dichiarati compatibili solo quando Einstein arriva alle trasformazioni di Lorentz in sostituzione delle vecchie trasformazioni di Galilei. Questo fatto chiaramente non è caratteristico di una "teoria costruttiva"; nella quale si parte da un certo numero di principi e poi si ricavano in maniera deduttiva i risultati della teoria, senza che questi risultati possano in alcun modo convalidare i principi stessi o una loro connessione.
A questo punto possiamo ben dire che la relatività ristretta sviluppata nell'articolo del 1905 ha le caratteristiche che secondo Einstein sono quelle di una "teoria di principi", anche se egli non è preciso su questo punto e ha scritto frasi ambigue o devianti, sia nello scritto del 1905 che poi nelle successive riflessioni sulla teoria. Tali caratteristiche sono riportate nella tabella che segue e possono essere confrontate con quelle della tabella precedente.
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Bibliografia
[1] G. Holton -Einstein e la cultura sientifica del xx secolo - Ed. Il Mulino 1991
[2] P.A. Schilpp -A. Einstein scienziato e filosofo - Ed. Einaudi 1958
[3] A. Einstein -Opere scelte (a cura di E. Bellone)- Ed. Boringhieri 1988
[4] A. Einstein -Note autobiografiche -in [2] p. 3-49
[5] A. Einstein -Idee e opinioni -Ed. Schwartz 1957
[6] R. de Ritis, S. Guccione -On Einstein's epistemology - Epistemologia 16 (1993) p. 97-122
[7] A. Einstein -Come io vedo il mondo -Ed. Newton-Compton 1988
[8] M.J. Klein -Thermodinamics in Einstein's thought - Science 157 (1967) p. 509-516
[9] A. Einstein -Prinzipien der forschung -Discorso pronunciato alla società di Fisica di Berlino, 1918; trad. in [5] p.213-215 con il titolo "I fondamenti della ricerca"; altra trad. in [7] p. 32-36 con lo stesso titolo
[10] A.I. Miller - Einstein's special relativity -Ed. Addison- Wesley 1981
[11] A. Einstein -Considerations concerning the fundamentals of theoretical physics -Science 91 (1940) p.487-492; trad. in [5] p.302-312 con il titolo "I fondamenti della fisica teorica"; altra trad. in [3] p.564-576 con lo stesso titolo
[12] A. Drago -L'organizzazione della teoria in L. Carnot e in Lobacevskij -in M. Ferrara e F. Speranza - Epistemologia della matematica - Parma 1994, p. 215-234
[13] A. Drago, M. Capriglione -Lo stato logico del principio dei lavori virtuali -in C. Cellucci et altri (eds.) - Logica e filosofia della scienza, ETS Pisa 1994, p. 35-44 40
[14] A. Einstein -Zur elektrodynamik bewegter korper - Ann. der Phys.17 (1905) p.891-921; trad. in [3] p.148-177 con il titolo " Elettrodinamica dei corpi in movimento "; altra trad. in A. Einstein et altri -The principle of re lativity -Ed. Dover 1952, p. 35-65; un'edizione critica è in: A. Einstein -Oeuvres choisies (a cura di F. Balibar) -Ed. Seuil-CNRS 1991 p. 31-38
[15] G. Esposito -Tesi di laurea in Fisica - a.a. 1994-1995, Napoli (rel. A. Drago) -
[16] A.I. Miller -Frontiers of physics -Ed. Birkhauser 1986
[17] T. Hirosige -The ether problems, the mechanics worldwiew and the theory of relativity -Hist. Stud. in the Phys. Sci. 7 (1976) p. 4-81
[18] P.W. Bridgman -Le teorie di Einstein e il punto di vista operativo -in [2] p.281-301
[19] A. Einstein -Theoretische bemerkungen zur supraleitung der metalle -in Gedenkboek (a cura di K. Onnes), Leida 1922, p.429-435
[20] H. Poincaré - La science et l'hypothèse -Paris 1902
(*1) Non terremo conto delle date di queste riflessioni. In altri termini, ipotizziamo che, ai fini della nostra analisi, la riflessione di Einstein sia sostanzialmente coerente nel tempo e che quindi un'ulteriore analisi cronologica porterebbe solo a specificazioni di dettaglio sulle idee che egli ha usato come giustificazione a posteriori del suo operato storico. L'unico altro esempio di una simile ricostruzione è quello di Holton ([1] cap.2), ma che trascura completamente quanto verrà esposto nel paragrafo successivo e che invece per lo sviluppo di questo lavoro è di centrale importanza.(*2) Intermedio tra le due scuole fu E. Mach, del quale Einstein fu inizialmente un seguace, ma poi se ne distaccò; si noti che egli non ha mai chiarito il suo debito culturale con Mach. Forse per questo egli polemizzò con i neo-positivisti in maniera solo indiretta.
In Inglese:
RICERCHE
Comportamento corpuscolare della radiazione.
Effetto Compton.Comportamento ondulatorio delle particelle.
segnaliamo il sito della Boston University per il progetto di raccolta e selezione su piu' di 40.000 documenti di Einstein compresi gli Annali di Fisica dove pubblico' le sue teorie.Boston University's Einstein Papers Project
mentre al sito del Center for History of Physics, una divisione della American Institute of Physics troviamo la sua intera biografia corredata da numerose immagini con i seguenti argomenti:
- Il principio della teoria della relativita' ristretta.
- Il moto browniano. La reale esistenza degli atomi.
- La natura corpuscolare della luce. (la fotoelettricita')
- La legge dei quanti al Congresso di Solvay del 1927
- La lettera a Roosevelt per la costruzione della bomba atomica.
- La voce stessa di Einstein che espone la formula E=mc2
Center
for History of Physics, a division of the American Institute of Physics - A. Einstein
moltissimo materiale e riferimenti su A. Einstein, incluse
mailing list e molti links li potete trovare su:
Albert Einstein
Online by Steven Friedman
(VEDI
QUI - su Cronologia - ALTRO ARTICOLO SULLA BOMBA ATOMICA)
(Se vi è stato utile e gradito mandateci
almeno un saluto)
By Francomputer
(pagine
in continuo sviluppo
(sono
graditi altri contributi o rettifiche)