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BIOGRAFICHE PERSONAGGI |
SIMON
WIESENTHAL |
Il cacciatore di Nazisti
“Giustizia, non vendetta”
di Giacomo Franciosi
Simon Wiesenthal è un simbolo, e l’uomo che ha speso tutta la sua vita per abbeverarsi al calice della giustizia, è l’uomo che ha braccato per tutto il mondo gli infami protagonisti della follia nazista, ma non per vendetta ripeto, ed è bene ribadirlo, ma per giustizia, per 6 milioni di Ebrei, per omossessuali, dissidenti politici, zingari, schiavizzati, seviziati, torturati, utilizzati quali cavie da laboratorio, spietatamente massacrati.
Simon Wiesenthal nasce il 31 dicembre del 1908 a Buczacz allora Polonia ( oggi è territorio Ucraino), i suoi studi sono in architettura, professione da lui brevemente esercitata, fino all’invasione Nazista in Polonia del settembre 1939 e la spartizione come da accordo Hitler-Stalin della stessa nazione.
Simon Wiesenthal si trova a Leopoli caduta in zona d’influenza sovietica, si vede costretto ad abbandonare la professione di architetto per evitare quello che è valso per molti, la deportazione in Siberia.
Con l’operazione Barbarossa del 1941, e l’invasione delle truppe naziste in territorio sovietico, si ha il passaggio da carnefice a carnefice.
Simon Wiesenthal peregrinerà da campo di concentramento a campo di concentramento (ben 13), quando riuscirà per poco a fuggire e a vivere in clandestinità, verrà rintracciato, torturato ed internato.
Il 5 maggio 1945 le truppe alleate, entrano e liberano in campo di Matausen dov’è prigioniero lo stesso Wiesenthal, lo spettacolo che si presenta agli occhi degli alleati è agghiacciante, le prime cineprese possono documentare ciò che per molti era solo un sentito dire, la barbarie più oscena ed atroce.
Da uomo nuovamente libero, sa che tutta la sua famiglia è stata sterminata, ritroverà la moglie anch’essa vittima della follia nazista, un anno più tardi vedrà la luce la loro unica figlia.
Collaborerà nell’immediato dopoguerra con l’OSS (precursore dell’odierna CIA) per l’acquisizione di documenti utili per il processo di Norimberga, concluso in quale, conscio che molti non avevano ancora pagato, con un gruppo di amici a Linz (Austria) apre il Centro di Documentazione Ebraica proseguendo il lavoro nella ricerca dei criminali nazisti.
Decise come ebbe a scrivere, di farsi da portavoce di coloro che non sono sopravvissuti perché nessuno dimentichi la loro memoria, perché la giustizia contro i crimini di guerra non ha limiti.
La sua arma era spulciare tra i documenti dell’enorme burocrazia del terzo Reich, perché seppur distrutti qualcosa rimaneva, carte, foto, testimonianze.
Nel 1947 inizia anche la guerra fredda, i due mondi contrapposti, esce di scena il tremendo passato, la nuova dimensione è fatta dalle due superpotenze in antitesi l’una con l’altra.
In questo clima, troppi sono gli ex criminali di guerra nazisti a collaborare con le due superpotenze, cosa che genera l’abbandono degli amici del centro di documentazione ebraico di Linz.
Nel 1954 Wiesenthal chiude l’ufficio di Linz, spedisce tutta la documentazione da lui reperita all’archivio dello Yad Vashem l’ente preposto dallo stato Israeliano a seguire le vicende inerenti l’olocausto.
L’unico faldone di documenti che trattiene riguarda Adolf Heichmann lo stratega della “soluzione finale” del problema ebraico, l’organizzatore dello sterminio di milioni di innocenti, ebrei, omosessuali, asociali, zingari, testimoni di geova, disabili, dissidenti politici.
Wiesenthal inizia la sua caccia all’assassino del quale non si aveva riscontro fotografico, con un lavoro straordinario, meticoloso, scopre nel 1959 che il mostro si trova in Argentina sotto falso nome (Ricardo Kleber) assieme alla moglie e lavora in una fabbrica d’auto.
La documentazione giunge allo stato di Israele, il quale pianifica un operazione in loco, l’11 maggio 1960 l’arresto di Heichmann, la consegna in Israele, dove due giorni dopo il presidente Ben Gourion annuncia alla Knesset la cattura del criminale e il processo a suo carico.
Grazie alla documentazione del cacciatore Wiesenthal, il 31 maggio 1961 Heichmann viene condannato a morte per impiccagione.
Rinfrancato da questo importantissimo successo, Wiesenthal torna a Vienna ed apre nuovamente la sua attività, ottenendo collaborazioni da reduci di guerra, militari, ed anche da ex-nazisti “pentiti”.
Ma lo spauracchio dell’oblio è ancora pesantemente presente, i tentativi di gruppi neonazisti di fare del revisionismo storico, ritenendo una fandonia il diario di Anna Frank ( la ragazzina di soli 16 anni che deportata con la famiglia troverà la morte ad Aushwistz , il padre unico superstite, recupererà il diario nella soffitta della casa, e lo farà pubblicare).
Ad una trasposizione teatrale del libro stesso, una forte contestazione di giovani fanatici neonazisti condusse Simon Wiesenthal ad indagare su chi fosse stata l’SS che nel 1944 arrestò la bambina e la famiglia, se avesse ritrovato la stessa, nessuno avrebbe potuto confutare il libro in questione.
Le prove a disposizione di Wiesenthal sono frammentarie e di una pochezza allarmante, ma il testardo cacciatore non demorde, nel 1963 l’uomo in questione viene individuato in un membro della polizia austriaca, tale Silberbauer il quale confesserà l’arresto della bambina e della sua famiglia.
Simon Wiesenthal aveva fatto nuovamente colpo, aveva permesso alla verità di emergere, alla realtà delle cose di imporsi.
Simon Wiesenthal ha permesso di rintracciare, arrestare, condannare 1100 criminali di guerra nazisti, suo unico cruccio è stato quello di non essere riuscito ad acciuffare il “Dott.morte” Mengele, lo spietato scienziato della morte, e della razza ariana fatta in laboratorio (i resti del cadavere presunto di Mengele saranno ritrovati in Brasile).
Simon Wiesenthal in una conversazione degli anni ’60 quando gli venne chiesto il perché non avesse continuato la professione di architetto, lui rispose che quando si sarebbe trovato al cospetto di Dio e di tutte le persone conosciute su questa terra, a chi gli avrebbe chiesto che cosa avesse fatto nella sua vita qualcuno disse: risponderà, il gioielliere, altri il contrabbandiere, altri il costruttore di case, ma io risponderò “Non vi ho dimenticati”.
Simon Wiesenthal si spegne a Vienna il 20 settembre 2005, all’età di 96 anni, il cordoglio del mondo delle istituzioni, della comunità ebraica mondiale è unanime, Simon Wiesenthal riposerà in Israele.
Il grande cacciatore di nazisti se ne va, i libri di storia parleranno di lui, della sua vita votata alla causa della giustizia, perché non c’è alcuna libertà senza giustizia come amava ripetere, ed è per le nuove generazioni sempre più vuote di doti morali, di coscienza storica e facilmente eccitabili da meschini sobillatori che la vita di questo grande uomo deve rimanere ben impressa nella mente e nel cuore.Piccolo frammento di un intervista rilasciata nel 1990 da Simon Wiesenthal alla tv svizzera del cantone italiano.
"L'Olocausto lascia un segno indelebile per chi lo ha vissuto, non termina i suoi effetti nefasti con la Liberazione. Uno continua ad esserci dentro, non si riesce mai più a provare una vera gioia. Mi ricordo che una volta, a Los Angeles, il mio amico Zubin Metha, il famoso direttore d'orchestra, mi invitò a un concerto. Suonò un giovane pianista, bravissimo, e suonò Rachmaninoff, il mio compositore preferito. Suonò in modo così meraviglioso che a un tratto, durante il concerto, il pubblico spontaneamente si alzò in piedi ad applaudirlo.
Anch'io feci come gli altri, ma poi mi risedetti. Non potevo continuare ad applaudire. Lo raccontai poi a Metha, che mi chiese: “Perché, cosa è successo, che cosa ti opprimeva?” Io risposi: ”Mi opprimeva il pensiero di quanti giovani talenti come lui, persone meravigliose, che potevano dare gioia all'umanità, sono stati sterminati, senza essersi resi colpevoli di nulla”. E questo mi ha offuscato la gioia: ho pensato a quelli che sono stati sterminati. Vede, nulla e nessuno può guarire la mia anima ferita. Così è. C'è un proverbio che dice: “Tutto nella vita ha il suo prezzo, e io lo pago, e posso guardare in faccia a tutti. Questo è una specie di ricompensa.
Giacomo Franciosi