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VLADIMIR
PUTIN |
Il nuovo Zar della Russia? Può darsi, visto l'immane quantità di potere attualmente concentrata nelle sue mani. Dopo aver "liquidato" i cosiddetti nuovi oligarchi, ossia i neo-miliardari che si sono arricchiti con la svendita - voluta dal predecessore Boris Eltsin - delle aziende statali russe e capaci di condizionare fortemente anche la politica, c'è chi indica in Vladimir Putin l'uomo forte che più forte non si può della Grande Madre Russia. Per qualcuno siamo giusto un gradino sotto la dittatura.
Non si può negare che l'istinto del comando circoli come un altro genere di globuli nel sangue di questo piccoletto dal carattere di ferro, uno cresciuto a pane e Kgb e che nessuno, o quasi, ha mai visto ridere. In pubblico la sua espressione è sempre di una serietà patibolare, compassata al limite del "rigor mortis". Al massimo talvolta accenna a qualche benevola alzata di sopracciglia, temperata da un tentativo di sorriso, magari quando si trova al fianco dell'amico Silvio Berlusconi.
Nato il 7 ottobre 1952 in quella difficile metropoli che è Leningrado (l'attuale San Pietroburgo), nel 1970 Putin si iscrive all'università, studia diritto e lingua tedesca, ma nel tempo libero si dedica alla pratica dello judo, di cui è sempre stato un grande sostenitore. In questo sport, lo zar di ghiaccio ha sempre ritrovato quell'unione fra disciplina del corpo e dimensione "filosofica" che ne fanno una guida per la vita di tutti i giorni. Forse qualcosa di questa disciplina gli è servita quando nel 1975 è entrato a far parte del Kgb, chiamato ad occuparsi di controspionaggio.
Una gran carriera lo attendeva dietro l'angolo. Prima si sposta nel dipartimento estero dei servizi segreti e dieci anni più tardi viene inviato a Dresda, nella Germania dell'Est, dove prosegue la sua attività di controspionaggio politico (prima di partire sposa Lyudimila, una ragazza di otto anni più giovane che gli darà due figlie: Masha e Katya). Grazie al periodo trascorso in Germania, Vladimir Putin ha così la possibilità di vivere fuori dall'Unione Sovietica, anche se, caduto il muro, sarà costretto a tornare nella natìa Leningrado.
Quell'esperienza gli consente di diventare, per le questioni di politica estera, il braccio destro di Anatoli Sobciak, sindaco di Leninigrado, che adotta un programma di riforme radicali nel campo politico ed economico. E' Sobciak il promotore del referendum per restituire alla città il vecchio nome di San Pietroburgo. Durante questo periodo Putin introduce la borsa valutaria, apre le aziende cittadine ai capitali tedeschi, cura ulteriori privatizzazioni dei vecchi catafalchi sovietici e diventa vice-sindaco, ma la sua corsa si arresta con la sconfitta di Sobciak alle elezioni del 1996.
In realtà quell'apparente débacle sarà la sua fortuna. Lo chiama a Mosca Anatoli Ciubais, il giovane economista che lo raccomanda a Boris Eltsin. Inizia la scalata di Putin: prima vice del potente Pavel Borodin che gestisce l'impero dei beni immobiliari del Cremlino, poi capo del Servizio Federale di Sicurezza (Fsb), il nuovo organismo che succede al Kgb. Successivamente Putin ricopre la carica di capo del Consiglio di sicurezza presidenziale.
Il 9 agosto 1999 Boris Eltsin si ritira, principalmente a causa dello stato di salute in cui versa. Putin è pronto come un felino a cogliere la palla al balzo e, il 26 marzo 2000, viene eletto presidente della Federazione russa al primo turno con oltre il 50 per cento dei voti, dopo una campagna elettorale condotta nel più totale sprezzo del confronto politico. Vladimir Putin, in quell'occasione, non ha mai accettato forme di discussione con altri esponenti della scena politica russa. Ad ogni modo la sua fortuna politica si basa soprattutto sulle sue dichiarazioni circa la spinosa questione dell'indipendenza cecena, tese a stroncare il magmatico ribellismo della regione. Forte di una larga maggioranza anche alla Duma (il parlamento russo), tenta inoltre di riportare sotto l'autorità centrale di Mosca i governatori regionali che con Eltsin si erano spesso sostituiti al potere centrale.
La maggior parte dei russi appoggia la sua linea dura, e il forte sospetto di un vero e proprio odio etnico, più che il timore di una disgregazione dello Stato, mina alla base la legittimità di questo consenso. I pochi oppositori di Putin d'altronde individuano proprio nella guerra forti elementi di valutazione di un presidente spietato, dittatoriale che lede il rispetto dei diritti umani. Le ultime elezioni russe hanno comunque confermato il suo potere e il pugno di ferro con cui conduce la sua leadership. In uno scenario in cui le voci contrarie alla sua sono ridotte al lumicino, Putin ha incassato i consensi di una vasta maggioranza della popolazione.
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