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HITLER ha compiuto 44 anni quando il 31 gennaio del 1933 sale (lo mettono) al potere. Per destino é nato a Braunau am Inn, sul fiume bavarese, un corso d’acqua che divide la città da due millenni (forse nata da un castro romano sulle due sponde, o da un villaggio arretrato dai limes romani nel vicino Danubio). Caduto l’impero romano, passate le bufere delle invasioni dei barbari, quelle successive dei carolongi determinarono le nuove spartizioni, e dal 976 il fiume iniziò a separare la Germania dall’Austria (Ostmark).
A Braunau si parla la stessa lingua, la tedesca ed anche lo stesso dialetto. Ogni abitante della città – separata sola da un ponte (il padre di Hitler -in gioventù ex mugnaio, ex calzolaio infine impiegato statale- ci lavorava come doganiere) sogna fin dalla culla di vedere riunita Braunau in un unica città e sotto un unica nazione: cioè la Germania.
Ogni cittadino di Braunau sta aspettando che nasca un condottiero che finalmente elimini quell’odioso confine (in mezzo al ponte) che non ha mai rispettato la volontà degli abitanti delle due sponde (spesso anche parenti). Ma lo sta aspettando quel condottiero da duemila anni!
Mai sentita tanta simpatia per Vienna lontana, e a loro volta gli Asburgo (con la cosiddetta Wienertum, quella orgogliosa superiorità culturale di cui i viennesi hanno coscienza e che li differenzia (dicono loro) dal resto dell’Austria) riservavano poche attenzioni a questa terra posta a Ovest, che paradossalmente è chiamata Austria Superiore, mentre quella a Est -la viennese- Inferiore.
Del resto per molti secoli, in età romana e nel medioevo, i territori dell’Austria di oggi -quella disegnata sulla cartina da Wilson- non formarono mai una compatta unità statale, proprio perchè non omogenei sul piano etnico, per la presenza di germanici, latini e slavi. Carlo Magno sulla fine del sec. VIII costituì la Marca Orientale (Ostmark) proprio per fermare le popolazioni che provenivano da sud e da est (tribù di turchi e irano-caucasici), poi dal 976 con la casa dei Babemberg il confine divenne per secoli la trincea avanzata del mondo cristiano. Gli Asburgo sempre più custodi dell’ortodossia cattolica non solo continuarono l’opera iniziata dai Babemberg, ma a partire dal ‘300 s’impadronirono della Carinzia, poi del Salisburghese (per un periodo fu questo della Chiesa) e del Tirolo.
Per questo motivo si crearono due diverse amministrazioni, ma nel 1518 con una dieta a Innsbruck di Massimiliano i nuovi territori furono costretti controvoglia a riconoscere l’unità del paese. Una poco spontanea unione che di fatto non avvenne nemmeno con le riforme di Maria Teresa, che anzi accentrò e accentuò tutto il potere a Vienna. Rimase così l’Austria Superiore un territorio assai omogeneo, molto germanizzato, ma con una forte tendenza a guardare a nord (dove proprio ai tempi di maria Teresa stava nascendo la Zollerverein, il nazionalismo e la potenza politico-economica prussiana) e non come si adoperava Vienna affannandosi a Est (l’origine poi di tante sue disgrazie).
E se prima questi territori a ovest erano stati abbandonati e lasciati a sopravvivere, con il crollo dell’impero venne il peggio. Linz, Salisburgo, Braunau, guardavano alla confinante Bavaria, a Monaco e non a Vienna. (Hitler la considerava “la parassita, i funzionari bisognava mandarli a pascolare le vacche”. Il suo infelice soggiorno a Vienna fece poi il resto).
Insomma da Cesare ai limes di Marco Aurelio e così per altri 1700 anni nelle più di cento spartizioni della storia, una unione non era mai avvenuta, nemmeno nell’ultimo conflitto (’15-’18) quando sui territori delle potenze vinte Wilson tracciò le sue linee, lasciando immutata la atavica delusione nei cittadini di Braunau; un astio dentro nel loro sangue e nei loro geni.
(come oggi del resto accade in Irlanda o fra i Baschi e tanti altri).
Anche Hitler che vi era nato, nel suo Dna se lo portò dietro quel rancore, fin quando diventò tedesco, poi il Fuhrer, infine nel ’38, il 12 marzo, invase l’Austria e abolì il confine lui stesso, di persona, con la città che impazziva dalla gioia. Nella storia nessuno era stato capace, lui sì, ed era addirittura nato proprio in quella città, in quella casa che esiste ancora, oggi usata come Volsksbucherei ( Biblioteca pubblica).
ADOLF HITLER dunque a Braunau am Inn, nel 1889, nasce in questa casa abitata da un doganiere; in gioventù ex calzolaio e prima ancora aiutante mugnaio in casa di suo zio Johann Hutler, fratello di Georg, (nonno di Hitler) che quando firmava usava però il cognome storpiato in Hiedler.
Si chiamava Alois quel doganiere, ed essendo figlio illegittimo portò nei primi trentanove anni della sua vita il cognome della madre, Schickgruber. Sua moglie che gli partorisce Adolf, è Klara Poelzl, figlia di una figlia di Johann (senza figli maschi), maritata Poelzl, quindi una cugina di Alois. Infatti il cognome era sia dei genitori di Klara che di Alois: Hutler e Hiedler, i due fratelli mugnai di Spital.
Nativo dunque Adolf Hitler di una zona (fin dai limes Romani) la cui presenza di ariani Arii indoeuropei era ed è bassissima.
(per quanto riguarda l’abusata parola “Ariani di Ario” questa non ha nulla a che vedere con gli “Ariani Arii”)
( VEDI ANNO 336 )
Anzi sembra che lui stesso da parte di padre fosse di origine semitica ebrea, infatti il padre Alois era il figlio di una serva non proprio giovane (Maria Anna Chicklgruber) che era stata messa incinta da un ricco commerciante che sappiamo era ebreo, Frankenberger, o forse ingravidata da suo figlio ventenne. Comunque o padre o figlio dovevano essere i responsabili di questa indesiderata maternità, perchè poi alla nascita (1832) si presero infatti cura del bambino (Alois, futuro padre di Hitler) e pagarono una retta mensile alla ex serva fino a quando il frutto della loro colpa ebbe quattordici anni. (un comportamento che significa, sembra chiaro, che era stato uno dei due a ingravidarla). Questa donna cinque anni dopo finì poi di fare la contadina nel villaggio di Strones. Aveva già 47 anni (Alois 5) quando conobbe e sposo’ il 7 giugno 1837 Georg Hiedler, cinquantenne un mugnaio ambulante, che o per non fargli perdere la retta dei Frankenberger o per sua altre ragioni non si curò di legittimare il figliastro – come avveniva di solito quando ci si sposava.
Dopo dieci anni, nel 1847 Anna Chicklgruber morì, e il bambino Alois, ormai quindicenne finì a Spital nel Waldviertel, in casa del fratello del padre George, il mugnaio Johann, che però si firmava solitamente con il cognome Hutler, proprietario da quattro generazioni del mulino e del podere numero 37 a Spital, un borgo che contava in totale 144 abitanti.
Georg Hiedler dopo la morte della moglie, vi accompagna il ragazzino, lo sistema dal fratello e poi sparisce dalla circolazione per trent’anni. Ma ricompare a Spital ormai ottantaquattrenne, il 6 giugno del 1876 stranamente per legittimare il figliastro Alois ormai già quarantenne, che non viveva nemmeno più a Spital, pur mantenendo i contatti con la casa dello zio e quindi delle nipoti e cugine.
Una ragione per Georg Hiedler padre prodigo c’era, ed era quella di poter accedere all’eredità lasciata dal fratello mugnaio, morto senza lasciare eredi maschi. Nello stesso anno, il 23 novembre alla parrocchia di Dollerstein il parroco cancellò il nome di Alois Chicklgruber dal registro battesimale sostituendolo con quello di Alois “Hitler”; così infatti il parroco scrisse il nuovo cognome (invece di Hutler o Hiedler) che servì subito dopo – con un estratto della parrocchia- per redigere l’atto notarile per venire in possesso dell’eredità.
Alois Chicklgruber dopo la morte della madre era cresciuto alcuni anni in casa dello zio mugnaio, poi a 18 anni era partito per Vienna per arruolarsi nella polizia di frontiera. Diventato doganiere prese servizio a Braunau, e qui aveva poi sposato la figlia di un suo collega, una certa Anna Glasl Horer che aveva quattordici anni più di lui, ma il matrimonio dopo sedici anni fallì; nel 1880 si separarono, e tre anni dopo, nel 1883 la donna morì lasciando il marito finalmente libero di risposarsi.
Ma nel frattempo, Alois Chicklgruber prima che morisse la moglie si era separato e già si era messo insieme con una cuoca di una locanda, Franziska Matzelsberger e da lei nel 1882 aveva avuto già un figlio Alois jr. (che diventerà successivamente il “fastidioso” fratellastro di Adolf (*)). Un mese dopo la morte della moglie, la sposò mentre era nuovamente incinta; infatti tre mesi dopo gli partoriva una figlia, Angela (che diventerà sorellastra di Adolf). Ma subito dopo anche Franziska nello stesso anno morì di tubercolosi.
((* Singolarità su Alois jr. – Nel 1910 sposò una inglese, Elizabeth Dowling (1889-1969) che l’anno dopo mise alla luce William. Questo nipote fino al 1930 ebbe alcuni contatti con lo zio Adolf (che odiava suo padre per la sua vita non proprio irreprensibile) ma poi improvvisamente nel 1939 emigrò negli Stati Uniti, e qui si presentò nel 1940 a quelle prime iscrizioni volontarie in previsione del coinvolgimento degli Usa nel conflitto, e quindi pronto andare a combattere in Europa, ma fu respinto per opportunità politica quando al distretto balzò agli occhi il suo nome e ovviamente la stretta parentela con il Fuhrer. Ma al rifiuto lui non si arrese, ostinato scrisse addirittura una petizione al presidente Roosevelt. Se ne interessò l’FBI, che lo tenne per quasi tre anni sotto controllo, poi finalmente nel 1944, il ventitreenne William fu arruolato nella marina militare e finalmente riuscì a combattere contro le armate di suo zio).
Con la morte di Franziska, Alois rimase nuovamente solo. Aveva allora 48 anni e non aveva mai rotto i rapporti con i parenti di Spital. Infatti durante il matrimonio con la prima moglie, prima ancora di ricevere nome e eredità dallo zio Johann si era preso in casa una ragazzina di quindici anni, Klara Poelzl; era una sua nipote, perchè figlia di una figlia di suo zio mugnaio Johann, maritata Poelzl.
Dopo la morte della seconda moglie di Alois, la ragazzina aveva 25 anni, ma sei mesi dopo, chiedendo una speciale dispensa vescovile, il 7 gennaio del 1885 Alois sposava quella che sarebbe diventata poi la madre di Adolf Hitler, terzo di cinque figli. Tre morirono in tenera età, mentre sopravvisse al celebre fratello solo la quinta e ultima figlia, Paula (morta nel 1960).
Adolf nasce alle sei e mezzo di sera del 20 aprile del 1889 al Gasthof zum Pommer, una locanda di Braunau, la città adagiata sul fiume Inn che divide in due la città, ma anche la popolazione di lingua tedesca. Una ossessione questa frontiera austro-tedesca, perchè gli abitanti di entrambe le due sponde hanno sempre bramato di appartenere a una medesima nazione.
Nello stesso anno (1895) che il padre Alois all’età di cinquantotto anni va in pensione e si ritira in una modesta casa a Leonding vicino a Linz, iscrive alla scuola del villaggio di Fishlmann, il figlio Adolf che all’epoca aveva compiuto sei anni
HITLER cresce, va a scuola, poi già a 12 anni si oppone al padre nel proseguire gli studi (“Non volevo fare l’impiegato come lui desiderava, mai e poi mai”) e la spunta. Aveva ottenuto la licenza di quinta elementare (suo compagno di banco, il grande filosofo WITTGESTEIN!!) poi si era iscritto alla scuola media, ma ci rimase molto poco, fino a quando i professori inviarono al padre una brutta nota “non ha attitudine allo studio”. Il ragazzo si sentì umiliato ma nello stesso tempo libero, perchè il giudizio negativo gli servì per convincere così il padre a rinunciare alla scuola per dedicarsi solo alla sua passione: la pittura. Ha questa ambizione: vuole diventare un artista!
Il padre si opponeva continuamente “fin quando io vivrò, pittore mai!” – “Lui dubitava della mia intelligenza” dirà in seguito suo figlio. Il padre visse ancora poco, andava a taverne, e due anni dopo il figlio lo trovò sotto il tavolo di una di queste morto stecchito. Adesso era libero.
A sussidiarlo più che a sostenerlo nella sua scelta c’è la madre. Rimasta vedova con una discreta pensione riuscì a finanziarlo con qualche soldo quando il ragazzo nel 1907 partì la prima volta già diciottenne e con belle speranze per Vienna alla ricerca del successo di artista.
Come pittore è piuttosto mediocre, di cultura sa che ne ha poca, ma è ostinato ed è convinto di farcela.
Quando dirigerà le grandi armate sul Volga (3-marzo-’42) ai suoi generali giustificherà le sue lacune scolastiche e i tanti errori linguistici, dicendo “quei professori erano dei somari, la loro apparenza esteriore trasudava sporcizia….Erano il prodotto di un proletariato privo di ogni indipendenza di pensiero; caratterizzati da una ignoranza senza pari…Ci volevamo imbottire il cervello allo scopo di trasformarci in scimmie come loro…Ed è tragico pensare che tale puerile gente abbia avuto il potere di sbarrare l’avvenire di un giovane come me che aveva – come potete notare – le qualità di condottiero della futura Europa” (non era ancora arrivata la cocente disfatta a Stalingrado).
Solo di un professore di storia aveva un buon ricordo; e lo andò anche a trovare quando entrò trionfalmente in Austria. Chissà cosa gli raccontava per attirare l’attenzione di questo svogliato e ribelle allievo. Degli altri invece non aveva dimenticato cosa avevano detto di lui.
“Era insofferente, un ribelle”, diranno i suoi professori in tempi ancora relativamente quieti. Uno di essi fu perfino chiamato a Monaco nel ’23 per testimoniare al processo del “sedizioso individuo” accusato di “tradimento contro lo Stato” dopo il fallito “Putch della birreria”. Questo istitutore chiamato in tribunale, di Hitler non ne fece un quadro simpatico; disse davanti ai giudici che era un testardo, un attaccabrighe, un presuntuoso, un insofferente alla disciplina, quindi già allora un ribelle. Non gli fece insomma un favore.
Ma quel processo (che raccontiamo in altre pagine) fu un grosso errore del governo. Invece di danneggiarlo fu il suo trionfo. Il quasi sconosciuto ribelle di Monaco era finito su tutti i giornali; e tra le righe i commentatori (visto che l’argomento “tirava”, nell’inconscio era sentito un po’ da tutti i) riportavano proprio quelle frasi che i tedeschi volevano leggere e sentirsi dire.
Quando l’ex allievo giunse al potere, e nel 1938 invase l’Austria, ed entrò a Vienna, quei professori li andrà a scovare uno per uno.
Testardo, dopo l’abbandono della scuola lo divenne ancor di più quando iniziò a leggere, divorando libri su libri e a dipingere. La pittura era la sua passione! A 18 anni dunque, nel 1907, l’ambizione all’arte lo porta a Vienna, ma all’esame per iscriversi all’Accademia di Belle Arti è bocciato per “scarsa attitudini”, “Prova di disegno: insufficiente”; il ragazzo registra il suo primo cocente fallimento.
Tornato a casa, sconfitto ma non vinto, lavorò un intero anno, poi si ripresentò all’Accademia convinto questa volta di farcela. Ma non fu nemmeno ammesso agli esami, i disegni presentati furono tutti “bollati” a margine con un plateale “mediocre”, “mediocre”, “mediocre”. Ostinato, Hitler chiese spiegazioni e i docenti lo consigliarono di darsi all’architettura. Ma il mancato artista non aveva gli studi necessari per iscriversi, non aveva finito neppure le medie, quindi davanti a sè non aveva nessuna strada, nè arte e nè parte; non un mestiere, e nemmeno l’attitudine a iniziarne e a farne uno.
Nè poteva più contare sui soldi della madre, il 21 dicembre del 1908 gli moriva. Addio all’aiuto finanziario. Rimasto senza un soldo un amico muratore gli trovò un posto in una impresa edile a fare il manovale, Hitler dovrebbe iscriversi come tutti al sindacato di sinistra, ma lui rifiuta e fu licenziato
E’ il 1909. Hitler ha vent’anni. E’ solo, è un “artista” umiliato, non ha un mestiere, ed è senza soldi, dentro la monumentale Vienna di questo periodo, in questa città metropoli borghese, gaia, gioiosa, godereccia con i suoi valzer di Strauss in ogni angolo. Hitler lo troviamo per 5 lunghi anni, disoccupato, frustrato, a spalare neve, a fare il facchino abusivo alla stazione, il muratore, l’imbianchino, il cartellonista; ma sempre occasionalmente, quindi con pochi risultati economici; infatti viene anche sfrattato da una misera stanza che occupava, che non riusciva pagare. Ne trova un’altra al quartiere di Alsergund, ma sempre per mancanza di soldi finisce in mezzo alla strada.
Hitler emigra nello squallore del dormitorio pubblico del rione Meidling, mentre per mangiare una minestra va nella mensa dei poveri del convento dei Fratelli della Carità.
(quella stanza dov’era stato sfrattato era al n. 34 della Schellesserheimerstrasse, più avanti al n. 106, abitò per un certo periodo LENIN (nel 1902 aveva già scritto “Che fare?”, ed era in esilio dopo la guerra civile in Russia del 1905) in una stanza lurida come quella di HITLER. Nessun viennese avrebbe potuto immaginare, e nessun chiaroveggente fare una profezia, che nello spazio di quaranta metri, dentro due anguste stanzette, alimentandosi con lo stesso pane che vendevano all’angolo della strasse, i cervelli di due barboni si stavano formando sui libri rivoluzionari, per poi maturare due apocalittici progetti; uno a sconvolgere metà pianeta con una rivoluzione, l’altro a mettere a soqquadro invece l’intero pianeta).
Hitler – racconterà un suo collega barbone- assomigliava a uno “spettro” tanta era la fame che aveva addosso, ma non era traviato, non era dedito a nessun vizio nonostante la giovane età e la sua vita randagia; non fumava (risparmiare dirà in seguito “quando mi accorsi che con i soldi di un pacchetto di sigarette potevo comprarmi del burro”), non beveva alcolici, e per la sua innata timidezza pochi erano i rapporti con l’altro sesso. Del resto non curava affatto la sua persona, barba e capelli sempre lunghi, con addosso in inverno una sgualcito cappotto nero regalatogli da un ebreo che vendeva vestiti usati, che forse gli fu riconoscente per aver dipinto Hitler dei cartelloni pubblicitari per il suo negozio.
HITLER tenta di vivere alla giornata vendendo piccoli disegni, acquerelli grossolani, cartelloni pubblicitari per i bottegai, che alcuni “grassi salumieri mi disprezzavano”. Intanto sui Ring e nei caffè la ricca borghesia spendeva la sua vita nei piaceri. Dirà poi: “il ricordo più’ triste e infelice che ho di Vienna è ricordare quella la gente felice di Vienna”. Per gli altri, Vienna in quegli anni era un sogno, della vita e dei propri piaceri. Ovunque c’era la musica nell’aria, nei Ring, nei parchi, nelle case opulenti. Nei teatri affollati le sublimi musiche di Mozart, Beethoven, Schubert, ma era soprattutto quella di Strauss che dominava ogni angolo, in ogni caffè, in ogni festa, era quella che cullava l’opulenza. Era la Provvidenza – dicevano i ricchi- che aveva toccato con mano la bellissima città stesa lungo il bel Danubio Blu: lo era per gli altri, per lui da quando si alzava al mattino era un incubo: “la fame, era la mia fedele compagna e divideva con me ogni cosa, la mia esistenza era una lotta continua con questa spietata amica che mi era sempre accanto” e ancora “A Vienna io non ho conosciuto il significato della bella parola “gioventù”.
Ma oltre che i libri ama anche lui come tutti i viennesi la musica, ma non quella di Strauss, ma quella eroica di Wagner. Già a 12 anni quand’era a Linz, assistendo a un’opera del grande compositore era stato ammaliato dalla sua musica. A Vienna non gli mancano le occasioni; per trenta volte va ad ascoltare dal loggione o in piedi il Tristano e Isotta. Ne è infatuato. (ci ritorneremo poi sopra su questo argomento, che ha una enorme importanza).
Dunque cinque lunghissimi anni di miseria e di desolazione dentro una città con due milioni di abitanti ma che contava un milione di salariati ed era il centro di un impero abitato da cinquantadue milioni di sudditi. Una Vienna ricca, la più opulenta e la più colta capitale d’Europa. Hitler é pigro, non aspira a un lavoro fisso, si sentirebbe declassato dentro un anonimo proletariato, quindi preferisce un lavoro occasionale e vagabondo, del resto altro non potrebbe fare. Ma non é affatto pigro sui libri, é un lettore incallito (come Mussolini che nello stesso periodo ha sei anni più di lui) si butta a capofitto e si accanisce a divorare libri e libri di politica rivoluzionaria. Idee che già cominciavano da alcuni anni a inquietare l’autocrazia degli Asburgo, la piccola e la media borghesia e lo sterminato numero di funzionari parassiti. Politica rivoluzionaria che già aveva dato vita a un discreto partito politico: il socialdemocratico; e si erano formati i sindacati lavoratori con dentro i primi fermenti che stavano lievitando non solo a Vienna ma in tutta Europa.
Una droga per lui quei libri e quegli opuscoli, pieni di idee democratiche, progetti rivoluzionari o anarchici, provenienti da una Vienna povera, da gente denutrita (anche nella gaia capitale asburgica c’era), malvestita e abitante nei tuguri come lui. Letture le sue che erano il classico cibo di un emarginato arrabbiato. Forse non cogliendo il contingente da quelle pagine, ma catturando solo l’essenziale necessario alla sua indole; o per ricacciare dentro la fame e l’odio che doveva provare in mezzo ai grandi magnifici palazzi della Vienna Imperiale.
Diventato Fuhrer, non dimenticò nemmeno un istante quello che la città gli aveva negato. Qualcosa aveva accennato sul Mein Kampf, ma ci ritornò spesso con odio e rancore su questi tristi ricordi di cinque anni di miseria passati a Vienna.
Lo esternò infatti poi con dichiarato disprezzo, vendicandosi con tutta l’Austria, e perfino con i professori che avevano avuto l’impudenza di averlo bollato “mediocre”. Li scovò uno per uno! E si vendicò umiliandoli, mentre ad alcuni fece loro terra bruciata con l’impiego, la casa, la vita. E la sua ossessione, l’atavico confine a Braunau, sul ponte, andò a spazzarlo via di persona! Lui, il figlio del doganiere, ex calzolaio, che riuniva non solo Braunau, ma riuniva due popoli in uno. Una grande orgogliosa apoteosi nel suo intimo ma palese nel volto e nell’animo dei suoi cittadini in un delirio senza limiti.
Ma torniamo al 1913, quando Hitler lascia l’Austria per stabilirsi in Germania a Monaco. Lo fa per un motivo: per sfuggire alle varie notifiche che gli inviano a casa, per la leva militare (come Mussolini). Ma non sfugge alla polizia; nel gennaio del 1914 viene bloccato in Baviera, e deve presentarsi al distretto. Fughe e sotterfugi è stato tutto inutile. Per i gendarmi, ma i medici alla visita come lo vedono, il 5 febbraio, neppure lo visitano, lo mandano a casa “riformato”, inabile perfino al servizio ausiliario, perchè gracile nel fisico, denutrito e mal ridotto nell’intero aspetto da sembrare un tisico. Invece di essere contento, quel rifiuto è una ferita al suo orgoglio.
Ma arriva Giugno. Attentato di Sarajevo. E’ l’inizio della Grande Guerra, lui ha 25 anni. E’ ora un interventista, come il Mussolini dell’ultima ora.
L’Austria arrogante, troppa sicura di sé inizia le ostilità in luglio, ma per Hitler nell’esercito asburgico non c’è posto. La Germania entra nel conflitto il 1° agosto con un Guglielmo II quasi in delirio per la gioia di intervenire in guerra a fianco dell’Austria. Il suo discorso eccita i tedeschi e galvanizza Hitler. Il 3 agosto scrive direttamente a re Luigi III di Baviera per offrirsi volontario pur essendo di nazionalità austriaca, ma come abbiamo appena letto scartato. La singolare richiesta fu accolta, e già in ottobre partiva per raggiungere il 16° reggimento di fanteria in partenza per le Fiandre. Cioè al di là di quel Reno celebrato dal suo musicista preferito con il mito degli eroi dei Nibelunghi.
Quindi il grande evento della guerra lo entusiasma, lo eccita, e arringa e sprona i suoi compagni a combattere per fare “grande la Germania” “uber alles in der Welt”, “sopra tutto nel mondo”.
Non fa proprio politica – perchè è ancora un confusionario- ma vorrebbe farla. A introdurlo ci pensa un giovane ufficiale anche lui volontario dopo aver abbandonato i corsi di filosofia all’Università di Monaco: è Rudolf Hess che è un appassionato di geopolitica, una dottrina e una scienza nuova che Hess volentieri spiega all’attento uditore. E’ per Hitler un’altra attrazione, e in breve tempo l’allievo supererà il maestro. Hess lo ritroveremo primo suo collaboratore, subì il carcere con lui partecipando al putsch di Monaco, nel 1933 è ministro, poi suo vice, e dal 1939 secondo successore ufficiale dopo Goring. Poi l’oscuro episodio nel maggio del 1941, quando fuggì in Inghilterra con scopi non chiari. (un fantomatico approccio con gli inglesi per una resa. Gli inglesi lo ritennero un millantatore e lo stesso Hitler lo sconfessò). Finì male: al termine del conflitto fu arrestato e condannato all’ergastolo al processo di Norimberga; ma non attese il verdetto, si suicidò in carcere.
Ma torniamo alla guerra. Hitler oltre che predicare e lanciare anatemi ai marxisti, agli ebrei ed esprimere tutto il suo disprezzo per i politici, per i partiti e per la scarsa propaganda data alla lotta dove la Germania sta giocandosi il suo avvenire (Mussolini sta facendo altrettanto) si distingue anche nelle azioni, con spavalderia, e gli va sempre bene, esce sempre incolume in ogni azione, fino a crearsi un mito dell’incolumità. Diventa caporale. Il 5 ottobre del ’16 partecipa alla famosa “Battaglia della Somme” dove morirono 1.000.000 di tedeschi inutilmente e lui stesso questa volta rischiò di morire. Come Mussolini (che rimase ferito due volte) anche Hitler rimase gravemente ferito due volte in una gamba nel ’16 poi agli occhi nell’ottobre del ’18.
La prima volta in una impresa rischiosa, le schegge di una granata lo colpirono, fu dato per morto, poi qualcuno si accorse che tra i corpi c’era ancora qualcuno in vita; ed era lui ! Finì in ospedale, guarì, ritornò sul fronte nelle retrovie claudicante. Lo premiarono con un’alta decorazione, la croce di ferro di prima classe, raramente data a graduati. Quindi premiato non con una promozione perchè non gli riscontrarono “doti di comando”, “uomo coraggioso ma per il carattere bizzarro è incapace di farsi ubbidire”.
A pochi giorni dalla fine della guerra -il 16 ottobre- fu quasi accecato dai gas asfissianti a Ypres, appena inventati e impiegati con effetti devastanti.
Fu ricoverato all’ospedale di Pasewalk, in Pomerania, proprio mentre in Germania c’erano i rovesci più politici che militari. E proprio in corsia apprende la anomala disfatta della Germania, la resa di una nazione che non ha quasi nemmeno combattuto nell’ultimo anno, che ha l’esercito in piena efficienza, l’intera marina alla fonda nei mari del nord, che ha vinto tante battaglie, sacrificato due milioni di morti, ma ha perso la guerra non sul campo ma nei palazzi della politica, dei giornali, del governo, tutti pieni di “traditori” e di “miserabili criminali”: “Alla notizia del crollo, e all’annuncio che il Kaiser era fuggito in Olanda, come una belva colpita a morte si mise a gemere” dirà un suo collega.
Mentre lui scriverà poi: “Quel giorno crebbe in me l’odio per i responsabili. Miserabili! degenerati criminali! Con dentro la rabbia che mi divorava l’anima decisi di dedicarmi più seriamente alla vita politica”.
E non ebbe più dubbi soprattutto quando i rivoluzionari, dopo che era ritornato (non sapendo cosa fare dopo il congedo) a prendere servizio in una caserma di Monaco, gli imposero di mettere la fascia rossa al braccio. Proprio a lui che definiva gli spartachisti “cimici delle rivoluzione”. (Come va dicendo Mussolini in Italia “se vogliono fare la rivoluzione, i conti proprio non tornano”)
Il 30 OTTOBRE 1918 a Vienna scoppiano tumulti rivoluzionari, il governo è costretto a dimettersi e un ambiguo consiglio provvisorio tratta la pace con gli alleati, dopo aver scoraggiato i militari a continuare la guerra, ritenendola (le sinistre lo dicevano da mesi) ormai perduta. Robert Musil (l’Autore del celeberrimo L’uomo senza qualità) che curava un foglio per i soldati, già da tempo non faceva mistero nei suoi articoli di questa gente che a Vienna nelle alte sfere -fin dal 1917- remava contro: fino al punto che gli tolsero il giornale per farlo stare zitto. (L’intera raccolta è alla Biblioteca di Bolzano. Ma c’era anche di peggio, e sono le significative lettere che Musil inviava alla moglie. Sono state ritrovate solo pochi anni fa, nascoste in una cantina di un palazzo in demolizione dove appunto abitava la moglie- lo sfacelo politico a Vienna nelle lettere appare in tutta la sua drammaticità, molto di più che nelle pagine del suo capolavoro sull’Impero di Cacania” ). Ma andiamo avanti.
Il 7/8 NOVEMBRE (Intanto l’Austria si è arresa in Italia) scoppia l’insurrezione a Monaco, re Federico è costretto ad abdicare e viene proclamata la repubblica controllata da elementi socialisti (quelli che remavano contro, i disfattisti, come in Italia, convinti di poter istigare nel dopoguerra una rivoluzione proletaria. Non ben definita anche nelle loro file, se riformista o massimalista. Guardavano a est, alla nuova stella sorgente “rossa”, ma anche in Russia tanta lucidità tra Lenin e compagni non c’era proprio.
Il 9 NOVEMBRE il governo tedesco annuncia l’abdicazione dell’imperatore Guglielmo II; il socialdemocratico Scheidemann proclama la nascita della repubblica; con l’armistizio si intavolano a Compiegne trattative di pace con gli alleati.
Il 10 NOVEMBRE viene costituito a Berlino un gabinetto socialdemocratico. Inutilmente si battono i Consigli degli operai (di sinistra – spartachisti) e i Militari per assumere il potere o almeno farne parte. Dopo aver i primi propagandato assieme il disimpegno, gli operai sono messi da parte; mentre le rappresentanze militari profondamente deluse non vengono nemmeno ascoltate, sono esautorate
L’11 NOVEMBRE Viene concluso l’armistizio. Gli alleati prendono possesso dei territori occupati e del bacino della Saar.
Per Hitler tutto questo è un’onta cui si aggiunge la beffa: il Kaiser (anche lui beffato) è fuggito, due milioni di morti per nulla e quattro anni di sacrifici inutili. Gli crolla il mondo addosso e lancia già il suo anatema che contiene già interamente il germe del duro nazionalismo tedesco: “tanti morti e una disfatta perché un mucchio di criminali ha ardito alzare le mani sulla patria”. I criminali secondo Hitler sono quelli della borghesia tedesca ebrea, per opportunismo vicina ai bolscevichi socialisti; quella con i grandi capitali, che Hitler accusa di avere assieme alla disgraziata sinistra scoraggiato i militari a proseguire la guerra (ritenendola già perduta); di aver così provocato la disfatta e infine giunti alla fine di questo disegno criminale, di aver poi provocata la caduta della monarchia per salire al potere del nuovo Stato mercantile. Li accusa di essere i responsabili di una resa, della liquidazione dell’impero, della vendita della Germania ai nemici. Gli italiani, Hitler nemmeno li nomina, li considera quasi compagni di sventura, visto quello che avevano ottenuto a guerra “non persa” ma nemmeno “vinta”. (Ma la situazione in Italia è molto simile; anche qui i socialisti dopo aver sempre boicottato l’interventismo, si ritrovano a guerra finita con le ex masse proletarie (e non solo quelle) disunite, e gli stessi socialisti divisi su quale linea muoversi; quella rivoluzionaria utopistica (ma già concreta in Russia, o quella riformista. Spaccatura che darà poi origine – come in Germania- al partito Comunista).
Finita la guerra nel modo più disastroso che abbiamo appena letto e con un dopoguerra ancora più drammatico sotto l’aspetto economico e sociale, ma soprattutto morale, Hitler come tanti è ancora confuso. Anche lui si muove (perfino con la odiata fascia rossa al braccio) dentro un proletariato socialista, ma il suo è un socialismo spurio come quello mussoliniano a Milano. A Monaco comunque nasce il Partito dei lavoratori; Hitler vi entra come simpatizzante mentre proprio dentro il movimento ci sono -come in Italia- delle forti divergenze.
Il 1° GENNAIO 1919 una corrente di sinistra socialdemocratica guidata da Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht danno vita al partito comunista tedesco (KPD). Il programma (guardando a Est) prevede la costituzione di una repubblica socialista sul modello sovietico. Iniziano a scendere in piazza con manifestazioni contro il governo; a Berlino occupano numerosi edifici pubblici e i giornali. Le truppe del nuovo governo (buona parte mercenarie – non ne hanno altre – gli ex combattenti di ogni grado sono contro il governo) occupano la città e reprimono nel sangue l’insurrezione. I due dirigenti comunisti il 15 vengono assassinati.
Il 19 GENNAIO 1919 si riunisce l’Assemblea nazionale che deve redigere la costituzione della nuova repubblica. Mentre il governo (coalizione socialdemocratici, cattolici e liberali) procede senza sosta alla repressione e alla liquidazione degli oppositori di sinistra; l’11 febbraio a Weimar l’Assemblea inizia i suoi lavori ed elegge Presidente della nascente repubblica, Scheidermann.
Il 4 APRILE scoppia l’insurrezione in Baviera. Come a Berlino, nell’arco di un mese viene duramente soffocata nel sangue dai “soldati” inviati dal nuovo governo centrale. Sono definiti questi ultimi “Corpi Franchi”, e sono dei cinici mercenari che sparano su chiunque, sugli operai ma anche su quelli che fino a pochi mesi prima erano militari o ufficiali sul fronte e che anche loro ora con furore protestano contro l’inetto governo.
21 GIUGNO – L’indignazione, la rabbia, il malcontento e la protesta dilaga negli ambienti militari. Ed è clamorosa. La flotta tedesca all’ancora a Scapa Flow viene autoaffondata dagli equipaggi perchè non sia consegnata agli alleati in vista dei trattati che -sono sicuri- i “traditori” andranno a firmare
Il 28 GIUGNO infatti viene firmato il trattato di pace a Versailles. Quasi con noncuranza – non credendo possibile l’applicazione dei 14 punti di Wilson (che furono ulteriormente modificati e snaturati) – nè che alla Germania sarebbero stati veramente chiesti i danni di guerra dei paesi occupati e i costi della guerra dei vincitori. Ma i rappresentanti di quel governo contrastato da più parti, firmarono comunque. Gli oppositori augurarono che un fulmine colpisse quelle mani che firmavano; e anche se il maleficio si avverò (Rathenau e Erzberger furono assassinato, mentre Wilson fu colto da una paralisi cinque mesi dopo) il trattato firmato ebbe il suo inarrestabile corso.
La firma impose alla Germania pesantissime condizioni…