1945-1950 - La "grande" ABBUFFATA
ANNO 1950
Le "Partecipazioni Statali": un sistema unico in Europa e forse nel mondo, una sorta di "terza via" tra liberalismo e socialismo. Tanti effetti ben�fici ma anche le ben note degenerazioni che trasformarono le "partecipazioni" nel dopoguerra in un "campo dei miracoli" tutto italiano, anche questo "unico al mondo". Del resto Pinocchio è nato in Italia, e di "Pinocchi" nel dopoguerra ne spuntarono fuori un reggimento, sotto la regia di alcuni singolari personaggi con la vocazione a fare il "gatto e la volpe".
Questa è la pagina del più grande mistero d'Italia. Un mistero su milioni di miliardi.
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A tutte queste 4 domande rispose con una famosa inchiesta UGO ZATTERIN nel 1950, svelandoci molti retroscena. La prima domanda è - cosa ha lasciato?- la singolare e inquietante risposta è "...nessuno ne sa niente", anche se molti su quel "Ben di Dio" ci hanno messo le mani, e molti vanno affermando con disinvoltura "...si ho ricevuto qualcosa, ma non ricordo quanto, come e quando".
Infatti l'Ente che aveva erogato i finanziamenti, o non possiede una lista, oppure se ne aveva una, quest'anno (1950), prima ancora di fare verifiche e chiedere i rimborsi, improvvisamente viene sciolto. Da chi � perch�? un mistero !
I soliti "poteri forti" nell'ombra di qualche "salotto buono" zitti zitti, si spartirono il "malloppo".
Reciproco patto:
"Io non so nulla cosa hai tu ricevuto,
e tu non sai nulla cosa ho ricevuto io; chiaro?".
La puntata di Beneduce-Cuccia l'abbiamo già letta: un imprecisato intreccio aggrovigliato di grandi industrie e grandi banche, i cui nomi e i cui finanziamenti ricevuti durante il regime li conoscevano solo pochi; forse nemmeno Mussolini. O se li aveva questi nomi Mussolini, sparirono a Dongo. E qui sorge il sospetto che in "quelle carte" c'era ben altro (Non solo il carteggio Churchill)
(Comunismo e imprenditoria strinsero nel '45 un patto di ferro- questo � noto).
Un vago accenno su certi traditori che "hanno solo improntitudine e gola di guadagno" Mussolini lo fa nella sua ultima intervista, cinque giorni prima di essere catturato a Dongo (vedi intervista), ma gi� lo aveva fatto con molto anticipo in quel 25 ottobre del 1938 quando in modo sprezzante si rivolse a "quel mezzo milione di vigliacchi borghesi che si annidano nel nostro Paese". Ai quali negli anni precedenti aveva offerto tutto, denari, onori, prestigio e in molti settori, il bastone di comando.
Infatti, finita la guerra questa grande labirinto finanziario è diventato tortuoso per tutti. Ma a muoversi dentro con disinvoltura qualcuno � però rimasto. Le "eminenze grigie" del "potere forte" e delle "regie occulte" il filo di Arianna loro lo hanno bel saldo in mano. "L'uomo che sapeva tutto" ed agiva nella massima discrezione i degni eredi li aveva lasciati, ma erano altrettanto silenziosi e discreti quanto lui. Mai, il primo (Beneduce) rilasciò in tanti anni una sola intervista, come poi suo genero (Cuccia) nel complessivo arco di un intero secolo. Cio� 100 anni di imprenditoria italiana avvolta nel mistero.
Ugo Zatterin inizia cos� la sua inchiesta, uscita nel marzo del 1950, su Oggi:
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"L'on Piero Malvestiti, sottosegretario al tesoro, � un uomo di studi e di lavoro indefesso, ma non chiedetegli a quanti miliardi ammontino le "partecipazioni finanziarie" dell'ex Stato fascista. Vi risponder� con un gesto desolato "Non ne ho la minima idea". Anche il dottor Gaetano Balducci, ragioniere generale dello Stato, � un autentico dominatore dei bilanci nazionali, ma non pregatelo di fornirvi l'elenco completo e sistematico delle "partecipazioni". Si scuser� cortesemente, vi spiegher� che un elenco completo non esiste e che il sistema � ancora da inventare: al ministero posseggono soltanto un approssimativo elenco alfabetico, dove l'IRI (la creatura di Beneduce- l'Istituto per la Ricostruzione Industriale - un colosso) � collocato disinvoltamente tra l'Istituto Poligrafico e un banale Istituto Sperimentale delle foglie di tabacco. Non deve far meraviglia, quindi se il presidente del consiglio, trovatosi tra i piedi all'ultimo momento un ministro come La Malfa, esperto di economia, gli abbia affidato il compito di ricercare nei meandri del demanio tutte le "partecipazioni finanziarie" dello Stato, condizione indispensabile per poterle in un secondo tempo, organizzare e quantificare. (insomma per riprendersi lo Stato quello che i "beneficiati" avevano avuto "quasi in regalo": cio� i finanziamenti dello Stato, cio� da "Mussolini-Stato", innanzitutto)
Le "partecipazioni finanziarie" (ripetiamo creatura di Beneduce, nata per volont� di Mussolini) costituiscono gli interventi dello Stato nell'economia privata. Esse si realizzano nei modi e con i riflessi pi� diversi. Esistono infatti attivit� industriali gestiti da amministrazioni pubbliche, con patrimonio personale, e bilancio non distinti da quello dello Stato: gli arsenali, i polverifici, i laboratori aeronautici, gli stabilimenti chimici, e simili retrobottega della difesa nazionale; cos� la zecca, l'istituto superiore di sanit�, l'istituto del restauro, la calcografia, il gabinetto fotografico, i laboratori delle case di pena; in totale quasi duecento unit�. Seguono le aziende autonome, che hanno bilancio separato e particolari ruoli per il personale: le ferrovie, le poste, i telegrafi, i monopoli, le strade nazionali, le foreste demaniali, fino ad arrivare alle banane africane (su queste ci mise le mani un famoso ministro; si prese cio� - di soppiatto- l'intero monopolio. Ndr).
Una terza categoria, la pi� vasta e pi� complessa, raccoglie invece imprese finanziarie o industriali, con personalit� giuridica, bilancio, patrimonio e dipendenti propri, nelle quali lo stato interviene alla pari con i cittadini, partecipa alla fondazione apportando capitali liquidi o in natura (es. Agip), Banca Nazionale del Lavoro, Istituto Mobiliare Italiano, IRI ecc.); o acquista direttamente delle azioni (esempio Monte Amiata, Cogne, Cinecitt�); o diventa azionista indiretto, quando il pacchetto azionario sia in possesso di un ente creato sostenuto con capitale statale (es. tutte quelle imprese dipendenti direttamente o indirettamente dall'IRI, che sono centinaia, ma che ognuna ne controllano a loro volta altre centinaia - che spesso prosperano perchè sono fornitrici delle prime).
Esistono per� infinite altre figure di "partecipazioni". Le Terme demaniali, gestite direttamente o date in concessione (A chi? un mistero! E chi le ha liquidate? un altro mistero). Cos� molti altri enti controllati dal ministero dell'Agricoltura, Unsea, Upse, Consorzi Agrari ecc.; Gli Istituti previdenziali pi� importanti: INPS. INAIL, INAM, INA, ognuno dei quali per suo conto controlla altre imprese economiche, nate spesso come satelliti per fornire i vari pianeti. Aziende ibride, come "La Provvida", l'ARAR, o il GRA incaricato di gestire il parco automobili ceduto dagli alleati, il CIP, che doveva contemporaneamente coordinare e disciplinare l'approvvigionamento dei combustibili liquidi. Enti vigilati dal ministero dell'Industria: l'Ente assistenza alle piccole industrie, l'Istituto cotoniero, l'Ente serico, l'Ente zolfi, l'Ente per la cellulosa, e per la carta. Le gestioni speciali, Commissioni per i Combustibili liquidi, Comitato carboni. Commissioni dell'industria che hanno (perfino) il potere di imporre tributi particolari. E non dimentichiamo tutte le innumerevoli spiagge demaniali marine date in concessione, o le stesse Colonie Marine e Montane. Eccetera. Eccetera. Eccetera
E' una massa fluida e caotica, di estensione imprecisata un intreccio aggrovigliato, una tela di ragno di nomi, sigle, cifre. Per tutti inestricabile. Perch� sottratte alla vista, o perch� dissimulate, o perch� mascherate, o perch� messe con noncuranza nel mucchio.
Nell'abbraccio generose e spregiudicato i principali complessi siderurgici dello Stato si trovano accanto all'Istituto per il Dramma Antico (!), le pi� grandi compagnie di navigazione sono accanto all'Azienda Zootecnica Pavese, le banche onnipotenti accanto all'Associazione Macellai (!) o all'Accademia di Santa Cecilia, alla Cassa sottufficiali, o all'Ente per la tutela del Passero Solitario o del Lupino Dolce.
Ognuna di queste entit�, nel suo piccolo o nel suo immenso sforzo di espansione, partecipa a sua volta alla vita di altri enti e organismi, come fondatrice o come azionista, direttamente o indirettamente, cos� i tentacoli dello Stato si allungano e si moltiplicano forse suo malgrado nel sottobosco parastatale, penetrando nella finanza e nell'industria privata, aumentando oneri, doveri, responsabilit� e pericoli per il pubblico denaro.
In tale numerosa figliolanza e nepotanza, la primogenitura morale e insieme la parte del "figlio, prodigo" spetta certamente all'IRI. Lo Stato lo ha partorito (vedi in altre pagine, in quelle di Beneduce) in un impeto di piet� e di demagogia, dandogli i capitali necessari per salvare di volta in volta le imprese sull'orlo della rovina; e l'IRI, nella sua magnanima opera di soccorso, ha steso rapidamente le mani sulla maggioranza o sulla totalit� delle azioni di oltre 250 grandi complessi finanziari ed industriali, di cui una quarantina in perpetua liquidazione.
L'intreccio divenne in certi casi miracolistico. L'industria veniva finanziata da una banca sottraendogli azioni e mettendo i propri funzionari nei consigli d'amministrazione, oppure la stessa industria sottraeva azioni alla banca ed entrava nei consigli d'amministrazione della stessa con i propri manager o gli stessi proprietari, cos� attingeva al credito facile con il risparmio. Questo dopo che lo Stato aveva finanziato sia la banca che l'industria medesima. (E chi era questo Stato? Ma la "fata turchina!")
Questo gigante dai piedi di argilla che � l'Iri, pu� cos� vantare (allora, nell'immediato dopoguerra e ancora oggi (anno 1950 Ndr.) il suo dominio su un quarto (!) di tutta la "raccolta" bancaria italiana, un quarto (!) della produzione elettrica nazionale, il 57 (!) per cento dei telefoni attivi, il 43 (!) per cento della produzione siderurgica, l'80 (!!!) per cento delle costruzioni navali, oltre che su notevoli quote nell'industria meccanica minore. Nei suoi registri di impersonale e caleidoscopico padrone, sono segnati i nomi della Banca Commerciale, del Credito Italiano, del Banco di Roma, del banco di Santo Spirito (le altre banche, Il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la banca del Lavoro, il Monte dei Paschi e la banca Popolare di Novara sono istituti di diritto pubblico, onde lo Stato complessivamente ha in sua mano pi� che il 95 (!!!!) per cento dell'attivit� creditizia), tra le sue aziende elettriche � presente il gruppo SIP, con la RAI, la Cetra, la Sipra, e la casa editrice che li difende; tra le telefoniche figura la STET, con la TELVE e la TIMO; attraverso la "holding" FINSIDER si fanno avanti la TERNI, l'ILVA, le acciaierie di Conegliano, e di Dalmine; nella FINMARE confluiscono la societ� di navigazione Italia, il Lloyd Triestino, l'Adriatica e la Tirrena; la FINMECCANICA raccoglie i cantieri Ansaldo, i cantieri riuniti dell'Adriatico, il cantiere di Trieste, la Odero-Terni-Orlando e la Navalmeccanica; in appendice seguono anche la San Giorgio, la Metalmeccanica, l'Alfa Romeo, la Motomeccanica, la Filotecnica Salmoiraghi, l'ex silurificio di Napoli.
Ma lo Stato attualmente non solo non � riuscito ad organizzare con un unico piano tutte le sue "partecipazioni", ma neppure a coordinare la gestione di ciascuna azienda dove il mosaico dei funzionari designati dal tesoro, dalle finanze, dall'industria, dal commercio estero, dall'agricoltura, e da altri ancora, fa s� che ogni amministratore agisca indipendentemente dagli altri, come se il proprio ministero soltanto abbia vera importanza, e il resto siano degli inutili intrusi.
Vien subito da riflettere che un governo capace di manovrare l'IRI come si usa uno strumento organico ed articolato, potrebbe controllare senza fatica tutta (!!!) l'economia nazionale, imprimerle i pi� utili indirizzi, dirigerla (!!!) secondo l'interesse economico e sociale del Paese.
Il controllo c'�, viene fatto puntualmente, con una monotona meccanicit�, ma con dubbia armonia, dalla direzione del demanio e dalla ragioneria centrale, cio� dal ministero del Tesoro e dal ministero delle Finanze da cui rispettivamente esse dipendono. Uno non sa cosa fa l'altro. (sembra un vero e proprio "patto di ferro" reciproco. Ndr.)
Meticolosi controlli, nessun calcolo sbagliato, nessuna virgola fuori posto, nulla sfugge all'occhio vigile dei vari Ispettorati. Il riscontro � perfetto, meticoloso, la legge pu� riposare tranquilla. Ma � sufficiente questa pulizia formale perch� il Paese possa anch'esso riposare tra due guanciali?.
La vita di un'impresa economica deve essere s� onesta, ma anche intelligente, poich� il rispetto della legge � un superfluo snobismo se la gestione segna sempre il passivo maggiore dell'attivo. Oltre i sindaci in qualsiasi azienda esiste un consiglio di amministrazione che si preoccupa degli scopi economici per cui essa � stata creata. Nelle "partecipazioni" gli amministratori sono tutti funzionari statali, ove lo Stato detenga la totalit� delle azioni, o un insieme di funzionari e di privati, proporzionalmente al pacchetto azionario posseduto. Questi funzionari sono generalmente degli ottimi impiegati, scelti dai diversi ministeri interessati alla gestione di ciascuna azienda. Ognuno di loro rappresenta il proprio ministro, ma solo il proprio ministro, a lui riferisce con zelo e disciplina, ma a lui soltanto, e secondo i criteri particolari della propria amministrazione. I pi�, inoltre, non si occupano di una sola azienda, ma di molte nello stesso tempo, alcune di natura assai diversa tra loro; non � quindi esagerato il sospetto che essi difficilmente possano controllarle tutte con piena coscienza e che la loro influenza, l� dove dividono le responsabilit� con amministratori privati risulti per forza di cose limitata; n� deve sembrare offensivo il pensiero che i compensi aggiunti per tali prestazioni straordinarie li mettano alla pari dei consiglieri privati d'amministrazione, perch� spesso durante le liquidazioni, si trasformano controllori di s� medesimi.
Nel complesso dell'IRI, l'insufficienza del controllo statale � ancora pi� palese. Organismi di grande impegno economico e politico come l'Ansaldo o la banca Commerciale, rendono conto della loro vita una volta all'anno in un'assemblea dove lo Stato � rappresentato da un timido delegato IRI , il quale a sua volta riceve istruzioni da un mastodontico istituto che, per recenti disposizioni fa capo assai genericamente al Consiglio dei Ministri e si limita a presentare alle Camere un altrettanto generico bilancio annuale. Chi dunque potr� giudicare obbiettivamente quali imprese meritino il danaro dello Stato? Chi potr� valutare a nome dello Stato l'economicit� delle singole gestioni? Chi si preoccupa di inquadrare l'attivit� di ogni "partecipazione" nella politica generale del governo? Chi decider� l'eliminazione degli Enti superflui? Chi si prender� la briga di portare a termine le liquidazioni, alcune delle quali durano da lustri (es. il Credito Marittimo � in liquidazione dal 1925) e che dureranno probabilmente fin che un liquidatore e alcuni impiegati non rinunceranno al proprio stipendio e fin quando andranno in pensione.
Apatia, abulia, forse una vena abile di corruzione, hanno finora ridicolizzato le "partecipazioni finanziarie" dello Stato. Una successione di interventi massicci, che costituisce gi� lo schema formale di una autentica nazionalizzazione, � praticamente manovrata da una ventina di famiglie, cui appartengono le chiavi dei principali consigli di amministrazione. Ogni azienda procede infatti per suo conto e per suo conto succhia quattrini all'erario. Un consigliere delegato o un direttore generale sono i veri padroni che di solito rammentano l'esistenza di una "partecipazione" dello Stato al momento di pagare i salari alle esuberanti maestranze. Un principio � stato solennemente canonizzato nella vita dell'IRI: pi� un'azienda � pesante e malata, tanto minore in proporzione � la presenza del capitale e del rischio privato. Una conclusione � stata accettata senza ribellione: che le societ� IRI rappresentino un curiosissimo tipo di impresa, in cui la minoranza privata trova quasi sempre i mezzi per imporsi alla maggioranza statale.
Il nostro governo ha seguito finora la strada peggiore per un vero capitano d'industria. S'� lasciato guidare dalla piazza e dalla demagogia, ha fatto la politica di Di Vittorio e quella delle clientele. Ha garantito obbligazioni industriali per centinaia di miliardi e non � stato capace nemmeno di segnarsele tutte su un pezzo di carta, come farebbe uno strozzino qualunque, cos� da sapere il totale dei rischi a cui si � esposto. O almeno dove mandare una lettera di sollecito quando ne pretende la legittima restituzione.
Il governo nel '47, ad esempio ha creato il FIM (Finanziamento all'Industria Meccanica - chiamato anche "rosario dei miliardi") , ha distribuito altri miliardi alla Fiat, alla Caproni, alla Ducati, alla Breda, alla Isotta Fraschini, alla Sfar, e a tante altre. Ora lo stesso governo la FIM l'avvia verso la liquidazione senza essere stato rimborsato che in minima parte dei suoi prestiti (9 li ha persi, 31 sono esposti in aziende malatissime quindi inesigibili; e prima del Fim altri 15 erano stati distribuiti "graziosamente": e senza pratici risultati, a causa della nota "politica di cassa", onde i quattrini in alcune aziende sono sempre arrivati molto in fretta, in altre sempre molto tempo dopo le richieste e spesso ci� che avrebbe potuto sanarsi un mese prima, � diventato insanabile un mese dopo, quando erano gi� fallite.
Inoltre le critiche pi� forti rivolte alla FIM sono due e fondate: di essere stato troppo banchiere al momento di dare il danaro ad alcune aziende, e troppo poco dopo averlo dato ad altre. In altre parole il FIM nel concedere le sue grazie ad alcune aziende si � comportato come una banca privata, piuttosto esoso pretendendo interessi elevati, prestando a scadenza cos� breve da non coprire in certi casi neppure un ciclo di lavorazioni, e pretendendo tali garanzie ed ipoteche (e anche un immediato rientro) da trasformare spesso un'operazione sociale in una vera e propria tirannia speculatoria. Per contro lo stesso FIM in alcune grandi aziende non si � minimamente preoccupato di controllare dove e come venivano spesi i suoi soldi. Insomma "mano forte" in alcune "mano guantata" in altre.
I suoi uomini di fiducia il FIM li sceglie con criteri che esulano quasi sempre dall'economia e dal buon senso. Es. alla Ducati di Bologna, estromessi i fondatori (ovviamente tecnici), la direzione � stata affidata ad un ex direttore di banca (ovviamente non tecnico). Alla Breda viene nominato commissario governativo il presidente di una associazione calcistica romana, che si desiderava sostituire nella sua carica sportiva. Dai campi di calcio alle locomotive.
Adesso all'IRI, il pi� importante organismo della ricostruzione italiana, in testa alla lista dei possibili presidenti � il senatore Corbellini. Nell'accettare la candidatura senza esitazione, si � spiegato chiaramente: "Se D'Aragona ha potuto prendere il mio posto alle ferrovie, io posso benissimo diventare presidente dell'IRI".
Guidare le aziende certi funzionari lo hanno preso per uno sport, da praticare dilettantisticamente nel tempo libero, un giorno qu� e un giorno l�.
Mentre IRI significa, centinaia di aziende, decine di migliaia di operai, centinaia di miliardi di capitali. Ma purtroppo il tutto � sotto un solo consiglio di amministrazione composto di otto funzionari ministeriali, in tutt'altre faccende affaccendati, e di cinque privati cittadini, che dirigono per conto loro il "dirigismo" (cos� lo chiama La Malfa) dello Stato italiano.
Al FIM ora faranno il funerale dopo aver in due anni e mezzo prestato, con risultati modesti, 65+15+10 miliardi (pari a 2500 di oggi anno 2000) alle industrie meccaniche; lo accompagneranno al cimitero critiche e minacce e una polemica mai finita. Il compito cui doveva far fronte era arduo: intervenire in quella "crisi di riconversione" in quelle aziende attrezzate soprattutto per la guerra, per sostituire macchinari, riconquistare i mercati perduti, diminuire i costi, migliorare i prodotti.
Qualcosa si � ottenuto, alcune aziende non grandissime (Marelli, Tosi, Macchi, Galilei, Piaggio, Borletti, Siemens, Siai e altre) hanno preso prestiti e li hanno restituiti fino all'ultima lira compresi gli interessi e hanno ripreso a vivere di vita propria.
Quelle invece dove le commesse di guerra nel passato incidevano per una buona met� della produzione normale, dopo nutrite e ripetute iniezioni di miliardi che hanno permesso di sostituire i macchinari vecchi con i nuovi, sono state poste in liquidazione per quattro soldi (aziende "buttate via come ciabatte", � l'espressione di un ministro competente). Poi dopo aver messa in liquidazione la stessa FIM i grandi complessi che le hanno assorbite quelle aziende ora non pagheranno nemmeno una lira. Saranno doppiamente premiate. Hanno speso quattro soldi e si sono liberate di fastidiose concorrenti.
Tutto a spese del contribuente.
E dunque morto il FIM. Liquidato. L'ultimo espediente con cui si era cercato di dare ossigeno all'economia italiana. Ma l'intervento disordinato e incompetente si � rivelato alla fine in un'opera di beneficenza sproporzionata con risultati raggiunti molto modesti. Vogliamo pensare che sia accaduto solo per i primi due motivi - ma allora � giusto che l'economia sia libera e non pi� controllata dallo Stato con commissari governativi, magari stimatissimi, ma inidonei, perch� sommersi dai problemi tecnici, dalle camarille e dal gioco sotterraneo degli interessi che si svolgono intorno alle grandi aziende.
La lezione pu� servire, per le sorti dell'industria italiana, che dipendono da ben altre cose che dalle raccomandazioni di De Gasperi, dall'intransigenza di Pella, dalle minacce di Togni e tanti altri. E' mille volte allora pi� giusto credere nella libert� e continuare a dare fiducia all'iniziativa privata, anche dentro le piccole aziende, dove un industriale intelligente pu� escogitare mille soluzioni per rendere prospera la propria azienda, senza dover ripetere - come fanno invece i grandi complessi- il monotono ritornello dell'inflazione, minacce di licenziamenti, fisco esoso, o chiedere svalutazioni della moneta per le proprie esportazioni. Altrettanto di monotona vacuit� il "piano" che sbandiera la CGIL, panacea universale di tutti i mali. Il risultato di entrambi � la solita minaccia di questa serrata o di quello sciopero, che fa spegnere i sogni del pi� capace pianificatore costretto a rompere sempre l'equilibrio di intelligenti programmi.
Ma non ci illudiamo. Le "partecipazioni" ci sono ancora; tanti enti come il FIM ci sono ancora; e a Roma esiste ancora la inveterata consuetudine di spedire nelle fabbriche lombarde, emiliane, piemontesi, degli ottimi -non lo mettiamo in dubbio- professionisti romani, forse stimatissimi a palazzo di Giustizia, ma troppo facili a restare sommersi da problemi che non capiranno mai. I loro piani andranno sempre a catafascio, i miliardi arriveranno sempre non nel posto giusto oppure fuori tempo, e il disordine invece di diminuire aumenter�; ovviamente a spese del contribuente.
Resta ora il grande carrozzone IRI.
Quanto durer� non lo sappiamo. Ma se continua troveremo i soliti commissari governativi a sedersi nelle poltrone dei consigli di amministrazione a parlare di cemento e di marmellate, di tondini di ferro e di vermut, di pesce conservato e apparecchi radio, di petrolio e banane. Senza capirci nulla, senza conoscere di ogni settore il mercato, n� il libero mercato.
Molte societ� operano anch'esse nei pi� disparati mercati, ma hanno un proprio distinto management; non possono affidarsi a improvvisati consiglieri che pretendono addirittura di modificare strategie produttive e commerciali; non vogliono ogni due mesi correre il rischio di trovarsi sull'orlo del fallimento n� vogliono sperare quelle illusorie boccate di ossigeno che spesso o non arrivano o arrivano in ritardo.Non ci resta dunque che sperare, che lo sviluppo economico del Paese percorre altre strade.
Ma non facciamoci illusioni. Stiamo parlando di far finire un carrozzone, proprio nel momento in cui se ne sta aprendo un altro. Ieri 10 agosto � stata istituita la Cassa del Mezzogiorno con un piano di investimenti a lungo termine per lo sviluppo economico delle regioni meridionali.
A "lungo termine". Significa tanti anni. Quanto coster� al Paese quest'altro carrozzone, lo sapranno forse solo i nostri figli o addirittura i nostri nipoti".
UGO ZATTERIN, Oggi, marzo 1950
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