E.A.POE
Poesie
Canto
-
- Ti vidi nel tuo giorno nuziale
- e t' invase una vampata di rossore,
- quantunque felicita' ti brillasse d' intorno
- e il mondo fosse tutto amore innanzi a te.
-
- E il baleno che s' accese nei tuoi occhi
- (quale ch' esso fosse per me),
- fu quando alla Belta' di piu' conforme
- potesse svelarsi alla mia vista dolente.
-
- Fu quel rossore, credo, pudore di fanciulla -
- e ben si comprende che cosi' fosse.
- Ma un piu' fiero incendio quel baleno
- sollevo' - ahime'! - nel petto di colui
-
- che ti vide nel tuo giorno nuziale,
- allorche' ti sorprese quell' acceso rossore,
- quantunque felicita' ti brillasse d' intorno
- e il mondo fosse tutto amore innanzi a te.
-
-
La stella della sera
-
- L' estate era al suo meriggio,
- e la notte al suo colmo;
- e ogni stella, nella sua propria orbita,
- brillava pallida, pur nella luce
- della luna, che piu' lucente e piu' fredda,
- dominava tra gli schiavi pianeti,
- nei cieli signora assoluta -
- e, col suo raggio, sulle onde.
- Per un poco io fissai
- il suo freddo sorriso;
- oh, troppo freddo - troppo freddo per me!
- Passo', come un sudario,
- una nuvola lanugiosa,
- e io allora mi volsi a te
- orgogliosa stella della sera,
- alla tua remota fiamma,
- piu' caro avendo il tuo raggio;
- giacche' piu' mi allieta
- l' orgogliosa parte
- che in cielo svolgi a notte,
- e di piu' io ammiro
- il tuo fuoco distante
- che non quella fredda, consueta luce.
-
-
Imitazione
-
- Un cupo insondabile mare
- di sconfinato orgoglio -
- mistero e sogno
- m' appare quella mia prima eta';
- un sogno, dico, che un estroso pensiero
- popolo' di strani esseri mai vissuti,
- che il mio spirito non ha mai veduto.
- Oh, li avessi lasciati in passare,
- col mio occhio sognante!
- Nessuno al mondo erediti
- quella mia visione d' allora;
- quei pensieri io controllerei,
- come per magia, nella sua mente:
- giacche' quella fulgente speranza
- e quel lieto tempo sono svaniti,
- con essi ando' via, con un sospiro:
- ma non m' importa che siano periti,
- benche' cosi' cari li avessi allora.
-
-
Un sogno
-
- In visioni di notturna tenebra
- spesso ho sognato svanite gioie -
- mentre un sogno, da sveglio, di vita e di luce
- m' ha lasciato col cuore implacato.
-
- Ah, che cosa non e' sogno in chiaro giorno
- per colui il cui sguardo si posa
- su quanto a lui e' d' intorno con un raggio
- che, a ritroso, si volge al tempo che non e' piu'?
-
- Quel sogno beato - quel sogno beato,
- mentre il mondo intero m' era avverso,
- m' ha rallegrato come un raggio cortese
- che sa guidare un animo scontroso.
-
- E benche' quella luce in tempestose notti
- cosi' tremolasse di lontano -
- che mai puo' aversi di piu' splendente e puro
- nella diurna stella del Vero?
Il giorno piu' felice
-
- Il giorno piu' felice - l' ora piu' felice
- questo mio inaridito cuore ha gia' conosciuto;
- ogni piu' alta speranza di trionfo e d' orgoglio
- sento ch' e' fuggita via.
-
- Trionfo? oh si', cosi' fantasticavo;
- ma da gran tempo svanirono ormai
- le visione di quel mio giovanile tempo -
- e sia pur cosi'.
-
- E quanto a te, orgoglio, che dirti?
- Erediti pure un' altra fonte
- quel veleno che approntasti per me -
- Ora acquietati, o mio spirito.
-
- Il giorno piu' felice - l' ora piu' felice -
- che quest' occhi avrebbero visto - hanno gia' visto,
- il rifulgente sguardo di trionfo e d' orgoglio
- sento che e' spento ormai.
-
- Ma mi fosse pur riofferta quella speranza
- di trionfo e d' orgoglio, e con la pena
- che allora avvertivo - quella fulgente ora
- io non vorrei riviverla:
-
- giacche' oscure scorie erano su quelle ali
- e, al loro agitarsi, una maligna essenza
- ne pioveva - fatale per un' anima
- che gia' l' ha conosciuta.
Il lago
-
- Nel fior di giovinezza, ebbi in sorte
- d' abitar del vasto mondo un luogo
- che non poteva ch' essermi caro e diletto -
- tanto m' era dolce d' un ermo lago
- la selvaggia bellezza, cinto di nere rocce,
- con alti pini torreggianti intorno.
-
- Ma poi che Notte, come su tutto,
- aveva li' disteso il suo manto,
- e il mistico vento e melodioso
- passava sussurrando - oh, allora,
- con un sussulto io mi destavo
- al terrore di quel solitario lago.
-
- Pure, non mi dava spavento quel terrore,
- ma anzi un tiepido diletto -
- un diletto che ne' miniere di gemme
- ne' lusinghe o donativi mai potrebbero
- indurmi a definir qual era -
- e neanche Amore - fosse anche l' Amor tuo.
-
- Morte abitava in quelle acque attossicate,
- e una tomba nel profondo gorgo
- era disposta per chi sapesse ricavarne
- un sollievo al suo immaginare:
- il solingo spirito sapesse fare
- un Eden di quell' oscuro lago.
-
-
Sonetto alla Scienza
-
- Scienza, vera figlia ti mostri del Tempo annoso,
- tu che ogni cosa trasmuti col penetrante occhio!
- Ma dimmi, perche' al poeta cosi' dilani il cuore,
- avvoltoio dalle ali grevi e opache?
- Come potrebbe egli amarti? E giudicarti savia,
- se mai volesti che libero n' andasse errando
- a cercar tesori per i cieli gemmati?
- Pure, si librava con intrepide ali.
- Non hai tu sbalzato Diana dal suo carro?
- E scacciato l' Amadriade dal bosco,
- che in piu' felice stella trovo' riparo?
- Non hai tu strappato la Naiade ai suoi flutti,
- l' Elfo ai verdi prati e me stesso infine
- al mio sogno estivo all' ombra del tamarindo?
-
-
Romanza
-
- Romanza, che ami annuire e cantare
- col capo assonnato e le ali ripiegate,
- tra verdi fronde, quali agita
- nel suo fondo un ombroso lago,
- fu per me un variopinto pappagallo
- - oh, a me familiare uccello -
- che m' apprese a dir l' alfabeto
- e a balbettare le prime parole,
- qundo nel bosco selvaggio io giacevo,
- fanciullo - dall' occhio sagace.
-
- Ma da un pezzo, del Condor gli eterni anni
- cosi' scuotono il cielo stesso la' in alto,
- con tumulto di tuoni mentre passano,
- che non ho io piu' tempo per oziose cure,
- mentre spio l' inquieto cielo.
- E quando un' ora con piu' lievi ali
- getta su di me le sue morbide piume,
- dissipar quel breve tempo con lira e rime
- (vietate cose!) - delittuoso parrebbe al mio cuore:
- a meno che con le corde non vibri anch' esso.
-
-
A _
-
- I recessi ombrosi dove in sogno io vedo
- i piu' vaghi uccelli canori,
- son come labbra - e tutta la tua melodia
- di parole cui il labbro da forma. -
-
- I tuoi occhi, gemme nel cielo del cuore,
- desolati si posano allora,
- o Dio!, sulla mia mente funerea -
- luce di stelle su un nero drappo.
-
- Il tuo cuore - il tuo cuore! Mi ridesto
- e sospiro, e dormo per sognare
- di quella verita' che l' oro non puo' mai comprare -
- e di quelle futilita' che sempre puo', invece.
-
Al fiume
-
- Bel fiume! Nel tuo limpido flutto
- di lucido cristallo, acqua errabonda,
- tu sei emblema d' una fulgente
- belta' - cuore non disvelato -
- piacevole intrico dell' arte
- nella figlia del vecchio Alberto;
-
- ma quando la tua onda ella contempla -
- che scintilla allora e tremola,
- oh, allora il piu' leggiadro rivo
- si fa simile a colui che l' adora:
- che' nel cuore di lui, come nel tuo scorrere,
- l' immagine di colei e' radicata:
- in quel cuore che tremola al raggio
- di occhi che cercano l' anima.
-
-
A _
-
- Non m' importa che la mia terrena sorte
- ben poco abbia di terreno in se' -
- che anni d' amore cosi' siano cancellati
- nell' astio di un momento: -
- a me non duole, o cara, che altri infelici,
- di me siano piu' felici,
- ma che tu abbia a soffrire per il mio destino,
- che e' solo quello d' un fuggitivo.
-
-
Solo
-
- Fanciullo, io gia' non ero
- come gli altri erano, ne' vedevo
- come gli altri vedevano. Mai
- derivai da una comune fonte
- le mie passioni - ne' mai,
- da quella stessa, i miei aspri affanni.
- Ne' il tripudio al mio cuore
- io ridestavo in accordo con altri.
- Tutto quello che amai, io l' amai da solo.
- Allora - in quell' eta' - nell' alba
- d' una procellosa vita - fu deerivato
- da ogni piu' oscuro abisso di bene e male
- il mistero che ancora m' avvince -
- dai torrenti e dalle sorgenti -
- dalla rossa roccia dei monti -
- dal sole che d' intorno mi ruotava
- nelle sue dorate tinte autunnali -
- dal celeste baleno
- che daccano mi guizzava -
- dal tuono e dalla tempesta -
- e dalla nuvola che forma assumeva
- (mentre era azzurro tutto l' altro cielo)
- d' un demone alla mia vista -
-
Elizabet
-
- Elizabet - a me par giusto sommamente
- (logica e comun senso cosi' ordinando)
- che nel tuo libro per primo si scriva il tuo nome,
- checche' ne pensino Zenone ed altri saggi;
- ed io ho poi altri motivi per cosi' fare,
- oltre al mio innato gusto per la contraddizione:
- ciascun poeta - se poeta - nel suo tener dietro
- alle vaganti Muse, per i recessi del Vero e del Finto,
- ha ben poco studiato la sua parte,
- letto quasi nulla, scritto ancora meno - e', in breve,
- uno sciocco senz' anima, senza sensi e senza l' arte,
- se mostra di ignorare una norma cosi' importante,
- perfino adoperata nei compiti scolastici -
- che si chiama - il nome greco non ricordo
- (ma quale sia, il senso suo non muta):
- <<Sempre scriver prima quel che nel cuore hai piu' in alto>>
-
-
Acrostico
-
- Elizabet, vano e' del tutto che tu dica
- <<Oh, non amare>> - se poi lo dici in quel dolce modo:
- invano quelle parole da te dette o da L. E. L.
- cosi' rafforzavano i talenti di Santippe:
- ah, se quel linguaggio ti zampilla dal cuore,
- esprimilo meno amabilmemte - e velando i tuoi occhi.
- Endimione, ricordati, quando la Luna volle
- curarne l' amore, per sempre resto' curato d' ogni cosa -
- follia, fierezza, passioni - giacche' ne mori'.
-
-
A Elena
-
- Elena, la tua bellezza e' per me
- come quei navigli nicei d' un tempo
- che, mollemente, sull' odorato mare,
- riportavano il pellegrino stanco d' errare
- alla sponda natia.
-
- Da tempo avvezzo a disperati mari,
- la tua chioma di giacinto, il tuo classico volto,
- la grazia di Naiade riportano me anche in patria,
- a quella gloria che fu la Grecia,
- a quella maesta' che fu Roma.
-
- La', nel rilucente vano della finestra,
- come statua eretta io ti vedo,
- con in mano la tua lampada d' agata!
- Ah, Psyche, qui venuta dalle regioni
- che son Terra-Santa!
-
-
La valle dell' inquietudine
-
- Un tempo sorrideva silenziosa
- una piccola valle dove nessuno piu' abitava:
- la gente era partita per le guerre,
- affidando ai miti occhi delle stelle, a notte,
- dalle alte torri azzurre, la custodia
- di quei fiori, sopra i quali, per tutto il giorno,
- pigramente indugiava la rossa luce del sole.
- Ora invece al viandante che di li' passasse
- si mostrerebbe il tristo stato di quella valle.
- Nulla e' ora li' che stia senza un moto:
- nulla, tranne l' aria che immobile sovrasta
- su quella magica solitudine.
- Oh, non un soffio piu' sommuove quelle fronde,
- che ora palpitano come gelide onde
- d' intorno alle nebbiose, lontane Ebridi!
- Oh, non un vento sospinge quelle nuvole,
- che con gravezza si spostano nel cielo inquieto,
- dal chiaro mattino fino a sera,
- sui fitti campi delle viole non colte -
- miriadi d' occhi umani d' ogni foggia -
- e sui gigli che ondeggiano e gemono
- sopra una tomba che non ha nome!
- Ondeggiano: dalle cime profumate
- rugiade cadono in gocciole immortali.
- Gemono: dagli steli delicati
- discendono gemme d' eterne lacrime.
-
-
A una in Paradiso
-
- Eri per me quel tutto, amore,
- per cui si struggeva la mia anima -
- una verde isola nel mare, amore,
- una fonte limpida, un' ara
- di magici frutti e fiori adornata:
- e tutti erano miei quei fiori.
-
- Ah, sogno splendido e breve!
- Stellata speranza, appena apparsa
- e subito sopraffatta!
- Una voce del Futuro mi grida
- <<Avanti, avanti!>> - ma e' sul Passato
- (oscuro gugite!) che la mia anima aleggia
- tacita, immobile, sgomenta!
- Perche' mai piu', oh, mai piu' per me
- risplendera' quella luce di Vita!
- Mai piu' - mai piu' - mai piu' -
- (e' quel che il mare ripete
- alle sabbie del lido) - mai piu'
- rifiorira' un albero percosso dal fulmine,
- ne' potra' piu' elevarsi un' aquila ferita.
-
- Vivo, trasognato, giorni estatici,
- e tutte le mie notturne visioni
- mi riportano ai tuoi grigi occhi di luce,
- a la' dove tu stessa ti porti e risplendi,
- oh, in quali eteree danze,
- lungo rivi che scorrono perenni.
-
-
Inno
-
- Al mattino, al meriggio, al fosco crepuscolo -
- tu hai udito il mio inno, Maria!
- In affanno e letizia - nel bene e nel male -
- tu, madre di Dio, ancora rimani con me!
- Quando piu' liete per me scorrevan le Ore,
- e non una nuvola oscurava il mio cielo,
- la tua grazia trepida guidava a te
- l' anima mia perche' non si smarrisse;
- e ora che il Destino per me piu' addensa
- le sue tempeste e in me confonde presente
- e passato, fa' che almeno risplensa il futuro
- e per me irragi dolce speranza di te!
-
-
A -
-
- Dormi, oh dormi per un poco ancora!
- Perche' cessare un cosi' placido sonno?
- Per ridestarti al sole e al piovasco,
- al sorriso e al pianto?
-
- Dormi, dormi, come scolpita immagine,
- cosi' colma di belta', di maesta';
- i serafini con l' ali ti fan vento,
- fan vento alla tua fronte.
-
- Non vorremmo pensarti creatura terrestre,
- perche' angelica, oh angelica la tua forma! -
- ma che in cielo, piuttosto, avesti origine,
- dove mai tempesta
- s' abbatte' sul bel fiore perfetto,
- ma tutto e' calma e belta' -
- e sabbie dorate proclamano ore
- che mai non recano alcun male.
-
- Dormi, dormi, forse un sogno fatato passa
- sul tuo sonno e con esso s' intreccia.
- Ma, oh, il tuo chiaro, sereno spirito
- pur dovra' svegliarti al pianto.
-
-
Fanny
-
- Il cigno morente in qualche nordico lago
- intona il suo canto di morte, sottile e dolce,
- e come quella musica irrompe nell' aria,
- gia' si dissolve per il colle e la valle;
- cosi' musicale a me pervenne la tua voce,
- cosi' tremolo' sulla tua lingua il mio nome.
-
- Come sprazzo di sole per una nuvola d' ebano,
- che vela il solenne cielo della notte
- e fora il freddo sudario della nera sera
- cosi' a me pervenne il primo dardo di quell' occhio;
- ma, simile a una roccia d' adamante,
- il mio spirito l' incontro' e ne sostenne il colpo.
-
- Oh, richiami la tua memoria quel ragazzo
- che il suo cuore poso' sulla tua ara,
- e quando i suoi passi piu' remoti risuoneranno,
- pensa ch' egli giudico' divini i tuoi incanti:
- una vittima sull' altare d' amore trafitta
- da occhi stregati che gl' indicavano disdegno.
-
-
A F-s S. O-d
- Vorresti essere amata? e tu fa che il tuo cuore
- non si discosti dal sentiero di ora!
- Essendo ogni cosa che ora tu sei,
- non esser mai altro che non sei.
- Cosi' i tuoi cortesi modi di vita,
- la tua grazia, la tua piu' che bellezza
- saranno un tema d' elogio senza fine,
- e l' amore - non altro che un puro dovere.
-
-
A F-
-
- O mia amata, fra i dolenti affanni
- cosi' folti sul mio terrestre sentiero -
- triste, ahime'! - dove mai non cresce
- un fiore, mai alcuna rosa solitaria -
- trova sollievi almeno l' anima mia
- in molti sogni di te: e conosce allora
- un Eden di blando riposo.
-
- Cosi', dal ricordo di te si distilla
- in me un' isola d' incanto, lontana,
- in mezzo a un tumultuante mare -
- fremente oceano e immenso, esposto
- ad ogni tempesta - nel mentre che, intanto,
- i piu' sereni cieli, continuamente,
- solo sorridono su quell' isola fulgente.
-
-
A Zante
-
- O bella isola, che dal piu' bel fiore
- prendi il tuo nome, fra tutti il piu' gentile!
- Quante memorie di raggianti ore
- da te si ridestano al tuo solo apparire!
- E parvenze di quale perduta felicita'!
- E pensieri di quali speranze sepolte!
- E visioni di una fanciulla, sui tuoi verdi
- pendii, che non e' piu', che non e' piu'!
- Non piu'! Ahime', quel magico e triste suono
- che tutto trasmuta! Non piu' lodero' i tuoi incanti,
- non piu' il ricordo di te! Un esecrato suolo
- d' ora in avanti riterro' il tuo lido fiorito,
- o isola giacintea! O purpurea Zante!
- <<Isola d' oro! Fior di Levante!>>
-
-
Silenzio
-
- Vi sono qualita' - incorporee essenze,
- cui e' data come una duplice vita, che e' poi
- emblema della doppia entita' che sempre scocca
- da materia e luce, in solida forma e in ombra.
- Vi e' un silenzio che e' duplice - mare e riva -
- corpo e anima. Abita l' uno in solitari luoghi,
- ricoperti d' erba recente: qualche solenne grazia,
- umane memorie e una lacrimata sapienza
- gli han tolto ogni terrore. Il suo nome e' Mai piu'.
- E' quello il silenzio corporeo: non devi paventarlo!
- Non ha potere in se stesso di nuocere.
- Ma se mai un incalzante fato (intempestiva
- sorte!) ti portasse a incontrare la sua ombra,
- (un elfo e', senza nome e frequenta solighe plaghe,
- mai calpestate dal piede di un uomo),
- oh, allora, raccomandati a Dio!
-
-
Una valentina
-
- E' scritta questa rima per colei i cui occhi
- lucenti ed espressivi come i gemelli di Leda,
- troveranno il suo stesso dolce nome annidato
- sulla pagina, celato ad ogni lettore.
- Osservate i versi attentamente! Vi e' in essi
- un tesoro divino - un talismano - un amuleto -
- che si deve portare sul cuore. Osservate poi
- il metro - le parole - le sillabe!
- Nulla si tralasci, o sara' vana la fatica!
- E non v' e', nondimeno, nessun nodo gordiano
- che senza una spada non potreste disciogliere,
- se solo n' afferraste il soggetto.
- Tracciate sul foglio, scrutate da occhi
- in cui l' anima balena, s' ascondono, perdues,
- tre parole eloquenti, spesso dette e spesso udite
- da un poeta a un poeta - e d' un poeta e' anche il nome.
- Le sue lettere, benche' ingannino, ovviamente,
- come il Cavalier Pinto - Mendez Ferdinando -
- sono, invece, sinonimo del Vero. - Ora basta!
- Pur facendo del vostro meglio, non sciogliereste l' indovinello.
-
-
A Luisa Olivia Hunter
-
- Per quanto mi volga, non fuggo -
- non so distaccarmi;
- vorrei tentare, ma non tento
- di rilasciare il mio cuore.
- E le mie speranze ormai son morte
- intanto che, nei sogni fidando,
- ancor resto allettato.
-
- Cosi' la guizzante serpe che si torce
- sotto l' albero nel bosco
- travolge l' uccelo mentre suadente
- l' induce a scendere di poco;
- simile a quell' uccello e' l' amante,
- che intorno che al fato volteggia
- finche' il colpo e' inferto
- ed egli cade - com' io cado.
-
-
A M.L.S.
-
- Per quanti in te salutano il mattino, se tu appari,
- per quanti e' come nera notte la tua assenza -
- quasi che del tutto si cancellasse dall' alto cielo
- il sacro sole - fra quanti caramente in ogni ora
- t' elogiano per le speranze, la vita e oh, ancor piu',
- per il risorgere in essi d' una gia' sepolta fede
- nel Vero - nella Virtu' - nell' Umanita' -
- fra i giacenti nel triste letto d' afflizione
- gia' vicini a morire, si levarono d' un tratto
- alle tue parole soavemente mormorare <<Vi sia la luce!>>
- alle tue parole soavemente mormorare che s' adempiano
- nel serafico balenare del tuo sguardo -
- fra quanti, a te piu' grati, piu' son disposti
- a riverente adorazione, oh, ricorda il piu' sincero,
- il piu' fervente, il piu' devoto, e pensa
- che da lui questi gracili versi furono scritti -
- da lui che, tracciatoli, gia' trema nel pensare
- che s' accomuna il suo spirito a quello d' un angelo.
-
-
A -
-
- Or non e' molto, chi scrive queste righe,
- nel suo folle orgoglio d' intellettualita',
- sosteneva il <<potere delle parole>> - negando
- che mai pensiero in un cervello umano possa nascere
- di la' dall' espressione dell' umana lingua;
- ed ora, quasi a beffardo per quel vanto,
- due sole parole - due dolci disillabi stranieri -
- italiani suoni - di quelli che solo bisbigliano
- gli angeli sognanti alla luna, nella <<rugiada
- che perlacea catena, avvolge il colle Hermon>> -
- hanno tratto dagli oscuri abissi del suo cuore
- pensieri non-pensati, anime di pensiero,
- piu' ricche visioni, piu' selvegge e piu' estatiche
- di quelle che l' angelo arpista, Israfel,
- cui <<fra tutti diede Iddio voce blanda e soave>>,
- non potrebbe dire mai. E io! Ogni risorsa e' svanita.
- Cade la penna inerte dalla mia mano che trema.
- Col tuo caro nome come testo, pur da te richiesto,
- nulla riesco a scrivere - a dire, a pensare,
- a sentire, ahime'; giacche' non e' sentire
- questo mio immobile soffermarmi sulla dorata
- soglia dell' aurea porta dei sogni, mentre
- ne ammiro, estasiato, la fuggente prospettiva,
- ed esaltarmi nel veder, sia dal destro lato
- o da quello a sinistra, e lungo tutto il cammino,
- tra vapori purpurei, fin dove in lontananza
- quel prospetto s' arresta - te sola.
-
-
Enigma
-
- <<Di rado troviamo>>, dice Salomone Allocco,
- <<una mezza idea nel piu' profondo sonetto.
- Attraverso i suoi sottili espedienti scorgiamo
- agevolmente, come in un berretto di Napoli -
- ciarpame! robaccia! - come puo' portarlo una signora?
- E piu' pesa, pero', della vostra stoffa petrarchesca -
- piumate assordita' che un lieve soffio disperde
- e ammucchia in cartaccie sol che l' esaminiate>>.
- E Salomome ha invero ragione.
- I soliti versi tuchermaniani sono bubbole
- notorie - effimere e cosi' trasparenti -
- ma questa mia, ora - potete esserne certa -
- e' solida, nitida, immortale - e tutto questo
- a causa dei cari nomi che vi sono celati.
-
-
Un sogno dentro un sogno
-
- Questo mio bacio accogli sulla fronte!
- E, da te ora separandomi,
- lascia che io ti dica
- che non sgabi se pensi
- che furono un sogno i miei giorni;
- e, tuttavia, se la speranza volo' via
- in una notte o in un giorno,
- in una visione o in nient' altro,
- e' forse per questo meno svanita?
- Tutto quello che vediamo, quel che sembriamo
- non e' che un sogno dentro un sogno.
-
- Sto nel fragore
- di un lido tormentato dalla risacca,
- stringo in una mano
- granelli di sabbia dorata.
- Soltanto pochi! E pur come scivolano via,
- per le mie dita, e ricadono sul mare!
- Ed io piango - io piango!
- O Dio! Non potro' trattenerli con una stretta piu' salda?
- O Dio! Mai potro' salvarne
- almeno uno, dall' onda spietata?
- Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo
- non e' che un sogno dentro un sogno?
-
-
Eldorado
-
- Con il suo gaio cimitero
- un ardito cavaliere,
- sotto il sole e in fitta ombra,
- gia' da tempo andava errando
- - e cantava una canzone -
- ricercando l' Eldorado.
-
- Ma divento' vecchio intanto -
- questo prode cavaliere -
- e gli calo' sul cuore
- un' ombra, che' non trovava
- mai terra o luogo
- somigliante all' Eldorado.
-
- E quando le forze
- l' abbandonarono infine,
- incontro' un' ombra pellegrina -
- <<Ombra>>, egli chiese,
- <<dove mai si trovera'
- questa terra d' Eldorado?>>
-
- <<Oltre ai Monti
- della Luna,
- giu' nella Valle delle Tenebre,
- cavalca, cavalca intrepido>>,
- cosi' l' ombra gli rispose -
- <<se vai in cerca d' Eldorado!>>
-
-
A mia madre
-
- Poiche' io ben sento che negli alti cieli
- gli angeli, bisbigliando l' uno all' altro,
- parola non trovano, fra i loro ardenti accenti,
- che sia piu' devota di quella di <<madre>>
- io gia' da tempo a te ho dato quel caro nome -
- a te che piu' che madre mi sei e che mi ricolmi
- il cuore, dove Morte t' installo', lo spirito
- liberando, al contempo, della mia Virginia.
- La mia propria madre, che cosi' presto mi lascio',
- non fu che di me solo madre; ma tu sei madre
- di colei che io cosi' caramente ho amato:
- sicche' a me piu' cara tu sei dell' altra
- per quell' infinita via per cui la mia sposa
- fu alla mia anima piu' cara che la vita stessa.