Storia di un sommergibilista del Lafolè
(E per tomba le acque amare del Mediterraneo)
(Testimonianze della 2nda Guerra Mondiale)
di Orazio Ferrara
ANTONIO RUGGIERO di Francesco e di Cirillo Carolina nasce a Sarno il 13 febbraio 1909.
All'età di 18 anni presenta domanda di arruolamento, come volontario, nella Regia Marina.
Con decorrenza 1 dicembre 1928 è arruolato dal Deposito Corpo Reale Equipaggi Marittimi (C.R.E.M.) di Venezia, con la qualifica di allievo meccanico, per la ferma di anni sei.
E' promosso Sottocapo meccanico l'1 ottobre 1929, classificato Sottocapo brevettato l'1 giugno 1933.
E' promosso Secondo Capo meccanico l'1 dicembre 1934, in pari data è ammesso alla rafferma sessennale con soprassoldo.
Nel frattempo Antonio Ruggiero è stato imbarcato su diverse navi. Dal foglio matricolare (assai lacunoso) apprendiamo del suo imbarco sulla corazzata Duilio, poi sulle torpedinieri Palestro e Solferino, infine sul cacciatorpediniere Tarigo. Da altra documentazione (anch'essa frammentaria) sappiamo che nel '34 è imbarcato sul sommergibile Fratelli Bandiera.
Da sommergibilista deve aver poi frequentato la scuola della Regia Marina di Pola, in quanto mio padre nelle sue Memorie di un marinaio (nella parte ancora inedita) racconta di averlo conosciuto appunto in quella scuola militare. Durante l'imbarco sul Bandiera, il Ruggiero incappa in un incidente, che per puro caso non gli è fatale.
La mattina del 23 dicembre 1934, allorché il sommergibile sta lasciando gli ormeggi del porto di Monfalcone per trasferimento alla base di Pola, avviene un'esplosione nel locale motori, dove si trova al lavoro il Ruggiero in quanto meccanico. Ecco come ci viene raccontato l'incidente dall'estratto della guardia del giornale di chiesuola, dalle ore 8 del 23 dicembre alle ore 8 del 24 dicembre 1934 XIII.
"Preparativi per la partenza.- Alle ore 9,15 circa, poco dopo avviato il motore termico di Sn si è avuto uno scoppio nel carter del motore stesso. Il personale che trovavasi in coperta, subito accorso presso il portello di poppa ha aiutato i feriti venuti su dalla garitta ed ha provveduto con l'aiuto dei pompieri della Ditta CRDA allo spegnimento di piccoli focolai d'incendio nella camera motori termici e nelle camere attigue. I feriti sono stati subito trasportati alla vicina infermeria della Ditta CRDA ove hanno avuto le prime cure.
Nonostante le prestazioni del medico di guardia, decedeva dopo 15 minuti il Capo meccanico Bettini Lorenzo m.la 3165. Sono stai (sic) trasportati all'ospedale civ. di Monfalcone i seguenti Ufficiali, Sottufficiali e militari del CREM…"
Seguono i nominativi di 11 persone, tra cui il nostro Antonio Ruggiero, che aveva riportato vaste scottature alla faccia ed alle mani ed escoriazioni all'emitorace destro. La morte che ha preso il Capo meccanico Bettini, questa volta ha soltanto sfiorato il 2° Capo meccanico Ruggiero, ma sentiamo l'accaduto dalla sua deposizione, fatta successivamente davanti alla Commissione d'inchiesta della Marina per "disgraziato accidente":
"Il 23 c.m. alle ore 9,15 mi trovavo in camera Motori Termici, ero nel corridoio intento alla sorveglianza della lubrificazione del M.T. di Sn, quando ho udito un forte scoppio e sono stato investito dalle fiamme e dall'ondata d'aria. Il pagliolo mi è mancato di sotto e stavo per precipitare in sentina quando mi sono aggrappato ai tubi di scarico dell'olio di circolazione stantuffi. A tastoni ho raggiunto la garitta di poppa ed appena sgombra sono venuto in coperta. Sono stato accompagnato nell'infermeria della Ditta CRDA dove ho avuto le prime cure…".
La deposizione è sottoscritta con il segno di croce in quanto il Ruggiero non può firmare, avendo ambedue le mani ancora fasciate per le gravi ferite riportate. Per uno di quegli strani casi del destino il sommergibile Bandiera sarà uno dei pochissimi sommergibili italiani a passare indenne attraverso la bufera della 2a Guerra Mondiale (infatti sarà radiato soltanto nel 1948), benché effettui, nel periodo bellico, ben 39 uscite operative nel Mediterraneo, di cui 22 offensive.
Per il 2° Capo meccanico Ruggiero lo stesso destino ha invece riservato l'imbarco sul sommergibile Lafolè, al momento dello scoppio della guerra.
Il Lafolè, della classe Adua (i cui sommergibili hanno tutti nomi di località della vittoriosa guerra africana), varato dai cantieri del Muggiano di La Spezia, è consegnato alla Regia Marina il 13 agosto del 1938. Il battello, che risponde ai canoni, pur se con diverse pecche, di una moderna concezione della guerra subacquea, ha un'autonomia in superficie di 2500 miglia a 12 nodi, mentre in immersione la stessa scende a 74 miglia a 4 nodi. La profondità massima raggiungibile è di 80 metri. E' armato di un cannone, 4 mitragliere antiaeree e 6 tubi lanciasiluri. L'equipaggio è di circa 50 uomini. Dal 10 giugno 1940, data della dichiarazione di guerra, il Lafolè è dislocato nella base di Tobruk, facendo esso parte della 62a squadra del VI gruppo sommergibili. Comandante del battello è il Tenente di Vascello Piero Riccomini. Fino al tragico epilogo il Lafolè effettua 5 uscite operative, di cui 4 offensive.
Antonio Ruggiero partecipa a tutte e cinque. Dal 10 al 20 giugno 1940: agguato al largo di Tobruk. Dal 3 al 14 luglio: agguato sulla congiungente Gaudo-Derna. Il 21 settembre: pattugliamento notturno al largo di Taranto. Il 15 ottobre 1940 il sommergibile Lafolè, lascia gli ormeggi, per porsi in agguato, secondo ordini prestabiliti, di fronte alle coste marocchine, fra Capo Quillates e Capo Agua. Il 18 dello stesso mese di ottobre, ad est di Gibilterra il sommergibile Durbo, della medesima classe del Lafolè, viene intercettato e attaccato dai caccia britannici Firedrake e Wrestler ed è costretto a venire in superficie.
Gli inglesi traggono in salvo l'intero equipaggio italiano, che abbandona il battello dopo aver attivato il dispositivo di autoaffondamento. Purtroppo alcuni marinai inglesi, con sprezzo del pericolo, riescono a portarsi a bordo del Durbo e a impadronirsi, prima che questi affondi, dei cifrari segreti, che malauguratamente non sono stati distrutti come è previsto in questi casi.
Il pomeriggio del 20 ottobre 1940 quando il Lafolè si pone in agguato a sud-est dell'isola di Alboran, di fronte a Capo Tres Forcas (nei pressi di Melilla del Marocco spagnolo), trova ad attenderlo tre cacciatorpedinieri inglesi: il Gallant, l'Hotspur e il Griffin. Sono circa le ore 18,30 allorché le navi inglesi attaccano con un prolungato e furioso lancio di bombe di profondità.
La situazione per il Lafolè è subito disperata. Non potendosi sottrarre alla caccia, vuoi per avaria o, molto più probabilmente, per la lenta velocità in immersione che lo rende un vulnerabilissimo bersaglio, è costretto a venire in superficie. Qui viene mitragliato e speronato dai caccia britannici, che temono forse un'ultima ostinata reazione, a colpi di cannone, da parte del battello italiano. Lo speronamento provoca l'immediato affondamento del Lafolè. Così le amare acque del Mediterraneo, al largo di Capo Tres Forcas, diventano la tomba del comandante Riccomini e di altri 38 uomini dell'equipaggio, tra quest'ultimi il 2° Capo meccanico Antonio Ruggiero, di anni 31, da Sarno.
Gli squarci aperti dalle prore nemiche nel sommergibile italiano e che hanno provocato poi il suo affondamento, hanno altresì permesso che vi fossero dei superstiti, venuti a galla con le bolle d'aria. Sono soltanto 9 e vengono tutti tratti in salvo dagli inglesi. Tra essi il comandante in seconda Accardi Giuseppe da Napoli e i marinai Di Bartolomeo Agostino da Agropoli e Anastasio Antonio da Cetara. Per anni la tragica e repentina fine del Lafolè ha fatto ipotizzare, da parte di più di uno studioso, che si fosse in presenza di un tradimento.
All'inizio gli inglesi, sempre gelosi dei segreti dei loro successi sul mare, non hanno dissipato i dubbi. Solo negli anni Ottanta, viene avanzata l'ipotesi che la perdita del Lafolè sia stata causata dall'essere i britannici in possesso dei cifrari segreti presi sul Durbo. Questa tesi compare, per la prima volta, nel libro "Il vero traditore" dello storico militare Alberto Santoni, edito nel 1981 per i tipi Mursia di Milano.
Oggi noi siamo in grado, ed è una primizia, di portare nuovi e definitivi elementi a sostegno della tesi del Santoni. Durante le ricerche effettuate per questo lavoro, abbiamo rintracciato, su Internet, il sito di un'associazione inglese, formata da ex marinai del caccia Firedrake. Il sito, con documenti anche ufficiali, è una preziosa fonte di notizie inedite sulla vicenda che c'interessa. Tra le tante foto di guerra, che corredano la documentazione, una ci è apparsa oltremodo esplicativa, quella che mostra le lance del caccia inglese che si avvicinano al sommergibile italiano Durbo, ormai in autoaffondamento, per salvarne l'equipaggio e, come vedremo, per impadronirsi dei cifrari segreti.
Quest'ultima operazione è esplicitata nella storia ufficiale del Firedrake nella seconda guerra mondiale, da cui trascriviamo il seguente passo: "On the 18th October, with the assistance of HMS Wrestler and two Saunders-Roe London Flying boats of 202 Squadron RAF, the Firedrake sank the Italian submarine Durbo (Tenente di Vasc. Armando Acanfora) east of Gibraltar in position 35° 57' N 004° 00' W. The submarine surfaced and was abandoned at 19.50hr sinking soon afterwards. The entire crew of 46 officers and men were rescued by the Firedrake and taken prisoner. The Firedrake and Wrestler were also involved, albeit indirectly, in the sinking of another Italian submarine two days later. When the Lafole (Tenente di Vasc. Riccomini) was sunk by HM ships Gallant, Griffin and Hotspur south east of Alboran Island on the 20th October, it was acknowledged that the successful location and destruction of this boat was due almost entirely to a number of personnel from the Firedrake and wrestler who boarded the Durbo on the point of sinking and managed to obtain confidential documents showing Italian U-boat positions".
La cui libera traduzione recita: " Il 18 ottobre, con l'ausilio dell'HMS Wrestler e due aerei antisommergibili Saunders del 202° Squadrone RAF (Royal Air Force - N. d. T.), il Firedrake affondò il sottomarino italiano Durbo ( Tenente di Vascello Armando Acanfora) ad est di Gibilterra in posizione 35° 57' N 004° 00' W. Il sottomarino emerse e poco dopo, alle ore 19.50, abbandonato all'affondamento.
L'intero equipaggio di 46 uomini e ufficiali fu salvato e preso prigioniero dal Firedrake. Il Firedrake e il Wrestler furono interessati anche, benché indirettamente, nell'affondamento di un altro sottomarino italiano due giorni più tardi. Quando il Lafolè (Tenente di Vascello Riccomini) fu affondato dagli HMS Gallant, Griffin e Hotspur a sud est dell'isola di Alboran il 20 ottobre, si ammise che l'operazione riuscita e la distruzione di questo battello erano quasi completamente dovute ad un gruppo di marinai del Firedrake e del Wrestler che abbordarono il Durbo sul punto di affondare e riuscirono ad impadronirsi di documenti riservati sulle posizioni del sottomarino italiano".
A custode della memoria di Antonio Ruggiero, giovane marinaio sarnese in armi caduto nell'adempimento del proprio dovere, resta tenace la sorella Maria, che conserva, tra l'altro, gelosamente la poca frammentaria documentazione rimasta.
Maria Ruggiero ha sempre accarezzato l'impossibile speranza che un bel giorno la Marina Militare italiana decida di procedere al recupero dello scafo del Lafolè, adagiato sembra in fondali poco profondi, e con esso dei resti mortali dei suoi marinai, tra cui il fratello tanto amato. Oggi quella speranza, malgrado tutto, è ancora sua.
Sono passati oltre sessant'anni ed ella versa ancora calde lacrime ogniqualvolta si parli dei tragici eventi del pomeriggio del 20 ottobre 1940, che decretarono la fine del Lafolè e di suo fratello. Le sue lacrime sincere e quell'impossibile speranza sono motivi non secondari nella genesi di questo scritto. Per molti anni Maria, come lei stessa ci ha raccontato, è stata tormentata dal pensiero che il fratello avesse avuto una lenta atroce agonia in quella bara d'acciaio, quale diventa un sommergibile affondato.
Poi una notte le appare in sogno Antonio, immerso tra acque ruscellanti e con una profonda ferita sanguinante alla testa, che le dice di non angustiarsi. Qualche giorno dopo il padre le rivela che nei sommergibili affondati è terribile crudele necessità, onde evitare lunghe dolorose agonie, tirarsi il colpo di grazia alla tempia. Quest'ultima orribile necessità sembra sia però da escludersi nel nostro caso, infatti alla luce di quello che oggi sappiamo sulle modalità di affondamento del Lafolè, l'acqua del mare, penetrando dagli squarci degli speronamenti, deve aver invaso rapidamente i locali del sommergibile, provocandone altrettanto repentinamente l'affondamento con conseguente morte quasi immediata dell'equipaggio, ad eccezione dei pochi superstiti miracolati perché proiettati fuori dalle bolle d'aria.
A suggello di questa storia, amara e tragica, poniamo il vecchio motto, caro al cuore di tutte le generazioni dei sommergibilisti italiani:
"siamo fieri di voi !".
(a cura di Orazio Ferrara)