GLI ANTICHI FILOSOFI (i savi)
SCUOLA D'ATENE (Raffaello)
I SETTE SAVI (Sec. IV
a.C.):
< < < < BIANTE, CHILONE, CLEOBULO,
PITTACO, SOLONE, PERIANDRO,
TALETE
( scritti inediti - riportati da antichi testi stampati nel 1548-1700 )
PERIANDRO
PERIANDRO - Periandro si rese celebre per la sua tirannia.
Pare quasi impossibile che un uomo il quale dava delle massime eccellenti di morale,
dovesse poi condurre una vita viziosissima; e sembra egualmente incredibile che i Greci,
testimoni della sua condotta, abbiano potuto onorarlo col nome di Sapiente. PERIANDRO
discendeva dalla famiglia degli Eraclidi; nacque in Corinto e divenne tiranno della sua
patria. Prese in sposa LISIDE, figlia del principe di Epidauro. Dimostrò sempre molto
amore per essa, e cambiò il suo nome di Lidide, in quello di MELISSA; da questo
matrimonio ebbe due figli. Cipsele, il primogenito era tardo di ingegno e sembrava quasi
stupido; ma Licofroone, il minore, era di ingegno elevato ed assai atto al governo del
regno. Trovandosi Melissa incinta, alcune donne che vi avevano interesse, procurarono di
dare ombra della condotta di lei a Periandro, e gli fecero dei rapporti che lo indussero
nella più furiosa gelosia, in una lite, nell'atto ch'ella scendeva una scala, con un
calcio che le diede nel ventre la rovesciò; cosicché precipitando dalla medesima restò
morta con il figlio che portava.
Egli si pentì subito di questa atrocità, ed abbandonandosi alla più grande
disperazione, sfogò il suo sdegno sulle donne che gli avevano fatto nascere questi
sospetti; le fece prendere e bruciare vive.
PROCLEO, padre dell'estinta, essendo stato informato del crudele trattamento fatto alla
sua cara figliola, mandò a cercare i suoi due nipoti che amava teneramente. Li tenne
presso di sé per qualche tempo onde consolarsi; ed allorquando li rimandò, disse loro
abbracciandoli: "Mie figlioli, voi conoscete l'uccisore di vostra madre". Il
maggiore non pensò al significato di queste parole; ma il cadetto ne fu sì vivamente
commosso, che quando fu di ritorno a Corinto non volle mai più parlare a suo padre, né
rispondere a ciò che esso gli domandava. Il padre fece molte interrogazioni a Cipsele,
per sapere ciò che gli aveva detto Procleo; ma questi per la sua poco felice memoria
aveva già dimenticato ogni cosa, Periandro, lo sollecitò tanto che finalmente Cipsele si
ricordò delle ultime parole che aveva intese da Procleo raccontandole al padre.
PERIANDRO ben comprese ciò che si era voluto dire ai suoi figli. Procurò egli dunque di
mettere l'altro suo figlio, Licofroone, nella necessità di ricorrere a lui; proibì a
coloro che lo alloggiavano di non più tenerlo nella loro casa. Licofroone vedendosi così
perseguitato, si presentò in molte altre case, ma dappertutto veniva cacciato per timore
delle minacce del padre: trovò alla fine alcuni amici che ebbero compassione del suo
stato, che lo ricevettero in casa col pericolo di attirarsi l'indignazione del re.
Periandro fece pubblicare, che chiunque lo ricevesse o gli parlasse solamente sarebbe
stato punito di morte.
Il timore di un sì rigoroso castigo, spaventò tutti i cittadini; nessuno osava parlargli
o avere relazioni. Licofroone passava le notti sotto i portici delle case; tutti lo
fuggivano, come se fosse una fiera. Quattro giorni dopo Periandro che lo vide quasi morto
di fame e di miseria, fu commosso, gli si avvicinò e gli parlò in questi termini:
"Licofroone, quale sorte é più desiderabile; quella forse di condurre una vita
miserabile come fai tu, o quella di disporre della mia possanza e di essere interamente il
padrone dei tesori che io posseggo? Tu sei mio figlio e principe della florida città di
Corinto; se é accaduto qualche sinistro accidente, io ne ho dei risentimenti tanto più
vivi in quanto ne sono causa io medesimo. In quanto a te poi, ti sei attirate tutte queste
disgrazie irritando colui che dovevi rispettare; ma ora che tu conosci cosa sia
l'ostinarsi contro il padre, ti permetto di ritornare in casa mia".
Licofroone, insensibile come una rupe ai discorsi di suo padre Periandro, gli rispose
freddamente: "Voi medesimo meritate la pena di cui avete minacciato gli altri,
poichè voi mi avete parlato". Quando Periandro vide che era assolutamente
impossibile vincere la fermezza di suo figlio, prese il partito di allontanarlo dai suoi
occhi, e lo rilegò a Corcira che era un paese a lui soggetto. Periandro irritato contro
Procleo che credeva autore della disunione tra lui e suo figlio, levò molte truppe alla
testa delle quali si pose egli medesimo per andare a fargli guerra. Tutto le riuscì
felicemente. Dopo essersi reso padrone della città di Epidauro, lo fece prigioniero e lo
custodì presso di sè senza dargli morte.
PERIANDRO qualche tempo dopo quando cominciava già a divenir vecchio, mandò a Corcira a
cercare Licofroone per rinunziare in suo favore il sovrano potere, a pregiudizio del
primogenito che non era atto alla condotta degli affari.
Ma Licofroone non volle dare risposta all'invito di Periandro; questi, che amava
teneramente suo figlio, non si diede per vinto: diede ordine a sua figlia di andare a
Corcira, sperando nella sua influenza sullo spirito di suo fratello. Dal momento che
questa giovane principessa fu giunta presso Licofroone, lo scongiurò cercando di
commuoverlo e vincere la sua ostinazione: "Volete, gli disse , che il regno tocchi ad
uno straniero piuttosto che a voi? Nostro padre é vecchio e prossimo alla morte; se voi
non venite presto, la nostra casa perirà certamente. Pensate dunque di non abbandonare ad
altri le grandezze che vi aspettano e che legittimamente vi appartengono. Licofroone
l'assicurò che finchè viveva il padre, egli non sarebbe ritornato mai a Corinto.
Quando la principessa tornò dal re, suo
padre, gli narrò il rifiuto di Licofroone. Periandro a Corcira inviò una terza
ambasciata per far sapere a suo figlio che egli poteva venire quando voleva a prendere
possesso di Corinto; e che in quanto a lui aveva deciso di andare a terminare i suoi
giorni a Corcira. Licofroone vi acconsentì; si disposero ambedue a cambiar paese. I
Corciresi ne vennero avvertiti, e n'ebbero tanto spavento che trucidarono Licofroone per
timore che Periandro andasse a dimorare fra di essi.
PERIANDRO disperato per la morte di suo figlio fece tosto prendere trecento figliuoli
delle migliori famiglie di Corcira e li mandò ad Aliatte per farne degli eunuchi. Il
vascello che li trasportava fu costretto ad approdare a Samo. Quando gli abitanti di
questa città conobbero il motivo e il destino che si dava a questi infelici n'ebbero la
più gran compassione; li consigliarono segretamente di ricoverarsi nel tempio di Diana:
quando vi furono entrati, non vollero permettere ai Corinti di riprenderli, asserendo che
i fanciulli erano sotto la protezione della Dea. Trovarono poi il mezzo di farli
sussistere
senza dichiararsi apertamente nemici di Periandro: mandavano tutte le sere i loro giovani
a ballare vicino al tempio e questi ne approfittavano per gettare dentro il tempio delle
focacce. I giovani corciresi le raccoglievano e se ne nutrivano.
PERIANDRO adirato di non aver potuto
vendicare la morte di suo figlio come desiderava, determinò di non più vivere; ma
siccome non voleva che si sapesse ove fosse il suo corpo, immaginò questa invenzione, per
nasconderlo. Fece venire a sè due giovani ai quali mostrò una strada abbandonata ed
impose loro di passeggiarvi nella notte seguente, di uccidere il primo che vi
incontrassero e seppellire al momento il corpo del morto. Licenziò questi, e ne fece
venire quattro altri, ai quali comandò pure di passeggiare nella stessa strada e di
uccidere due giovani che avrebbero incontrato. Licenziati pure questi, ne fece venire un
maggior numero ai quali impose egualmente di uccidere gli altri quattro e seppellirli sul
luogo. Dopo che egli ebbe così disposto ogni cosa come desiderava non mancò di trovarsi
all'ora prescritta nel luogo remoto, ove fu ucciso dai primi due che lo incontrarono.
Finito così tragicamente e in questo modo oscuro comunque i Corinti gli eressero una
tomba sulla quale incisero un epitaffio per onorare la sua memoria. Egli morì in età di
80 anni, dopo aver regnato quarant'anni. Periandro non si rese illustre senza dubbio per
le sue azioni indegne di un uomo, non chè di un sapiente; ma pure prescindendo da queste
é ammirabile per i suoi morali precetti che senza prendersi molta pena di adempiervi egli
stesso si contentava solamente di insinuare ad altri: eccone alcuni. Non si deve mai
desiderare il denaro di ricompensa delle proprie azioni. Non vi è cosa più apprezzabile
della tranquillità. Quelli che fanno del male meritano di essere puniti egualmente che
quelli dei quali è noto che sono disposti a farlo. I piaceri sono passeggeri ma la gloria
é eterna. Bisogna essere moderato nella prosperità e prudente nelle avversità. Non si
deve giammai rivelare il segreto che ci é stato confidato. Non conviene guardare se i
nostri amici sono nella felicità o nella infelicità; conviene per altro verso di loro i
medesimi riguardi in qualunque stato si trovano.
PERIANDRO amava i sapienti; scriveva agli altri filosofi della Grecia per invitarli ad
andare a passare qualche tempo a Corinto, ove giunti faceva loro la più grande
accoglienza.
La sua vita come abbiamo letto è invece una vera contraddizione della sapienza degli
altri 6 Savi. Ma la Storia ne riserverà altre di personaggi simili.
TALETE
TALETE - Mileto nella Jonia fu la patria di Talete, uno dei sette Savi della Grecia.
Dapprima egli si occupò nella magistratura, e dopo averne coperti con splendore i
principali impieghi, decise di abbandonare ogni pubblico affare per dedicarsi allo studio.
Come molti suoi dotti predecessori, viaggiò per acquistare cognizioni, specialmente nella
Fenicia e nell'Egitto. Sulle sponde del Nilo soggiornò nell'antica capitale per qualche
anno conversando con i preti, della Città sacra di Menfi, depositari della scienza di
quel tempo; si istruì nei misteri della loro religione, e si applicò particolarmente
alla geometria e all'astronomia. Egli fece dei grandi progressi e nell'una e nell'altra
scienza. In particolare la dimostrazione di diverse proprietà dei trinagoli e gli è
anche attribuita l'introduzion nella tecnica nautica del metodo per misurare le distanze
dalla spiaggia di una nave in alto mare. Noi sappiamo che sostenne all'inizio che la Terra
era un disco (i suoi studi furono poi ripresi dal filosofo suo discepolo Anassimandro che
formulò la prima teoria sulla forma della Terra come un disco al centro dell'universo).
Interessanti anche le sue osservazioni sull'ombra meridionale di una grande stele
(obelisco) piramidale.
Aggiunse all' astronomia delle ingegnose scoperte e fu il primo a intuire a cosa erano
dovute le eclisse solari e lunari e con con qualche accuratezza a calcolarne la
periodicità e quindi la prevedibilità contribuendo a renderle meno spaventose. Scoprì i
solstizi e gli equinozi; ripartì il cielo in cinque zone è fissò l'anno a 365 giorni,
divisione che raccomandò di osservare e che poi fu universalmente adottata.
Ad eccezione dei sacerdoti di Menfi, dove più che sacerdoti erano veri e propri
scienziati, non si mise mai sotto alcun maestro; egli non fu debitore che alle sue
esperienze e alle sue profonde meditazioni, delle belle cognizioni con le quali ha
arricchito la filosofia. Dotato dalla natura di uno spirito elevato rifletteva molto e
parlava assai poco. A questa particolarità univa una dolcezza di animo, rimarcata ancora
da Giovenale con dei famosi versi.
TALETE terminati i suoi viaggi ritorno a Mileto eleggendo una vita ritiratissima non volle
mai ammogliarsi. Aveva appena 23 anni quando la di lui madre lo sollecitò con grande
impegno ad accettare un partito assai vantaggioso che si presentava. Ecco la risposta che
Talete le diede: "Quando si é giovine non hai tempo di maritarti; quando si é
vecchio é troppo tardi; e quando si è di media età non si deve aver tempo sufficiente
per poter pensare alla scelta di una sposa.
Talete di tre cose soleva ringraziare gli Dei: di esser nato ragionevole, anzichè bestia;
uomo, anzichè donna; greco anzichè barbaro.
L'opinione che egli aveva della Divinità era quella di una intelligenza che non aveva
avuto mai principio e che non avrebbe mai fine. Un uomo gli domandò un giorno, se noi
possiamo nascondere le nostre azioni agli Dei: gli rispose che perfino i nostri più
intimi pensieri sono a loro noti.
Egli fu il primo fra i greci che insegnasse l'immortalità dell'anima. Diceva che la cosa
del mondo più grande è il luogo, perchè contiene tutti gli esseri; che la più forte é
la necessità, perchè essa ci fa riuscire in ogni cosa; che la più pronta é lo spirito;
perchè in un istante percorre tutto l'universo; che la più saggia è il tempo, poichè
scopre le cose le più oscure; ma che la più dolce e la più amabile è di fare la
propria volontà.
TALETE fra le cose le
più difficili egli reputava quella di conoscere se stesso: egli fu l'inventore di quella
bella massima "Impara a conoscere te stesso". Che fu poi incisa su di una
lamella d'oro e consacrata nel tempio di Apollo. Non ammetteva differenza tra la vita e la
morte: gli fu allora più volte domandato perchè non si faceva ammazzare, ed egli sempre
rispose "Perchè la vita e la morte essendo la stessa cosa, nulla può determinarmi a
prendere un partito piuttosto che un altro".
In fisica non meno che in morale ebbe delle idee affatto originali. Egli credette che
l'acqua il primo principio di ogni cosa; e perciò, secondo il suo sistema la Terra era
un'acqua condensata, e l'aria un'acqua rarefatta: ammetteva che tutte le cose
perpetuamente si cangiassero in altre, ma che in ultima analisi si sciogliessero in acqua.
Gli effetti della calamita e dell'ambra gli fecero credere che tutto fosse animato; anzi
ammise che in tutto l'universo esistevano degli esseri invisibili i quali ondeggiavano
nello spazio.
TALETE fu sempre tenuto in grande venerazione, per cui il di lui parere era sempre
ricercato su gli affari più importanti. Creso dopo aver intrapresa la guerra contro i
Persiani, si avanzò alla testa di una forte armata fino al fiume Alis, ma si trovò
imbarazzato per passarlo perchè mancanti di ponti e di battelli, ed il fiume non era
guadoso. Talete s'incontrò in quel momento e lo assicurò, ch'egli avrebbe somministrato
l'occorrente per far attraversare il fiume alla sua armata: fece scavare un gran fosso in
forma di mezzaluna che incominciava da una delle estremità del campo e terminava
all'altra; il fiume si divise per questo mezzo in due bracci, i quali essendo ambedue
guadosi tutta l'armata passò senza alcuna difficoltà.
TALETE, essendo già molto vecchio, si fece portare un giorno su di un terrazzo per godere
lo spettacolo delle giostre nell'anfiteatro. L'eccessivo calore del sole gli cagionò
un'alterazione così violenta che improvvisamente morì nel luogo stesso all'età di 96
anni. Gli abitanti di Mileto gli celebrarono degli splendidi funerali; e la sua memoria fu
sempre onorata non solo come quella di un gran sapiente, ma come il fondatore della Scuola
Jonica.
(Note: su questa antica opera, da dove abbiamo attinto questi testi, l'età di Talete non
è esatta. Non è nota la data di nascita, ma oggi, l'eclisse solare di Sole, che lui ha
immortalato nei suoi studi (oggi tramite le simulazioni al computer) sappiamo che sul
luogo quindi su questa coordinata (Menfi) il fenomeno si é verificata esattamente il 28
maggio dell'anno 585 a.C.. Da altre sue fonti sappiamo che durante il suo viaggio in
Egitto era un uono di circa quarant'anni, ed essendo morto nel 546 a.C. non poteva avere
oltre 80 anni, non 96 come afferma questo autore del '700)
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