IL MASSACRO DI KATYN |
Nel 1940, su ordine di Stalin, dopo la spartizione del territorio con Hitler
UN
COLPO ALLA NUCA PER VENTIDUEMILA
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Nella primavera del 1940, nella foresta di Katyn, in Polonia, vennero giustiziati più di 22.000 prigionieri di guerra polacchi.
Rimasto ignoto all'opinione pubblica per tre anni, l'eccidio fu reso noto al mondo nella primavera del 1943 dalla radio tedesca.
Alle 9.15 del mattino, ora di New York, la propaganda nazista rendeva noto, come quattro giorni prima il ministro Joseph Goebbels annotava nel suo diario, che " vicino a Smolensk sono state trovate delle fosse comuni piene di cadaveri polacchi. (la foto sopra). I bolscevichi hanno semplicemente ucciso circa 10.000 prigionieri seppellendoli alla rinfusa in fosse comuni". I responsabili dell'eccidio, quindi, erano i sovietici.
Gli sventurati erano stati freddati con un preciso colpo alla nuca e gettati in diverse fosse comuni, un'intera generazione di ufficiali, appartenenti alla borghesia e all'intellighenzia polacca. Per più di cinquant'anni quest'eccidio è rimasto avvolto nel mistero e nella menzogna. A chi apparteneva la regìa di questo crimine? A quale delle due dittature che si erano gettate di comune accordo sulle spoglie della Polonia, spettava la responsabilità di quanto accaduto alla Germania Nazista o alla Russia comunista?
La versione dei tedeschi non fu accettata, gli alleati non vollero credere alla responsabilità russa.
L'apertura degli archivi sovietici dopo il crollo del regime, ha permesso
di togliere il velo della menzogna alla verità di Katyn. Già negli ultimi
mesi di glasnost gorbacioviana questa verità appariva sempre più difficile
da nascondere. Con l'avvento al potere di Eltsin, e la denuncia del PCUS come
organizzazione criminale, finalmente è emersa una documentazione agghiacciante
dalla quale si può comprendere, in più larga scala, gli stessi meccanismi
criminali di un sistema totalitario.
"Varsavia, 17 febbraio - Un documento della Croce Rossa polacca (CRP), datato giugno 1943 e pubblicato ora dal settimanale "Odrodzeine", indica come data probabile del massacro di migliaia di ufficiali polacchi nella foresta di Katyn, ora in Bielorussia, il periodo marzo-maggio 1940, ciò che suggerisce una chiara responsabilità dei societici e non dei tedeschi, come fin qui sostenuto dalla propaganda comunista. In seguito all'invasione della Polonia da parte degli eserciti hitleriani nel settembre del 1939, l'Urss occupò i territori orientali della Polonia, inclusa la regione dove sorge la foresta di Katyn. Il rapporto, redatto dal segretario della Crp, Kazimierz Skarzynski, fu da questi presentato al consiglio generale della Croce Rossa polacca nel giugno del 1943. Nel 1945, scrive Odrodzeine, una copia unica fu consegnata all'incaricato d'affari britannico a Varsavia e quindi trasmessa a Londra nel 1946. E' stata ora ritrovata da un ricercatore polacco negli archivi del Foreign Office" (Comun. Ansa, 17 febbraio 1989, ore 14.09).
"Varsavia - Il documento fu celato al governo polacco in esilio a Londra durante la guerra per non turbare le relazioni della Gran Bretagna con Mosca. In un commento, datato 1945 e allegato al rapporto, Skarzynski indicava chiaramente la responsabilità sovietica. La commissione della Crp si era al contrario rifiutata di indicare i responsabili dell'eccidio, per evitare di giovare alla propaganda tedesca". (Ib. ore 14.11)
"Londra - Radio Mosca ha ammesso per la prima volta la responsabilità della polizia segreta sovietica nel massacro di Katyn. La radio ha aggiunto che da "parte sovietica si esprime il più profondo rincrescimento per la tragedia che viene giudicata uno dei peggiori crimini dello stalinismo". ( Ib 13 aprile, ore 02.13)
Ndr. Francomputer
Qui una pagina di FERRUCCIO GATTUSO
IL MASSACRO DI KATYN
Nella primavera del 1940, nella foresta di Katyn, in Polonia, vennero giustiziati più di 22.000 prigionieri di guerra polacchi. Legati con speciali nodi che bloccavano i polsi e la gola, vennero tutti freddati con un preciso colpo alla nuca e gettati in diverse fosse comuni. Si trattava di un'intera generazione di ufficiali, appartenenti alla borghesia e all'intellighenzia polacca, tutta la dirigenza militare di un paese. Questa operazione "scientifica", realizzata da abilissimi professionisti dell'esecuzione, è rimasta per più di cinquant'anni avvolta nel mistero. E nella menzogna. A chi apparteneva la regìa di questo crimine? A quale delle due dittature che si erano gettate di comune accordo sulle spoglie della Polonia, la Germania nazista e la Russia comunista, spettava la responsabilità di quanto accaduto? Rimasto ignoto all'opinione pubblica per tre anni, l'eccidio fu reso noto al mondo nella primavera del 1943 dalla radio tedesca.
Alle 9.15 del mattino, ora di New York, la propaganda nazista rendeva noto,
come quattro giorni prima il ministro Joseph Goebbels annotava nel suo diario,
che " vicino a Smolensk sono state trovate delle fosse comuni piene di
cadaveri polacchi. (la foto sopra). I bolscevichi hanno semplicemente ucciso
circa 10.000 prigionieri seppellendoli alla rinfusa in fosse comuni".
I responsabili dell'eccidio, quindi, erano i sovietici. Questa verità,
semplicemente poiché proveniva da un regime criminale come quello nazista
(e per ragioni di realpolitik che in seguito vedremo), non fu accettata. Il
regime stalinista, e gli alleati occidentali, dapprima non vollero credere
alla responsabilità russa nell'eccidio, e in seguito fecero di tutto
per insabbiare quella che ormai a tutti i polacchi sembrava un fatto assodato:
era stata la famigerata NKVD - la polizia politica comunista - ad eseguire
il lavoro. Su preciso ordine della dirigenza sovietica, e sulla base di indicazioni,
consigli, e lo zelante contributo di comunisti polacchi. L'apertura degli
archivi sovietici dopo il crollo del regime, nel 1991, ha permesso di togliere
il velo della menzogna alla verità di Katyn. Già negli ultimi
mesi di glasnost gorbacioviana questa verità appariva sempre più
difficile da nascondere. Con l'avvento al potere di Eltsin, e la denuncia
del PCUS come organizzazione criminale, finalmente è emersa una documentazione
agghiacciante dalla quale si può comprendere, in più larga scala,
gli stessi meccanismi criminali di un sistema totalitario.
Come, cioè, l'eliminazione di alcune categorie (sociali per i comunisti,
razziali per i nazisti) fosse una prassi scientificamente elaborata a tavolino,
e altrettanto scientificamente attuata. "Visto sullo sfondo della storia
sovietica - scrive lo storico polacco Victor Zaslavsky, autore de Il massacro
di Katyn, di recente pubblicazione - , con avvenimenti quali la liquidazione
dei kulaki come classe o la fucilazione di più di un milione di persone,
inclusi 44.000 alti militari, durante il grande terrore tra il 1937 e il 1939,
o le deportazioni di intere popolazioni negli ultimi anni della guerra - Katyn
perde la sua eccezionalità, assumendo il carattere di un'atrocità
comune, un crimine qualunque dello stalinismo. Visto nel quadro dei rapporti
internazionali, il massacro di Katyn rimane invece uno degli episodi più
significativi della seconda guerra mondiale". L'esempio di Katyn porta
anche ad una riflessione importante. Al di là di strumentali polemiche
sul termine revisionismo, che ha contrapposto molti studiosi, non si può
fare a meno di considerare che l'apertura degli archivi sovietici costituisce
uno stimolo a riconsiderare alcune analisi storiche di questo secolo. Collegando
astutamente, all'interno del termine, l'assurda negazione dell'Olocausto con
una legittima ricerca di nuovi documenti che possono cambiare alcune verità
assodate, una certa scuola di pensiero ha voluto mettere in un angolo, relegandole
al rango di notizie di poco conto, alcune scoperte storiche emerse dalle carte
segrete del PCUS e degli altri partiti comunisti dell'Est. Se oggi la tesi
ufficiale - che per cinquant'anni ha imputato il massacro di Katyn ai tedeschi
- è apparsa in tutta la sua menzogna, è solo grazie a quegli
studiosi che hanno voluto scavare nei nuovi archivi, e che hanno voluto rivedere
alcuni frammenti della nostra storia.
Il massacro di Katyn, e il suo silenzio, sono figli di due "alleanze
innaturali". La prima (forse meno innaturale di quanto si pensi) fu quella
nata dal Patto von Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939, con il quale Hitler
e Stalin di comune accordo si dividevano la Polonia e stabilivano una politica
di collaborazione strategica. La seconda fu quella tra l'Unione Sovietica
e le democrazie occidentali, giustificata dalla minaccia nazista, e che si
venne a concretizzare solo dopo l'attacco tedesco alla Russia nell'estate
del 1940. Non c'è dubbio che il patto tra tedeschi e sovietici costituì
il seme che fecondò la Seconda Guerra Mondiale. Dall'avvicinamento
tra le diplomazie naziste e comuniste dell'estate 1939 nacque l'invasione
tedesca della Polonia, in quel tragico venerdì 1 settembre. Il punto
secondo del protocollo segreto tra i due regimi prevedeva proprio la spartizione
della Polonia. Da esso venne anche un plateale voltafaccia del movimento comunista
internazionale. Dapprima scagliatisi contro l'invasione tedesca (basti ricordare
l'impeto del francese Thorez che proclamava "il desiderio di tutti i
comunisti di combattere contro il nazismo e il fascismo" e l'appoggio
incondizionato dei comunisti francesi a favore dei crediti di guerra chiesti
dal governo Daladier), i comunisti dovettero registrare con stupore che il
Piccolo Padre la pensava diversamente. Il 5 settembre il capo del Komintern,
il bulgaro Georgij Dimitrov, chiedeva delucidazioni su come agire. "Nella
elaborazione della tattica e degli obbiettivi politici dei partiti comunisti
- scriveva Dimitrov - stiamo incontrando difficoltà straordinarie.
Per superarle e prendere una decisione giusta abbiamo bisogno, ora più
che mai, dell'aiuto immediato e del consiglio del compagno Stalin". Il
mondo comunista chiedeva quindi al suo Papa cosa doveva pensare. Il 7 settembre
ci fu l'agognato incontro tra Stalin e Dimitrov, alla presenza dei fidi Molotov
e Zdanov. Lo scontro in atto in quel momento - spiegò Stalin - era
tra due forze comunque capitaliste, quelle ricche (le potenze occidentali)
e quelle povere (Germania e Italia). In questo frangente occorreva abbandonare
i fronti popolari antifascisti e "manovrare e spingere una parte contro
l'altra". La Polonia - era la constatazione finale di Stalin - era "uno
stato fascista, che opprime ucraini, bielorussi e altre nazionalità.
La sua distruzione nelle condizioni attuali significherebbe uno stato fascista
in meno! Che ci sarebbe di male se in seguito alla disfatta della Polonia
espandessimo il sistema sovietico su nuovi territori e nuove popolazioni?"
Il destino polacco era segnato. Con perfetto accordo operativo tra nazisti
e sovietici, la Polonia fu letteralmente strangolata. Se i nazisti avevano
invaso lo stato baltico il 1 settembre, i sovietici aspettarono due settimane
prima di intervenire, con la formale scusa di difendere le minoranze di confine.
Il governo sovietico infatti non formulò mai una formale dichiarazione
di guerra nei confronti della Polonia. "L'espressione contenuta nella
nota sovietica al governo polacco - scrive Zaslavsky - secondo la quale le
truppe avevano attraversato il confine per offrire una mano fraterna al popolo
polacco, rimase nella lingua russa come un'ironica epitome della politica
staliniana nei confronti dell'Europa orientale". Gli eserciti delle due
potenze si fermarono nel punto concordato e si spartirono "lealmente"
il paese aggredito. "La Polonia, - dichiarò in quei giorni Molotov
davanti ai membri del Soviet supremo - questo bastardo nato dal trattato di
Versailles, ha cessato di esistere".
Più della metà del territorio polacco finì sotto il dominio
sovietico, e con essa 250.000 soldati e ufficiali dell'esercito polacco, "prigionieri
- scrive Zaslavsky - di una guerra non dichiarata". Le condizioni di
questi prigionieri era pessima, e gli stessi vertici militari russi dislocati
in Polonia chiedevano informazioni a Mosca su come organizzare la prigionia,
dal momento che mancava addirittura il cibo per sfamarli. Il Politburo organizzò
quindi una commissione speciale affidata alla direzione dei famigerati Berija
e Zdanov. Soprattutto il primo seppe mettersi in luce presso Stalin per la
sua cinica efficienza nel trattare la "materia umana" dei prigionieri.
Si può dire che da questo compito Berija spiccò il salto che
lo portò a diventare uno dei fidati bracci destri di Stalin. Come primo
passo la commissione decise di liberare i prigionieri ucraini e bielorussi,
e di trattenerne 25.000 per la costruzione della strada Novgorod-Volynski-Leopoli.
Come tradizione del regime sovietico, i prigionieri diventavano così
moderni schiavi da utilizzare in importanti edificazioni. Gli ufficiali polacchi
vennero così smistati nei campi presso Kozelsk, Starobelsk e Ostaskov.
La direzione di questi campi venne affidata alla Nkvd. La polizia politica
sovietica cercò immediatamente di infiltrare spie e osservatori tra
gli ufficiali prigionieri. In una direttiva dell'8 ottobre 1939, un documento
segretissimo a firma di Berija sulla sorveglianza operativa dei prigionieri
di guerra nei campi della Nkvd, il comunista georgiano auspicava la realizzazione
di "una rete spionistico-informativa per individuare tra i prigionieri
di guerra formazioni controrivoluzionarie".
Era importante - concludeva Berija - "chiarire gli atteggiamenti dei
prigionieri di guerra". Nel frattempo la collaborazione con i nazisti
era efficientissima. Nell'autunno del 1939 i due regimi alleati si scambiarono
molti prigionieri. 43.000 e 14.000 soldati polacchi furono i rispettivi pacchi-dono
che nazisti e sovietici vicendevolmente si offrirono. "Questo scambio
- scrive Zaslavsky - testimonia non solo un'attiva collaborazione, ma anche
quel fenomeno che col senno di poi si potrebbe definire una particolare divisione
del lavoro tra i regimi di Stalin e Hitler". Non va dimenticato, inoltre,
come non manca di far notare Zaslavsky che "nello scambio di soldati,
la dirigenza staliniana si rifiutò di accogliere, nonostante i ripetuti
appelli, la richiesta di ebrei e comunisti di restare in Urss poiché
temevano le persecuzioni dei nazisti". Anche nel febbraio del 1940, Stalin
non avrebbe esitato a consegnare alla Gestapo alcuni comunisti tedeschi rifugiati
politici in Urss, e che erano detenuti nei campi sovietici dalle purghe degli
anni Trenta. Questi uomini passarono così dai gulag ai lager. Gli ufficiali
polacchi prigionieri furono sottoposti, oltre che a un controllo e ad uno
spionaggio assiduo, ad un'opera di rieducazione politica. Propaganda martellante,
colloqui, proiezioni di film esaltanti la Rivoluzione: nulla fu lasciato intentato
per arruolare nuove spie e cercare di ammaestrare quegli uomini definiti socialmente
alieni, in quanto provenivano dalla migliore borghesia polacca. "Ogni
detenuto dei campi di Kozelsk, Starobelsk e Osatskov - scrive Zaslavsky -
era sottoposto a lunghi e ripetuti interrogatori. Gli inquirenti erano particolarmente
interessati all'estrazione sociale e alla posizione sociale ed economica del
detenuto, al suo orientamento politico, all'affiliazione partitica, ai legami
con i paesi occidentali, alla conoscenza di lingue straniere." Questa
ricerca era la terribile premessa all'operazione di "pulizia".
Quando la notizia del massacro di Katyn venne diffusa dalla radio tedesca,
furono in molti a dubitarne. I nazisti, nel 1943, erano in chiara difficoltà
su molti fronti. Gli occidentali sospettavano che questa fosse una prevedibile
mossa per cercare di indebolire il fronte nemico. I nazisti, comunque, organizzarono
una commissione investigativa, formata da medici provenienti da diversi paesi
e suggerì inoltre alla Croce Rossa internazionale di inviare propri
membri a controllare le vittime dell'eccidio. La commissione creata dai tedeschi
imputò ai sovietici la responsabilità del massacro: le vittime
- spiegava la risoluzione finale - erano state uccise nella primavera del
1940, quando ancora i russi occupavano la zona, prima dell'avanzata tedesca
verso la Russia nell' Operazione Barbarossa.
Uno dei professori della commissione era l'italiano Vincenzo Palmieri, direttore
dell'Istituto di medicina legale dell'Università di Napoli. "Non
c'erano dubbi - scrisse - , fra noi dodici [i membri della commissione medica,
ndr] nessuno ebbe alcun dubbio, non ci fu neppure un'obiezione. Fu decisiva
l'autopsia del cranio effettuata dal professor Orsos di Budapest: sulla parete
interna trovò una sostanza che comincia a formarsi a tre anni dalla
morte. Aveva tre anni anche il boschetto piantato sulla fossa. […]Il
referto è inconfutabile". Contemporaneamente lavorò a Katyn
una commissione della Croce Rossa polacca, formata da uomini e donne che ben
conoscevano la barbarie nazista (tra essi, si scoprì in seguito, c'erano
persino alcuni membri in incognito della Resistenza polacca!). Ebbene, anche
questa commissione - sicuramente non imputabile di simpatie naziste - giunse
alla medesima conclusione: la responsabilità dell'eccidio gravava interamente
sui sovietici. Per quanto possa sembrare incredibile, le conclusioni di questa
commissione non vennero mai rese note, se non nel 1989! Questo, per evitare
di avvantaggiare la propaganda nazista. Quando l'area di Katyn tornò
in mano russa, verso la fine della guerra, anche i sovietici istituirono una
loro commissione, la commissione Burdenko, il cui compito era naturalmente
quello di sostenere la responsabilità nazista nell'eccidio. Composta
solo da cittadini sovietici, la commissione invitò a Katyn il 15 gennaio
1944 un gruppo di giornalisti occidentali (nelle cui file c'era anche la giovane
figlia dell'ambasciatore americano a Mosca Averell Harriman): alcuni di loro
credettero alla versione sovietica. I proiettili usati per le esecuzioni erano
di fabbricazione tedesca, e su questo i sovietici basarono la propria linea
accusatoria.
Si trattava di una tesi facilmente smontabile: le ferite da baionetta e le
corde usate per legare i prigionieri erano di fabbricazione sovietica, le
pallottole invece provenivano dalla tedesca Gustaw Genschow di Karlsruhe,
che dopo le imposizioni del Trattato di Versailles, smise di fornire in casa
e cominciò ad esportare massicciamente in Unione Sovietica, Polonia
e paesi baltici. La Nkvd - oggi è un fatto assodato - ricorse a pistole
tedesche e proiettili "Geco" calibro 7,65. Le fucilazioni, sempre
secondo questa tesi, erano avvenute tra agosto e settembre del 1941. Non pochi
giornalisti non poterono però fare a meno di notare che i cadaveri
avevano indosso indumenti invernali. La commissione Burdenko dichiarò
quindi che c'era stato un errore e formulò la tesi che l'esecuzione
era avvenuta tra agosto e dicembre del 1941. I sovietici si aspettavano una
definitiva chiusura dell'imbarazzante caso in occasione della cornice del
maxi-processo di Norimberga. Anche in questa occasione, il caso rimase formalmente
aperto, soprattutto a causa delle fumose dichiarazioni dei testimoni pro-sovietici.
Le rivelazioni degli ultimi anni hanno chiarito senza ombra di dubbio che
22.000 prigionieri polacchi sono stati eliminati dalla Nkvd.
Come si arrivò a questa ufficializzazione? Le acque cominciarono a
muoversi negli ultimi mesi del governo Gorbaciov. Per quanto gli fu possibile,
e nonostante i proclami sulla glasnost, l'ultimo segretario del PCUS al potere
cercò di procrastinare la rivelazione della responsabilità sovietica.
Le cose cambiarono quando la commissione polacco-sovietica, recentemente formatasi,
scoprì tra gli archivi segreti sovietici messi a disposizione, una
fonte dal semplice titolo "Centro per la conservazione delle collezioni
di documenti storici". In questo archivio, definito speciale e sorvegliato
dal Kgb, vennero scoperte le comunicazioni della Direzione per gli affari
dei prigionieri di guerra del Nkvd. Più di 9.000 fascicoli che offrivano
delucidazioni sullo sfruttamento dei prigionieri di guerra a fini lavorativi,
nonché sulle loro condizioni nei campi. Non c'era ancora il nucleo
dei documenti fondamentali sul fatto di Katyn, ma da essi si poteva facilmente
intuire la possibilità di reperire altre fonti. Il sovrintendente della
commissione polacco-sovietica, il russo Aleksandr Yakovelv, testimonia di
aver spedito la documentazione a più indirizzi, esattamente cinque
copie (al Dipartimento internazionale del CC, al Kgb, al ministero degli Esteri,
e "non ricordo più a chi altro"), così da renderla
protetta burocraticamente, e difficilmente cancellabile. Nel maggio del 1988,
in una cerimonia a Katyn, ufficiali sovietici e polacchi assistettero al formale
riconoscimento sovietico della responsabilità nell'eccidio, messo in
atto dalla Nkvd. Il regime sovietico quindi si ripeteva nella tecnica kruscioviana
del 1956, quando nel famoso XX congresso del partito, il premier sovietico
denunciò i crimini di Stalin. In questo caso il Pcus se ne lavava le
mani, facendo ricadere ogni responsabilità su Lavrentij Berija e sulla
Nkvd. Il 13 ottobre 1990, giornata mondiale delle vittime di Katyn, la definitiva
e simbolica ammissione: in una cerimonia al Cremlino Michail Gorbaciov porse
finalmente le scuse ufficiali al popolo polacco. In quell'occasione il segretario
comunista consegnò al governo polacco alcune casse piene di documenti
segreti. Da essi sarebbe emerso in tutta la sua chiarezza il mistero di Katyn,
a questo punto un segreto di Pulcinella.
Quando i poteri passarono da Gorbaciov a Eltsin, dopo il crollo dell'Urss,
anche un'importantissima documentazione passò di mano. Il racconto
che segue di Yakovelv è tratto dal libro di Zaslavsky: "Tra le
altre carte particolarmente importanti - disse il funzionario sovietico -
Gorbaciov passò a Eltsin una busta contenente un certo numero di documenti,
aggiungendo che era indispensabile discutere per decidere cosa farne in seguito.
'Temo che possano sorgere complicazioni internazionali. Del resto sta a te
decidere.', notò Gorbaciov. Eltsin lesse e concordò che sarebbe
stato necessario riflettere seriamente. Ero sconvolto. Si trattava di documenti
segretissimi su Katyn, testimonianza dei crimini del regime. Ero sconvolto
anche perché Michail Sergeevic aveva consegnato questi documenti con
una calma straordinaria, come se non gli avessi più volte avanzato
la richiesta di ordinare al suo Archivio [del Comitato Centrale] di cercare
e ricercare i documenti. Guardai Gorbaciov sbigottito, ma non notai alcun
turbamento. Così è la vita". Con Eltsin la verità,
completa, venne fuori e il Pcus fu dichiarato, per questo e molti altri motivi.
un'organizzazione criminale. Nell'estate del 1992 da questi documenti emerse
lo scambio epistolare tra Berija e Stalin, dal quale emerse la decisione di
eliminare tutti gli ufficiali polacchi. Questa decisione maturò nel
febbraio del 1940. Il 2 marzo il Politburo approvò la proposta di affidare
ai processi della Nkvd i prigionieri avanzata da Berija e dal segretario del
Pc ucraino di allora, il compagno Nikita Krusciov, incensato oggi dalla memorialistica
occidentale come una sorta di dirigente sovietico umano (!).
Berija e Krusciov auspicavano inoltre la deportazione "nella regione
sovietica del Kazakistan per un periodo di 10 anni di tutte le famiglie di
prigionieri di guerra che si trovano nei campi per ex-ufficiali dell'esercito
polacco […], per un totale di 22.000-25.000 famiglie".
"La ferocia inaudita
della punizione […] - scrive Zaslavsky - preannunciava il carattere
della sentenza emessa dal Politburo sui prigionieri stessi". L'esito
sarebbe stato senza dubbio la pena capitale. I documenti emersi dagli archivi
rendono palese, con tanto di firma dei principali dirigenti stalinisti (Stalin
stesso, Molotv, Berija, Kaganovic, Voroscilov, Kalinin, Mikojan) la decisione
di eliminare tutti gli ufficiali polacchi considerati "irrecuperabili"
dagli esaminatori della Nkvd.
" Il 5 marzo 1940 il Gotha del Pcus dette ordine alla Nkvd di "esaminare
i casi di 25.700 prigionieri di guerra polacchi (14.700 detenuti nei campi
di Kozelsk, Starobelsk e Ostaskov e altri 11.000 nelle prigioni di Ucraina
e Bielorussia occidentali, secondo una procedura speciale, cioè senza
citare in giudizio i detenuti e senza presentare imputazione, senza documentare
la conclusione dell'istruttoria né l'atto d'accusa, applicando nei
loro confronti la più alta misura punitiva: la fucilazione". Il
distacco e il cinismo per questo ordine, considerando l'alto numero di persone
coinvolte, risuona ancora oggi agghiacciante. L'operazione della Nkvd fu un
capolavoro di efficienza: decine di migliaia di persone vennero giustiziate,
i loro corpi - in nemmeno un mese - nascosti, trasportati in luoghi segreti,
seppelliti. "Era necessario la collaborazione di numerose persone, come
politici, impiegati statali, militari, becchini. Come infatti avvenne. Non
solo, come già scritto, ci fu la zelante collaborazione degli stessi
comunisti polacchi. "Basti citare - come scrive Zaslavsky - il rapporto
di Wanda Bartoszewicz, membro del partito comunista polacco […] Il 99%
sono persone liberate dalle prigioni, dai campi e dai luoghi di esilio. […]
Tutti sono veri nemici dell'Urss pronti a vendicare le loro sofferenze. Niente
potrebbe cambiare le persone tra le quali mi trovo e si dovrà soltanto
eliminarle". Uno splendido esempio di internazionalismo.
Il massacro di Katyn resta come uno scomodo "cadavere" anche per
l'Occidente. i sovietici non sarebbero riusciti a nascondere la verità
senza la complicità dei paesi occidentali. Gli Americani fino agli
anni cinquanta, gli inglesi fino al crollo dell'Urss nel 1991. Non fanno sicuramente
onore al grande statista Winston Churchill le parole pronunciate su Katyn
negli anni quaranta, per il premier britannico la faccenda di Katyn era "di
nessuna importanza pratica" e, come scrisse nell'aprile 1943 al ministro
Eden "non si deve continuare patologicamente a girare intorno alle tombe
vecchie di tre anni presso Smolensk". Paradossalmente, in quel riferimento
cronologico c'era la chiara convinzione che a compiere il massacro fossero
stati gli alleati sovietici. Il governo americano fece anche di peggio. Quando
l'emissario speciale per gli affari balcanici George Earle portò incontrovertibili
prove della responsabilità sovietica nei fatti di Katyn, aveva ricevuto
da Roosevelt un'acceso monito. "Non è altro che propaganda - scrisse
il presidente americano - un complotto dei tedeschi. Sono assolutamente convinto
che non siano stati i russi a farlo".
Alle insistenze di Earle e in seguito alla sua decisione di pubblicare le
prove, il governo americano spedì Earle in missione diplomatica nelle
lontane isole Samoa. "Non soltanto non lo desidero - scrisse ancora una
volta Roosevelt a Earle - ma ti proibisco in modo specifico di rendere pubblica
qualsiasi informazione o opinione riguardo il nostro alleato, che tu possa
avere acquisito mentre eri in carica o al servizio della marina degli Stati
Uniti".
Il massacro di Katyn porta a un'ultima polemica riflessione. Oggi, dopo la
scoperta di tutti i documenti segreti sovietici, si è in grado di esaminare
ogni singolo aspetto di quel crimine efferato. Sono stati identificati, come
non manca di notare Zaslavsky, gli organizzatori e gli esecutori materiali.
Però, continua lo studioso polacco, "mentre nei paesi occidentali
criminali nazisti sono ancora ricercati e punti, come dimostra il caso Priebke,
in Russia neanche uno degli assassini è stato messo sotto processo
o è stato sottoposto ad alcuna indagine". Katyn è solo
uno dei tanti crimini cui personaggi dei vari regimi comunisti in Europa non
hanno dovuto rendere conto. Mentre si auspica e ci si accinge a chiedere l'estradizione
del generale Pinochet, per processarlo come responsabile della scomparsa e
dell'uccisione di 4.500 cileni, non si vede come - con lo stesso principio
del "diritto internazionale" - non si debba pretendere che i responsabili
di un numero ben maggiore di vittime, l'orrore di Katyn, vengano assicurati
alla giustizia.
di Ferruccio Gattuso
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Il massacro di Katyn - il crimine e la menzogna, di Victor Zaslavsky - Ideazione
Editrice, 1998
Morte nella foresta, di J,K, Zawodny - Editrice Mursia & C., 1973
La strage di Katyn - Fatti e documenti, di W. Anders - Edizioni del Borghese,
1967
sull'armata del gen. Anders vedi "
QUELL'INDOMITA ARMATA POLACCA A MONTECASSINO"
Ringraziamo per l'articolo
(concesso gratuitamente)
il direttore di
CRONOLOGIA GENERALE TAB. PERIODI STORICI E TEMATICI